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Telegiornaliste anno IV N. 22 (147) del 9 giugno 2008
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Sabrina Orlandi, passione calcio di Giuseppe
Bosso
Giornalista professionista dal 2000,
Sabrina Orlandi segue le partite del Bologna calcio per il canale Rete 7.
Tra le sue esperienze, la conduzione televisiva di Il pallone nel sette e
il programma radiofonico Lui e Lei con Gianfranco Civolani.
Possiamo dire che sei la voce del Bologna calcio?
«Sicuramente per il
canale
dove lavoro».
Essendo cesenate, hai avuto qualche problema con i bolognesi?
«Beh, inizialmente qualche perplessità c’era, considerando che Cesena non è una
piazza molto amata all’ombra delle Torri. Ma con il tempo la cosa è stata
superata, tanto più che anche l’attuale allenatore rossoblu è mio concittadino.
Può darsi siano capitate delle lamentele, come quando nel 1999 facemmo un
sondaggio su Mazzone, allora allenatore del Bologna che stava per essere
esonerato. Il 98% del pubblico espresse il desiderio di riconfermarlo, e la
società ci manifestò la propria contrarietà non ritenendo opportuno tale
sondaggio in quel momento».
Dopo le vicende di Calciopoli, l’ex presidente Gazzoni, come ha dichiarato
anche a te in un’intervista,
ha provato una profonda amarezza nel sentirsi vittima di un sistema marcio. Il
ritorno in serie A come verrà ora affrontato dalla nuova società?
«La nuova società è sorta in un momento in cui i danni erano già stati fatti.
Non penso abbia risentito di quella bruttissima pagina del nostro calcio.
Sicuramente è una sfida nuova per un gruppo nato in un momento difficile e che
andrebbe a riaffacciarsi al massimo campionato dopo anni di dubbi e incertezze,
ma l’entusiasmo c’è sempre».
Lo sport bolognese, però, ha ottenuto negli ultimi anni le più grandi
soddisfazioni da altre discipline, ad esempio dal basket. In questo contesto
quali spazi può avere il calcio?
«Il basket a Bologna ha da sempre una grande tradizione, ma il calcio non è da
meno. Sicuramente il tifoso bolognese ha vissuto con molta amarezza il momento
della retrocessione e di quello che poi di lì a poco si è scoperto. Si sarà
magari allontanato un po’, ma per il resto non mi pare ci siano mai state in
città manifestazioni violente. Superato questo momento di crisi, l’entusiasmo è
riesploso. Certo, fa pensare il fatto che in una stagione in cui le squadre di
basket non sono andate benissimo, il Bologna calcio ha disputato un grande
campionato di serie B. Ma ciò non toglie che quella per i rossoblu è una
passione che è sempre stata forte, anche negli anni dei grandi successi della
Virtus».
A quali calciatori sei più legata?
«A tanti, ma ne cito due che mi vengono in mente: Beppe Signori, ancora molto
legato a Bologna, è davvero una persona deliziosa, come la sua splendida
famiglia. Ha dato tanto alla squadra, ma sicuramente ha anche ricevuto molto
visto che, quando è arrivato, era in un momento in cui era da più parti
considerato un giocatore in declino dopo una brutta stagione alla Sampdoria.
Poi, anche se non ho avuto modo di vederlo giocare, ricordo con molto piacere
Giacomo Bulgarelli, una delle prime persone che ho conosciuto lavorando in tv».
Conduci il programma radiofonico Lui e Lei con
Gianfranco Civolani: come vivi questa esperienza?
«Con molto piacere. È un programma visibile anche in streaming, dai ritmi vivaci
e scorrevoli e ho la possibilità di essere a diretto contatto con il pubblico
che mi segue da casa. Con il mio straordinario compagno di lavoro posso parlare
davvero di tutto, dallo sport alla politica, dal gossip allo spettacolo.
Rispetto al programma del lunedì, non ci sono quei ritmi e quelle scalette più
contenute».
Gli apprezzamenti che più ti hanno fatto piacere e le critiche che più ti
hanno ferita?
«Mi piace essere riconosciuta dalla gente per strada che vede in me una persona
molto alla mano e tranquilla. Critiche? Non saprei, in genere non è che te le
dicano in faccia (ride, ndr). Comunque anche quelle fanno parte del
gioco, di un lavoro in cui sei costantemente sotto gli occhi del pubblico».
In un’intervista che è possibile leggere anche sul nostro
forum hai dichiarato che le donne in carriera non possono essere delle buone
madri. Sei ancora convinta di questo?
«E’ davvero difficile gestirsi tra le due cose: non credo tanto a quelle donne
che dicono di riuscire a lavorare 9-10 ore al giorno e a condurre,
contemporaneamente, una piena vita familiare. Quando hai dei bambini piccoli
devi dedicarti molto alla loro crescita e a qualcosa devi pur rinunciare. Si può
lavorare, certo, ma cercando di ritagliarsi più momenti possibili da passare con
i figli. Se hai troppe responsabilità, è difficile avere tempo libero. Quando
poi i figli crescono e acquistano una certa autonomia, è diverso. Ma ci sono
anche donne che non possono scegliere e devono lavorare tutto il giorno per
mantenere i propri figli, e a loro va tutta la mia stima».
E’ per questo, dunque, che in Italia aumentano divorzi e separazioni mentre
diminuiscono le nascite?
«Oggi le donne cercano anzitutto di affermarsi professionalmente, poi magari di
mettere su famiglia».
In futuro continuerai ad occuparti di sport?
«Credo di sì, anche se non si sa mai. Rimane comunque la mia passione
principale, e spero di continuare ad operare in questo senso. Certo, tutto
dipende dalle scelte aziendali...». |
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CRONACA IN ROSA La parità inizia dal locale
di Erica Savazzi
Da dove inizia la parità? A che livello dell’amministrazione
pubblica bisogna agire per attuare delle serie politiche di uguaglianza
uomo-donna? Per il
CCRE
(Consiglio dei Comuni e delle Regioni d’Europa) la risposta è
ovvia: bisogna iniziare dal livello locale, dalle amministrazioni dei comuni,
delle province e delle regioni, ovvero dalle istruzioni con cui i cittadini sono
maggiormente in contatto.
Sono più di 700 le amministrazioni locali che ad oggi hanno
firmato la Carta europea per l’uguaglianza e la parità delle donne e degli
uomini nella vita locale, stilata dal CCRE. Ben 319 dei firmatari sono
italiani, e quindi il nostra Paese risulta essere quello che ha dato più
adesioni in tutta Europa. Seguono – molto distanziati – Portogallo (117),
Svizzera (78) e Spagna (59).
La Carta delinea gli ambiti per la messa in pratica di
principi fondamentali – parità uomo-donna vista come diritto fondamentale e
condizione essenziale di una società democratica – e invita i firmatari a
elaborare, adottare e mettere in pratica un Piano d’azione per la parità. In
particolare si sottolinea che “il diritto alla parità è un
preliminare fondamentale della democrazia, e che la
società democratica non può permettersi di ignorare le capacità, le conoscenze,
l’esperienza e la creatività delle donne”.
Vengono presi in considerazione gli ambiti della politica,
dove viene riconosciuta la parità nel votare, essere candidate/i ed essere
elette/i; del lavoro, col diritto a conciliare la vita professionale,
sociale e privata, diritto a uguali opportunità di sviluppo della carriera,
diritto a una rappresentanza equilibrata tramite la correzione delle disparità
negli inquadramenti di alto livello; della cura di bambini e anziani,
troppe volte delegate alle sole donne; della sicurezza e nella
protezione, in particolare da abusi sessuali e nei casi di tratta di essere
umani; nello sviluppo economico, con la necessità di aumentare la qualità
dell’occupazione femminile, eliminando anche i pregiudizi di genere
nella scelta degli studi; e infine in ambiti come i
trasporti, la casa e la salute.
Una nota a parte merita l’Italia. Pur se è il Paese
con più adesioni alla Carta, le statistiche sono impietose: solo il 10% dei
sindaci è donna e solo il 17% dei consiglieri comunali. La differenza tra le
buone intenzioni e la realtà resta stridente. |
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Francesca Alderisi in Argentina: la mia professione
è la mia passione dalla nostra corrispondente
Silvia Garnero
BUENOS AIRES - Francesca Alderisi, famosa
ex conduttrice di
Sportello Italia (tv-show dedicato alla
tematica degli italiani all'estero trasmesso per Rai International) è arrivata a
Buenos Aires. Per tre settimane è stata ospite di diverse associazioni a Buenos
Aires e Mar del Plata, dove ha incontrato molti telespettatori e ne ha ascoltato
le loro storie, certa di poterle raccontarle a breve in un nuovo programma
televisivo.
Cosa ti ha spinto a venire in Sudamerica?
«Sicuramente l'amore per gli italiani nel mondo.
Devi sapere che nei sette anni trascorsi a Rai International, il tempo per
viaggiare era veramente poco e considerando che il mio programma andava in onda
tutti i giorni per molti mesi consecutivi, il tempo libero lo trascorrevo sempre
per recuperare energie. Da quando Badaloni non mi ha più voluto a Rai
International, ho avuto molto tempo libero e allora, invece di disperarmi e
piangere per avere perso il mio programma, ho deciso di concentrarmi sulla
famosa metà del bicchiere pieno e fare ciò che non mi era stato possibile fare
prima, ovvero viaggiare per incontrare le comunità italiane nel mondo. Dopo
essere stata in Canada, negli Stati Uniti e in Australia, ho deciso che era
arrivato il momento di andare nel Paese dal quale ho sempre ricevuto grandissima
attenzione: l'Argentina. Si tratta di un viaggio emozionante e ricco di
appuntamenti a Buenos Aires e Mar del Plata, dove finalmente ho conosciuto di
persona molti miei telespettatori».
Raccontaci quando è cominciata la tua carriera
televisiva e come sei arrivata ad occuparti degli italiani all'estero.
«Ripensare ai miei esordi televisivi mi porta
indietro alla mia adolescenza, quando sedicenne iniziavo ad andare ai miei primi
provini. Sono passati ormai più di vent'anni e ogni giorno il mio lavoro mi
affascina e piace sempre di più, poiché mi dà modo di emozionarmi e trasmettere
le mie emozioni agli altri, attraverso programmi che abbiano comunque sempre
come filo conduttore l'utilità e il servizio. Di gavetta ne ho fatta tanta:
dalle piccole televisioni regionali sono approdata in Rai e poi a Rai
International, il canale televisivo dedicato agli italiani nel mondo. Proprio
per gli italiani all'estero è nata da parte mia una grande passione. Mi sono
occupata a lungo di tutte le tematiche che li riguardano, in 1200 puntate di
Sportello Italia, trattando non solo dei loro problemi, ma anche di tutto il
filone sentimentale legato all'emigrazione. Con molto orgoglio posso dire oggi
di essere considerata una sorta di "piccola" ambasciatrice degli italiani nel
mondo, ai quali sono legata da un affetto grandissimo, a tal punto da avere da
pochi mesi ideato un sito internet che sta riscuotendo molto successo e che
invito tutti a visitare:
www.prontofrancesca.it».
Abbiamo saputo della decisione di Piero
Badaloni di sostituirti alla guida di
Sportello Italia e, anche se ora hai le tue
puntate su internet, come immagini il tuo ritorno alla televisione, pubblica o
privata?
«Diciamo che il comportamento del direttore di
Rai International
Piero Badaloni nei miei confronti non è stato
a mio avviso un esempio di grande professionalità. Si parla spesso di
meritocrazia e io per prima, avendo coordinato personalmente per molti anni il
mio gruppo di lavoro di Sportello Italia, ho sempre prestato molta
attenzione affinché venissero valutati i reali meriti professionali delle
persone e non le "amicizie", soprattutto politiche. Essere stata sostituita
senza motivo, tra l'altro da un personaggio politicamente di parte, mi ha fatto
capire che Rai International, fino ad allora un'isola felice, con l'arrivo della
nuova gestione si era adeguata ad un sistema che sinceramente non avevo mai
preso in considerazione: l'azzeramento delle professionalità. Sicuramente per me
è stata una grande lezione di vita e ho capito che avere degli ideali costa
molto, ma io continuo a essere una "pura" e sognatrice e proprio per questo
tutti stanno facendo il tifo per un mio rapido ritorno in televisione. Certo,
avrei preferito non dover pensare di tornare solo perché a seguito delle
elezioni politiche ci saranno i soliti cambiamenti ai vertici dell'azienda, ma
se il mondo gira così, non è colpa mia. L'importante è potere continuare a fare
con serietà e libertà creativa il mio lavoro di conduttore e autore televisivo,
continuandomi a occupare di italiani all'estero, come faccio ormai da quasi
dieci anni. Senza dovere essere valutata solo per cambi di venti politici».
Come ti dividi tra la tua professione e gli
altri interessi?
«In questo mi ritengo molto fortunata poiché la
mia professione è la mia passione, quindi gran parte dei miei interessi trovano
pieno appagamento proprio nel mio lavoro. Una mia grande passione resta però, da
sempre, il mare. Da metà giugno mi trasferisco nella mia piccola casetta a
Ponza, un'isola del Mediterraneo dove vado ormai da anni. Lì ritrovo il mio
luogo delle radici e un ritmo di vita più lento, che mi consente di essere a
contatto con la natura e dedicare più tempo a me stessa: per me questo è il vero
lusso». |
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CULT Le
donne invisibili di Sheila McKinnon di
Valeria Scotti
Ci sono donne al mondo che non conoscono il significato della parola “riposo”,
donne che lavorano senza tregua, schiacciate dalla loro stessa
quotidianità. Mani femminili rovinate dalla fatica, e occhi malinconici, eppure
fieri. Le donne degli scatti di
Sheila
McKinnon, fotografa canadese che da molti anni ha scelto l’Italia come
casa, sono le protagoniste della mostra Invisibile Woman. La dignità nel
silenzio.
L’evento itinerante, organizzato in collaborazione con Aidos, Associazione
italiana donne per lo sviluppo, è giunto a Roma lo scorso 4 giugno, allo
spazio Ottagoni nel cuore di Trastevere dove resterà fino al 12 luglio.
Le donne invisibili della mostra sono anche le più povere: sulla loro schiena,
il peso del Sud del mondo. Perché si occupano di sfamare mariti e figli,
di prendere l'acqua, raccogliere la legna da ardere e di costruire la capanna
per l’intera famiglia. E a queste figure, costrette in una società patriarcale,
è preclusa l'istruzione e qualunque tipo di formazione.
La McKinnon conosce bene queste donne. E’ stata al loro fianco nei numerosi
viaggi umanitari, ha accompagnato il ballerino Roberto Bolle, dal 1999
ambasciatore Unicef, durante l'ultima visita in Sudan, e ha dato voce alle
iniziative di Aidos in Siria, Nepal e l'India, realizzando foto del progetto di
scolarizzazione per le bambine e ragazze degli slum di Calcutta.
Anime con cui «non ho potuto parlare spesso perché c'erano delle differenze di
lingua - rivela la fotografa - ma con i gesti, il contatto visivo, con il
sorriso, con la curiosità loro e anche mia, abbiamo dialogato».
Attraverso le fotografie in mostra – circa trenta - i riflettori sono puntati
sulla condizione femminile in India, Etiopia, Yemen, Turchia, Mali, Mozambico,
Kenya, Tanzania, Vietnam, Siria, Eritrea, Sierra Leone, Senegal, come segno di
speranza e di miglioramento. Una luce affinché l’invisibile diventi più
visibile a quella parte di mondo che ancora è cieco. |
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DONNE Nicoletta
Maraschio, la prima donna alla Crusca di
Federica Santoro
Il tempio sacro della lingua italiana dallo scorso 16 maggio
si è tinto di rosa. Per la prima volta in quattro secoli
di storia, la prestigiosa Accademia della Crusca
elegge una donna come sua presidente: Nicoletta Maraschio,
pavese di nascita, fiorentina d’adozione.
Sono passati 137 anni dall'ammissione della prima donna in
Accademia, Caterina Franceschi Ferrucci nel 1871, e altri cento prima che la
presenza delle donne in Accademia divenisse interessante. Solo nel 1997 infatti
Giovanni Nencioni, allora presidente, decise di raccogliere attorno a sé un
Consiglio direttivo tutto al femminile. C’è voluto tempo, ma alla fine anche
una delle istituzioni italiane più tradizionaliste è stata conquistata dalla
professionalità e dalla bravura di una donna.
Ricercatrice presso l’Accademia dal 1974,
vicepresidente dal 1997 sotto la presidenza di Nencioni e
Sabatini, la Maraschio si è laureata in lettere all’Università di Firenze. Dal
1995 è professore ordinario
di Storia della lingua italiana e occupa oggi la stessa
cattedra che fu del suo maestro Giovanni Nencioni. Fa parte del collegio del
Dottorato e della Scuola di dottorato in linguistica dell'Università di Firenze.
Inoltre è direttore del Centro di grammatica italiana e della rivista Studi
di grammatica italiana.
Ha promosso progetti di studio finalizzati all’alta
formazione, fra l'Accademia della Crusca e l'Università di Firenze, soprattutto
attraverso la creazione di un centro, il
CLIEO (Centro di Linguistica Storica e Teorica:
Italiano, Lingue Europee, Lingue Orientali), che riunisce dipartimenti
universitari e centri italiani e stranieri tra i quali, appunto, la Crusca. Del
CLIEO è stata direttore dal 2004 al 2007. Ha coordinato diversi progetti di
ricerca nazionali e dal 2001 dirige insieme a Sergio Raffaelli la collana
L'italiano in pubblico presso l'editore Cesati.
Un’intensa attività di ricerca la sua, che in
trent’anni vanta studi su temi e autori dal Rinascimento fino ai nostri giorni,
passando da Boccaccio a Pirandello e a Pratolini. Negli ultimi anni si è
interessata ai mezzi di comunicazione di massa, radio e televisione, sfatando la
convinzione che si tratti di tecnologie che deturpano la lingua italiana.
«La tv del chiacchiericcio, sì, è deleteria - commenta -
perché con la sua banalità svuota le parole di significato. Ma ci sono anche
programmi utilissimi. E poi mi piacciono le
giornaliste radiofoniche. Sanno dialogare con gli
ascoltatori uscendo dai confini del gergo». E questo ci fa molto piacere. |
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TELEGIORNALISTI
Marco Rossi, voce all'Emilia Romagna
di
Giuseppe Bosso
Marco Rossi,
giornalista professionista dal 1996, è coordinatore della redazione bolognese
del Tg di
E-tv Rete 7,
dove lavora da 18 anni.
Gioie e dolori di un giornalista dell’Emilia Romagna?
«La nostra regione non è terreno fertile per la cronaca rispetto ad altre
grandi città dove è sempre all'ordine del giorno, ma ciò non vuol dire che non
esista. Anzi, ce ne siamo occupati spesso, a partire dall'inizio degli anni 90
per i fatti della Uno Bianca fino ai giorni nostri tra incidenti, risse,
violenze».
Questo significa che la sua regione è ugualmente in grado di offrire una
buona base di partenza per un aspirante giornalista?
«Direi né più né meno di altre regioni. Certo, non possiamo fare un confronto
con gli standard delle grandi metropoli come Milano e Roma, ma nel nostro
piccolo ce la caviamo».
Grillo ha preso di mira l’Ordine
dei giornalisti, tanto da chiederne l’abolizione: cosa ne pensa?
«La richiesta di Grillo non interessa nessuno. Comunque l'esigenza di riforma
dell'accesso alla professione è ben nota a tutti i giornalisti. Io direi che,
più che abolire l’istituto, va riformato a cominciare dalle vie di accesso alla
professione che vanno regolarizzate assolutamente per combattere un vero e
proprio far west che si è creato. E’ importante che accedano persone competenti
e culturalmente preparate, proprio per quello che richiede un mestiere bello e
difficile come il nostro».
Si trova meglio a interagire con colleghi uomini o con donne?
«Con uomini, ma a scanso di equivoci spiego subito il perché: rispetto alle
donne non avverto tutta quella competitività e quella difficoltà di gestione
che, come coordinatore, mi sono trovato spesso ad affrontare. Al di là di
questo, comunque, la professionalità è la prima cosa a cui tengo e da questo
punto di vista posso dire di aver lavorato con persone valide, sia uomini che
donne».
Le notizie che più ha piacere di dare e quelle che non vorrebbe mai
affrontare nel telegiornale?
«Lavorando in una tv locale, il primo obiettivo è raggiungere il territorio in
cui si opera, le persone con cui si è più a stretto contatto, per cui è chiaro
che siamo sempre felici di poter parlare di cose belle, di fatti positivi che
abbiamo modo di seguire dal vivo. Le notizie sui prezzi e argomenti simili sono
ormai all'ordine del giorno e vengono raccontate per come sono, senza
particolare entusiasmo ma anche senza problemi, cercando di approfondire il
perché. Quelle di cronaca, soprattutto quando si riferiscono a fatti drammatici,
sono sempre le più difficili e spiacevoli da raccontare».
Il caso Travaglio-Schifani, al di là delle polemiche, ha riportato
all’attenzione il problema della libertà di informazione nel nostro Paese e del
rapporto con le istituzioni. Lei cosa ne pensa?
«Non è un luogo comune dire che la politica ci condiziona. E’ un problema
molto presente nel nostro Paese e non si può dire che siamo del tutto liberi.
Quanto a
Travaglio, lo ritengo indubbiamente un ottimo professionista e una persona
in gamba, però penso che bisogna distinguere tra le denunce che si fanno in base
a fatti circostanziati e precisi, sui quali non si può obiettare nulla, dalle
affermazioni gratuite per le quali occorrerebbe un vero contraddittorio». |
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SPORTIVA
Agnese Allegrini: Pechino, il sogno degli altri
di
Pierpaolo Di Paolo
Agnese Allegrini, 26enne campionessa di
badminton, è approdata ai giochi
olimpici di Pechino. Per l'Italia è la prima volta: mai un nostro
atleta era arrivato così in alto in questa disciplina.
Per la
FIBA (federazione italiana badminton) è una giornata storica, tanto da
aggiornare il logo della federazione. E il suo presidente -
Alberto Miglietta - è addirittura
raggiante: «Per noi è l'evento. Questa qualificazione scrive la storia del
nostro movimento che è in continua crescita. Raccogliamo i frutti di un progetto
dedicato ai giovani e lanciato nelle scuole. Gli istruttori affiancano gli
insegnanti seguendo i ragazzi dalle elementari alle superiori, ed il volano è
uno strumento simpatico: una volta che entra in una scuola non ne esce più. Il
nostro obiettivo è diffondere tra i ragazzi uno sport pulito dal doping
come dalle scorrettezze. Uno sport inteso come valore, formazione, divertimento.
Inoltre racchetta e volano costano poche decine di euro, quindi è uno sport
accessibile a tutti e questa è una gran bella cosa».
Nessun riferimento all'imminente ritiro
dell'azzurra, per cui l'annuncio della stessa atleta, seguito dalle spiegazioni,
sorprendono con la violenza di uno schiaffo. Lo sfogo della Allegrini ha il
sapore amaro della denuncia.
«Se ripenso a tutti gli anni che sono
passati, non riesco proprio a sorridere. A me in realtà quasi non fa effetto
questa storica qualificazione. Ho vissuto per 10 anni con pressioni allucinanti,
adesso sono solo nauseata. Ho imparato che nella vita bisogna fare quello che si
sente di voler fare, bisogna crederci veramente. Invece io non ho mai giocato
perché mi piaceva, l'ho fatto perché vincevo sempre, e più vincevo più dovevo
giocare. Così non va bene, ci si logora troppo».
E ancora: «Quando ho cercato di smettere non
ci sono riuscita, mi stavano tutti addosso, mi dicevano che stavo facendo un
errore. Io non ho avuto la forza, temevo di fare la scelta sbagliata e così ho
continuato. Dopo Pechino mi ritiro, sono stanca di giocare. Ho deciso e
fortunatamente la Federazione ha già accettato senza polemiche».
Quando lo sport non è più divertimento, ma
solo risultato a tutti i costi, non è poi più una gran bella cosa.
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