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Telegiornaliste anno V N. 38 (209) del 26 ottobre 2009
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MONITOR Angela
Siciliano, le mille e più storie di Napoli
di Giuseppe Bosso
Giornalista pubblicista dal 2009, Angela Siciliano è inviata di Vg 21, il
telegiornale della storica emittente partenopea
Canale 21.
Angela, tu hai seguito il 'caso Noemi': il tuo pensiero a riguardo?
«Ho intervistato Berlusconi il giorno dopo la famosa serata a Casoria, avendo
saputo la nostra redazione da una soffiata che il premier era già in città
contrariamente a quanto era stato detto. Poi intervistato la conduttrice Lorenza
Licenziati che, in passato, aveva lavorato con la madre di Noemi nel nostro
canale. Siamo stati l’unica emittente napoletana presente al momento. Certo, da
questa storia non ne è uscita una immagine positiva non solo di Napoli, ma
dell’Italia in generale. Credo che la gente abbia giustamente diritto di voler
sapere su questa cosa, ma nei limiti e nei contenuti giusti».
Tuo padre Pino è stato tra i pionieri che hanno partecipato alla nascita di
Canale 21. Per te è quindi un po' una seconda famiglia?
«Mio padre è il vero veterano di Canale 21, è il dipendente con più anni alle
spalle della rete ed ha vissuto anche il passaggio della sede da Posillipo a
Pozzuoli. Ho anche un fratello che lavora in un’altra emittente campana. Nel
2006 ho avuto modo di entrare a far parte della redazione. Il Vg 21 lo seguivo
già da prima, è un ottimo prodotto dietro il quale lavorano tanti
professionisti».
Da poco Bianca Berlinguer è
direttore del Tg3: pensi sia positivo che anche alle donne vengano dati ruoli di
responsabilità in redazioni così importanti?
«Certo, è un passo importante, ma non solo nel giornalismo sarebbe bene che si
dessero anche alle donne incarichi di rilievo e di responsabilità».
Gioie e dolori di essere una telegiornalista di Napoli?
«Per me sono soprattutto gioie. Credo che la nostra città ti possa raccontare
mille e più storie, senza necessariamente essere legati ai comunicati
istituzionali che ti preannunciano eventi ufficiali; basta uscire con carta e
penna e andare un po’ in giro, e potrai trovare tantissime storie da raccontare.
Questo è anche il lato negativo, non sempre puoi raccontare cose positive».
Quanto è importante, per voi, il filo diretto con il cittadino?
«Tantissimo. Abbiamo un indirizzo di posta elettronica a cui si può scrivere per
segnalare cose che potrebbero richiedere il nostro intervento. Ovviamente è
doveroso quantomeno verificare l’attendibilità e la verità di queste situazioni,
ma comunque in genere ne possiamo trarre spunti su cui lavorare».
Quali sono le storie, tra quelle che hai seguito, che ti hanno coinvolta di
più?
«Me ne vengono in mente due. Poco dopo la morte di Eluana, andai a casa di un
ragazzo che da 13 anni vive in coma vegetativo vigile (contrariamente a lei) e
mi ha molto toccato vedere e constatare le difficoltà in cui versano lui e la
madre, sento di essermele portate dietro. Recentemente poi, ho seguito il caso
della 'signora dei topi' che ha fatto molto scalpore non solo a Napoli per le
condizioni in cui questa donna vive. Non mi ha lasciato certo sensazioni
positive malgrado poi, con i nostri servizi, la Municipalità si sia decisa a
intervenire dopo che per tanto tempo questa donna ha vissuto tra topi e
sporcizia alla luce del sole, tra lo sguardo delle persone incredule e
dispiaciute per lei».
Aspiri alla conduzione?
«Mi piacerebbe compiere questo passaggio, ma non lo vedo come un traguardo. Il
nostro è un mestiere fatto di tanti passi e di tanti percorsi da seguire, ogni
cosa può darti soddisfazioni, dalle esterne alle interviste. Direi che abbiamo
la fortuna di poter fare un lavoro in cui non si può mai dire "sono arrivato",
proprio per l’enorme varietà di sfaccettature che assume».
Napoli ti sta stretta come ambiente lavorativo?
«No, mi sento molto gratificata da quello che faccio anche se, come in ogni
mestiere, la realtà di oggi è fatta di gavetta, precariato e molti, moltissimi
sacrifici. Ogni cosa devi sapertela conquistare con l’impegno e la passione, ma
sono contenta di quello che ho ottenuto e di quello che Napoli può offrirmi.
Magari però, un domani, qualcosa potrebbe cambiare, ma per adesso non ho
problemi di questo tipo».
Rivedendoti, pensi di voler migliorare qualcosa di te?
«Sono molto critica con me stessa, anche nella vita. Sicuramente mi capita di
cogliere qualche sfaccettatura in cui, ripensandoci, avrei potuto fare di più».
Come ti descrivi?
«Come una persona molto gelosa dei miei ricordi e delle mie conquiste. Non mi
piace molto condividerli, tranne che con pochi cari, i miei affetti e i miei
amici, che si contano sulla punta delle dita. Insomma, non sono una che ama
parlare tanto di sé!». |
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CRONACA IN ROSA Basic
English and Simple Life di
Erica
Savazzi
Per anni ci siamo sentiti dire che studiare le
lingue è una necessità, in un
mondo globalizzato e sempre più interconnesso. Per anni ci
hanno ripetuto che l'inglese è indispensabile, che chi non
lo sa non è nessuno, che tutti devono saperlo parlare. Per
anni ci hanno detto che una delle gravi mancanze degli
italiani era la scarsa conoscenze degli idiomi altrui. E
ora? Dopo aver faticosamente introdotto l'inglese nelle
scuole – oggi si studia fin dalle elementari – contrordine.
Si studia troppo inglese, bisogna
ridurre le ore di lezione. Merito della riforma delle
scuole superiori voluta dal ministro Gelmini.
Ora, c'è qualcosa che non funziona. Quando vai a fare un
colloquio di lavoro ti chiedono se sai almeno l'inglese,
altre lingue sono gradite. I genitori cercano di mandare
all'estero i figli con scambi culturali e vacanze studio per
fargli praticare le nozioni apprese a scuola. Gli
universitari si buttano con gioia nell'Erasmus. Forse
sbagliano? Che il ministro ci dica la verità: bisogna
tagliare e quindi abbiamo deciso di risparmiare sulle
lingue straniere. E invece, nemmeno questo coraggio, ma la
pietosa bugia che con la riforma la scuola italiana e la
preparazione degli studenti migliorerà.
Nota storica: ricordate le “tre I” di Silvio
Berlusconi? Dopo Impresa (in crisi nera) e Internet (ci sono
ancora seri problemi con la diffusione della
banda larga) c'era Inglese. Come cambiano le priorità in
pochi anni...
La trita e banale frase “invece di andare avanti si torna
indietro” è in questo caso azzeccata. Ancora una volta
emerge il provincialismo italiano, dove gli altri
investono, noi tagliamo. È vero nelle ore di lezione, è vero
negli investimenti nella ricerca. Se questo provvedimento è
un segnale di come si sta progettando il futuro, non c'è da
rallegrarsi. Una Italia più ignorante – oltre alle
lingue diminuiscono anche le ore di altre materia, a seconda
dell'indirizzo – che non parla l'inglese ma che
nell'immaginario di qualcuno dovrebbe studiare il dialetto e
le tradizioni locali, un'Italia più chiusa, che non
capisce quello che richiede la competizione globale (se non
nel calcio). Un'Italia senza futuro, perché un futuro non
riesce a progettarlo. |
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FORMAT Chiara
D'Amico: io, imprenditrice di me stessa
di Giuseppe Bosso
Questa settimana Telegiornaliste incontra un
volto frizzante e dinamico della tv campana,
Chiara D’Amico, responsabile dello studio
Workin’Video e conduttrice di format
creativi in onda su diverse emittenti locali e
satellitari, tra cui Cuore d’oro-l’altruismo
in tv e Sapori in festa.
Cos’è Workin’ Video e da cosa nasce?
«Io lo definisco uno studio "videocreativo".
Siamo impegnati non solo nella produzione di
format tv, ma anche nella realizzazione di
documentari, cortometraggi, spot, audiovisivi.
Amo operare nel mondo della comunicazione.
Soprattutto cerco di realizzare produzioni che
raccontino e valorizzino il nostro prezioso
territorio, a cominciare dalla mia Vietri sul
Mare. Ritengo che i giovani d'oggi debbano
potersi affermare anche nella loro terra, non
condivido le idee di chi ci spinge ad "emigrare"
nelle grandi città o lontano da casa. Noi
abbiamo il diritto di poter vivere, lavorare e
costruire in casa nostra. Per questo sono
diventata "imprenditrice di me stessa" e ogni
giorno scommetto sulle mie idee che produco
autonomamente».
Quali sono state le difficoltà che hai
incontrato e che incontri ancora oggi?
«Il sistema delle tv campane spesso non riesce
ad assorbire facilmente forze giovani e non ci
sono molti editori disposti a scommettere sulle
nuove leve. Per mia fortuna, ho incontrato
persone valide e lungimiranti che hanno creduto
e investito nelle mie potenzialità. Ma tutto
quello che ho realizzato l'ho fatto grazie a
tenacia, entusiasmo e sacrificio».
Hai da poco concluso i due format Cuore
d’oro e Sapori in festa. Per quanto
riguarda il primo, ritieni che l’altruismo possa
trovare spazio nella tv di oggi?
«Assolutamente sì. Ho realizzato la mia tesi di
laurea proprio su questo. Penso che la tv sia
uno strumento potente per parlare alla gente e,
spesso, anche influire su comportamenti e stili
di vita. Soprattutto lancia messaggi che in
tanti accolgono come riferimenti. Per questo
deve saperlo fare in senso positivo e di
speranza; nel nostro programma non ci siamo
proposti certo di rappresentare una vetrina
buonista, ma uno spazio onesto che accenda luci
sulla realtà e la dignità del lavoro silenzioso
che svolgono i tantissimi volontari del nostro
territorio. E devo dirlo, anche chi sta bene ha
bisogno di fare qualcosa di utile e costruttivo
per i meno fortunati, l’ho potuto riscontrare
dai tanti imprenditori che hanno appoggiato
questo progetto. Migliorare il mondo si può,
soprattutto bisogna dire con coraggio che le
difficoltà si superano meglio facendo squadra,
lottando insieme, promuovendo valori. È questo
il messaggio che cerchiamo di lanciare».
Per quanto riguarda invece Sapori in
festa, pensi che la gastronomia sia uno spot
per la rinascita della Campania?
«Certo.
Il territorio campano deve imparare a fare
sistema e nella gastronomia e nel turismo ha due
perni imprescindibili: l’uno è alimentato
dall’altra. Il nostro format è alla prima
edizione, e ci auguriamo di riproporlo anche
l’anno prossimo. Abbiamo cercato di raccontare
tutto il processo che il prodotto segue dalla
terra alla tavola fino al grande evento
gastronomico abbinato. Prodotti tipici, in giro
per la provincia di Salerno e, presto, anche per
il resto della regione. La qualità è essenziale:
il nostro cast ha ospitato grandi eccellenze
campane».
Molto giovane ma con un curriculum notevole.
Ti senti più "secchiona" o ragazza che ha saputo
cogliere le sue occasioni?
«Non credo di essere una secchiona. Cerco sempre
di migliorarmi. Soprattutto miro a costruirmi
una "personalità europea", il più possibile
aperta a nuove frontiere e a differenti culture.
Ci vuole apertura per essere creativi.
L’investimento che ho fatto è stato unicamente
nel mio entusiasmo, nei miei progetti, cercando
di sfuggire a questa società che tende ad
omologare tutto e tutti. Credo sia importante
restare curiosi nella vita, cercare e scoprire
contributi nuovi per dare valore alla
personalità. È il messaggio che cerco di
trasmettere ai miei coetanei e agli altri
giovani. Potrei citarti una frase di Jim Carrey
in Una settimana da Dio, un film che mi
ha colpito molto: “Sii il tuo miracolo”. Beh, io
cerco di esserlo ogni giorno, con coerenza e
pianificazione».
Ti trovi più a tuo agio davanti o dietro la
telecamera?
«Sono in grado di curare la produzione in ogni
suo aspetto. Conduco volentieri i miei programmi
televisivi perché credo che sia importante anche
avere il coraggio di "metterci la faccia" nei
propri lavori, di firmare i propri contributi.
Soprattutto, operando in piccole realtà, saper
operare anche dietro le telecamere è importante:
mi permette di gestire il processo in modo
libero e indipendente».
La tv locale ti sta stretta o ti va bene
così?
«Se dovessero arrivare proposte importanti,
certo, le valuterei. Ma credo che le emittenti
locali siano realtà dignitosissime, troppo
sottovalutate da chi non capisce che il
prestigio del posto di lavoro non lo dà il
titolo, ma la qualità e la dignità di chi vi
collabora. Sto benissimo così, a patto però di
trovare sempre ambienti costruttivi. Soprattutto
credo che le tv locali abbiano la grande
potenzialità di arrivare alla gente, molto più
di quanto si possa pensare. Inoltre, penetrando
nell'intimità della casa, influenzano
inevitabilmente le opinioni e i comportamenti
della gente, soprattutto dagli anziani. Per
questo ritengo che sia un dovere etico-morale di
ogni comunicatore impegnarsi a promuovere
contenuti che sappiano rispecchiare valori reali
e genuini... basta con questo business 24 ore su
24!».
Cosa c’è nel tuo domani, imminente e a lungo
termine?
«In anteprima per Telegiornaliste annuncio che,
a novembre, parte un nuovo format sull’amore di
coppia, 2 cuori e 1 bouquet, un gioco che
coinvolgerà 7 coppie differenti dal punto di
vista socio-culturale, alla ricerca dell’unione
perfetta. Mi avvarrò, come sempre, della
collaborazione di esperti, dal sacerdote allo
psicologo. Guardando oltre, sto sviluppando
nuove collaborazioni con le scuole, faccio tanti
viaggi, studio inglese, vado a cavallo. Insomma,
vivo in modo pieno e intenso».
Regista, conduttrice, autrice… ma in
definitiva, qual è il vero ritratto di Chiara
D’Amico?
«“Videocreativa” è forse la parola più adatta
per descrivermi. Come ho già detto, cerco sempre
di migliorarmi e di puntare ad essere completa.
Per questo, studio l'arte della regia e del
montaggio: solo conoscendo cosa c'è dietro le
telecamere posso imparare a stare davanti».
Tra tanti impegni trovi anche tempo per gli
affetti?
«Sì, ho un fidanzato che mi sostiene e mi
incoraggia. Le due vite, quella lavorativa e
affettiva, viaggiano in parallelo, anche per
quanto riguarda il rapporto con i miei cari e i
miei amici, pochi ma buoni. Per il futuro vorrei
creare una famiglia, ma comincio fin da ora,
costruendo il mio lavoro». |
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HOT GIRLS L’arte
delle corna di
Valeria Scotti
Gli uomini? Tutti traditori, o almeno
così dicono. Ci sono donne che hanno esperienza
sulla propria pelle, altre per sentito dire, e
poi ci sono quelle che magnanime mettono su
carta i segnali utili per farci aprire gli
occhi. Charlotte Ward e il suo libro It's Not
Me, It's You ne sono l’esempio. Una serie di
capi di imputazione per scovare il fedifrago
e, perché no, farlo anche confessare (sempre che
poi serva a qualcosa).
Il potenziale traditore è colui che un giorno
scopre finalmente cosa sia la pulizia e
l’igiene. Ore e ore davanti allo specchio,
sotto la doccia. Il patito per la cura del corpo
all’improvviso. Colui che presta grande
attenzione alla scelta di un dopobarba come fa
il sommelier con un vino, che diventa maniaco
del nodo alla cravatta e critica lei sul modo di
stirargli la camicia. Quella che un tempo si
macchiava del classico rossetto, ma oggi non più
grazie a un make up rivoluzionario. Le donne lo
sanno.
Attenzione anche al body language da infedele:
sguardo basso, difficoltà nel guardare negli
occhi la propria partner, il nascondersi la
bocca con le mani mentre parla. Il tradimento
c’è e si vede.
Per non parlare di situazioni e ritardi
assurdi che capitano nella vita di lui
sempre più da film. Amici sull’orlo del suicidio
che richiedono la sua presenza, capi che lo
costringono a lavorare la maggior parte dei week
end fuori casa, meglio se in un hotel a cinque
stelle e a molti chilometri di distanza. Con
tanto di segretaria scosciata a seguito.
Il cornificatore perfetto potrebbe anche
iniziare a regalare alla donna ufficiale tante,
troppe attenzioni senza un perché.
Cadeaux inattesi, immensi mazzi di fiori da
parte di chi, sistematicamente, ha dimenticato
compleanni e anniversari nel corso degli anni.
Qui gatta ci cova.
E l’uomo che trascorre gran parte della sua vita
in rete? Il migliore architetto di corna.
Per lui, nascondere un'amante, è un gioco da
ragazzi così come trovarla. Tra social network e
chat di ogni tipo, un catalogo di donne giovani
e disponibili è assicurato. E guai a cercare di
scoprire qualcosa: fuoco e fiamme se solo si
prova a sfiorare il suo cellulare ultraconnesso
o il suo computer.
A venire incontro alle loro esigenze poi, sono
nate recentemente le agenzie per l’adulterio.
Dopo quelle matrimoniali e di viaggi, oggi il
tradimento si è istituzionalizzato.
Gleeden.com ne è l’esempio, organizzando lo
svago fuori dal matrimonio per un costo che va
dai 7 ai 900 euro. In Francia, dove il progetto
è partito in anticipo, è stato subito boom: più
di 2.000 iscritti, tutti sposati, interessati a
qualche ora di libertà. Innocenti evasioni,
cantava Battisti. E la scappatella è servita in
pochi click. |
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DONNE Elinor,
una donna da Nobel di
Chiara Casadei
Quando il signor Alfred Nobel, nel lontano
1895, istituiva i conosciutissimi
riconoscimenti ai diversi settori della
cultura mondiale, aveva però dimenticato uno
di quegli ambiti di cui oggi non si potrebbe
decisamente fare a meno: l’economia.
Il premio relativo a questa branca infatti è
più recente: nasce nel 1969, su iniziativa
della banca centrale della Svezia e proprio
per questo il titolo ufficiale è “The
Sveriges Riksbank Prize in Economic
Sciences”.
Il suddetto premio, che in tutti questi anni
è sempre finito in forti e robuste mani di
cervelloni meritevoli, quest'anno ha avuto
un destinatario ben diverso. Lei è Elinor
Ostrom, cervellone sì, ma con la gonna:
prima donna in assoluto a ricevere
questo tipo di riconoscimento.
La Ostrom, 76 anni, insegnante
dell’Università dell’Indiana, è
un’economista californiana che, insieme al
co-vincitore Oliver E. Williamson, è
riuscita a distinguersi per i suoi studi in
materia – in particolare per aver dimostrato
come la proprietà pubblica possa essere
gestita dalle associazioni di utenti – fino
a conquistare l’ambitissimo premio. Di
notevole impatto il fatto che la vincitrice
sia proprio una donna, «è un fatto epocale
che dimostra non tanto l'attenzione della
Commissione di Stoccolma, ma il fatto che
le donne contino di più nell'economia»,
sostiene Cecilia Maria Guerra, docente di
Economia Pubblica all’Università di Modena.
La Ostrom, dal canto suo, vanta un
curriculum niente male. Infatti, al di là di
altri premi ricevuti – tra cui il Johan
Skytte 1999, il James Madison Award 2005 e
il William H. Riker 2008 – ha creato,
insieme al marito, una scuola che si
dedica allo studio dell’interazione tra
società, risorse ed ecosistema. In tutto
questo, bisogna dar merito al fatto che il
metodo sperimentale dell’economista è
di una precisione e rigorosità impensabili.
Segue, infatti, ben tre step per dimostrare
a tutto tondo e con certezza le sue
scoperte. Insomma, Elinor Ostrom è l’esempio
perfetto di studioso. |
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TELEGIORNALISTI Ciao
Mario di Giuseppe Bosso
Se n’è andato in silenzio un sabato di metà autunno, in quella Pescara che
aveva avuto per anni in lui un importante punto di riferimento negli anni
d’oro in cui la squadra biancazzurra guidata da Galeone imperversava in
serie A, non di rado riuscendo a giocare qualche ‘scherzetto’ a Juve, Inter
e Roma.
Ed era lui, in quegli anni in cui la tv a pagamento e Internet erano per i
calciofili del Belpaese lontani anni luce, la voce del Pescara a 90°
minuto, quel 90° minuto immancabile e irrinunciabile
appuntamento per poter gustare per la prima volta i gol e le azioni della
domenica. Un calcio che si giocava solo in un giorno, senza anticipi e
posticipi.
Ma Mario Santarelli, scomparso all’età di 67 anni, non è stato solo
questo. Nato a Vasto, prima di innamorarsi del giornalismo aveva percorso
due strade, quella politica (segretario del movimento giovanile della Dc) e,
come primo avvicinamento al mondo del calcio, l’arbitraggio.
Poi la scoperta di quella che sarebbe stata la sua vera strada che lo porta
dapprima a Il Tempo e Stadio e poi in Rai, al Tgr Abruzzo. Da
due anni era andato in pensione, mantenendo tuttavia i contatti con
gli amici e i colleghi di una vita che hanno appreso con dolore la notizia
della sua scomparsa, stringendosi attorno alla moglie Naide.
Profondo, ovviamente, il cordoglio di quanti lo avevano conosciuto, dal
Presidente della Provincia di Chieti, Enrico Di Giuseppantonio - "Un
gentiluomo, profondo conoscitore della sua terra e grande narratore,
nell'ambito sportivo, della realtà abruzzese" - ai colleghi dell’Ordine dei
giornalisti dell’Abruzzo che piangono la perdita di un "punto riferimento
fondamentale per tante generazioni di giornalisti, non solo per la sua
professionalità, ma anche per la profonda umanità che ha segnato i rapporti
con i colleghi". |
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SPORTIVA Nude
per la Patria
di Pierpaolo Di Paolo
Quello della scarsa attenzione, della poca
pubblicità, del limitato interesse mosso dallo sport
femminile, è un problema vecchio e conosciuto. Da
sempre vi è una sproporzione imbarazzante tra
la visibilità di cui godono i maschietti e la
visibilità - o sarebbe più corretto dire
invisibilità - delle femminucce. E ciò vale per
tantissime discipline, calcio in primis.
Tuttavia, c'è chi a questa inerzia non si rassegna,
anzi vi si oppone in maniera decisa e talora perfino
clamorosa. È il caso delle bluettes, le
calciatrici della nazionale francese che si sono
sfilate magliette, pantaloncini e mutandine per
una campagna pubblicitaria in favore del loro sport.
Lo slogan è conciso ma esplicito: «Bisogna arrivare
a questo perché veniate a vederci?».
L'iniziativa ha destato clamore, provocando un
vortice di reazioni tra favorevoli e contrari. «È un
gesto straordinario e drammatico al tempo stesso -
ha commentato Raymond Domenech, ct della
nazionale maschile - ma se è il solo modo per
attirare l'attenzione, perché no? Il nostro Paese
non dà il giusto valore al calcio femminile. È un
fatto culturale, bisogna cambiare la mentalità».
«Capisco il disagio e apprezzo la fantasia e il
desiderio di non restare inermi - ha dichiarato
invece Patrizia Panico, capitano della
nazionale azzurra - ma così sembra un gesto un po'
fine a se stesso. Le cose vanno discusse nelle sedi
opportune».
Ma quali sono le ragioni di un tale stato dei fatti?
Certamente viviamo, nonostante i progressi fatti, in
un mondo ancora fortemente condizionato da
resistenti retaggi culturali in campo sessuale,
sociale ed economico. Ma è corretto addebitare tutto
a una sorta di continua discriminazione globale?
Ha un senso parlare sempre dell'immutabile complotto
maschilista ordito da tv, giornali, finanche dal
pubblico?
Una risposta è da rintracciare anche nel minor
sviluppo tecnico, organizzazione e progresso che
circonda lo sport femminile, ed il calcio in
particolare. Ne è una riprova il fatto che negli
sport dove il gap tecnico è stato annullato -
tennis e volley su tutti - la risposta delle tv e
del pubblico non si è fatta attendere.
«La Federazione non ci prende quasi in
considerazione - ha ammesso a
Le Parisien Gaetane Thiney, una delle
ragazze autrici degli stuzzicanti scatti -
Gli uomini vivono su un altro pianeta».
Probabilmente, allora, il problema bisogna
cominciare a risolverlo proprio all'interno delle
mura amiche. |
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