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Donne Nel mondo, nella storia
Donne. Nel mondo, nella storiaMaria Pia Nocerino, le mie Spire
di Giuseppe Bosso

Incontriamo la giornalista e scrittrice Maria Pia Nocerino, che con Spire, pubblicato dalla casa editrice Rossini (Gruppo Santelli) molto successo ha riscosso nell'ultimo anno.

Benvenuta su Telegiornaliste, Maria Pia. Perché hai intitolato Spire questo tuo primo libro? Cosa significa questo termine?
«Spire, il titolo del libro, ha un doppio significato: anzitutto rappresenta il momento più importante della storia, quando i due protagonisti, Marlena e Paul, si incontrano per la prima volta. Il loro incontro avviene davanti a una fontana che esiste realmente. Si trova a Nemi, ai Castelli Romani. Si tratta di una fontana realizzata dal Maestro Mastrolorenzi; è un’opera, al tempo stesso, affascinante e inquietante, perché formata da una grande vasca sopra cui campeggia la testa di una gigantesca Medusa. Marlena per abbeverarsi alla fontana si appoggia alle spire della Medusa. Poi la storia evolve e i due protagonisti si ritroveranno travolti da altre “spire”; ecco, dunque che il termine “spire” utilizzato per indicare un elemento fisico assume, andando avanti nella lettura, un altro significato, quello di una metafora».

Dal punto di vista narrativo, mettendoci nei panni di un potenziale lettore che apre per la prima volta le tue pagine, è sorprendente constatare come all'inizio, con una narrazione in terza persona, sembri quasi costruire una 'classica', per così dire, storia romantica di due persone che si conoscono e sviluppano il loro rapporto, anche con qualche intermezzo umoristico, per poi, improvvisamente, passare la parola a uno dei tuoi protagonisti che diventa narratore in prima persona e la storia, con un considerevole timeskype, assume contorni drammatici: è stata una scelta voluta?
«Assolutamente sì. La prima parte, come dici, appare una sorta di commedia anche banale, se vogliamo, dove le preoccupazioni principali dei protagonisti sono tutto sommato situazioni ordinarie, qualche pensiero di troppo tutt'al più. E poi, di colpo, il lettore resta disorientato, come se si trovasse per le mani un'altra storia. La nostra vita spesso ci appare scontata, ordinaria, quasi noiosa, ma quando subentra un evento traumatico, si resta destabilizzati. Ho voluto che il lettore si sentisse destabilizzato, che per un attimo “perdesse la bussola”; ciò per comprendere meglio che quella che ci appare una vita monotona in realtà è una conquista, è il conseguimento di una porzione di serenità».

Tramite la storia dei tuoi personaggi hai affrontato una tematica attuale, drammatica, forse non del tutto compresa come l'Alzheimer, nella sua forma più crudele probabilmente. Cosa ti ha spinta a sviluppare questo racconto?
«Potrei dire che sono stati i personaggi a portarmi in qualche modo in questa direzione. Fortunatamente non ho esperienze dirette di questo male; quando ho deciso che sarebbero state queste “le spire”, mi sono consultata con medici, persone che avevano esperienze dirette, e solo quando ho ritenuto di disporre degli elementi giusti per sviluppare questa storia in maniera concreta e delicata, sono andata avanti. Ho deciso di incentrarmi su questa tematica perché se è vero che oggi il benessere ci ha portato a incrementare l'aspettativa di vita c'è, di contro, il rovescio della medaglia dell'essere la generazione più anziana di tutte le precedenti con le conseguenze che comporta».

Come ti sei posta nei confronti delle persone con esperienze dirette di Alzheimer?
«Semplicemente da giornalista e da amica, chiedendo loro di parlarmi delle difficoltà che avevano incontrato, del tipo di cura che avevano deciso di seguire, del tipo di assistenza che avevano ricevuto. Per molti il problema principale è il momento in cui la malattia diventa ingestibile e occorre fare una scelta: quella di trattenere la persona cara a casa o quella di affidarsi alle cure esterne di una struttura. In alcuni casi la seconda soluzione può rappresentare un vantaggio perché le Rsa garantiscono assistenza continua grazie ai turni e ai ricambi del personale di servizio; ma c'è quel pregiudizio, ancora oggi diffuso, secondo cui questa scelta viene spesso interpretata come un abbandono».

Qual è stato il riscontro che hai avuto in questo anno di presentazioni e incontri che ti hanno vista girare non solo la nostra regione ma anche molte altre parti d'Italia?
«Sono un’autrice esordiente e mai avrei immaginato un’accoglienza così calorosa per il mio primo libro. Le recensioni positive sono state numerose e persino la critica ha espresso apprezzamenti lusinghieri, tant’è che Spire ha ricevuto menzioni speciali in occasione di diversi concorsi letterari. La gratificazione più grande è stata però un’altra ed è arrivata in modo del tutto inaspettato: una telefonata da parte dell’editore. Il Dott. Santelli mi ha detto di essere molto soddisfatto del successo ottenuto dal libro, cosa tutt’altro che scontata per chi è alle prime armi nel mondo della scrittura — parole le sue che ho conservato gelosamente come incoraggiamento per il mio prossimo cammino letterario».

Senza fare spoiler possiamo dire che la tua storia non ha una vera e propria conclusione ma piuttosto un momento in cui il tuo protagonista decide di affrontare questo dramma con una scelta forte. Qual è stato il messaggio che hai cercato di trasmettere?
«Oltre l'oblio l'amore vero resta. Tengo a sottolineare che tutto quello che ho raccontato in Spire è autentico, suffragato dalle testimonianze che ho raccolto, anche nel finale, che mi è arrivato in maniera del tutto inaspettata un giorno in cui mi trovavo in Svizzera, seduta accanto a una persona che non sapeva nulla della storia a cui stavo lavorando, che mi ha raccontato la storia dei suoi genitori che, inconsapevolmente, mi ha acceso quella lampadina su come avrei concluso il racconto».

Hai due figli grandi. Anche loro o i loro amici hanno avuto modo di leggere Spire? E se sì come ti sei confrontata con loro?
«Sì. In particolare una cara amica di mia figlia è stata una delle mie prime lettrici. Una meravigliosa ragazza di soli 18 anni che oggi sta studiando medicina a Bologna. Nel suo commento ha saputo cogliere gli elementi più dolci della storia e il messaggio di speranza a dispetto dei momenti più dolorosi. Non a caso, alcuni lettori hanno definito il mio libro “arioso”, apprezzando il modo in cui una realtà, seppur dolorosa, è stata raccontata senza cadere nell’esasperazione».

In occasione delle varie presentazioni hai ricevuto particolari richieste su dediche o pensieri da lasciare ai tuoi lettori?
«Mi ha reso orgogliosa il fatto che qualcuno ci abbia già visto un potenziale testo teatrale, attrici che mi hanno proposto una trasposizione da mettere in scena, e già qualcuno, in ambiti territoriali, è riuscito a farne una prima rappresentazione di alcuni passaggi. Soprattutto una giovane attrice che, reggendo una bambola sotto il braccio, ha rappresentato la mia protagonista in uno dei suoi deliri, cosa molto suggestiva. Anche la critica ha colto questa potenzialità».

In futuro se dovessi cimentarti in una nuova esperienza letteraria pensi di sviluppare nuovamente una storia reale e drammatica o auspichi di cimentarti in un diverso genere?
«Ho già in mente una storia ispirata a fatti realmente accaduti. Una storia potente, che merita di essere raccontata. Contestualmente sto provando a scrivere un giallo - progetto al momento sospeso perché decisamente più ampio e impegnativo. Inoltre sto scrivendo un libro e alcuni racconti per l’infanzia».

Oltre che scrittrice e giornalista, chi è Maria Pia Nocerino, definita anche la “scrittrice maratoneta”?
«Ho avuto un passato da runner. Mi sono scoperta abbastanza veloce dopo la nascita dei miei figli; avevo iniziato per diletto, per ritrovare forma, e notando queste possibilità ho iniziato a gareggiare con una squadra a livello agonistico; sono arrivate le prime medaglie, alcuni podi e qualche coppa che mi hanno incentivata a proseguire. Ma sono arrivati anche i primi infortuni. Forse un giorno riprenderò (ride, ndr) ma è stato comunque un altro bel periodo che ricorderò sempre con affetto».

Sei molto richiesta come moderatrice di presentazioni di libri di altri autori e sei molto attiva sui social, da quanto vedo, con reel e recensioni: è una salvezza per la lettura?
«Sì, i social sono un'ottima vetrina. Non vanno demonizzati; anzi, se usati bene sono uno strumento di grande riscontro. In precedenza avevo un'altra pagina social dove parlavo di un'altra mia grande passione, i viaggi, e in precedenza ancora parlavo delle mie esperienze da runner. I libri mi hanno accompagnato da sempre, come la scrittura di poesie e racconti, che poi si sono affiancati alla stesura del libro».

Chi ha letto il libro capirà questa domanda, mentre per chi non l'ha ancora fatto saprà cogliere questa citazione: Fermo restando che i tuoi punti fermi sono tuo marito e i tuoi figli, per fare breccia nel tuo cuore più chance con un gelato o con un gattino?
«Non si possono avere entrambi? (ride, ndr). Un gattino lo prenderei volentieri, certo. Non ne ho a casa, ma ho la passione per i gatti rossi, e come dicevi chi ha letto Spire comprenderà questo riferimento, ispirato dai gatti che si radunavano nel cortile dove vivo, tra cui uno con un orecchio piegato che io e mia figlia avevamo chiamato Pablo. Alcuni sanitari mi hanno suggerito questo riferimento proprio perché la pet therapy funziona bene nei casi di Alzheimer dal momento che il gatto (e/o il cane) non chiede nulla in cambio se non affetto e quindi non alimenta la confusione del malato».

Nelle tue vesti di giornalista e scrittrice hai mai dovuto confrontarti con la parola 'bavaglio'?
«No. Come giornalista ho quasi sempre parlato di cultura cercando di mettere in evidenza il meglio della vita: libri, arte, viaggi, cinema, teatro, etc. Se affrontassi tematiche più scottanti probabilmente in determinate circostanze il bavaglio mi sarebbe stato messo, ma ritengo che avrei saputo affrontarlo».

 interviste a personaggi


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