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Archivio Telegiornaliste anno VI N. 38 (255) del 15 novembre 2010
 
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MONITOR Matilde Andolfo: viva il giornalismo di strada! di Giuseppe Bosso

Nata a Napoli e professionista dal 2005, Matilde Andolfo è caporedattore a Tele Luna dove conduce il tg. Tra le sue esperienze, quella nella redazione di Leggo, oltre all'incontro con la famiglia di Annalisa Durante che le ha portato a scrivere il libro Il diario di Annalisa edito da Pironti nel 2005, in cui riporta passaggi del diario della sfortunata adolescente uccisa in uno scontro a fuoco nel 2004.

Da freelancer ad anchorwoman. Più dura la vita del giornalista di strada o di quello di redazione?
«Di strada, decisamente. In redazione è facile annoiarsi; è diverso on the road, soprattutto quando segui una vicenda con più colleghi. L'esperienza a Leggo è stata bellissima per me, proprio perché mi ha permesso di apprendere il lato più difficile del nostro mestiere: l'incertezza di essere richiamata il giorno dopo, le difficoltà di trovare notizie e spunti da raccontare. Ma è così che ho imparato ad amarlo, il nostro lavoro».

Come ti sei avvicinata alla vicenda di Annalisa Durante?
«Ho avuto modo di interloquire con i suoi genitori, e nel tempo è nata una vera amicizia: hanno capito che potevano fidarsi di me, del modo in cui ho cercato di affrontare il loro dolore. Il libro è servito per finanziare la costruzione di una cappella per loro, ed è stato per me importante soprattutto trasmettere questo messaggio di speranza, di ribellione alla criminalità. Ho seguito tante storie di vittime della camorra ma il dolore di Carmela, sua madre, è un qualcosa che non ho mai visto e affrontato».

Vedendo come i media stanno affrontando la tragedia di Sarah Scazzi, cosa ne pensi?
«Purtroppo la realtà è questa: oggi si tende più a spettacolarizzare che informare, è una negativa evoluzione del mondo della comunicazione che si evince soprattutto in queste tragedie familiari. Il nostro dovere è anzitutto quello di portare a conoscenza la realtà che ci circonda, ma sarebbe opportuno evitare di cadere nel volgare e nella esasperazione».

Il bello e il brutto di essere una giornalista a Napoli?
«Bello è poter avere tante cose da raccontare, che non esistono in altre realtà. Il brutto sono senz'altro gli incerti del mestiere, le difficoltà di trovare un contratto, un'assunzione. E mi fermo qui».

Si avvicinano le elezioni comunali. Tra il serio e il faceto, chi tra i giornalisti napoletani vedresti bene come primo cittadino?
«Cristiana Barone. È una tosta che si butta a capofitto tra la gente anche nelle situazioni più difficili, senza filtri. È sempre presente».

Come ti descrivi?
«Volitiva, passionale, tenace, rigorosa, seria e leale».

Le difficoltà che hai affrontato sono state compensate dalle soddisfazioni che hai ottenuto?
«Assolutamente sì!».

L'inchiesta che più ti ha coinvolto e quella che vorresti affrontare?
«Sto scrivendo un nuovo libro, sulle donne di camorra. Interagisco con le forze dell'ordine ed è un tema che mi sta davvero appassionando. In passato, oltre al caso di Annalisa, mi ha colpito la vicenda di Romina Del Gaudio, dei due fratellini morti in un incidente a Fuorigrotta, e poi ultimamente la vicenda del prete pedofilo sorpreso in tangenziale con una minorenne. Per me è stato un vero scoop; sono garantista finché vuoi, ma è bene mettere in guardia gli adolescenti da questi potenziali orchi che tendono ad assumere le vesti apparentemente più rassicuranti e insospettabili».

C'è tempo per gli affetti?
«No. Non sono sposata e non ho figli, i miei amori sono le mie due cagnoline Stella e Luna, che ho salvato da morte sicura quando le ho trovate. È una mia tendenza difendere gli indifesi, siano animali, bambini o anziani. E credo nel lavoro di squadra, credo nel lavoro tra donne, nonostante la competizione che ci può essere».

Il domani ti porta a Napoli o fuori?
«Assolutamente a Napoli, è una scelta che ho fatto e non ho mai cercato altre strade, altre vie».
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CRONACA IN ROSA Un'Angelica fra noi di Anna Rossini

La redazione di Telegiornaliste festeggia la nascita di Angelica, la figlia della nostra direttora Silvia. Non è facile fare gli auguri di “buona vita” a una bimba appena arrivata fra noi, come non è facile fare gli auguri di “buona nuova vita” a mamma e papà: ogni parola suona banale. Ma è - se non altro – sincera.

Angelica, benvenuta. Per te ora è tutto nuovo, tutto straordinario. Ti accorgerai col tempo, con gli anni, che è difficile vivere su questa Terra: incontrerai preoccupazioni, delusioni, dolori, tristezza.
Ma capirai anche quanto è magica la vita: piena di affetti, sorprese, incontri speciali, piccole sorprese. E soprattutto saprai, e questo ti aiuterà nei momenti di difficoltà, che tu sei qui perché sei stata voluta, cercata, amata dalla tua mamma e dal tuo papà: tu sei il loro piccolo angelo.

Cara Angelica, ti auguriamo di crescere sana, forte e saggia; ti auguriamo di essere felice, e di esserlo realizzando la tua natura più profonda. Ti auguriamo di vivere ogni momento al meglio, di cogliere la meraviglia, la gioia e le sorprese che ti saranno donate. Ti auguriamo ottimismo e speranza, fantasia e determinazione.

Cari mamma e papà, vi auguriamo anni impegnativi e difficili, pieni di preoccupazioni, ma anche tanto amore e soddisfazioni. Vi auguriamo di avere la forza di affrontare i momenti difficili, di dire dei “no”, di accompagnare vostra figlia lungo il suo viaggio. Di prenderla per mano, parlarle, condividere esperienza ed emozioni, consapevoli che, nella sua autonomia di essere umano, sceglierà, sbaglierà, riuscirà. E che voi dovrete esserci sempre, per piangere o festeggiare con lei.

A voi, nuovo trio invincibile, auguriamo tutto il meglio.
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FORMAT Federica e Michela, le brave ragazze di Radio 2 di Giuseppe Bosso

Incontriamo questa settimana Federica Gentile (da noi già intervistata in passato) e Michela Andreozzi, affiatate conduttrici del programma di Radiodue Brave ragazze, in onda il sabato alle 21.

Come è nata la vostra unione?
Michela: «Federica mi ha ‘rimorchiata’».
Federica: «Sì. Io e lei ci conoscevamo da tempo lavorando, sia pure in ambiti diversi, anche in campo musicale. Quando ho proposto il format a Radiodue e si è trattato di scegliermi una partner, non ho avuto dubbi: era lei!».

C’è ancora posto per le brave ragazze, oggi?
Federica: «Le brave ragazze di cui parliamo nel programma sono tutto e l’opposto di tutto, l’ironico e il serioso. Sono loro che porteranno avanti il mondo, nel bene e nel male».
Michela: «In realtà il titolo del programma rappresenta proprio l’ironia che vogliamo esprimere; è difficile essere brave ragazze nel senso tradizionale del termine, in questo mondo in cui devi tenere gli occhi aperti e difenderti da tutti…».

Un aggettivo per descrivere la vostra partner?
Federica: «Uno solo? Impossibile per un vulcano come Michela, ma se proprio devo scegliere, direi che è soprattutto istrionica».
Michela: «Tosta!».

Se doveste sostituirla con uomo?
Federica: «Impossibile anche questo. Non cambierei Michela con nessun’altro, anche se forse, George Clooney... (scoppia a ridere, ndr)
Michela: «Luca Argentero, anche muto. L’estetica ha la sua importanza (ride, ndr)».

Federica, ti vediamo anche a X Factor. Secondo te è una vera fucina di talenti o una fiera delle illusioni?
«I talent show sono importanti perché fanno capire al pubblico il lavoro e il sacrificio che c’è dietro il percorso che questi ragazzi hanno provato per mettere a frutto le loro potenzialità e farsi conoscere».

Michela, tanti attori, da Sarah Maestri ad Eleonora Giorgi, hanno provato con successo la strada radiofonica: è un completamento della formazione artistica?
«No, è un’esperienza, un modo di esprimersi che, contrariamente al cinema e alla fiction, ci permette di metterci alla prova personalmente, senza seguire un copione».

L’ospite che più vi ha colpito?
Federica: «Ce ne sono stati tanti, sia quelli occasionali che quelli che hanno occupato spazi nel programma. Ma ricordo bene Margherita Hack».
Michela: «Barbara Alberti, una donna intellettuale che però ha saputo mantenersi vitale e con i piedi per terra, senza doversi camuffare da uomo».
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HOT GIRLS Cam girls: la fine del viaggio di Pierpaolo Di Paolo

Al termine di un lungo cammino possiamo dire di aver imparato, sulla nostra pelle, come funziona. In questo ambito, come del resto in ogni cosa, è fondamentale sapersi muovere e rivolgersi alle persone giuste. Individuare i siti più seri, le modelle già certificate, leggere le recensioni degli utenti nei forum delle cam girls, potrebbe rivelarsi determinante nell'evitare spiacevoli sorprese.

Nello sconfinato universo di internet, l'enorme baratro della truffa è sempre aperto e pronto a risucchiare dentro i viandanti più sprovveduti.
Non accettare caramelle dagli sconosciuti resta ancora oggi uno degli insegnamenti più validi ed attuali. È proprio per questo che ci siamo sforzati di rendere un po' più conosciuto e familiare quel lato onesto del sesso virtuale che, scherzosamente, abbiamo chiamato Paradiso.
Infatti, tra le modelle appartenenti al Paradiso, ora possiamo senza dubbio annoverare Tanitamary. Come lei, a conoscerle, ce ne sono infinite altre.

Di siti che presentano cam girls ve ne sono tantissimi. Alcuni, come Mondo Camgirls, non si limitano a fare elenchi di modelle iscritte presso di loro, ma mettono al fianco del nick e delle foto della ragazza, anche dei simboli particolari. Questi stanno ad indicare le cam girls "certificate" e quelle "garantite".
Le certificate son le modelle di cui il sito afferma di aver appurato l'esistenza.
Le garantite, quelle sulla cui onestà sentono di poter mettere la mano sul fuoco. In questo modo, tra le tante che si propongono, l'avventore ha la possibilità di individuare subito quelle che si sono già contraddistinte per serietà e correttezza. O almeno, se gli autori tengono alla credibilità del proprio website, così dovrebbe essere.

La speranza è di esser riusciti, nel corso di questo appassionante viaggio, a fornire tutte le indicazioni utili ad aggirare le trappole, tanto continue quanto odiose, che inesorabilmente pullulano in un paesaggio come questo. Non ci resta che augurare a tutti gli avventori, forse ora meno sprovveduti e curiosi di dare più da vicino un'occhiata a questo mondo, un immenso buona fortuna.
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DONNE Donne e musica: Maria Vittoria Jedlowski di Simona Di Martino

Incontriamo Maria Vittoria Jedlowski, in arte Ori, docente di chitarra classica al conservatorio G. Verdi di Milano, compositrice e cantautrice, studiosa di musiche scritte da donne. A ottobre è uscito il suo ultimo album in doppio cd, Giallo verde oro muschio.

Nei suoi concerti lei ama presentare brani composti per lo più da donne. Perché questa scelta?
«È una curiosità nata dal mio impegno sociale e civile per il sostegno dei diritti delle donne. Come musicista e come chitarrista ero curiosa di vedere se c’erano delle donne che avevano scritto per chitarra classica, visto che suonavo ed ero interprete solo di autori maschili. E da lì si è aperto un grande mondo. Nell’800 le compositrici erano pochissime, allora era difficile pubblicare ed era altrettanto difficile studiare. Le donne potevano farlo solo in casa, a livello amatoriale. Nel 900, si aprì il problema della difficoltà di essere donna: un compositore necessita un sostegno di tempo ed economico che raramente le donne hanno. A quei tempi, aumentarono queste possibilità con le università, gli studi e vi furono sempre più studentesse donne. Imporsi sul mercato è comunque stato sempre difficile per le compositrici».

In cosa consiste questa difficoltà?
«Non credo sia legata al suonare o al presentarsi come musiciste, ma semmai riguarda quello che c’è intorno socialmente. Ci sono dei pregiudizi sociali che non sono sensibilmente visibili. Una donna con figli deve crescerli e tenere i ritmi per studiare quanto necessario, muoversi per fare concerti. Un lavoro come il concertismo, che richiede viaggi e tempo, necessita veramente di un substrato sociale che sostenga questa scelta. Manca un sostegno sociale per le madri. In più c’è una questione sociale forte sulla donna che viaggia per lavoro e lascia la famiglia: non è sorretta di solito da stima e supporto. Ci vuole una situazione sociale che permetta a una donna di viaggiare da sola per il mondo, di dormire in alberghi… In certe culture non è possibile, così come non lo era nella nostra fino a un secolo fa. A momenti non si lasciava uscire una donna di casa senza un accompagnatore, figurarsi lasciarla andare in altri Paesi in aereo o in treno a suonare. Era proprio uno scandalo».

La questione tocca l'argomento della libertà della donna. Carriera a parte, esiste anche un problema di realizzazione personale…
«Sì, esatto. Penso per esempio a quando le donne si prendono cura della famiglia, dei figli, dei genitori anziani. Questo ovviamente pesa su una realizzazione artistica che richiede molto tempo, molte energie. Tutti gli individui devono realizzarsi nel modo che è loro consono. Poi, le situazioni cambiano da Paese a Paese: è più difficile in alcuni, più facile in altri».

Tra donne e uomini cambia il modo di comporre?
«La mia sensazione è che le donne siano sempre piene di senso. Non ho mai trovato autocompiacimento nelle donne che compongono; sono veramente capaci di cogliere quello di cui hanno bisogno, quello che vogliono dire. Vanno veramente al sodo, senza perdersi in fronzoli o in altre frasi per riempire il pezzo».

Mi è stato detto da un maestro di chitarra: "Quanto è bello vedere la chitarra in braccio a una donna". Ci sono differenze tra le musiciste in generale e le chitarriste?
«Sì, la chitarra ha dei vantaggi perché affonda in un amore popolare. Nella seconda metà del 900 la chitarra era lo strumento principe dei giovani e questo ha facilitato l’approccio da tutti i punti di vista. Spesso la chitarra è stata paragonata alla donna, come forma e come suono. E io penso che sia proprio uno strumento adatto a loro, a parte tutta l’iconografia che c’è di donne che suonavano la chitarra barocca, il liuto».

Parliamo della Ori cantautrice: tre parole per descrivere le sue canzoni.
«Poesia in musica, comunicazione poetica. Sento forte questo bisogno di messaggio: come tutti, nella vita ho imparato qualcosa, e quel poco che so ho voglia di comunicarlo. Quello che so è di grande felicità: mi sembra che il nostro sociale si basi troppo sull’insoddisfazione, sui drammi che ci sono, per carità! Penso però che questa visione vada anche bilanciata con quello che c’è di buono, perché c’è. La mia tendenza è appunto quella di bilanciare dando voce alle cose che hanno poca voce. Ho lavorato ad alcuni dischi con musiche di sole donne perché mi sembrava che la loro voce si sentisse troppo poco. Nel momento in cui ci sarà equilibrio, non ci sarà più bisogno di fare un disco di sole donne».

Molto De Andrè…
«È vero. De Andrè è stato il mio maestro storico, come per tutti i cantautori italiani».

Altri modelli di riferimento?
Quelli del mio periodo di nascita, le canzoni di Joan Baez, Bob Dylan, gli Intillimani, Violeta Parra. Canzoni fatte per dare voce a dei popoli, quindi sempre una voce di libertà. In questo momento le mie non sono canzoni direttamente politiche, sono molto più rivolte all’interiorità. Però la mia idea è che l’interno, il privato diventi politico».

Nei suoi concerti le canzoni si mescolano a brani di musica classica, legati tra loro da un unico "tema". Vuol farcene un esempio?
«Ultimamente sto facendo dei concerti legati al tema dell’armonia fra maschile e femminile, un’armonia possibile e costruttiva, sia a livello simbolico che a livello esteriore. Cosa serve per stare in armonia? E la musica può rispondere, con un brano classico o una canzone. Mi diverte molto mettere insieme questi due mondi, quello della musica classica e della canzone; non sono antitetici, anzi si integrano vicendevolmente. E in questo modo posso avvicinare persone molto diverse. Persone che magari non hanno mai sentito musica classica».

Che ruolo ha e quanto conta il pubblico?
«Fondamentale. Come interprete, il mio lavoro è stato trovare un filo conduttore nelle musiche che proponevo, per poter comunicare al pubblico quello che avevo capito io. E la mia scelta, il più delle volte, è stata di creare dei concerti unendo musiche classiche, dal linguaggio molto comprensibile per quanto complesso, e musiche contemporanee, difficilmente fruibili dal pubblico».

Perché è importante la musica contemporanea?
«Penso che la musica sia qualcosa che possa educare le persone, sia chi la fa che chi la ascolta. Sicuramente avere a che fare con le musiche di oggi è un passo in più che rimanere solo su quelle del passato. Oggi poi la musica classica è molto poco diffusa. Alcuni conoscono alcuni passaggi solo perché trasmessi dalle pubblicità, e non hanno mai sentito un concerto. Credo dunque sia importante avere un contatto con tanti aspetti culturali».

Ori è più chitarrista o cantautrice?
«Musicista. Un mio allievo si era molto stupito qualche anno fa quando ho cominciato a scrivere canzoni. Di solito si comincia con la scrittura e poi si arriva alla carriera di musicista classico. Il mio è stato un percorso atipico, ma ne sono molto contenta. Da un punto di vista educativo mi sembra un buon messaggio di libertà: è possibile fare qualsiasi cosa nella vita finché siamo vivi».

A proposito del nuovo album, Giallo verde oro muschio, che significati racchiude il titolo?
«Il giallo oro è il colore simbolo del maschile, del sole, del luminoso. Il verde muschio è il colore femminile, della terra fertile. Questo cd vuole essere un tentativo di onorare entrambi gli aspetti, maschile e femminile, e sottolineare che è possibile creare questa armonia. Le mie canzoni hanno solo il desiderio di ricordare quello di cui a volte ci dimentichiamo. In questo album parlo proprio dell’idea che mi sta a cuore, quella del costruire. L’idea è nata pensando a quanti uomini distruggono, oppure a quanti uomini nocivi esistono. Ma non c’è solo questo! Ci sono molte persone che distruggono, ma molte più persone che creano. Magari non si vedono».

Qual è l’integrazione fra maschile e femminile?
Tra i tanti aspetti ne ho scelti due: per la parte maschile Giallo oro, la forza sostiene, che vale sia come forza esteriore che interiore, quella che sostiene uomini e donne. Per la parte femminile Verde muschio, il canto guarisce, un po' perché mi tocca molto da vicino, un po' perché penso che il canto sia un aspetto proprio delle donne. Quest'ultime curano i loro bambini cantando le ninne nanne, le filastrocche. In molti paesi africani si insegna anche la matematica con le canzoni».

Potrebbe definire il suo un genere di nicchia?
«Direi di sì. Se quello per chitarra è un repertorio abbastanza di nicchia, figuriamoci un repertorio di musica contemporanea. Ma nella mia vita ho sempre scelto cose che per me avevano un valore, non c’è mai stato un interesse di mercato. Questo è un mio limite, o forse un vantaggio, non so. Di certo so che le mie scelte saranno sempre unite a qualcosa che per me ha significato».

Cosa consiglia dunque ai giovani che vogliono far musica?
«Di farlo. Di essere aderenti a se stessi, e di cercare l’insegnante giusto. Un insegnante ottimo per una persona può non esserlo per un’altra. Qualsiasi sogno, qualsiasi progetto che un giovane ha è assolutamente sacro».
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