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Intervista a Francesca Caon   Tutte le interviste tutte le interviste
Francesca CaonTelegiornaliste anno XX N. 4 (751) del 31 gennaio 2024

Francesca Caon, vocazione pubbliche relazioni
di Giuseppe Bosso

Un percorso professionale costruito nel tempo, dall’Accademia di Arte Drammatica alla consapevolezza che la sua strada, sia pure sotto una forma diversa, era legata al mondo della comunicazione. Incontriamo Francesca Caon.

Benvenuta sulle nostre pagine Francesca: una vita sotto i riflettori ma dietro le quinte, almeno così potremmo definirti; come si è svolto il tuo percorso che inizia all’Accademia di Arte Drammatica e oggi è diventato la tua agenzia?
«La mia carriera è iniziata all’Accademia di Arte Drammatica, un palcoscenico che mi ha insegnato l'arte della comunicazione e dell'espressione. Questi anni formativi hanno gettato le basi per comprendere profondamente il potere del racconto e dell'interazione umana e per evolvere in un interesse per le storie, le persone e il modo in cui queste interagiscono con il pubblico, competenze che ho trasportato nel mondo delle pubbliche relazioni. Fondare CAON Public Relations è stata la concretizzazione di questo mio interesse crescente, un luogo dove le storie si intrecciano con le strategie comunicative per creare connessioni significative. Il mio primo sogno, quello di calcare le scene come attrice, è stato il catalizzatore di ogni mia successiva scelta professionale. Il cinema e il teatro sono rimasti i miei primi amori, fonti inesauribili di ispirazione. Dopo il diploma in Accademia d’Arte Drammatica del Teatro Stabile del Veneto nel 2004, ho avuto la fortuna di collaborare con figure di spicco del panorama artistico italiano, un'esperienza che ha rafforzato la mia vocazione e ampliato il mio orizzonte verso nuovi ambiti espressivi. La scelta di trasferirmi nella capitale, Roma, ha aperto la porta a inedite opportunità nel settore televisivo, permettendomi di collaborare con programmi di prestigio e di avvicinarmi al mondo della musica, lavorando con etichette che hanno fatto la storia. Queste esperienze hanno arricchito il mio bagaglio culturale e professionale, insegnandomi il valore del lavoro di squadra e l'importanza di adattarsi a diversi contesti mediatici. Ogni passo lungo questo cammino ha lasciato un'impronta nella mia visione professionale, portandomi a valorizzare le storie personali e collettive e a promuovere un dialogo costruttivo tra il pubblico e i vari protagonisti del panorama culturale ed economico italiano».

Dalla provincia veneta alla capitale, le prime collaborazioni con personaggi della televisione come Eleonora Daniele, esperienze anche con etichette musicali e così via: quando hai capito che la tua strada era legata al mondo delle pubbliche relazioni?
«Lavorare a fianco di personaggi televisivi del calibro di Eleonora Daniele e molti altri come Luciano Rispoli, Ricky Tognazzi, Simona Izzo e immergermi nell'industria musicale attraverso il lavoro con etichette discografiche ha acceso in me la consapevolezza della potenza comunicativa e del potere delle relazioni umane. Ho realizzato che la mia strada era intrinsecamente legata al mondo delle pubbliche relazioni in un momento di profonda riflessione, in cui ho riconosciuto come le mie abilità e passioni potessero convergere in questo ambito. La capacità di ascoltare, interpretare e raccontare storie, di tessere relazioni significative, non solo tra individui ma anche tra un pubblico e un marchio, si è rivelata essere la chiave per costruire buone reputazioni. Questa passione si è trasformata in una vocazione quando ho iniziato a osservare gli effetti concreti del mio lavoro: vedere come una campagna ben congegnata potesse accendere l'interesse del pubblico e come una gestione attenta delle relazioni potesse aprire porte inaspettate».

Secondo te in Italia ma non solo, almeno limitandoci al mondo europeo non anglosassone, abbiamo saputo sviluppare una chiara concezione di cosa sono queste ‘public relations’ in modo corretto?
«La comprensione del concetto di 'public relations' (PR) in Italia e nel contesto europeo non anglosassone si sta espandendo e approfondendo, seguendo un percorso che si distingue per alcune peculiarità rispetto al modello anglosassone. Tradizionalmente, in questi contesti, il termine 'pubbliche relazioni' ha spesso assunto una connotazione più limitata, focalizzata principalmente su attività come l'organizzazione di eventi o la gestione della stampa. Tuttavia, con la crescente globalizzazione e l'interscambio culturale, la visione sta diventando più ampia. In Europa, e in Italia in particolare, ci stiamo avvicinando a una comprensione più completa e sfaccettata delle PR, che comprende non solo la gestione dei media e l'event planning, ma anche la comunicazione strategica, la gestione della reputazione, il branding, le relazioni istituzionali e il digital marketing. In Italia, le PR si stanno configurando come uno strumento fondamentale per la crescita e il posizionamento delle imprese sul mercato, così come per la promozione dell'immagine pubblica di figure professionali e personaggi pubblici. Questo processo di maturazione sta portando alla luce l'importanza di un'accurata comprensione dei bisogni e delle aspettative del pubblico, nonché della creazione di messaggi autentici e coerenti che possano risuonare in un panorama comunicativo sempre più saturo e competitivo. Nonostante questa crescita, la strada verso una piena valorizzazione delle PR è ancora lunga. Sfide come la digitalizzazione, la comunicazione multiculturale e la necessità di una maggiore trasparenza e etica professionale stanno spingendo i professionisti del settore a continuare a formarsi, a innovare e a sperimentare nuove strategie comunicative. In questo contesto, l'Italia e l'Europa non anglosassone hanno l'opportunità di definire un proprio modello distintivo di public relations, che possa rispondere efficacemente alle specificità culturali e alle dinamiche del proprio contesto socio-economico».

Nel mondo di oggi dove i social e l’immagine la fanno da padroni o comunque hanno un’influenza dominante la chiave per un brand di successo è sempre la sostanza?
«In un'epoca in cui i social media regnano sovrani e l'immagine pubblica può essere costruita e demolita con una rapidità senza precedenti, sorge spontanea la domanda: è l'immagine o la sostanza a determinare il successo di un brand? La verità è che, nonostante l'indubbio impatto visivo e la capacità di catturare l'attenzione tramite i social, la sostanza non ha mai smesso di giocare un ruolo cruciale. Un brand di successo, oggi più che mai, è chiamato a navigare le acque complesse di un mercato che valuta l'autenticità tanto quanto l'estetica. La sfida per i brand moderni sta nel creare un'immagine che sia non solo esteticamente accattivante e in linea con le tendenze visive del momento, ma che sia anche intrisa di valori autentici e tangibili. La sostanza di cui parliamo è un amalgama di qualità del prodotto, etica aziendale, responsabilità sociale e capacità di connessione emotiva con il consumatore. In questo contesto, i social media offrono una piattaforma per raccontare storie, per condividere non solo prodotti, ma anche ideali, visioni, e per avviare conversazioni significative. La relazione che un brand costruisce con il suo pubblico attraverso questi canali, deve essere nutrita con coerenza e integrità, perché i consumatori di oggi sono informati, esigenti e ricercano una connessione più profonda con le marche a cui affidano la loro lealtà».

L’Italia con tutte le sue problematiche e le sue contraddizioni rappresenta ancora una possibilità o in prospettiva futura, facendo anche riferimento alle tue esperienze passate, ti vedi più all’estero?
«L'Italia, nonostante le sue numerose sfide e contraddizioni, rimane un terreno fertile di opportunità, soprattutto nel campo della cultura, dell'arte e della creatività. La sua storia millenaria e il suo patrimonio culturale unico al mondo offrono uno scenario ineguagliabile dove poter operare nel settore delle pubbliche relazioni e della comunicazione. Le mie esperienze passate mi hanno insegnato che, anche nelle difficoltà, l'Italia sa sempre rivelare opportunità nascoste e percorsi innovativi per chi ha la visione e la determinazione per coglierle».

A cosa hai dovuto rinunciare maggiormente per conseguire la visibilità che hai ottenuto oggi?
«Per raggiungere la mia attuale soddisfazione professionale, ho dovuto fare scelte significative e spesso difficili. Una delle rinunce più importanti è stata quella relativa alla maternità. Con il mio spirito di dedizione che mi contraddistingue, ho sempre saputo che, se avessi avuto figli, avrei probabilmente messo in secondo piano le mie ambizioni professionali. In una società che spesso si aspetta che una donna equilibri perfettamente il ruolo di madre con quello professionale, scegliere consapevolmente di non essere madre per concentrarsi sulla carriera può essere una decisione difficile da comprendere e accettare, sia per gli altri che per sé stessi. Per me rappresenta un atto di coerenza verso la mia identità e i miei obiettivi, oggi il senso di realizzazione e di autenticità che provo è in parte dovuto proprio alla mia capacità di ascoltare me stessa e di essere fedele ai miei desideri più veri».

Ti senti realizzata?
«Sì, mi sento realizzata perché ho raggiunto obiettivi che per me hanno un grande significato ma la realizzazione personale che provo non deriva solo dai traguardi raggiunti o dal riconoscimento pubblico, ma anche dal senso di progresso continuo, dalla mia incessante evoluzione e dal continuo apprendimento. La realizzazione è un processo, non una destinazione; è la capacità di adattarsi, di innovare e di mantenere sempre viva la curiosità».

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