Telegiornaliste anno XIX N. 29 (745) del
22 novembre 2023
Francesca
Martelli, Agorà la mia sfida
di
Giuseppe Bosso
Incontriamo
Francesca Martelli, volto di
Agorà, Rai 3.
Dalla IULM allo stage al
Fatto Quotidiano alla parentesi a
Tagadà fino ad oggi ad Agorà: cosa ti hanno lasciato le
precedenti esperienze?
«Ho studiato a Milano e ho avuto la fortuna di prendere parte ad uno
stage al Fattoquotidiano.it, che mi ha consentito, dopo i primi mesi in
redazione per iniziare a imparare il mestiere, ad andare in giro con la
telecamera, fare interviste, montare servizi, cosa che non tutti ti
permettono di fare, ma è possibile farlo in un contesto piccolo ma molto
combattivo come era la testata in quel momento. Poi ho iniziato a
collaborare come giornalista videomaker a La 7 tra Milano e Roma,
Tagadà è stata una scuola bellissima dove superata una prima fase a
occuparmi di cronaca sono passata alla politica».
Una vita perennemente in giro per l’Italia: è ancora valido il
principio per cui il vero giornalista è chi “non ha paura di sporcarsi
le scarpe”, come si suol dire?
«Sì, mi confronto con colleghi miei coetanei e non ne ho ancora
incontrato uno che mi dicesse “non vedo l’ora di andare in redazione e
lavorare alla scrivania”. Quando sei inviato, sei inviato sempre».
Tiziana Panella, Peter Gomez,
Luisella Costamagna sono tra le persone che hanno accompagnato il
tuo percorso formativo: cosa ammiri e cosa hai cercato di carpire loro?
«Gomez è stato il mio primo direttore che mi ha colpito per il suo
linguaggio familiare e immediato: mi ha spronata ad essere diretta senza
remore e mostrare cosa valevo sul campo. Tiziana Panella mi ha insegnato
tantissimo, è stata la mia prima esperienza televisiva. Ricordo il
giorno in cui eravamo in onda ed è avvenuto l’attentato a Westminster,
che ci ha allungato la diretta di un’ora e mezza. Poi ho lavorato un
anno a
Open, il quotidiano di Enrico Mentana, fino al ritorno
in tv con Agorà. Anche da Luisella Costamagna ho visto lo stesso stile
giornalistico diretto e senza fronzoli che avevo sentito nella mia prima
redazione.
Agorà è stato per me davvero un nuovo inizio e
quest'anno poi... è una sfida nella sfida, visto che ho l'opportunità di
raccontare le notizie in diretta dallo studio».
Tra i tanti aneddoti ed esperienze che hai vissuto in prima persona,
quali ritieni siano stati i momenti più significativi?
«Le tragedie, purtroppo. Il terremoto di Rigopiano è stato uno dei
momenti che più ricordo. Ho fatto per un periodo anche cronaca nera, ma
personalmente non mi sento portata per seguire questi eventi terribili.
Anche ora che ad
Agorà stiamo seguendo molto questo terribile
conflitto in Medio Oriente, molte immagini mi restano dentro; cerco di
raccontarle senza enfatizzare troppo, anche perché purtroppo parlano da
sole; ho seguito la tragedia del Ponte Morandi di Genova e da allora
cerco di farmi mandare ogni anno il 14 agosto per le commemorazioni.
Parlando di eventi politici non dimentico la lunga e travagliata
formazione del governo Conte nel 2018 quando ogni giorno era un nuovo
racconto, e anche un nuovo inseguimento».
Una vita da inviata, quali gioie e quali dolori?
«Solo gioie, davvero. Partire è bello, come raccontare le cose in presa
diretta».
Hai mai preso in considerazione l’idea di lasciare l’Italia che non
sembra proprio il paese ideale per i giovani giornalisti?
«No, o non fino in fondo. La possibilità di partire per l’estero bene o
male la trovi sempre, ma credo che in questo Paese ci sia abbastanza da
raccontare, con tutte le sue problematiche».
Il contatto quotidiano con la gente di quest’epoca piena di
incertezze come economia e cambiamenti climatici ha influito sulla tua
prospettiva di futuro?
«Alcune storie che racconto sono simili alla mia e possono portarmi a
identificarmi in loro, come le incertezze economiche dalla mia
prospettiva di precaria. Parlando di incertezze legate al clima e
all’ambiente vedo che le mie nipoti a scuola vengono sensibilizzate
molto più di quanto non fossi io al mio tempo».