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Telegiornaliste anno IV N. 34 (159) del 29 settembre 2008
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Valeria Di Giorgio, tra le prime donne del tg
di Giuseppe Bosso
Valeria Di Giorgio,
con il suo passato di modella e testimonial, oggi conduce il tg e vari programmi
di approfondimento giornalistico sul canale Sky 902 e sul digitale terrestre
Metropolis tv.
Proveniente da una famiglia di giornalisti famosi, tra cui
Annalisa Spiezie,
Valeria ha un blog, lo
Zibaldone di Valerì.
La tua giornata tipo dev’essere molto varia…
«Intensa e ricca. Primo appuntamento redazionale alle 9.30, quando con direttore
e colleghi ci si riunisce per fare il punto sull'ordine del giorno e per
discutere servizi e scalette dei tg.
Quando non conduco vado in esterna e torno in redazione per montare i servizi. I
tempi sono sempre strettissimi. Coprendo un'ampia fascia territoriale e
lavorando in una realtà difficile come quella della provincia di Napoli, è
necessario mantenere sempre contatti con istituzioni e forze dell'ordine».
Che bilancio puoi trarre dai primi due anni di vita di
Metropolis tv?
«Darei un voto: 8. Ma solo per poter poi raggiungere il punteggio massimo: 10. E
sono sicura che ci arriveremo presto: la tv è in crescita e il valore aggiunto è
che la redazione è composta da giovani, con idee innovative e originali. I
contenuti sono consistenti, ma all'occorrenza leggeri e divertenti».
Questi canali sono raggiungibili anche al pubblico al di fuori della
Campania. Avvertite una sorta di responsabilità per il vostro lavoro di cronaca
di un territorio come il napoletano?
«Eccome se la sentiamo. Rappresentiamo gli occhi con cui il telespettatore
italiano guarda questi territori. Realtà difficili note alle cronache solo per
gravi fatti di sangue. La “Gomorra 2”, spesso trascurata anche dall'informazione
locale, che si concentra sul capoluogo e sulle principali province campane. In
primis Torre Annunziata, e poi il vesuviano, la Penisola Sorrentina, il Nolano».
Quale deve essere, secondo te, l’atteggiamento giusto dell’informazione verso
le problematiche della nostra regione?
«La verità e l'obiettività sono i principi fondamentali a cui si ispira un
giornalista eticamente corretto. Non solo per fatti di nera o di ingiustizie, ma
anche per gli eventi, e le iniziative che rispecchiano la voglia di riscatto.
Anzi, per molti è quasi una missione informare sulle capacità di riscatto dei
territori martoriati. E' un dovere».
L’intervista o il servizio più curioso o interessante che hai realizzato?
«Sono le persone comuni a lasciare un segno. Chi stenta ad arrivare a fine mese,
chi subisce violenze e ingiustizie, chi vive con rassegnazione difficoltà di
ogni genere».
Come altri colleghi hai creato un
blog.
Credi che questo fenomeno sia espressione di una sorta di protagonismo dei
giornalisti di oggi?
«Nel blog racconto la Valeria di tutti i giorni. Le idee e gli aneddoti che mi
piace condividere con la rete. E poi i miei viaggi… Racconto le emozioni e i
sentimenti, anche se spesso l'autodifesa davanti ai fatti di cronaca, visti a
distanza ravvicinata, genera una sorta di cinismo. Il blog è anche una palestra
per esercitarmi ad evitarlo.
E poi non credo si possa valutare una persona solo per il lavoro che fa. E'
questa la mia filosofia».
Due aggettivi per definire Valeria come giornalista e come donna.
«Non amo per niente gli stereotipi, chi mi frequenta nella vita privata lo sa. E
spesso ne fa le spese».
Tante donne nella redazione di Metropolis tg: più complicità o rivalità tra
voi?
«La complicità è essenziale, senza comunque far mancare quel pizzico di
competizione che, come il pepe, rende tutto più interessante. In fondo... siamo
tutte prime donne». |
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CRONACA IN ROSA "Segnali" di parità di
Federica Santoro
Da sempre all’avanguardia in materia di parità di genere, la
Svezia ha di recente votato una legge che introduce il
disegno stilizzato di una donna nella segnaletica stradale, da affiancare o
sostituire alla classica figura maschile.
I nuovi cartelli, che potrebbero essere istallati già
all’inizio del 2009, hanno sollevato un putiferio di polemiche contro la
ministra delle Pari opportunità Nyamko Sabuni, accusata di concedere «troppi
vantaggi alle donne», e alimentato un nuovo e pericoloso maschilismo che non
ha mancato di scivolare in razzismo. La Sabuni, originaria del Burundi, non è
certamente una tipica bionda svedese. Nata da una famiglia musulmana, ha già in
passato suscitato le critiche del governo di centrodestra per la sua lotta
contro il velo e contro i finanziamenti alle scuole religiose.
Intanto il governo si appresta a valutare, entro il primo
ottobre, i prototipi dei segnali. Saranno i comuni a scegliere se indicare la
figura maschile, femminile o entrambe, imitando la cittadina di Mariestad, che
per prima ha deciso di inserire sagome femminili nella segnaletica comunale.
Esempi di parità e uguaglianza come quelli svedesi sono
incoraggianti e da prendere come modello. Infatti, se in Svezia - Paese già
primo in Europa per numero di donne che siedono in Parlamento - un segno di
rispetto e civiltà di questa portata viene accolto con non poche tensioni, in
casa nostra - dove siamo lontani dal poterci vantare di un alto grado di parità
- siamo ancora alle prese con il
patronimico.
È infatti solo di qualche giorno fa la sentenza con quale la
Corte di Cassazione ha ammesso la possibilità di poter dare ai figli il cognome
della madre, contrariamente a quanto previsto finora. La sentenza si rifà
all'europeo Trattato di Lisbona, approvato il 13 dicembre 2007, in cui si
sancisce la
parità tra uomini e donne, si afferma il diritto al
rispetto della vita privata e familiare e soprattutto si
vieta ogni discriminazione fondata sul sesso. E proprio su quest'ultimo
principio si basa la sentenza dei giudici.
Ma questa decisione segna solo un piccolo traguardo
nel percorso di modernizzazione e apertura alle politiche di
genere, in una società che come un gambero torna spesso sui suoi passi. |
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Il Pagellone di settembre di
Giuseppe Bosso
10 indiscutibile a
Blunotte - Misteri italiani.
Carlo Lucarelli affronta su Raitre i casi più controversi della storia
italiana, da Tangentopoli alla strage di Via D’Amelio con il suo consueto piglio
d’autore. Grande successo per la terza rete, alla nona edizione del fortunato
programma ideato dallo scrittore-sceneggiatore.
9 meritato a Forum, giunto alla sua
ventitreesima edizione. Liti accese, questioni giuridiche spinose unite al garbo
di Rita Dalla Chiesa e alla simpatia di Marco Senise e Fabrizio
Bracconieri sono la ricetta vincente del più famoso tribunale del piccolo
schermo, che ha da poco pianto la scomparsa di una colonna storica come
Pasquale Africano.
8 sentito a Omnibus Estate.
L’informazione non va mai in vacanza, e La7 non si smentisce durante la bella
stagione, affidando il suo ormai storico contenitore mattutino ad una squadra di
giornalisti giovani e rampanti come
Francesca Barra,
Francesco Bardaro
Grella
e Manuela Ferri, che non deludono le
attese.
7 sorprendente a
Veronica Maya, ormai lanciatissima come donna-Raiuno. Per il secondo anno
consecutivo padrona di casa a Uno Mattina Estate, conquista consensi
anche in prima serata durante la stagione estiva ed è pronta a spiccare
definitivamente il volo. E adesso sotto con
Verdetto Finale, con l’impegno di non farne
una copia di Forum.
6 pieno a Fidati di me. Virna
Lisi è sempre una garanzia per la fiction di qualità, a maggior ragione in
una storia ricca di intrigo e suspense come questa, che segna l'inizio della
grande stagione della fiction targata Rai. Bene anche i giovani Claudia
Zanella e Massimiliano Benvenuto e il veterano Giorgio Colangeli,
un anno fa grande cattivo di Distretto di polizia.
5 stonato a Italia1 per aver messo al palo
un appuntamento tradizionale dell’estate come il
Festivalbar. A parziale scusante dei
vertici della rete giovane Mediaset, i bassi ascolti delle edizioni passate e il
fatto che, probabilmente, quest'anno non abbiamo avuto veri e propri
motivetti-tormentone. Ma il rammarico rimane.
4 inevitabile a Veline, nonostante
gli ottimi ascolti. Rammarica e dispiace vedere tante ragazze disposte a
improbabili stacchetti e ridicoli siparietti con un Ezio Greggio
non proprio al top pur di raggiungere quel posto
che porterà, nei mesi a venire, a serate, copertine e fidanzati calciatori. Ma
vogliono davvero questo le giovani italiane di oggi?
3 invelenito agli spot delle compagnie
telefoniche con testimonial di grido che non mascherano il malcontento degli
utenti per gli improvvisi e sgraditi aumenti delle tariffe da parte degli
operatori. Un invito ad essere più vicini alle istanze dei consumatori.
2 a Valentina Vezzali e
Raffaella Fico: l'olimpionica medaglia d'oro
inciampa in una
clamorosa
gaffe con Berlusconi
alla prima puntata di Porta a Porta; l'ex
gieffina, con la sua
offerta indecente, ci lascia nel dubbio:
trovata pubblicitaria o realtà? Sia come sia, non certo di buon gusto...
1 inappellabile a Miss Italia. Dice
bene Fabrizio Del Noce, direttore di Raiuno, che quattro prime serate
sono troppe per un concorso che, probabilmente, non attira più come un tempo,
pur conservando il suo fascino. Un anno fa lo bocciammo per il siparietto
Goggi - Bongiorno, quest’anno per non essere
riuscito ad invertire questo trend negativo.
0 fischiatissimo al calcio italiano
che solo in extremis è riuscito a trovare un
accordo per non negare ai tifosi i gol della prima giornata. Gli sportivi sono
stanchi di questa classe dirigente formata dagli stessi, soliti, personaggi
interessati molto più a mantenere le loro poltrone che ai problemi e alle
esigenze degli appassionati dello sport più seguito nel Belpaese. Eppure siamo
ancora i campioni del mondo...
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CULT Valentina,
la donna di Crepax di Valeria Scotti
Quarantatré anni sulla carta e non li dimostra. Valentina è negli occhi
di un pubblico adulto, persa nei suoi viaggi onirici e nel territorio
affascinante dell’eros. La sensuale fotografa dal caschetto nero,
approdata con gli anni anche alla televisione, è una donna emancipata che fa del
suo corpo spesso svestito un’opera d’arte da ammirare. Colei che s’ispira
all’attrice Louise Brooks, diva del cinema muto, che vive di trasgressione. Così
abile da rubare la scena al fidanzato Philip Rembrandt.
Ora la Triennale Bovisa di Milano dedica al personaggio nato nel 1965 e
al suo creatore, il fumettista Guido Crepax, la mostra
Valentina, la forma del tempo, in programma fino al 1 febbraio 2009.
A cinque anni dalla scomparsa dell'artista rivoluzionario, la mostra accoglie il
visitatore in numerose stanze caratterizzate dalla grande multimedialità.
Proiezioni video-sonore, attività interattive e un percorso nella Milano di
Valentina, che la protagonista percorre in metropolitana, automobile e
bicicletta. Un passaggio nel suo studio fotografico, fino ai suoi sogni
proibiti.
E poi pezzi inediti del fumettista, come i teatrini di carta realizzati durante
l'infanzia e i campi delle grandi battaglie storiche. Eserciti, divise e
armi costruite con il cartoncino, veri e propri giochi con cui Crepax si
divertiva a intrattenere i suoi amici.
Al di là del suo ruolo, di un sentimento affettuoso o di un’attrazione carnale,
Valentina resta la donna per eccellenza di Crepax, una figura sempre presente,
come racconta Caterina, figlia di Guido, uno dei curatori della mostra:
«Valentina è stata sempre una di casa. Ritrovavamo nei disegni di papà i nostri
mobili, i nostri giocattoli, i vestiti di mamma, tutti gli oggetti insomma che
ci circondavano». |
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DONNE Rachida
Dati, il guardasigilli griffato Dior
di Martina Barin
È la storia di un successo con retroscena da Cenerentola.
Rachida Dati, 42 anni, è l’attuale ministro della Giustizia francese,
nominata dal primo ministro François Fillon, sotto la presidenza di Nicholas
Sarkozy.
Nata a Saint-Rémy, è la dodicesima figlia di una coppia di
padre algerino e di madre marocchina, giunti in Francia negli anni Sessanta. Le
sue origini modeste la costringono a mantenersi agli studi lavorando come
commessa e assistente ai malati. Poi, l’incontro che le cambierà la vita, quello
con Albin Chalandon, allora ministro della Giustizia: grazie a lui, durante gli
studi superiori in Scienze economiche, otterrà uno stage presso la direzione di
Elf Aquitaine, società petrolifera oggi confluita nella Total.
Dopo una piccola parentesi nel privato, si orienta verso una
carriera nell’ambito del diritto: nel 1997 è ammessa
su curriculum alla Scuola nazionale della magistratura. Tuttavia, secondo il
settimanale L’Express, Rachida Dati avrebbe falsificato il dossier di
presentazione, menzionando un diploma che in realtà non avrebbe mai ottenuto.
Dal 2001 inizia la sua carriera politica e la collaborazione
con Nicolas Sarkozy, del quale diventerà la portavoce ufficiale durante la
campagna elettorale del 2007. Dopo la vittoria del candidato dell’Union pour un
mouvement populaire (Ump), inizia la sua avventura all’Eliseo come ministro
della Giustizia, divenendo la prima donna di origine maghrebina
a ricoprire una carica così importante.
Tra le principali riforme promosse dal Guardasigilli, la
legge che fissa pene minime per i recidivi, criticata poiché contraddice il
principio dell'individualizzazione delle pene contenuto nel diritto francese. Ma
il provvedimento che ha scatenato più polemiche è quello che prevede la
reclusione a tempo indeterminato in un centro di sicurezza del criminale che ha
scontato una pena di almeno 15 anni, qualora sia giudicato ancora pericoloso da
un’apposita commissione.
Dal suo insediamento al ministero, la Dati diventa, da
simbolo della mobilità sociale, incarnazione del lusso, tanto da essere
soprannominata "Madame Dior" e Garde des Sceaux (guardasigilli, ndr)
"à champagne" dal settimanale satirico Le Canard Enchaîné.
Diviene inoltre bersaglio privilegiato della stampa francese
per le sue vicissitudini private: spese folli addebitate al dicastero,
dimissioni a catena tra i suoi collaboratori, l’amicizia con Cecilia Sarkozy e
la presunta rivalità con Carla Bruni.
Ultimo "scandalo" in ordine di tempo il fatto che la
deuxième femme de France aspetta un figlio da padre
volutamente mantenuto ignoto. Figlio che, al contrario della madre, non avrà
bisogno di provare l’ebbrezza dell’ascensore sociale. |
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TELEGIORNALISTI
Beppe Viola: l’ironia che non muore mai
di Mario Basile
In pochi sanno che è grazie a lui che il calcio oggi può permettersi anche di
non prendersi sul serio. Di divagare quel tanto che basta per farti sorridere,
per poi tornare tutti zitti e muti a seguire le vicende pallonare o, peggio
ancora, inveire contro arbitri e sfortuna se le cose non vanno per il verso
giusto.
Perché va bene la battuta, ma il calcio è pur sempre una cosa seria. Prendiamo
Teocoli e Gnocchi. Due fuoriclasse della satira sportiva: il
primo viaggia col freno tirato nel salottino della Domenica Sportiva; il
secondo può permettersi di andare a ruota libera, ma in un programma tutto suo e
solo dopo che gioie e dolori dei tifosi sono stati smaltiti.
Beppe Viola invece no. Con la sua ironia dissacrante ha aperto un varco
nell’aura di sacralità che avvolgeva il pallone nostrano, ma rispetto ai suoi
eredi lo faceva affrontandolo a viso aperto. Godeva di un enorme vantaggio:
ufficialmente era un giornalista, non un umorista. Quello lo era per passione.
La stessa che lo portò a scrivere testi per le giovani promesse della comicità
italiana degli anni '70: Boldi, Porcaro, Pozzetto, lo
stesso Teocoli, e ad essere sceneggiatore e curatore dei dialoghi in un
film che ha fatto la storia del cinema italiano: Romanzo Popolare di
Mario Monicelli.
Ad esso lavorò anche il suo fraterno amico Enzo Jannacci, con cui
scrisse la famosissima “Quelli che…”, canzone il cui titolo ha fatto poi la
fortuna di Fabio Fazio, Simona Ventura e della schiera di
personaggi lanciati dalla trasmissione. C’è chi giura, però, che Viola abbia
“ufficiosamente” collaborato a tantissimi altri pezzi di Jannacci.
Tornando al giornalismo, c’è da dire che la verve di Viola non fu tutta
dedicata al calcio. Fece telecronache anche per il tennis (memorabile la sua
battuta: «Sarei disposto ad accettare di avere 37 e 2 per tutta la vita in
cambio della seconda palla del servizio di John McEnroe»), il pugilato e
i motori.
La sua dissacrante ironia non risparmiò neppure il football americano, quando
si trovò a vederne un match: «Da vent'anni dipendente della Rai-Tv, passaporto
italiano, militesente, presunto capo di famiglia numerosa, non soltanto ignoravo
le regole del football americano, ma non mi era mai passato per la testa di
assistere a una partita…».
Il pallone, però, era la sua grande passione. Di fede milanista, così come
Jannacci, una domenica col campionato fermo si inventò una particolarissima
intervista con Gianni Rivera. Il numero dieci rossonero rispose alle
domande di Viola girando per Milano su un tram. Era il 1978.
La morte lo colse all’improvviso nell’ottobre ‘82. Mentre stava curando il
montaggio di Inter – Napoli fu stroncato da un ictus. Di lì a poco avrebbe
compiuto 43 anni.
Il suo amico e collega Gianni Brera lo ricordò così sulle pagine di
Repubblica: «È morto Giuseppe – Pepinoeu – Viola. Aveva 43 anni. (…) Era
nato per sentire gli angeli e invece doveva, oh porca vita, frequentare i
bordelli. (…) Povero vecchio Pepinoeu! Batteva con impegno la carta in osteria e
delirava per un cavallo modicamente impostato sulla corsa; tirava mezzo litro e
improvvisava battute che sovente esprimevano il sale della vita. Aveva un humour
naturale e beffardo: una innata onestà gli vietava smancerie in qualsiasi campo
si trovasse a produrre parole e pensiero. Lavorò duro, forsennatamente, per aver
chiesto alla vita quello che ad altri sarebbe bastato per venirne schiantato in
poco tempo. Lui le ha rubato quanti giorni ha potuto senza mai cedere al presago
timore di perderla troppo presto. La sua romantica incontinenza era di una
patetica follia. Ed io, che soprattutto per questo lo amavo, ora ne provo un
rimorso che rende persino goffo il mio dolore...». |
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Motocross: ragazzine spericolate di
Pierpaolo Di
Paolo
Le vedi partire tenendo la moto bassa,
sgomitando tra gli avversari per mantenere la traiettoria. Affrontano salti
spettacolari e recuperano il controllo con abilità. Tecnica, forza, fisici da
amazzoni. Chi si trova di passaggio osserva convinto di assistere a una gara di
motociclisti esperti, ma quando le moto si fermano e i centauri tolgono il
casco, lo stupore dello spettatore è palese.
I lunghi capelli che si liberano sui
giovani visi non lasciano spazio a dubbi. Hanno da 12 a 15 anni, sono le
protagoniste del minicross, passione nata praticamente all'asilo. Nelle loro
camerette non ci sono poster di calciatori o cantanti ma dei
trix, le manovre più spericolate dei loro
miti, fuoriclasse del motocross come
Tony Cairoli.
Venerdì 19 e sabato 20 settembre al
Datchforum di Milano si sono esibiti i
campioni del motocross di tutto il mondo; a bordo pista ovviamente anche loro,
accorse ad ammirare lo spettacolo e studiare il tracciato, sede della prossima
gara. Si tratta di una pista velocissima e molto tecnica, sulla quale dovranno
gareggiare con le loro moto da 85 cc.
Tra le giovani spettatrici anche Chiara
Fontanesi, quattordicenne vicecampionessa 2007, autentico talento in grado
di tener testa in pista a rivali di 17, 20, anche 28 anni. Proviamo a chiederle
come ha iniziato.
«È tutta adrenalina» dice, gli occhi pieni di
entusiasmo, «a due anni e mezzo ho cominciato a usare la moto da minicross che i
miei genitori avevano regalato a mio fratello, a 5 anni già gareggiavo».
Il tuo personaggio preferito? «Valentino
Rossi, è simpatico e ha grinta».
Ma ci sarà qualcosa che ti piace al di là
delle due ruote..
«Certo, mi piace giocare con la mia psp».
Inutile dirlo, il gioco preferito è il motocross.
Ma i tuoi genitori non hanno paura a
lanciarti in uno sport così pericoloso? «Assolutamente, in pista siamo preparate
e ben protette, semmai è per andare a scuola che i miei non vogliono saperne di
comprarmi lo scooter, così sono costretta a prendere l'autobus. La strada sì che
è pericolosa». |
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