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Telegiornaliste anno V N. 42 (213) del 23 novembre 2009
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MONITOR Micaela
Faggiani: dalla parte delle coppie, delle famiglie
di Giuseppe Bosso
Giornalista professionista dal 2003,
Micaela Faggiani lavora a Telechiara per la stesura del notiziario
quotidiano con servizi e speciali, conduce i tg e vari programmi informativi e
ha ideato e condotto programmi dedicati ai giovani e alle famiglie. Attualmente
è impegnata anche in moderazioni di tavole rotonde ed eventi cittadini.
Quale pensi sia l’atteggiamento giusto per affrontare l’emergenza influenza?
«Temo si stia, come al solito, creando un falso allarme. Il problema c’è,
intendiamoci, ma nei termini in cui questa influenza va presa, e cioè come
un’influenza come tante; basterebbe far capire alle persone che devono
semplicemente adottare quelle cautele che si adoperano ogni anno quando viene la
cattiva stagione e arriva il freddo. Capisco che ci sono stati anche dei casi
estremi, e purtroppo qualcuno che è morto, ma sono comunque situazioni limite
che non giustificano tutto questo clamore».
Nelle tv locali c’è meno condizionamento rispetto alla politica per i
giornalisti?
«Anche Telechiara, come tutte le tv, ha un editore a cui rendere conto e una
linea da seguire; certo, le pressioni sono di meno rispetto alle tv nazionali,
ma anche noi dobbiamo seguire una certa impostazione, dando maggiore spazio ai
temi religiosi, così come altri canali sono incentrati sull’attività dei
sindacati e così via. Ma grandi condizionamenti non ne ho mai avvertiti».
Più faticoso condurre un telegiornale o moderare una tavola rotonda?
«Per quanto mi riguarda, il tg. Nella tavola rotonda, per contro, c’è meno
pressione, sono gli altri che devono parlare, sai già il tema da trattare.
Semmai l’unica fatica è quella di incoraggiare i presenti a fare domande e
mettere gli ospiti a proprio agio».
La dimensione del nord est ti sta stretta?
«No. Non è sempre facile fare un tg veneto, visto che le notizie sono tante.
Sarei certo lieta di fare il salto di qualità, ma per il momento sono
contentissima di quello che sto facendo».
Cosa ti ha dato l’attività sportiva?
«Tanto. Ho sempre fatto sport di gruppo e questo è stato importante per imparare
a relazionarmi con gli altri. Sono stata capitano delle mie squadre di pallavolo
forse perché, per mia disposizione, tendo ad andare d’accordo con tutti».
Da conduttrice di molti programmi dedicati alla famiglia, cosa provi nel
sentire spesso notizie di maltrattamenti e delitti?
«Rabbrividisco alle notizie sui bambini, non capisco come si possa arrivare a
tanto. Per quanto riguarda i delitti di coppia, temo siano la conseguenza dei
nostri tempi in cui c’è tanta solitudine e si ha poco tempo per il dialogo e il
confronto. Questo si rispecchia nel rapporto tra le mura domestiche, dove le
donne di oggi non sono più disposte ad accettare la soggezione di un tempo.
Proprio per questo, nei programmi che ho condotto, ho cercato sempre di
sviluppare questo confronto tra marito e moglie, tra genitori e figli, che
sembra mancare in casa».
Cosa pensi di Telegiornaliste?
«Molto carino e originale. Spesso non c’è attenzione verso chi fa il nostro
lavoro, e ho notato che ultimamente il vostro sito è molto consultato anche da
noi stesse telegiornaliste, proprio perché abbiamo uno strumento utilissimo per
conoscerci tra noi». |
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CRONACA IN ROSA Summit
Fao: sfilano i Grandi del mondo
di Federica Santoro
In una Roma blindata si è tenuto la scorsa settimana il
vertice Fao sulla sicurezza alimentare.
Assenti Usa, Francia, Inghilterra e Germania, che solo poco
più di un anno fa si erano impegnati a ridurre della metà il
numero degli affamati entro il 2015. Da allora la situazione
è cambiata, certo, ma non come si può sperare: si stima che
le persone che soffrono la fame siano passate da 850 milioni
a oltre un miliardo. Un aumento di circa il 9 percento.
L’Asia e il Pacifico le zone più colpite; seguono l’Africa
subsahariana e l’America latina. Non meno soffrono i Paesi
più economicamente sviluppati, dove almeno 15 milioni
di individui sono malnutriti.
E siamo alle solite: la fame nel mondo è aumentata, nel
futuro aumenterà ancora e mentre i capi di governo fanno a
gara nel proferire parole d’indignazione e preoccupazione -
rinviando magari al prossimo vertice le decisioni - la
situazione precipita.
Secondo l’Onu, sarà necessario incrementare la produzione
alimentare del 70 percento da qui al 2050 per coprire la
richiesta di cibo della popolazione mondiale che si prevede
raggiungerà i 9 miliardi di persone per quella data.
Ma c’è chi la pensa diversamente come il presidente
dell’Egitto, Hosni Mubarak, o come il leader libico Muamar
Gheddafi che denunciano come causa della diffusa
denutrizione che assilla l’Africa e i Paesi più poveri, il
ritorno di "un nuovo feudalesimo". «In Africa ad esempio -
racconta lo stesso Gheddafi - investitori stranieri stanno
rastrellando i terreni agricoli, si trasformano in nuovi
latifondisti contro i quali dobbiamo lottare».
Parallelamente al forum della Fao sulla sicurezza alimentare
si è svolto quest’anno un contro-vertice, quello
della Società civile mondiale - riunita sempre a
Roma, nella Città dell’Altra Economia - che ha visto la
partecipazione di circa 600 persone, tra delegati di
organizzazioni dell’agro-alimentare e piccoli produttori.
«Maggior attenzione alla tutela delle risorse naturali»
nelle politiche della Fao: queste le richieste di
coltivatori e attivisti che rivendicano il diritto
universale all’alimentazione come maggiore
interdipendenza tra mondo rurale e mondo urbano, attenzione
al clima e a quei modelli di sviluppo che contribuiscono a
modificarne l'equilibrio. |
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FORMAT Susanna
Messaggio: «Le vallette di oggi sono più
spigliate»
di Giuseppe Bosso
Incontriamo con piacere questa settimana un
volto noto e amato del piccolo schermo:
Susanna Messaggio.
Dalla tv di intrattenimento degli inizi della
sua carriera, ha progressivamente virato
sull’approfondimento e sull’informazione. Quali
sono le difficoltà che ha incontrato in questo
passaggio?
«Direi che è stato un processo naturale andato
di pari passo con la mia crescita. Inizialmente,
da ragazza, ho trovato spazio in programmi di
tipo ludico, nel tempo inevitabilmente ho dovuto
puntare su altri spazi».
Nasce come valletta negli anni ’80. Rispetto
ad allora, e guardando le ragazze che lavorano
oggi in televisione, come pensa si sia evoluto
questo concetto?
«Decisamente evoluto, è così. Oggi vedo queste
ragazze molto più spigliate e soprattutto molto
più interattive con i conduttori, anche
navigati. Ai miei tempi non era così. Lo si può
vedere anche su Youtube, nei filmati dei
programmi in cui affiancavo Mike Bongiorno o
quando ho avuto modo di lavorare con Enzo
Tortora. I miei interventi, come per le altre
ragazze di allora, erano limitati a poche
battute e nient’altro, c’era molta più
soggezione per questi personaggi così imponenti.
Adesso le ragazze sono molto più disinvolte».
Oltre alla tv, è molto attiva in iniziative
legate al mondo dell’infanzia, tra cui
La casa di Susanna.
«Sì, da dieci anni curo questa iniziativa che si
propone di stare accanto ai bambini nel periodo
delle feste natalizie. È importante sviluppare
la loro creatività e la loro cognizione in modo
costruttivo, anche attraverso il gioco. Abbiamo
realizzato questa casa in legno naturale a
Milano proprio perché per me la difesa
dell’ambiente è importante. È un concetto che i
più piccoli devono assimilare molto presto».
Qual è il suo ricordo di Mike Bongiorno?
«Beh, sicuramente negli ultimi tempi molto
diverso da come lo avevo conosciuto, molto più
fragile e meno rigido di quando ebbi modo di
affiancarlo nei suoi programmi su Canale 5». |
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HOT GIRLS Se
a provarci è lei di
Valeria Scotti
Uomo, mi piaci. E te lo faccio capire in tutti i
modi, leciti e meno leciti. Purché tu sia mio.
Oggi l’intraprendenza è donna. Femmina.
Cacciatrici in tutte le salse e per tutti i
gusti. Un guardaroba del gentil sesso per l’uomo
debole e per quello che non deve chiedere mai.
Il maschio che fa finta di nulla, che stenta a
riconoscere i segnali di tipo sessuale che la
donna gli lancia? Il peggiore. Ma anche per lui
non ci sarà scampo. Soprattutto se la donna è
vamp. Una battaglia persa dall’inizio.
Creature forti, impazienti di natura. Qui, a
tenere le redini, è solo lei. Voglio tutto e
subito, te compreso nel pacchetto omaggio. E
guai a non saperle appagare nella loro filosofia
dell'usa e getta. La vendetta è già bella e
cotta, con tanto di derisione in pubblico.
Per non parlare di quelle donne che vivono a
pane, perizoma e sesso. Sempre pronte a farlo,
a rendere l’uomo il giocattolino di turno finché
non si rompe. Donne insaziabili e senza pudore,
neanche fossero uscite da un set porno. E quando
queste si stancano - eccome se si stancano - il
sostituto è già nel loro letto. Sposato,
fidanzato, amico dell'amico, non importa, è un
dettaglio che non fa la differenza.
Ma allora dove sono finite le ragazze di una
volta, quelle visioni angeliche e
spaventosamente timide, pronte a dire di sì dopo
la dichiarazione di lui? E disposte pure a
sottomettersi a ogni richiesta del proprio uomo.
Sante donne che tollerano il calcio (dal lunedì
alla domenica), la playstation con gli amici,
che ogni tanto chiedono solo di uscire per un
cinemino o per fare una passeggiata al centro.
Un’ora d’aria, per loro, può anche bastare.
Esistono, esistono. Ma sappiate che queste donne
perfette che sentono violini e campane al primo
bacio, il più delle volte, hanno un percorso già
ben definito nella loro vita: accalappiare un
fidanzato, progettare il matrimonio dell’anno
e diventare mamme di tanti cuccioli. Le donne
ideali per gli uomini che non temono nulla,
neanche i ripetuti pranzi domenicali con la
suocera. |
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DONNE Un
pensiero oltre la morte: Alda Merini
di Alba Dellavedova
21 marzo 1931: nasceva Alda Merini.
Tutti ne conoscono il nome, la fama, ma come
troppo spesso accade, gli artisti sono
condannati a un vero riconoscimento presso
il pubblico solo post mortem. Fino a qualche
tempo fa la genialità poetica della Merini
veniva liquidata con una diagnosi che sapeva
di sentenza: «Quella è matta», si diceva.
Forse è vero. Di sicuro, la sindrome
bipolare (o psicosi maniaco-depressiva)
di cui la poetessa soffriva è una malattia,
ma si deve - e si doveva, certamente si
dovrà - riuscire ad andare oltre quella
quindicina d’anni trascorsi in manicomio, o
meglio accettarli come parte integrante di
una diversità, una malattia da cui,
banalmente, si può ricavare qualcosa di
buono.
A questo proposito la Merini, raccontando
del periodo in manicomio: «Noi ci
volevamo bene, eravamo capaci di amare,
ci si soccorreva; fuori c’è un egoismo tale
che lascia pensare che i matti siano fuori
(…). Invece la gente non è che non sa
perdonare; la gente dice "come sono buono",
ma no, non valgono niente. Almeno i malati,
anche se a torto, si ritenevano colpevoli,
ed erano contenti di pagare la loro tassa di
colpevolezza».
Forse porre l’accento su questa parte della
vita di una poetessa è un errore, perché
significa ridurla, banalizzarla,
esasperarla, ma tant’è: sono sempre gli
estremi, gli aspetti anormali dell’esistenza
di un uomo a farcelo prendere in
considerazione. Tanto più che sistematizzare
una mente umana importante in una serie di
date e di opere facilmente reperibili
ovunque è, se possibile, ancora peggio.
Per questo concludo, nella convinzione che
una massa di frasi innumerevoli altro
non sarebbe che uno sproloquio, ricordando
alcune parole che Alda Merini ci ha
lasciato, e che parlano di vita,
perché è questo che di lei si dovrebbe
ricordare.
Tu hai parlato del senso della vita: la
vita non ha senso; anzi è la vita che ci dà
un senso, sempre che noi la lasciamo
parlare, perché prima dei poeti parla la
vita; dobbiamo ascoltarla, la vita.
Ascoltiamola. Leggiamola. |
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TELEGIORNALISTI Ennio
Remondino: la bugia è motore della guerra
di Erica Savazzi (prima parte)
Sarà in libreria da questa settimana Niente di vero sul fronte
occidentale - Da Omero a Bush, la verità sulle bugie di guerra,
Rubbettino editore. L'autore? Ennio
Remondino. Che come al solito non ci fa mancare nulla, parlando del
libro e di molto altro.
“Guerre, bugie, cantori e imbarazzi” sono le parole chiave del libro.
Perché ha deciso di occuparsi di questi argomenti?
«Banale dire, perché mi ci sono trovato in mezzo? Quando ho deciso che
sarebbe stato bello per me riuscire a fare il giornalista, avevo in testa
quel foglio enorme e preistorico dell’Espresso col titolo Capitale
corrotta, nazione infetta. Giornalismo dalla parte del cittadino,
giornalismo aggiusta torti, era l’ideale. Poi, da dentro, ho scoperto il
lato nascosto della luna. Ho scoperto la bugia, la guerra, i cantori della
politica e, per liberarmi del mio personale imbarazzo di “persona per bene”
(almeno credo), ho deciso di sputtanare qualche inganno, partendo
nientepopodimeno che dalla Storia. Maiuscola».
Nel libro lei parla di bugie: alcune hanno modificato la Storia (ad
esempio le bugie di Bush sulle armi di distruzioni di massa), altre si
perdono nel mito (Ulisse) ma ancora oggi vengono ricordate. La bugia come
motore della storia?
«La bugia certamente come motore della guerra. Elemento obbligato, sia
politico che militare, di ogni guerra. La storia che abbiamo studiato è una
sequela infinita di guerre, quindi... Ho cercato di sbugiardare un lungo
pezzo di storia, o almeno di spiegare i trucchi usati da Principi e
Presidenti per vendere le loro guerre».
Un capitolo si intitola L'Italia da geografia a Stato. Una
menzogna anche questa? Ma stiamo per festeggiare i 150 anni di Unità...
«Che
l'Italia del 1860 fosse una entità geografica e non nazionale è verità
storica acquisita. Sto parlando della stragrande maggioranza della
popolazione e non di quella manciata di intellettuali che insistevano a
sognare. L'Italia politica nasce dall'espansionismo della casa Savoia,
dall'esercito francese e dagli interessi mediterranei dell'Inghilterra. Poi
ci sono anche Cavour, Mazzini, Garibaldi e l'impresa dei Mille. Accompagnati
da molta prosopopea nazionale a posteriori e da parecchie balle di Stato.
Andando a curiosare, capita di scoprire che i Savoia già allora "ballavano
con le stelle" e che "Franceschiello" di Borbone ed il meridione non sono
stati trattati molto bene neppure dalla storia».
Qual è la bugia che le ha dato più soddisfazione raccontare?
«Le più divertenti sono le balle omeriche andando a curiosare tra l'Olimpo e
Troia. Omero, che amavo come poeta, non ne esce molto bene. Ulisse è il
bugiardo da monumento. Roma antica, la sue legioni e le sue escort di Pompei
sono un altro passaggio interessante. Passo dai Borgia all'invenzione del
torchio a stampa, che è stata la prima mitragliatrice di bugie al mondo.
Arrivo persino nel West, inseguendo le tracce pellerossa alla ricerca di "un
dollaro d'argento sul fondo del Sand Creek" dell'amato De André. Per le due
guerre mondiali, le balle sono infinite. Poi la propaganda di Mussolini,
Hitler e Stalin. Basta dire che se Mussolini era giornalista, anche bravo,
Stalin fu direttore della Pravda, e questo spiega molto! Le bugie che
più feriscono sono quelle che ci portano alla nostra modernità. Dalle guerre
umanitarie e quelle di Bush junior».
Nel prologo del libro lei mette sotto accusa l'informazione, arriva
perfino a dire “non capisco più neppure 'la notizia', l’insieme di quelle
che vedo impaginate in alcuni telegiornali, per cui anch’io lavoro”. Si
spieghi meglio.
«Come “si spieghi meglio”? Che c’è da spiegare? Quello di Fede è un
telegiornale? E quello di… tanti piccolini... Ini ini? C’è il telegiornale e
c’è il bollettino televisivo di regime. C’è il giornalista e c’è il servo. E
si vede. Salvo essere come lui».
Da Ulisse a Bush: in comune c'è la narrazione, il racconto, il pensare
una realtà possibile e far sì che tutti vi aderiscano. Passano i secoli ma
il potere della parole resta, e anzi cresce, grazie ai media. È possibile
difendersi?
«Il giorno che lo scopro mi invento un partito e, se mi date consensi, vado
a mia volta a lottizzare il mio pezzettino di informazione del servizio
pubblico. Salvo che tutti noi, assieme, ci diamo una mossa».
Continua nel numero 214 |
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SPORTIVA Gioco
al massacro di Pierpaolo
Di Paolo
No, non siamo sul ring nel corso di un match di
lotta libera, né è il remake di un epico scontro tra
Hulk Hogan e Undertaker. È un campo di calcio
femminile, eppure le mosse e i colpi cui assistiamo
sono degni del miglior incontro di wrestling. Siamo
in America, il Brigham Young University affronta la
squadra dell'U.New Mexico, e
le immagini della partita hanno fatto il giro
del mondo. In campo si vede di tutto.
L'arbitraggio potrebbe ricordare quello delle
partite maschili di 30 anni fa, quando Gentile
poteva massacrare di calci Maradona senza che
volassero i cartellini. Ma qui andiamo ben oltre
l'entrata dura o il fallo tattico, sconfinando nella
violenza gratuita, nella cattiveria. Assurda,
inspiegabile, fine a se stessa. Tra tutte, si
evidenzia per la sua ferocia Elizabeth Lambert,
dell'UNM, che gioca come se avesse i quadricipiti al
posto delle cellule grigie.
Dopo pochi minuti la bionda Carlee Payne rifila una
furtiva gomitata alla Lambert (evidentemente si usa
così), la quale reagisce colpendo la Payne con un
pugno nella schiena. La partita prosegue in un'allucinante
sequenza di entrate a gamba tesa sulle ginocchia
delle avversarie, strattonate di capelli, gomitate,
pallonate scagliate sulle giocatrici a terra. Quando
Elizabeth riesce a fare la sua unica entrata sul
pallone, approfitta della caduta della rivale per
rifilarle un cazzotto in faccia.
Ma com'è possibile che l'arbitro non abbia visto
nessuno di questi gesti, perfino quando essi si sono
verificati nel pieno dell'azione e non lontano da
essa? Una spiegazione rassicurante potrebbe essere
la totale incompetenza del giudice di gara,
ma non ci sembra corretto liquidare tutto così, come
un singolo ed imponderabile episodio. Sarà il più
eclatante, ma sarebbe disonesto parlare di un caso
isolato. La verità è che a scene del genere, nel
calcio femminile, si assiste da sempre, e la linea
adottata è quella di una generale condiscendenza
verso queste scorrettezze, lasciate correre come se
fossero malizie inevitabili e tutto sommato
tollerabili.
A volte sembra quasi che si incentivi un circo nel
quale - come polli da combattimento - atlete
testosteroniche vengono liberate per sfogare il loro
nulla cerebrale con ogni colpo possibile. Una realtà
diffusa ed accettata, a suo modo normale.
D'altronde, è quel che solitamente accade anche nei
campionati maschili di terza categoria. Se è questo
il calcio femminile, non sorprende come
non si riesca a rilanciarlo e sia confinato
nell'oblio di sport di infimo livello, che non
solleva l'interesse di nessuno. C'è da esserne
contenti, addirittura.
La speranza è che tutto questo clamore, anziché
essere accolto con prevedibile quanto inutile
fastidio dalle protagoniste dell'ambiente, sia
invece lo spunto per una reale presa di coscienza.
Una presa di coscienza in cui le responsabili di
provocazioni e comportamenti sleali, quali quelli
che hanno visto protagoniste le giocatrici del BYU,
comincino finalmente ad incassare severe punizioni;
in cui macellaie come Elizabeth vengano
definitivamente allontanate da questo sport. Solo
con questi presupposti si può cominciare a
desiderare che esso possa emergere e guadagnarsi il
ruolo di evento degno di esser visto. Prima di
questa rivoluzione è auspicabile, francamente, che
tutto resti com'è. |
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