Telegiornaliste
anno III N. 30 (108) del 30 luglio 2007
Come far arrossire Marco Travaglio
di Silvia Grassetti
Ostenta tranquillità e si muove con pacatezza in ogni
contesto: che sia alla presentazione del suo ultimo libro, in tv ospite di
Luttazzi (chi non ricorda la puntata di
Satyricon che costò il posto al comico e la vicenda
giudiziaria che ne seguì?), o ad Anno Zero a leggere le sue lettere
fastidiose indirizzate ai vari protagonisti delle cronache politiche e
giudiziarie.
Marco Travaglio dimostra
sempre un aplomb che fa invidia: l’ultimo in ordine di tempo a caderne
vittima è stato
Giancarlo Perna de il Giornale, secondo cui
l’incrollabilità di Marco risiede nel non dire le proprie opinioni, limitandosi
a tradurre in italiano il «gergo delle carte bollate».
Travaglio ha risposto agli appunti di Perna con la solita calma. La
querelle che ne è nata non sembra sfiorarlo.
Solo noi di Telegiornaliste siamo riusciti a metterlo in imbarazzo.
Non è stato facile.
Per prima cosa tentiamo di blandirlo: magari arrossirà compiaciuto.
Marco, il lavoro di giornalista che stai facendo è unico, nell’Italia
degli ultimi anni.
«No, non è unico, assolutamente: nei giornali ci sono tanti che lavorano
bene. Purtroppo in televisione è molto più difficile, ma nei giornali ce ne sono
tanti».
Nulla di fatto: ci ha risposto senza battere ciglio, mantenendo il
colorito roseo di sempre. Tentiamo allora con una
critica.
Critichi
la tv ma la fai: eppure quella televisiva è comunicazione, non informazione.
«E’ proprio pubblicità! La gran parte dell’informazione in televisione è
pubblicità ai partiti che la controllano. La tv è costruita dai partiti a loro
immagine e somiglianza. Non so nemmeno se sia giusto prendersela con questo o
con quello. Chiaro che Vespa è una cosa al di là del bene e del male, ma Vespa è
anche il prodotto della televisione dei partiti. Se non ci fossero i partiti non
dico che Vespa non avrebbe nemmeno una serata, ma sicuramente non ne avrebbe
quattro».
Ammirati dal suo self control, possiamo solo dichiarare la resa.
Gli chiediamo con sguardo sognante se noi orfani di Montanelli possiamo
iniziare a chiamarlo papà.
E qui avviene l’insperato. Marco arrossisce, abbassa gli occhi,
e quasi balbettando risponde:
«No assolutamente, non c’è… Io non c’entro niente… Grazie per
l’incoraggiamento ma proprio… C’entro solo per il fatto che ho lavorato in due
suoi giornali…».
Missione compiuta.