Archivio
Telegiornaliste anno V N. 38 (209) del 26 ottobre 2009 
	
 
 
  
  
  
  | 
indice della pagina: 
Monitor | 
Cronaca in rosa | 
Format | 
Hotgirls | 
Donne | 
Telegiornalisti | 
Sportiva | 
   
  
  
MONITOR Angela 
Siciliano, le mille e più storie di Napoli
di Giuseppe Bosso  
 
Giornalista pubblicista dal 2009, Angela Siciliano è inviata di Vg 21, il 
telegiornale della storica emittente partenopea
Canale 21.  
 
Angela, tu hai seguito il 'caso Noemi': il tuo pensiero a riguardo?  
«Ho intervistato Berlusconi il giorno dopo la famosa serata a Casoria, avendo 
saputo la nostra redazione da una soffiata che il premier era già in città 
contrariamente a quanto era stato detto. Poi intervistato la conduttrice Lorenza 
Licenziati che, in passato, aveva lavorato con la madre di Noemi nel nostro 
canale. Siamo stati l’unica emittente napoletana presente al momento. Certo, da 
questa storia non ne è uscita una immagine positiva non solo di Napoli, ma 
dell’Italia in generale. Credo che la gente abbia giustamente diritto di voler 
sapere su questa cosa, ma nei limiti e nei contenuti giusti».  
 
Tuo padre Pino è stato tra i pionieri che hanno partecipato alla nascita di 
Canale 21. Per te è quindi un po' una seconda famiglia?  
«Mio padre è il vero veterano di Canale 21, è il dipendente con più anni alle 
spalle della rete ed ha vissuto anche il passaggio della sede da Posillipo a 
Pozzuoli. Ho anche un fratello che lavora in un’altra emittente campana. Nel 
2006 ho avuto modo di entrare a far parte della redazione. Il Vg 21 lo seguivo 
già da prima, è un ottimo prodotto dietro il quale lavorano tanti 
professionisti».  
 
Da poco Bianca Berlinguer è 
direttore del Tg3: pensi sia positivo che anche alle donne vengano dati ruoli di 
responsabilità in redazioni così importanti?  
«Certo, è un passo importante, ma non solo nel giornalismo sarebbe bene che si 
dessero anche alle donne incarichi di rilievo e di responsabilità».  
 
Gioie e dolori di essere una telegiornalista di Napoli?  
«Per me sono soprattutto gioie. Credo che la nostra città ti possa raccontare 
mille e più storie, senza necessariamente essere legati ai comunicati 
istituzionali che ti preannunciano eventi ufficiali; basta uscire con carta e 
penna e andare un po’ in giro, e potrai trovare tantissime storie da raccontare. 
Questo è anche il lato negativo, non sempre puoi raccontare cose positive».
 
 
Quanto è importante, per voi, il filo diretto con il cittadino?  
«Tantissimo. Abbiamo un indirizzo di posta elettronica a cui si può scrivere per 
segnalare cose che potrebbero richiedere il nostro intervento. Ovviamente è 
doveroso quantomeno verificare l’attendibilità e la verità di queste situazioni, 
ma comunque in genere ne possiamo trarre spunti su cui lavorare».  
 
Quali sono le storie, tra quelle che hai seguito, che ti hanno coinvolta di 
più?  
«Me ne vengono in mente due. Poco dopo la morte di Eluana, andai a casa di un 
ragazzo che da 13 anni vive in coma vegetativo vigile (contrariamente a lei) e 
mi ha molto toccato vedere e constatare le difficoltà in cui versano lui e la 
madre, sento di essermele portate dietro. Recentemente poi, ho seguito il caso 
della 'signora dei topi' che ha fatto molto scalpore non solo a Napoli per le 
condizioni in cui questa donna vive. Non mi ha lasciato certo sensazioni 
positive malgrado poi, con i nostri servizi, la Municipalità si sia decisa a 
intervenire dopo che per tanto tempo questa donna ha vissuto tra topi e 
sporcizia alla luce del sole, tra lo sguardo delle persone incredule e 
dispiaciute per lei».  
 
Aspiri alla conduzione?  
«Mi piacerebbe compiere questo passaggio, ma non lo vedo come un traguardo. Il 
nostro è un mestiere fatto di tanti passi e di tanti percorsi da seguire, ogni 
cosa può darti soddisfazioni, dalle esterne alle interviste. Direi che abbiamo 
la fortuna di poter fare un lavoro in cui non si può mai dire "sono arrivato", 
proprio per l’enorme varietà di sfaccettature che assume».  
 
Napoli ti sta stretta come ambiente lavorativo?  
«No, mi sento molto gratificata da quello che faccio anche se, come in ogni 
mestiere, la realtà di oggi è fatta di gavetta, precariato e molti, moltissimi 
sacrifici. Ogni cosa devi sapertela conquistare con l’impegno e la passione, ma 
sono contenta di quello che ho ottenuto e di quello che Napoli può offrirmi. 
Magari però, un domani, qualcosa potrebbe cambiare, ma per adesso non ho 
problemi di questo tipo».  
 
Rivedendoti, pensi di voler migliorare qualcosa di te?  
«Sono molto critica con me stessa, anche nella vita. Sicuramente mi capita di 
cogliere qualche sfaccettatura in cui, ripensandoci, avrei potuto fare di più».
 
 
Come ti descrivi?  
«Come una persona molto gelosa dei miei ricordi e delle mie conquiste. Non mi 
piace molto condividerli, tranne che con pochi cari, i miei affetti e i miei 
amici, che si contano sulla punta delle dita. Insomma, non sono una che ama 
parlare tanto di sé!». | 
   
  
  | 
indice della pagina: 
Monitor | 
Cronaca in rosa | 
Format | 
Hotgirls | 
Donne | 
Telegiornalisti | 
Sportiva | 
   
  
  
CRONACA IN ROSA Basic 
					English and Simple Life di 
Erica 
					Savazzi  
					 
					Per anni ci siamo sentiti dire che studiare le
					lingue è una necessità, in un 
					mondo globalizzato e sempre più interconnesso. Per anni ci 
					hanno ripetuto che l'inglese è indispensabile, che chi non 
					lo sa non è nessuno, che tutti devono saperlo parlare. Per 
					anni ci hanno detto che una delle gravi mancanze degli 
					italiani era la scarsa conoscenze degli idiomi altrui. E 
					ora? Dopo aver faticosamente introdotto l'inglese nelle 
					scuole – oggi si studia fin dalle elementari – contrordine. 
					Si studia troppo inglese, bisogna
					
					ridurre le ore di lezione. Merito della riforma delle 
					scuole superiori voluta dal ministro Gelmini.  
					 
					Ora, c'è qualcosa che non funziona. Quando vai a fare un 
					colloquio di lavoro ti chiedono se sai almeno l'inglese, 
					altre lingue sono gradite. I genitori cercano di mandare 
					all'estero i figli con scambi culturali e vacanze studio per 
					fargli praticare le nozioni apprese a scuola. Gli 
					universitari si buttano con gioia nell'Erasmus. Forse 
					sbagliano? Che il ministro ci dica la verità: bisogna 
					tagliare e quindi abbiamo deciso di risparmiare sulle 
					lingue straniere. E invece, nemmeno questo coraggio, ma la 
					pietosa bugia che con la riforma la scuola italiana e la 
					preparazione degli studenti migliorerà.  
					 
					Nota storica: ricordate le “tre I” di Silvio 
					Berlusconi? Dopo Impresa (in crisi nera) e Internet (ci sono 
					ancora seri problemi con la diffusione della
					
					banda larga) c'era Inglese. Come cambiano le priorità in 
					pochi anni...  
					 
					La trita e banale frase “invece di andare avanti si torna 
					indietro” è in questo caso azzeccata. Ancora una volta 
					emerge il provincialismo italiano, dove gli altri 
					investono, noi tagliamo. È vero nelle ore di lezione, è vero 
					negli investimenti nella ricerca. Se questo provvedimento è 
					un segnale di come si sta progettando il futuro, non c'è da 
					rallegrarsi. Una Italia più ignorante – oltre alle 
					lingue diminuiscono anche le ore di altre materia, a seconda 
					dell'indirizzo – che non parla l'inglese ma che 
					nell'immaginario di qualcuno dovrebbe studiare il dialetto e 
					le tradizioni locali, un'Italia più chiusa, che non 
					capisce quello che richiede la competizione globale (se non 
					nel calcio). Un'Italia senza futuro, perché un futuro non 
					riesce a progettarlo. | 
   
  
  | 
indice della pagina: 
Monitor | 
Cronaca in rosa | 
Format | 
Hotgirls | 
Donne | 
Telegiornalisti | 
Sportiva | 
   
  
  
FORMAT Chiara 
								D'Amico: io, imprenditrice di me stessa
								di Giuseppe Bosso
								 
								 
								Questa settimana Telegiornaliste incontra un 
								volto frizzante e dinamico della tv campana,
								
								Chiara D’Amico, responsabile dello studio 
								
								Workin’Video e conduttrice di format 
								creativi in onda su diverse emittenti locali e 
								satellitari, tra cui Cuore d’oro-l’altruismo 
								in tv e Sapori in festa.  
								 
								Cos’è Workin’ Video e da cosa nasce?
								 
								«Io lo definisco uno studio "videocreativo". 
								Siamo impegnati non solo nella produzione di 
								format tv, ma anche nella realizzazione di 
								documentari, cortometraggi, spot, audiovisivi. 
								Amo operare nel mondo della comunicazione. 
								Soprattutto cerco di realizzare produzioni che 
								raccontino e valorizzino il nostro prezioso 
								territorio, a cominciare dalla mia Vietri sul 
								Mare. Ritengo che i giovani d'oggi debbano 
								potersi affermare anche nella loro terra, non 
								condivido le idee di chi ci spinge ad "emigrare" 
								nelle grandi città o lontano da casa. Noi 
								abbiamo il diritto di poter vivere, lavorare e 
								costruire in casa nostra. Per questo sono 
								diventata "imprenditrice di me stessa" e ogni 
								giorno scommetto sulle mie idee che produco 
								autonomamente».  
								 
								Quali sono state le difficoltà che hai 
								incontrato e che incontri ancora oggi? 
								 
								«Il sistema delle tv campane spesso non riesce 
								ad assorbire facilmente forze giovani e non ci 
								sono molti editori disposti a scommettere sulle 
								nuove leve. Per mia fortuna, ho incontrato 
								persone valide e lungimiranti che hanno creduto 
								e investito nelle mie potenzialità. Ma tutto 
								quello che ho realizzato l'ho fatto grazie a 
								tenacia, entusiasmo e sacrificio».  
								 
								Hai da poco concluso i due format Cuore 
								d’oro e Sapori in festa. Per quanto 
								riguarda il primo, ritieni che l’altruismo possa 
								trovare spazio nella tv di oggi?  
								«Assolutamente sì. Ho realizzato la mia tesi di 
								laurea proprio su questo. Penso che la tv sia 
								uno strumento potente per parlare alla gente e, 
								spesso, anche influire su comportamenti e stili 
								di vita. Soprattutto lancia messaggi che in 
								tanti accolgono come riferimenti. Per questo 
								deve saperlo fare in senso positivo e di 
								speranza; nel nostro programma non ci siamo 
								proposti certo di rappresentare una vetrina 
								buonista, ma uno spazio onesto che accenda luci 
								sulla realtà e la dignità del lavoro silenzioso 
								che svolgono i tantissimi volontari del nostro 
								territorio. E devo dirlo, anche chi sta bene ha 
								bisogno di fare qualcosa di utile e costruttivo 
								per i meno fortunati, l’ho potuto riscontrare 
								dai tanti imprenditori che hanno appoggiato 
								questo progetto. Migliorare il mondo si può, 
								soprattutto bisogna dire con coraggio che le 
								difficoltà si superano meglio facendo squadra, 
								lottando insieme, promuovendo valori. È questo 
								il messaggio che cerchiamo di lanciare».  
								 
								Per quanto riguarda invece Sapori in 
								festa, pensi che la gastronomia sia uno spot 
								per la rinascita della Campania?  
                   
                               «Certo. 
								Il territorio campano deve imparare a fare 
								sistema e nella gastronomia e nel turismo ha due 
								perni imprescindibili: l’uno è alimentato 
								dall’altra. Il nostro format è alla prima 
								edizione, e ci auguriamo di riproporlo anche 
								l’anno prossimo. Abbiamo cercato di raccontare 
								tutto il processo che il prodotto segue dalla 
								terra alla tavola fino al grande evento 
								gastronomico abbinato. Prodotti tipici, in giro 
								per la provincia di Salerno e, presto, anche per 
								il resto della regione. La qualità è essenziale: 
								il nostro cast ha ospitato grandi eccellenze 
								campane».  
								 
								Molto giovane ma con un curriculum notevole. 
								Ti senti più "secchiona" o ragazza che ha saputo 
								cogliere le sue occasioni?  
								«Non credo di essere una secchiona. Cerco sempre 
								di migliorarmi. Soprattutto miro a costruirmi 
								una "personalità europea", il più possibile 
								aperta a nuove frontiere e a differenti culture. 
								Ci vuole apertura per essere creativi. 
								L’investimento che ho fatto è stato unicamente 
								nel mio entusiasmo, nei miei progetti, cercando 
								di sfuggire a questa società che tende ad 
								omologare tutto e tutti. Credo sia importante 
								restare curiosi nella vita, cercare e scoprire 
								contributi nuovi per dare valore alla 
								personalità. È il messaggio che cerco di 
								trasmettere ai miei coetanei e agli altri 
								giovani. Potrei citarti una frase di Jim Carrey 
								in Una settimana da Dio, un film che mi 
								ha colpito molto: “Sii il tuo miracolo”. Beh, io 
								cerco di esserlo ogni giorno, con coerenza e 
								pianificazione».  
								 
								Ti trovi più a tuo agio davanti o dietro la 
								telecamera?  
								«Sono in grado di curare la produzione in ogni 
								suo aspetto. Conduco volentieri i miei programmi 
								televisivi perché credo che sia importante anche 
								avere il coraggio di "metterci la faccia" nei 
								propri lavori, di firmare i propri contributi. 
								Soprattutto, operando in piccole realtà, saper 
								operare anche dietro le telecamere è importante: 
								mi permette di gestire il processo in modo 
								libero e indipendente».  
								 
								La tv locale ti sta stretta o ti va bene 
								così?  
								«Se dovessero arrivare proposte importanti, 
								certo, le valuterei. Ma credo che le emittenti 
								locali siano realtà dignitosissime, troppo 
								sottovalutate da chi non capisce che il 
								prestigio del posto di lavoro non lo dà il 
								titolo, ma la qualità e la dignità di chi vi 
								collabora. Sto benissimo così, a patto però di 
								trovare sempre ambienti costruttivi. Soprattutto 
								credo che le tv locali abbiano la grande 
								potenzialità di arrivare alla gente, molto più 
								di quanto si possa pensare. Inoltre, penetrando 
								nell'intimità della casa, influenzano 
								inevitabilmente le opinioni e i comportamenti 
								della gente, soprattutto dagli anziani. Per 
								questo ritengo che sia un dovere etico-morale di 
								ogni comunicatore impegnarsi a promuovere 
								contenuti che sappiano rispecchiare valori reali 
								e genuini... basta con questo business 24 ore su 
								24!».  
								 
								Cosa c’è nel tuo domani, imminente e a lungo 
								termine?  
								«In anteprima per Telegiornaliste annuncio che, 
								a novembre, parte un nuovo format sull’amore di 
								coppia, 2 cuori e 1 bouquet, un gioco che 
								coinvolgerà 7 coppie differenti dal punto di 
								vista socio-culturale, alla ricerca dell’unione 
								perfetta. Mi avvarrò, come sempre, della 
								collaborazione di esperti, dal sacerdote allo 
								psicologo. Guardando oltre, sto sviluppando 
								nuove collaborazioni con le scuole, faccio tanti 
								viaggi, studio inglese, vado a cavallo. Insomma, 
								vivo in modo pieno e intenso».  
								 
								Regista, conduttrice, autrice… ma in 
								definitiva, qual è il vero ritratto di Chiara 
								D’Amico?  
								«“Videocreativa” è forse la parola più adatta 
								per descrivermi. Come ho già detto, cerco sempre 
								di migliorarmi e di puntare ad essere completa. 
								Per questo, studio l'arte della regia e del 
								montaggio: solo conoscendo cosa c'è dietro le 
								telecamere posso imparare a stare davanti».
								 
								 
								Tra tanti impegni trovi anche tempo per gli 
								affetti?  
								«Sì, ho un fidanzato che mi sostiene e mi 
								incoraggia. Le due vite, quella lavorativa e 
								affettiva, viaggiano in parallelo, anche per 
								quanto riguarda il rapporto con i miei cari e i 
								miei amici, pochi ma buoni. Per il futuro vorrei 
								creare una famiglia, ma comincio fin da ora, 
								costruendo il mio lavoro». | 
   
  
  | 
indice della pagina: 
Monitor | 
Cronaca in rosa | 
Format | 
Hotgirls | 
Donne | 
Telegiornalisti | 
Sportiva | 
   
  
  
HOT GIRLS L’arte 
								delle corna di 
								Valeria Scotti  
								 
								Gli uomini? Tutti traditori, o almeno 
								così dicono. Ci sono donne che hanno esperienza 
								sulla propria pelle, altre per sentito dire, e 
								poi ci sono quelle che magnanime mettono su 
								carta i segnali utili per farci aprire gli 
								occhi. Charlotte Ward e il suo libro It's Not 
								Me, It's You ne sono l’esempio. Una serie di 
								capi di imputazione per scovare il fedifrago 
								e, perché no, farlo anche confessare (sempre che 
								poi serva a qualcosa).  
								 
								Il potenziale traditore è colui che un giorno 
								scopre finalmente cosa sia la pulizia e 
								l’igiene. Ore e ore davanti allo specchio, 
								sotto la doccia. Il patito per la cura del corpo 
								all’improvviso. Colui che presta grande 
								attenzione alla scelta di un dopobarba come fa 
								il sommelier con un vino, che diventa maniaco 
								del nodo alla cravatta e critica lei sul modo di 
								stirargli la camicia. Quella che un tempo si 
								macchiava del classico rossetto, ma oggi non più 
								grazie a un make up rivoluzionario. Le donne lo 
								sanno.  
								 
								Attenzione anche al body language da infedele: 
								sguardo basso, difficoltà nel guardare negli 
								occhi la propria partner, il nascondersi la 
								bocca con le mani mentre parla. Il tradimento 
								c’è e si vede.  
								 
								Per non parlare di situazioni e ritardi 
								assurdi che capitano nella vita di lui 
								sempre più da film. Amici sull’orlo del suicidio 
								che richiedono la sua presenza, capi che lo 
								costringono a lavorare la maggior parte dei week 
								end fuori casa, meglio se in un hotel a cinque 
								stelle e a molti chilometri di distanza. Con 
								tanto di segretaria scosciata a seguito.  
								 
								Il cornificatore perfetto potrebbe anche 
								iniziare a regalare alla donna ufficiale tante,
								troppe attenzioni senza un perché. 
								Cadeaux inattesi, immensi mazzi di fiori da 
								parte di chi, sistematicamente, ha dimenticato 
								compleanni e anniversari nel corso degli anni. 
								Qui gatta ci cova.  
								 
								E l’uomo che trascorre gran parte della sua vita 
								in rete? Il migliore architetto di corna. 
								Per lui, nascondere un'amante, è un gioco da 
								ragazzi così come trovarla. Tra social network e 
								chat di ogni tipo, un catalogo di donne giovani 
								e disponibili è assicurato. E guai a cercare di 
								scoprire qualcosa: fuoco e fiamme se solo si 
								prova a sfiorare il suo cellulare ultraconnesso 
								o il suo computer.  
								 
								A venire incontro alle loro esigenze poi, sono 
								nate recentemente le agenzie per l’adulterio. 
								Dopo quelle matrimoniali e di viaggi, oggi il 
								tradimento si è istituzionalizzato. 
								Gleeden.com ne è l’esempio, organizzando lo 
								svago fuori dal matrimonio per un costo che va 
								dai 7 ai 900 euro. In Francia, dove il progetto 
								è partito in anticipo, è stato subito boom: più 
								di 2.000 iscritti, tutti sposati, interessati a 
								qualche ora di libertà. Innocenti evasioni, 
								cantava Battisti. E la scappatella è servita in 
								pochi click. | 
   
  
  | 
indice della pagina: 
Monitor | 
Cronaca in rosa | 
Format | 
Hotgirls | 
Donne | 
Telegiornalisti | 
Sportiva | 
   
  
  
DONNE Elinor, 
									una donna da Nobel di
									Chiara Casadei
									 
									 
									Quando il signor Alfred Nobel, nel lontano 
									1895, istituiva i conosciutissimi 
									riconoscimenti ai diversi settori della 
									cultura mondiale, aveva però dimenticato uno 
									di quegli ambiti di cui oggi non si potrebbe 
									decisamente fare a meno: l’economia. 
									Il premio relativo a questa branca infatti è 
									più recente: nasce nel 1969, su iniziativa 
									della banca centrale della Svezia e proprio 
									per questo il titolo ufficiale è “The 
									Sveriges Riksbank Prize in Economic 
									Sciences”.  
									 
									Il suddetto premio, che in tutti questi anni 
									è sempre finito in forti e robuste mani di 
									cervelloni meritevoli, quest'anno ha avuto 
									un destinatario ben diverso. Lei è Elinor 
									Ostrom, cervellone sì, ma con la gonna:
									prima donna in assoluto a ricevere 
									questo tipo di riconoscimento.  
									 
									La Ostrom, 76 anni, insegnante 
									dell’Università dell’Indiana, è 
									un’economista californiana che, insieme al 
									co-vincitore Oliver E. Williamson, è 
									riuscita a distinguersi per i suoi studi in 
									materia – in particolare per aver dimostrato 
									come la proprietà pubblica possa essere 
									gestita dalle associazioni di utenti – fino 
									a conquistare l’ambitissimo premio. Di 
									notevole impatto il fatto che la vincitrice 
									sia proprio una donna, «è un fatto epocale 
									che dimostra non tanto l'attenzione della 
									Commissione di Stoccolma, ma il fatto che 
									le donne contino di più nell'economia», 
									sostiene Cecilia Maria Guerra, docente di 
									Economia Pubblica all’Università di Modena.
									 
									 
									La Ostrom, dal canto suo, vanta un 
									curriculum niente male. Infatti, al di là di 
									altri premi ricevuti – tra cui il Johan 
									Skytte 1999, il James Madison Award 2005 e 
									il William H. Riker 2008 – ha creato, 
									insieme al marito, una scuola che si 
									dedica allo studio dell’interazione tra 
									società, risorse ed ecosistema. In tutto 
									questo, bisogna dar merito al fatto che il
									metodo sperimentale dell’economista è 
									di una precisione e rigorosità impensabili. 
									Segue, infatti, ben tre step per dimostrare 
									a tutto tondo e con certezza le sue 
									scoperte. Insomma, Elinor Ostrom è l’esempio 
									perfetto di studioso. | 
   
  
  | 
indice della pagina: 
Monitor | 
Cronaca in rosa | 
Format | 
Hotgirls | 
Donne | 
Telegiornalisti | 
Sportiva | 
   
  
  
TELEGIORNALISTI Ciao 
	Mario di Giuseppe Bosso  
	 
	Se n’è andato in silenzio un sabato di metà autunno, in quella Pescara che 
	aveva avuto per anni in lui un importante punto di riferimento negli anni 
	d’oro in cui la squadra biancazzurra guidata da Galeone imperversava in 
	serie A, non di rado riuscendo a giocare qualche ‘scherzetto’ a Juve, Inter 
	e Roma.  
	 
	Ed era lui, in quegli anni in cui la tv a pagamento e Internet erano per i 
	calciofili del Belpaese lontani anni luce, la voce del Pescara a 90° 
	minuto, quel 90° minuto immancabile e irrinunciabile 
	appuntamento per poter gustare per la prima volta i gol e le azioni della 
	domenica. Un calcio che si giocava solo in un giorno, senza anticipi e 
	posticipi.  
	 
	Ma Mario Santarelli, scomparso all’età di 67 anni, non è stato solo 
	questo. Nato a Vasto, prima di innamorarsi del giornalismo aveva percorso 
	due strade, quella politica (segretario del movimento giovanile della Dc) e, 
	come primo avvicinamento al mondo del calcio, l’arbitraggio.  
	 
	Poi la scoperta di quella che sarebbe stata la sua vera strada che lo porta 
	dapprima a Il Tempo e Stadio e poi in Rai, al Tgr Abruzzo. Da 
	due anni era andato in pensione, mantenendo tuttavia i contatti con 
	gli amici e i colleghi di una vita che hanno appreso con dolore la notizia 
	della sua scomparsa, stringendosi attorno alla moglie Naide.  
	 
	Profondo, ovviamente, il cordoglio di quanti lo avevano conosciuto, dal 
	Presidente della Provincia di Chieti, Enrico Di Giuseppantonio - "Un 
	gentiluomo, profondo conoscitore della sua terra e grande narratore, 
	nell'ambito sportivo, della realtà abruzzese" - ai colleghi dell’Ordine dei 
	giornalisti dell’Abruzzo che piangono la perdita di un "punto riferimento 
	fondamentale per tante generazioni di giornalisti, non solo per la sua 
	professionalità, ma anche per la profonda umanità che ha segnato i rapporti 
	con i colleghi". | 
   
  
  | 
indice della pagina: 
Monitor | 
Cronaca in rosa | 
Format | 
Hotgirls | 
Donne | 
Telegiornalisti | 
Sportiva | 
   
  
  
SPORTIVA Nude 
							per la Patria
							di Pierpaolo Di Paolo
							 
							 
							Quello della scarsa attenzione, della poca 
							pubblicità, del limitato interesse mosso dallo sport 
							femminile, è un problema vecchio e conosciuto. Da 
							sempre vi è una sproporzione imbarazzante tra 
							la visibilità di cui godono i maschietti e la 
							visibilità - o sarebbe più corretto dire 
							invisibilità - delle femminucce. E ciò vale per 
							tantissime discipline, calcio in primis.  
							 
							Tuttavia, c'è chi a questa inerzia non si rassegna, 
							anzi vi si oppone in maniera decisa e talora perfino 
							clamorosa. È il caso delle bluettes, le 
							calciatrici della nazionale francese che si sono 
							sfilate magliette, pantaloncini e mutandine per 
							una campagna pubblicitaria in favore del loro sport. 
							Lo slogan è conciso ma esplicito: «Bisogna arrivare 
							a questo perché veniate a vederci?».  
							 
							L'iniziativa ha destato clamore, provocando un 
							vortice di reazioni tra favorevoli e contrari. «È un 
							gesto straordinario e drammatico al tempo stesso - 
							ha commentato Raymond Domenech, ct della 
							nazionale maschile - ma se è il solo modo per 
							attirare l'attenzione, perché no? Il nostro Paese 
							non dà il giusto valore al calcio femminile. È un 
							fatto culturale, bisogna cambiare la mentalità».
							 
							 
							«Capisco il disagio e apprezzo la fantasia e il 
							desiderio di non restare inermi - ha dichiarato 
							invece Patrizia Panico, capitano della 
							nazionale azzurra - ma così sembra un gesto un po' 
							fine a se stesso. Le cose vanno discusse nelle sedi 
							opportune».  
							 
							Ma quali sono le ragioni di un tale stato dei fatti? 
							Certamente viviamo, nonostante i progressi fatti, in 
							un mondo ancora fortemente condizionato da 
							resistenti retaggi culturali in campo sessuale, 
							sociale ed economico. Ma è corretto addebitare tutto 
							a una sorta di continua discriminazione globale? 
							Ha un senso parlare sempre dell'immutabile complotto 
							maschilista ordito da tv, giornali, finanche dal 
							pubblico?  
							 
							Una risposta è da rintracciare anche nel minor 
							sviluppo tecnico, organizzazione e progresso che 
							circonda lo sport femminile, ed il calcio in 
							particolare. Ne è una riprova il fatto che negli 
							sport dove il gap tecnico è stato annullato - 
							tennis e volley su tutti - la risposta delle tv e 
							del pubblico non si è fatta attendere.  
							 
							«La Federazione non ci prende quasi in 
							considerazione - ha ammesso a
							
							Le Parisien Gaetane Thiney, una delle 
							ragazze autrici degli stuzzicanti scatti - 
							Gli uomini vivono su un altro pianeta». 
							Probabilmente, allora, il problema bisogna 
							cominciare a risolverlo proprio all'interno delle 
							mura amiche.  | 
   
  
  | 
indice della pagina: 
Monitor | 
Cronaca in rosa | 
Format | 
Hotgirls | 
Donne | 
Telegiornalisti | 
Sportiva | 
   
  
   
 
 
 
	 |