Archivio
Telegiornaliste anno XX N. 2 (749) del 17 gennaio 2024
indice della pagina:
Tgiste |
Tutto TV |
Donne |
TGISTE
Elena Malizia, basta violenza
di Giuseppe Bosso
Abbiamo il piacere di incontrare
Elena Malizia, volto del
Tg2 e scrittrice.
Ricordi la tua prima conduzione al Tg2?
«Sì, certo. Non il giorno esatto, ma ricordo bene il mio stato d’animo e
anche i vestiti che indossavo. Era l’edizione delle 8:30, d’estate. Ero
tesa e avevo passato la notte praticamente in bianco, con la paura di
non svegliarmi in tempo, dato che dovevo essere al trucco alle 6 del
mattino. Sono una persona ansiosa, ma riesco a controllare le emozioni
ed è andato tutto bene. La conduzione comunque è arrivata nel 2018, dopo
15 anni di Rai e tante dirette. Stare in studio è un’altra cosa, ma
l’esperienza sul campo aiuta».
L’anno scorso hai vinto il premio International Milano per Giù la
maschera: com’è nato il tuo libro e cosa ti ha spinto a tirarlo
fuori dal cassetto?
«Il libro era nato parecchi anni fa, dopo la morte di mia nonna, per
elaborare il lutto. Anche se la vicenda è inventata, è in parte ispirata
alla sua figura. Ci sono dolore e profondità, ma anche molta ironia, che
per me è sempre stata salvifica. Molti spunti sono arrivati da
esperienze personali, ma il romanzo era rimasto incompiuto, per una
sorta di pudore a esporlo al giudizio altrui. Poi in pandemia, durante
l’isolamento obbligatorio di rientro dalle trasferte nelle zone rosse,
ho ripensato alla mia storia, che è in parte ambientata a Venezia e
inizia da una festa in maschera. Ho sentito un dovere nei confronti di
Eva -la protagonista – e delle sue amiche: avevano molto da dire e
meritavano di uscire dal cassetto, così come io avevo bisogno di
trasformare in creatività quella sospensione surreale. Ho ripreso in
mano il romanzo inserendolo in una nuova cornice, con un’ introduzione
ambientata al tempo del covid, quando Venezia per la prima volta è
rimasta senza il suo Carnevale. La maschera del titolo fa riferimento
sia a quelle della festa, sia alle maschere che si indossano nella vita
e che spesso alla fine cadono, dato che i personaggi si scopriranno
diversi da quelli che pensavano di essere. Al premio l’ho iscritto quasi
per gioco: volevo testare come sarebbe stato accolto da una giuria, più
imparziale rispetto al parere di amici o conoscenti. E’ arrivato primo e
la gratificazione più bella è stato il commento dell’editore, che ha
motivato la scelta dicendo che aveva suscitato forti emozioni».
Violenza sulle donne, crisi economica, guerra, ingiustizie sui
deboli: se potessi sceglierne una, quali di queste piaghe non vorresti
più dover raccontare al tg?
«Eh. Difficile scegliere, ma sicuramente la prima, la violenza sulle
donne, la racconto troppo spesso. Se non dovessi più parlarne vivremmo
in una società cresciuta dal punto di vista culturale e umano, capace di
educare gli individui alla gestione delle proprie emozioni e al rispetto
di quelle degli altri, della vita in senso lato. Ho partecipato come
relatrice a diversi convegni sul tema che mi tocca da vicino, quindi
direi senz’altro la violenza sulle donne».
Il Tg2 negli anni ha saputo sviluppare spazi di approfondimento che
hanno coinvolto anche te: quali sono le tematiche su cui hai
maggiormente preferito soffermarti?
«Devo in parte ripetermi: la violenza di genere è un tema su cui mi sono
spesso soffermata, ma ce ne sono stati molti. Dalle adozioni agli
infortuni sul lavoro, dalle persone scomparse ai gialli irrisolti che
hanno occupato negli anni le pagine di cronaca. Oltre al racconto da
inviata sui luoghi delle tragedie degli ultimi anni: il terremoto del
centro Italia e il crollo dell’hotel Rigopiano su tutti».
Per te arrivare alla conduzione del tg del servizio pubblico è stato
un punto di arrivo o una nuova ripartenza?
«Non credo ci sia mai un vero punto di arrivo nel mio mestiere e si
tratta in fondo della conduzione di un’edizione minore, potrei aspirare
ad altro e cimentarmi in ambiti diversi. Direi più una ripartenza».
Chiudiamo con una piccola considerazione estetica: vedo che dal punto
di vista del look sei sempre molto sobria, in questi tempi dove immagine
e apparenza sembrano farla da padroni anche nel mondo dell’informazione
è sempre il modo migliore per ‘entrare in casa’ degli spettatori?
«Secondo me sì, è il modo migliore per entrare in casa dei
telespettatori. E non vorrei che un look troppo appariscente o
aggressivo li distraesse dall’informazione che veicolo. Voglio che si
concentrino su quello che dico, non su come mi vesto. E comunque un
outfit non sobrio non rispecchierebbe il mio modo di essere:
semplicemente mi sentirei a disagio. Rispettare la propria natura penso
sia la chiave per lavorare al meglio». |
indice della pagina:
Tgiste |
Tutto TV |
Donne |
TUTTO TV
Ascesa e declino di Riverdale
di Giuseppe Bosso
Con la settima stagione si è conclusa la serie teen-mistery
Riverdale.
Ideata dallo sceneggiatore Roberto Aguirre-Sacasa nel
2017, basata sui celebri fumetti della raccolta
Archie Comics (che avevano in passato già avuto
diversi adattamenti anche animati, tra i quali la serie
Zero in condotta che in Italia ricordiamo più per
l’immancabile sigla cantata da Cristina D’Avena) nel
corso delle sette stagioni ha catalizzato l’attenzione dei
fans sparsi in tutto il mondo che hanno trepidato per
le vicende dei vari Archie Andrews, Betty Cooper,
Cheryl Blossom e il narratore Jughead Jones,
interpretato da Cole Spourse.
Le prime tre stagioni hanno rappresentato sicuramente
il momento di massimo fulgore della serie che poi
però, complice anche un non felicissimo e ben gestito
balzo temporale che ha catapultato i giovanissimi
protagonisti dall’ultimo anno di scuola a sette anni in
avanti, alle prese non solo con gli intrighi e i misteri
che li avevano resi celebri ma anche con le prime
problematiche della vita adulta, ha progressivamente
conosciuto la sua fase discendente.
E proprio quel balzo in avanti nel tempo, verosimilmente, ha
rappresentato il classico ‘salto sullo squalo’ per
Riverdale (espressione che, prendendo spunto da una
puntata di Happy Days, definisce il momento in
cui una serie tv fino a quel momento amatissima intraprende
il declino che presto o tardi porterà alla
conclusione) che ha provato, nelle ultime stagioni, a
risalire la china con un’ambientazione più fantasy,
anche con la collaborazione saltuaria del personaggio di
Sabrina Spellman, protagonista della ‘serie gemella’
Le terrificanti avventure di Sabrina
(interpretata da Kieman Shipka), ma che pur
riscuotendo consensi da parte dei più affezionati
sostenitori non è riuscita a riportare la serie al suo
iniziale fulgore.
Rimane comunque fermo il successo di un teen drama
che, nel passaggio dagli anni ’10 agli anni ’20 di
questo secolo ventunesimo, ha innegabilmente rappresentato
un punto fermo per i giovanissimi dell’epoca,
come era stato negli anni ’90 l’altrettanto
celeberrimo Beverly Hills 90210, che tra i
suoi protagonisti poteva vantare Luke Perry, in
Riverdale interprete di Fred Andrews, padre di
Archie, protagonista di punta, purtroppo venuto a mancare
nel 2019 e a cui è stato dedicato in memoria il primo
episodio della quarta stagione.
|
indice della pagina:
Tgiste |
Tutto TV |
Donne |
DONNE
Emanuela
Esposito Amato, ho chiuso con…
di Giuseppe Bosso
Abbiamo il piacere di incontrare nuovamente la scrittrice
napoletana
Emanuela Esposito Amato, che ci parla della sua
ultima fatica letteraria, pubblicata per la casa editrice Guida.
Ho chiuso con te, ambientata tra Napoli,
Caivano e Parigi: due gemelle, un passato tragico alle spalle,
legami che si sono spezzati, legami che si ricreano.
Bentrovata Emanuela: senza spoilerare possiamo anticipare che
la storia, come nelle
tue opere precedenti, è narrata in prima persona dai
protagonisti, con momenti di flashback che riportano al passato
di due personaggi chiave: come mai questa scelta narrativa?
«Racconto sempre in prima persona attraverso una doppia
narrazione perché mi piace immergere il lettore nel libro, e in
questo senso la scrittura in prima persona e la tecnica dello
show don’t tell, cioè mostrare anziché raccontare le azioni,
fanno in modo che si immedesimi nella scena. Tuttavia i
flashback, il passato che nessuno poteva raccontare, avviene in
terza persona proprio perché nessuno poteva raccontare quel
trascorso, quella vita che cambia con una separazione tra due
protagoniste, fino al momento in cui un evento traumatico
costringe una delle due che aveva trovato la sua affermazione
ritornare nel luogo delle sue origini… ma non anticipiamo,
lasciamo che il lettore scopra la storia dall’inizio alla fine!
Comunque sì posso dire che troverete tante voci e ambientazioni
diverse, dal parco verde di Caivano tristemente passato alla
ribalta delle cronache, Parigi e in particolare alcune location,
e Napoli, via Toledo, Piazza del Plebiscito e Santa Lucia».
Possiamo dire che il racconto in prima persona della vicenda
dal punto di vista del singolo personaggio, piuttosto che in
terza persona, è la maniera per consentire al lettore di
considerare le diverse prospettive della storia senza
necessariamente tifare o parteggiare per uno o l’altro dei
protagonisti?
«Sì, è quello che ho cercato di fare. Nella mia maniacalità ho
cercato di dare spazio ai vari protagonisti affinché ognuno
avesse uno spazio e una gerarchia ben definita, protagonisti,
coprotagonisti e semplici comparse del momento. Posso comunque
dire che ci sono due componenti ‘reali’ per così dire che ho
inserito, ovviamente con il consenso dei diretti interessati:
anzitutto una carissima amica, l’artista Cinzia Bevilacqua, che
apparirà e avrà un contatto diretto con alcuni personaggi; e le
maschere di Venezia realizzate da un atelier che esiste
realmente; lascio al lettore capire il significato metaforico di
queste maschere che verranno inserite a un certo punto nel
racconto, ma vi posso dire che ho chiesto anche alla
proprietaria dell’atelier come a Cinzia il permesso di inserire
la loro attività nel racconto».
Storia diversa ma innegabilmente per chi conosce le tue
opere precedenti è inevitabile riscontrare analogie con i
protagonisti delle tue opere precedenti, per aspetti come la
creatività come elemento essenziale del lavoro e l’ingombrante
presenza di una figura materna che non accetta che un figlio
abbia una vita recisa dal cordone ombelicale.
«Mi è stato fatto notare, anche se si è riscontrato, per esempio
rispetto a Il diario Segreto di Madame B e Uno squillo
per Josephine che si caratterizzavano per lati anche
ironici, una maggiore durezza, legati anche allo stato d’animo
di un periodo particolare che ho vissuto, e per i temi
particolari che ho trattato, la manipolazione soprattutto. Chi,
magari anche inconsciamente, non ha trovato nella sua vita
persone che hanno certato di manipolare o di essere manipolate a
loro volta? È una tematica che riscontro in molte circostanze
della nostra vita, e ho ritenuto di affrontarla».
Punto di partenza, almeno dal punto di vista cronologico
della trama è Caivano, località tristemente salita alla ribalta
la scorsa estate: i fatti di cronaca che hanno portato a un
drastico intervento del Governo hanno avuto incidenza con la tua
decisione di ambientare lì parte della storia?
«Avevo iniziato a progettare la storia e le ambientazioni da
tempo, da settembre del 2022; avevo scelto Caivano dopo aver
potuto riscontrare in prima persona l’ostilità che viene
riservata alla gente che non è di lì, mi ero recata per
documentarmi e non posso certo dire di essere stata trattata
cordialmente, avevano visto che stavo facendo delle foto al
Parco e, insomma, mi hanno fatto capire che non era cosa gradita
e che avrei fatto meglio ad andarmene… quando poi la scorsa
estate sono successi quei fatti di cui parlavi, tutti i lettori
mi hanno detto “ma ti sei ispirata?”, mentre invece, come ti
dicevo, è una scelta molto precedente, che nasce dall’intenzione
di individuare come punto di partenza delle protagoniste del
libro un luogo di degrado».
Tema ricorrente del romanzo come dicevi è la manipolazione:
manipolazione da parte di un genitore; manipolazione di un
aspirante politico; persino manipolazione, per così dire,
dall’altro mondo: qual è il messaggio che hai cercato di
trasmettere da questo punto di vista?
«Di fare attenzione a certi piccoli segnali, sia da parte delle
persone che conosciamo che dalle nuove conoscenze; altrimenti
rischiamo di finire nelle grinfie di chi ci tratta come
burattini, o con le preghiere o in maniera dura; e purtroppo mi
è capitato tante volte».
Napoli e Parigi fanno da sfondo anche stavolta alla tua
opera, come è stato per i tuoi precedenti libri: ma tu dove hai
trovato davvero il tuo posto al sole, se dovessi scegliere tra
una vita all’ombra del Vesuvio o una vita sulle rive della
Senna?
«Fifty-fifty(ride, ndr) sono nata a Napoli, e sappiamo tutti le
difficoltà che abbiamo, al di là di tutte le bellezze,
artistiche e anche gastronomiche, che offre una città che da
turista è sicuramente bellissimo visitare ma viverci è davvero
un’altra cosa; lo stesso per Parigi, al di là di tutto quello
che offre in termini di servizi come i trasporti; viverci non è
così bello come sembra, devi imparare la lingua e calarti
completamente nella realtà, come ha fatto una delle protagoniste
del libro, che ho voluto raccontare anche sotto questo aspetto
usando dei riferimenti legati alla mia esperienza personale, in
termini di ambientazioni che si svolgono in una parte della
città lontana dalla Parigi che conoscono i turisti, proprio per
portare il lettore a respirare quell’atmosfera».
L’anno purtroppo è iniziato per te con una brutta
disavventura, hai subito l’hakeraggio dei tuoi profili social:
al di là del disagio e dei problemi che ti ha creato in futuro
non potrebbe diventare uno spunto per un futuro romanzo?
«Ci penserò. Potrebbe essere uno spunto, magari per un giallo,
anche se questo libro, diverso dagli altri precedenti, ha
qualche sfumatura, non intesa nel senso ‘classico’ di mistero su
cui indagare».
|
indice della pagina:
Tgiste |
Tutto TV |
Donne |
|