Simona
Decina, dentro la notizia
di
Giuseppe Bosso
Incontriamo
Simona Decina,
inviata di
Porta a porta.
Inevitabile partire dalla grande commozione che ha suscitato la scomparsa
di Papa Francesco. Le sue sensazioni non solo da giornalista.
«Sapevamo che quel giorno era molto vicino, era solo questione di attendere.
Ho provato con enorme tristezza la sensazione che forse non sarebbe stato
eletto un altro Papa cosi fuori dagli schemi come lui. Non in questo momento
storico almeno».
C'è un suo ricordo o momento particolare, non necessariamente legato al
suo lavoro da giornalista, che la legherà per sempre al pontefice “venuto
dalla fine del mondo”?
«Sì! Il suo viaggio a Lampedusa — il primo al di fuori della diocesi di Roma
— resta uno dei momenti che maggiormente ha incarnato la missione spirituale
di Papa Francesco e che mi ha toccato personalmente. Sono stata tante volte
e tanto tempo a Lampedusa per lavoro, per raccontare le speranze e la
disperazione dei migranti. Quelli che ce la fanno e quelli che resteranno
per sempre nelle acque del mediterraneo. Ma il Papa a Lampedusa, per
omaggiare questi uomini trattati spesso con disprezzo, mi resterà per sempre
impresso: “la globalizzazione dell’indifferenza - disse Francesco — ci ha
tolto la capacità di piangere”. Parole stupende».
Eventi epocali come la scomparsa di un pontefice e l'elezione del nuovo
hanno da sempre impegnato Porta a porta in prima linea. Come
fronteggiare in maniera adeguata questi momenti storici per fornire
un'informazione degna del servizio pubblico?
«È stato faticoso lavorare per un evento cosi epocale. Tutti i giorni al
Vaticano, servizi, collegamenti… ma avevo netta la consapevolezza che il
mondo voleva sapere. Amava quel papa ed era assetato di notizie. Quindi
precisione, organizzazione e forza e delicatezza nel raccontare il Papa più
vicino agli ultimi».
Stiamo vivendo un momento particolarmente delicato per varie ragioni
legate anche alla difficile situazione internazionale: quale pensa debba
essere il compito dell'informazione in questi frangenti?
«Raccontare ininterrottamente quelle che succede. Far vedere cosa significa
la guerra. L’invasione va denunciata in ogni modo. Documentare anche
esponendosi al rischio di assuefare l‘utente. Ma il silenzio gioverebbe agli
aggressori. Mi piacerebbe entrare a Gaza e mostrare le immagini di un
assurdo genocidio».
Cosa rappresenta per lei far parte di una trasmissione storica di Rai uno
come Porta a porta?
«Lavoro qui da 20 anni. È casa mia! Sono orgogliosa di me stessa e grata
delle opportunità che Bruno Vespa mi ha offerto. Mi sento anche io un
pezzetto di storia della tv!».
Quali sono state le interviste e i momenti raccontati che più sono stati
significativi per il suo percorso?
«Ce ne sono stati tantissimi. Sicuramente la tragedia della Costa Concordia
e il dolore insanabile che ho letto negli occhi dei familiari di chi non era
sopravvissuto. E poi l’alluvione in Emilia Romagna: la forza di quelle
persone che senza un lamento si sono rimboccate le maniche mi ha insegnato
tantissimo. Il ricordo della loro dignità mi sostiene quando penso di essere
stanca».
Questo ruolo da inviata le sta stretto, aspira a una sua trasmissione o
andare in giro a raccontare l'Italia la gratifica maggiormente?
«No, nessuna conduzione! Mi piace stare dentro le notizie, guardare negli
occhi i protagonisti degli avvenimenti!».
Lavorare per il servizio pubblico secondo lei è ancora la massima
aspirazione in quest'epoca di grandi network non solo legati alla
televisione?
«No. Il mondo dei giovani è molto cambiato. Noi siamo di un’altra epoca e
quindi a me sembra il massimo lavorare in tv dove mostri ciò che accade, ma
il modo di far fruire oggi le notizie è talmente diversificato che diventa
impossibile parlare solo di tv».
Se dovesse intervistare Simona Decina cosa le chiederebbe?
«Simona, hai iniziato questo mestiere perché secondo te anche un servizio
può contribuire a salvare il mondo. Dopo tanti anni lo pensi ancora?».