Telegiornaliste anno XIX N. 5 (721)
del 8 febbraio 2023
Monica
Matano, emozioni di mamma
di
Giuseppe Bosso
Abbiamo il piacere di incontrare nuovamente
Monica Matano, volto di Rai Sport.
Bentrovata Monica. Ci eravamo
lasciati nel 2009 con la tua speranza di diventare mamma, che è
diventata realtà: come ha cambiato la tua vita la nascita di Benedetta e
Mattia?
«Ciao Giuseppe, un saluto a tutti voi di
Telegiornaliste, che ci seguite
sempre con affetto e benevolenza. Era un po' di tempo che non ci
sentivamo. La mia ultima intervista risale al 2009. L’anno dopo, sono
diventata mamma di Benedetta e nel 2011 del secondogenito Mattia. La
vita è stata totalmente stravolta da questi eventi meravigliosi. I miei
figli rappresentano il mio successo più bello, la mia sfida più
difficile. Non vorrei cadere nella retorica, ma l’essere genitore oggi è
particolarmente impegnativo. I pericoli nella nostra società sono tanti.
Noto nei bambini e nei ragazzi un desiderio di bruciare le tappe e di
anticipare i tempi che non condivido e non reputo positivo. Detto
questo, Benedetta e Mattia mi regalano ogni giorno forti emozioni, sia
pure nella difficoltà di una quotidianità frenetica, in cui i ritmi sono
dettati dalle loro esigenze. Sono tenerissimi, giudiziosi e anche molto
bravi a scuola. Hanno una spiccata sensibilità e sono sempre pronti ad
aiutare l’amico più debole. Questo è l’aspetto che mi rende più
orgogliosa di loro».
Madre e lavoratrice, un binomio sempre molto problematico nell’Italia
e nel mondo di oggi: cosa puoi dire tu riguardo la tua esperienza, due
volte, di rientrare dopo una gravidanza?
«Penso abbiate imparato a conoscermi e ad apprezzare la mia schiettezza.
Non amo le forme di ipocrisia. Parliamo tanto di pari opportunità, di
traguardi raggiunti nel campo dell’emancipazione femminile, ma non è
così. Ho pagato l’aver voluto vivere pienamente la gravidanza e i primi
mesi di vita dei miei figli. Ero ben consapevole di quello che sarebbe
accaduto, ma oggi non ho rimpianti. Non si può delegare il ruolo di
genitore, non ci si può sottrarre alle responsabilità. Gli anni che mi
hanno vista alla conduzione di
Sabato Sprint a Milano, poi, sono
stati particolarmente faticosi. Vivevamo dal lunedì al giovedì a Roma e
nel weekend a Milano. Sono stata fortunata perché allora Benedetta e
Mattia frequentavano la scuola materna. Con l’impegno delle elementari
sarebbe stato tutto ancora più complesso. Sono stati sacrifici enormi e
non credo siano stati apprezzati e compresi fino in fondo. I complimenti
e le testimonianze di stima e di affetto delle persone vere, però, non
sono mancati. Penso, non senza commozione, alle telefonate di Gianni Di
Marzio, uomo straordinario e profondo conoscitore del calcio. Ci seguiva
anche quando non era nostro ospite. Per non parlare dei messaggi di
apprezzamento di Gian Piero Galeazzi, Maestro di giornalismo. Sono
ricordi che custodisco nel cuore, come la mail di una persona della
squadra tecnica della Rai di Corso Sempione. Dopo la mia ultima puntata
di Sabato Sprint, ha avvertito il bisogno di scrivermi in privato. Poche
e sentite righe di ringraziamento per aver ridato dignità al suo ruolo,
ormai messo da parte da anni. In quell’istante ho capito che i miei
sforzi erano stati ampiamente ripagati. Ho sempre avuto grande rispetto
per tutte le figure professionali. Ispettori di studio, operatori di
ripresa, montatori , microfonisti, truccatori, parrucchieri sono la
ricchezza della nostra Azienda e contribuiscono in modo determinante
alla riuscita di un programma. Nessun conduttore da solo può pensare di
firmare una trasmissione di successo senza il sostegno di una squadra.
Sarebbe presuntuoso, ma purtroppo c’è chi si ritiene ancora infallibile,
autosufficiente e insostituibile».
Siamo nel pieno di una stagione calcistica a dir poco unica e
irripetibile, con un mondiale che è arrivato in pieno autunno
interrompendo campionati e coppe europee: in prospettiva futura ritieni
possibile che questa esperienza si possa ripetere, e anche dal tuo punto
di vista di giornalista con quali pro e quali contro?
«Il Mondiale in autunno ha senza dubbio alterato la preparazione fisica
e lo stato psichico dei calciatori. Risultati evidenti vengono già dai
campionati nazionali. Se pensiamo all’Italia, squadre importanti come il
Milan hanno avuto un’involuzione tecnica e tattica e i risultati sono
sotto i nostri occhi. Antesignano nel modificare i calendari fu, diversi
anni fa, il ciclismo. Il Mondiale si correva in estate e la stagione
agonistica era più breve. Si affermavano sempre i campioni: Merckx,
Gimondi, Hinault. Dal 1995 il calendario internazionale spostò ad
ottobre il Mondiale di ciclismo. Da allora vincono atleti affermati, ma
pure corridori anonimi. Ciò perché diventa impossibile gestire le
risorse per tutto l’anno e purtroppo si è costretti a fare delle scelte.
Tornando al calcio, lo stesso Napoli, dominatore assoluto del
campionato, si è fatto eliminare dalla Cremonese in Coppa Italia, dopo
il Mondiale».
Non solo calcio, comunque: lo sport italiano in questi anni,
soprattutto durante le ultime olimpiadi ma non solo, ha visto
l’affermazione anche di atleti di diverse discipline e, in particolare,
molte atlete, dalle campionesse dello sci alla nuova generazione di
pallavoliste che sono andate a un passo dalla vittoria mondiale: è anche
questo un segno di emancipazione femminile, secondo te?
«Negli ultimi tempi lo sport italiano è caratterizzato dai successi al
femminile. La Brignone e la Goggia nello sci alpino, la Pilato e la
Quadarella nel nuoto, la pallavolo femminile. Senza dimenticare l’oro di
Tokyo della Palmisano nella marcia, del duo Cesarini – Rodini nel
canottaggio, di Caterina Banti nella vela. Da sottolineare le recenti
prestazioni di Charlène Guignard e Sara Conti nel pattinaggio artistico.
Il simbolo in rosa del 2022 è sicuramente la 19enne Sofia Raffaeli,
unica italiana ad aver vinto l’oro individuale in un Mondiale di
ginnastica ritmica. Ho avuto il piacere di intervistarla in diverse
occasioni. La sua tenacia, nonostante la giovane età, mi ha
favorevolmente impressionata. Ci darà ancora grandi soddisfazioni».
L’anno scorso l’USSI ti ha premiato per un tuo reportage su Nicole
Orlando: com’è nata e come si è sviluppata questa esperienza e quali
sensazioni ti ha dato il riconoscimento, intitolato a Franco Lauro?
«Un riconoscimento che mi ha reso felice perché era l’edizione dedicata
a Franco Lauro, carissimo amico e bravissimo Collega, con il quale ho
condiviso tante esperienze professionali significative. Tra queste, la
presentazione del Premio Fair Play a Castiglion Fiorentino. Oggi, la sua
compagna Francesca Romana è una presenza importante nella mia vita e
quel giorno al Coni era lì al mio fianco a stringermi la mano. Il
servizio era dedicato alla campionessa paralimpica Nicole Orlando. Ho
proposto io il pezzo in redazione. Nicole ha scritto un libro dal titolo
emblematico
Vietato dire non ce la faccio. Una pagina del suo
testo è stata estrapolata e inserita in un sussidiario di quinta
elementare della Raffaello editore. Ho deciso di farle incontrare gli
alunni della scuola primaria che ha frequentato da bambina. Sono
fermamente convinta che lo sport possa salvare i nostri giovani, fragili
e disorientati. Questi modelli li aiutano a capire che nulla si ottiene
senza impegno e senza passione. Le difficoltà vanno affrontate, dobbiamo
essere noi a dominare gli eventi e a orientare le scelte. Sono le storie
che amavano Franco e
Maria Grazia Capulli convinti, come me, che questa
professione vada interpretata anche come una missione. Abbiamo il
compito di lasciare dei messaggi e di indurre i telespettatori alla
riflessione. Collaborare per Tutto il bello che c’è, la rubrica del Tg2
ideata da Grazia, è un privilegio, un arricchimento umano, prima che
professionale. Significa raccoglierne l’eredità e portare avanti i
progetti nei quali ha fermamente creduto. Quando Silvia Vaccarezza mi
chiama per propormi una storia, sono felice, accetto subito e mi metto a
lavorare con entusiasmo, come avrebbe fatto Maria Grazia. Vorrei
garantire un impegno settimanale, ma il tempo oggi è il nostro più
grande nemico».
Non posso non concludere con una domanda probabilmente dolorosa: sono
passati otto anni dalla scomparsa di tua sorella
Cristiana, che abbiamo avuto il piacere di
intervistare. Qual è il segno che ha lasciato in te e nella tua
famiglia?
«Temevo che sarei stata chiamata a rispondere a questa domanda. Parlare
della scomparsa di Cristiana per me è ancora molto difficile. Nel mio
caso, il tempo non è servito per attenuare il dolore. Avverto la sua
mancanza ogni giorno. Ciò che è accaduto è crudele e impossibile da
accettare, se non con il conforto della fede. La presenza dei bambini mi
ha costretta ad andare avanti, ma anche per loro non è facile convivere
con questo vuoto. Ci sono giornate più drammatiche di altre, momenti in
cui avresti voglia di comporre il suo numero di cellulare e di trovare
dall’altra parte della cornetta la sua voce rassicurante che ti esorta a
lottare, a reagire alle ingiustizie. Avevamo un rapporto speciale. Lei
gioiva delle mie affermazioni e io delle sue. Provo a dedicarle tutto
ciò che di positivo riesco a realizzare: servizi, presentazioni, premi.
La sua scomparsa ha cambiato le priorità della mia vita. Ridimensiono
tutto, faccio fatica a vedere litigare colleghi per interviste o spazi
da condurre; è un mondo lontano che non mi appartiene. Benedetta, quando
sono tornata da Palermo, mi ha detto: “Mamma mi hai mentito. Non muoiono
soltanto le persone anziane. Zia Cri era giovane.” Sono frasi che ti
segnano, ti ammutoliscono, ti impongono di guardare alla vita in
un’altra maniera. Mattia, un giorno, davanti ai miei occhi spenti mi ha
chiesto: ”Mamma, ma tu non tornerai mai più a giocare con me come
prima?” E ha aggiunto: ”Sai cosa vorrei fare ora? Salire fino al
cielo, prendere la stella di zia Cri e portarla da te. Così torneresti a
sorridere”. Nella sua ingenuità aveva capito tutto. Davanti a queste
affermazioni il resto non esiste più, perde di significato. Ho provato a
tenerli il più possibile lontano dal dolore, ma non sempre vi sono
riuscita. I bambini hanno una spiccata sensibilità, ti leggono dentro.
Ringrazio mia cugina Enza che si è occupata di loro, mentre io ero in
Sicilia. In quei giorni non sarei stata capace di proteggerli, non ne
avrei avuto le forze. La mia unica certezza è che Cristiana continua a
guidarci e che un giorno torneremo ad abbracciarci. In questi anni sono
accaduti eventi incredibili, in cui ho avvertito forte la sua presenza,
proprio nei momenti in cui mi sono sentita più disperata. Desidero
dedicare l’ultimo pensiero di questa intervista ai miei genitori.
Sopravvivere a un figlio è atroce, li ammiro tanto. Senza il loro amore
e il loro esempio non sarei qui a rispondere alle vostre domande. Spero
di essere per Mattia e Benedetta quel punto di riferimento prezioso che
Mamma e Papà hanno rappresentato per me e per Cristiana, un passo dietro
noi, sempre pronti a tenderci la mano e a rialzarci dopo le cadute».