Intervista a Isabella Schiavone | tutte le interviste |
Telegiornaliste anno VI N.
5 (222) del 8 febbraio 2010
Isabella Schiavone: la gavetta prima di tutto di Giuseppe Bosso Giornalista professionista dal 2002, Isabella Schiavone ha alle spalle una lunga gavetta. Le prime esperienze nelle emittenti locali e nazionali, in agenzie di stampa, quotidiani, testate on line e trasmissioni radiotelevisive, fino al primo contratto in Rai, al Gr1. Dal 2000 lavora al Tg1. Ha vinto il Premio Giornalistico Luchetta Hrovatin, nel 2006, con un'inchiesta sulla droga a Scampia. Ha frequentato inoltre il Corso di Specializzazione della Fondazione Cutuli per inviati in aree di crisi. Cosa ricorda delle sue esperienze in Kosovo e Libano, al seguito di due missioni? «È stata un'esperienza formativa che ho potuto fare grazie ad una borsa di studio nell'ambito del Corso di Specializzazione della Fondazione Cutuli. Ho potuto seguire da vicino il lavoro delle truppe in queste zone a rischio e accedere in tutta sicurezza anche nei luoghi più pericolosi. Ma per contro va anche detto che in queste condizioni il tuo lavoro rischia di essere 'filtrato'». Quale deve essere, secondo lei, l'atteggiamento che l'informazione dovrebbe mantenere di fronte ad un'emergenza come quella di Haiti? «Documentare la realtà di questa tragedia mantenendo la massima dignità e il massimo rispetto per chi soffre, evitando di cadere in espedienti squallidi per fare ascolti. Per quanto mi riguarda, non sono mai stata sull'isola e seguo il lavoro dei colleghi che sono lì». Nel 2006 vince il Premio Luchetta Hrovatin con un'inchiesta su Scampia: come si è avvicinata a questo quartiere napoletano, tristemente noto ai media? «È stata una casualità. Da sempre, essendo laureata in sociologia, seguo da vicino il terzo settore sul degrado e sulle zone a rischio. Lavoravo a Uno Mattina con Monica Maggioni che mi chiese di andare lì quando questa zona di Napoli acquistò una triste notorietà per il proliferare di delinquenza e degrado. Sono stata due giorni a Napoli con una troupe del posto, cercando di documentarmi da tutte le possibili visuali, seguendo i 'falchi' e intervistando le persone che vivono nel quartiere. Una realtà ricca di spunti che ho vissuto da ogni lato; da lì alla realizzazione del reportage, il passo è stato breve». Lei, che ha affrontato una lunga gavetta prima di arrivare a Raiuno, è anche docente al Master in Giornalismo dell'Università di Tor Vergata. Nei suoi studenti intravede questa propensione ad una lunga e faticosa scalata? «Premesso che non si sceglie ma si arriva dove si lavora, e questo dipende anche da tanti fattori come saper cogliere l'occasione giusta, avere l'opportunità di farsi conoscere e farsi stimare, devo dire che nei miei studenti avverto una grandissima voglia di fare e di esprimere le loro idee. Non credo che la propensione al sacrificio e alla gavetta sia un requisito generazionale, ma soggettivo. Per la mia esperienza, con 28 studenti, vedo molta disponibilità ed entusiasmo. Poi certo, capita che ci sia qualcuno che auspichi ad avere tutto e subito». Cosa pensa di Telegiornaliste? «Un fenomeno curioso e divertente, un modo simpatico di far conoscere agli spettatori quel dietro alle quinte del mondo dell'informazione che passa quasi sempre sotto silenzio». |
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