Laura
Baldassarre, musica amica
di
Giuseppe Bosso
Intervistiamo
Laura Baldassarre, che concilia il lavoro di
doppiatrice con un'ampia attività legata alla musica.
Ricordi la tua prima esperienza al leggio?
«Sì, ero giovanissima, avevo 17 anni. Era un provino in sala
per una delle prime scuole mai fatte a Pescara, e i posti
erano limitati. Ho passato il provino ma poi, per ragioni
familiari e di studio, non ho frequentato il corso. Me ne
pento un pochino! Già all´epoca sentivo la voce come mia
giusta dimensione. Tornando indietro mi trasferirei a Roma
appena finito il liceo».
Fai parte di una generazione di nuove voci che anche
senza avere alle spalle famiglie storiche del mondo del
doppiaggio a poco a poco si stanno affermando. È un segno
positivo?
«Direi di sì e sono grata ai direttori che mi hanno dato la
possibilità di misurarmi con personaggi più impegnativi. Io
ho messo piede nel mondo del doppiaggio a 31 anni,
relativamente tardi ma ci sono arrivata con una formazione
attoriale e musicale e un lavoro già attivo di speakeraggio
per
Cartoonito. Per chi, come me, inizia a fare il
doppiatore da adulto, l´inserimento nel settore è più lento
e complesso ma non impossibile. Bisogna però che ci si
arrivi con una formazione attoriale completa e con un uso
tecnico perfetto dello strumento voce».
In queste settimane abbiamo la possibilità di ascoltarti
nel remake dello storico anime
Occhi di Gatto distribuito da Disney+ su una
delle protagoniste, Kelly, che anche grazie alla recente
serie
live action francese trasmessa da Raidue sta vivendo una
sorta di riscoperta. È una serie che seguivi da bambina?
«Purtroppo non ero ancora nata ma ho sempre cantato la sigla
di Cristina D´Avena! Chi non se la ricorda? Però devo
ammettere che grazie a
Cat´s Eyes mi sto
appassionando molto al mondo manga…».
C'è in qualche modo un legame con la serie storica con la
presenza di
Teo Bellia, allora voce del personaggio di Matthew e che
oggi troviamo sul capo della polizia. Ma si può davvero
confrontare due produzioni ambientate in epoche diverse,
anche dal punto di vista del vostro lavoro?
«Non credo. Ogni prodotto è figlio del suo tempo ed è
proprio questo il bello».
Non solo doppiaggio, possiamo vedere dai tuoi profili
social che anzitutto ti occupi di musica. Come si è svolto
il tuo percorso artistico?
«Dal 1970 i miei genitori hanno un negozio in centro a
Pescara; hanno sempre lavorato tutto il giorno quindi io
sono cresciuta lì dentro a contatto con la clientela. Era
cliente abituale del negozio un´insegnante di teatro che ha
invitato mia madre a portarmi nella sua scuola quando avevo
6 anni: ricordo che mi chiedeva di dire verde con la e
chiusa, dieci con la e aperta; grazie a lei ho imparato a
parlare in dizione fin da piccolissima. Altra cliente
abituale era Roberta, una maestra di pianoforte e così ho
iniziato a 5 anni a conoscere le note e il pentagramma.
Musica e teatro fanno da sempre parte della mia vita;
crescendo mi sono diplomata in pianoforte e laureata in
musicoterapia. Parallelamente non ho mai smesso di coltivare
l´attività teatrale e quella vocale. Oggi lavoro come
doppiatrice e lettrice di audiolibri oltre a portare avanti
l´attività teatrale con spettacoli come
Io quella volta
lì avevo 25 anni di Giorgio Gaber o Lectura Dantis dove
recito e mi occupo dell´accompagnamento musicale con il mio
piano».
Domanda forse un po' banale: cosa ha rappresentato e cosa
rappresenta la musica nella tua vita?
«Tutto. La musica salva, cura, accompagna, sostiene; penso
che tutti i bambini dovrebbero intraprendere lo studio di
uno strumento, qualunque esso sia. Il linguaggio musicale
apre la mente ed è, secondo me, lo strumento di
comunicazione più potente. Penso al periodo Covid dove molti
non sapevano che fare a casa. Io non sapevo cosa non fare
dal momento che non avevo mai avuto così tanto tempo da
poter dedicare alle mie passioni; sono stata sola chiusa a
casa con il covid per 40 giorni e ricordo che ho suonato
tantissimo; lo strumento è un migliore amico che è sempre
con te e non ti abbandona mai; è un punto fermo a cui
tornare sempre».
Da laureata in musicoterapia ritieni che in quest'epoca
così confusionaria e contraddittoria la comunicazione sonora
abbia maggiori possibilità di aiutare l'individuo a capire
meglio se stesso e gli altri rispetto a quella verbale?
«Come dicevo prima, la musica è lo strumento di
comunicazione più potente proprio perché è un linguaggio
universale che può essere catartico e liberatorio, può
emozionare e curare. In musicoterapia, per esempio, la
musica è il mezzo per creare la relazione, uno scambio
autentico che cura e permette di avere un canale espressivo
di comunicazione anche alle persone affette da autismo che
non riescono a farlo con altri mezzi. In questi anni poi ho
approfondito tantissimo il mondo della voce, certificandomi
come docente di Voce in Equilibrio e creando un mio metodo
di lavoro sulla voce parlata che ho chiamato
Armophonìa,
i colori della voce parlata dove si parte proprio dalla
musica e dalla mimodinamica teatrale per allineare respiro
corpo e voce e trovare il giusto mix di ritmo, volume, tono
creando una giusta trasmissione di verbale e non verbale,
parole ed emozione, in un determinato contesto. Noi possiamo
essere musica, la musica è nel nostro corpo e nella nostra
voce, dobbiamo solo re-imparare ad accordarci».
E non posso esimermi, in conclusione, dall'affrontare
anche con te lo spinoso e più che mai attuale tema legato
all'intelligenza artificiale. Stiamo davvero andando
incontro a un mondo dove la creatività e l'ingegno
dell'essere umano verrà soppiantato totalmente dalla
tecnologia?
«La cosa mi preoccupa tantissimo. Io mi sento fortunata
perché la mia generazione ha conosciuto il prima e il dopo e
nel “prima” abbiamo potuto sviluppare il senso dell´attesa,
la consapevolezza che per ottenere qualsiasi cosa bisogna
attivarsi, impegnarsi e investire tempo. Io ho un animo
maledettamente vintage… quando torno a casa in Abruzzo guido
spesso una delle macchine d´epoca di mio padre: senza
servosterzo, con finestrini a manovella; quando entro lì
dentro e respiro quell´odore di legno del volante e pelle
dei sedili, sulle note di Sergio Endrigo mi riconnetto con
un mondo più lento e non automatico e la cosa mi piace
tantissimo. Sicuramente per alcuni settori l´intelligenza
artificiale può essere davvero utile se gestita con prudenza
ma per il settore artistico assolutamente no. Fiduciosa del
fatto che un mondo senza anima non interessi a nessuno spero
e credo che la creatività e unicità della creazione
artigiana non possano essere spazzati via».