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Donne Nel mondo, nella storia
Donne. Nel mondo, nella storiaMaria Rosaria Palmigiano, relazioni tossiche
di Giuseppe Bosso

Intervistiamo nuovamente la dottoressa Maria Rosaria Palmigiano. Criminologa, psicologa, psicoterapeuta, esperta in psichiatria forense applicata ai sex offenders con la quale affrontiamo una tematica quantomai all'ordine del giorno, visti i casi di cronaca, spesso purtroppo dal tragico epilogo, che frequentemente sono oggetto delle scalette dei tg e dei media.

Dal suo punto di vista di professionista come definirebbe “relazione tossica” e quali sono i campanelli d'allarme?
«La relazione tossica è una relazione in cui non vi è simmetria: si viaggi su due binari diversi, dove una partner di sesso femminile, il più delle volte è soggetta a prevaricazione su più livelli.
Per quella che è la mia esperienza le relazioni tossiche, pericolose, che possono evolvere in atti di violenza, sfociando purtroppo nei casi più estremi in morti e tragedie, sono una problematica che va affrontata anzitutto con una adeguata prevenzione, e da questo punto di vista posso dire con soddisfazione che molti passi in avanti sono stati compiuti. Quando purtroppo vengo chiamata a intervenire nelle vesti di consulente tecnico, sia per l'Autorità giudiziaria sia per gli avvocati, i fatti sono ormai avvenuti. Gli eventi di sensibilizzazione e di prevenzione devono essere rivolti ad ampio raggio anche ai giovanissimi, visto che purtroppo i dati ci riportano come sono sempre più gli adolescenti alle loro prime esperienze sentimentali ad essere coinvolti in queste vicende, effetto anzitutto di una sorta di “appesantimento”, per così dire, frutto di una esposizione tramite il web sempre più massiccia, che in qualche modo blocca la loro sana interazione con il mondo esterno e non gli fa vivere esperienze come il corteggiamento, la nascita di una relazione come la mia generazione ha vissuto. I campanelli d'allarme insiti in una relazione tossica sono quelli che si manifestano sul versante personologico fin dal principio, quando i primi screzi consentono di intercettare quelle criticità che ci rivelano come quella persona tende a esercitare su di noi un controllo ossessivo e serrato, come per esempio chiedere di continuo chi frequentiamo; un altro aspetto è quello della possessività, che deriva dal fatto che purtroppo molti uomini hanno una concezione di proprietà relativa alle proprie compagne; i rapporti a due devono essere caratterizzati da delicatezza e reciprocità, l'altro deve essere un valore aggiunto e non qualcosa che toglie libertà. Senza poi dimenticare quell'altra, insopportabile, forma di controllo rappresentata dalla verifica dei social, cosa che purtroppo nei rapporti tra adolescenti di cui le parlavo prima sta registrando un preoccupante incremento; cosa c'è di più intimo e personale dell'uso dei nostri profili, del nostro numero di telefono? Anche la gelosia, ossessiva, è un'altra spia rivelatrice di tossicità. Proprio come il non consenso ad avere rapporti sessuali, fattispecie che spesso mi trovo ad affrontare quando vengo nominata Consulente tecnico dalle Procure».

Cioè, cosa succede in questi casi?
«Essendo specializzata in criminologia e avendo un master in psichiatria forense applicata agli abusatori sessuali, quando vengono coinvolte donne adulte con fragilità o minori sono chiamata ad ascoltare quanto subito da queste persone e a stilare consulenze tecniche. Purtroppo come le dicevo, queste criticità sono così diffuse da non poter essere collocate in un determinato territorio rispetto ad altri. Ho riscontrato come purtroppo negli anni siano molto aumentati gli episodi integranti maltrattamenti in famiglia, violenze a più livelli, in cui vengono esposti anche i minori».

Cosa accade nelle relazioni tra adulti? Perché una donna rimane incastrata per lungo tempo in un rapporto tossico?
«Scattano delle vere e proprie trappole emotive, che imprigionano molte donne in queste relazioni: anzitutto per il timore di dover ammettere un fallimento, nell'aver puntato su una relazione rivelatasi sbagliata o per strategie manipolatorie da parte dell'abusante che portano una donna a sentirsi in colpa. Senza dimenticare la paura di dover affrontare le conseguenze economiche da una eventuale rottura, o l'odioso ricatto che viene attuato quando ci sono figli. Tanti aspetti, insomma, che emergono quando è ormai troppo tardi in casi come quello, recentissimo, della povera Daniela Coman, che ha provato a venir fuori dalla sua relazione tossica ma è incappata in queste trappole emotive. Chiedere un aiuto specialistico è fondamentale».

Senza ovviamente venir meno ai doveri di riservatezza legati alla sua professione, quando si è trovata a dover affrontare suoi pazienti alle prese con questa situazione, con che tipo di approccio si è posta nei loro confronti per uscire fuori dal tunnel?
«Senz'altro approccio empatico in primis, cercando di mettermi nei panni di queste persone che si sono rivolte a me molto spesso al termine di una lunga riflessione. Dopodiché faccio una valutazione del rischio per loro, analizzando quanto riportano, verifico la condizione clinica, il grado di motivazione per elaborare un primo quadro complessivo della situazione, per poi iniziare il vero e proprio percorso che nei casi più estremi può comportare anche un accompagnamento per sporgere una denuncia. È un passo delicato che molte delle persone che si sono rivolte a me hanno compiuto spesso con la spada di Damocle rappresentata dalle conseguenze di quella decisione».

Ha avuto riscontri positivi con le sue terapie? Cioè persone che davvero ne sono venute fuori?
«Sì, ovviamente non tutti i miei interventi hanno avuto successo. Molti si sono fermati all'inizio o a metà strada, avendo realizzato di non aver sviluppato quella motivazione essenziale. Mi è anche capitata una 'terza categoria', per così dire, costituita da persone che dopo aver iniziato questo tipo di percorso lo hanno interrotto, per poi tornare sui loro passi, forse perché nel primo approccio non erano ancora pronte».

L'attenzione dei mezzi di comunicazione sulla problematica è un supporto o rischia di diventare in qualche modo un boomerang?
«La violenza c'è sempre stata, prima magari non se ne parlava come oggi, perché avevamo meno canali a nostra disposizione. E proprio per questo aspetto non parlerei di boomerang, anzi, maggiori possibilità di utilizzare questi canali rappresentano una possibilità di parlarne di più, di denunciare, e quindi lo ritengo un bene senz'altro, anche tramite campagne di sensibilizzazione che raccolgono sempre più persone. La strada da fare, però, è ancora lunga».

In che modo si è attivata per intervenire su questa piaga? Può parlarci di qualche iniziativa in progress o eventi di cui si occuperà prossimamente?
«Da anni ormai svolgo attività pubbliche di sensibilizzazione attraverso convegni, serate, programmi in web-tv e attività informative a scuola. Dal 2022 siedo anche al Tavolo Interistituzionale del Comune di Colorno, in provincia di Parma, con il quale abbiamo in cantiere una serie di eventi che si svolgeranno il prossimo autunno. Gli eventi sono molto frequenti, per fortuna».

Cosa direbbe alla vittima e al carnefice di una relazione tossica, se per un attimo può svestire i panni della terapeuta e in qualche modo calarsi in quelli di una persona fidata?
«Che la vita è bella e nessuno può limitare la sua libertà, il suo diritto di divertirsi, di stare con i suoi cari. Uscire da una relazione tossica si può, senza dover aspettare di toccare il fondo, che è una cosa molto pericolosa per le conseguenze e implicazioni che ne possono derivare».

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