Telegiornaliste anno XVIII N.
13 (697) del 6 aprile 2022
Matilde
Andolfo, Anna storia da raccontare
di
Giuseppe Bosso
Voltare pagina in un contesto difficile; mettersi alle spalle un passato
di sangue e di sofferenza, anche a costo di rovinare il rapporto con i
propri figli, e raccontare la propria storia in un libro. Questa è
La
donna del boss, Il Quaderno edizioni, di
Matilde Andolfo, volto dell’emittente napoletana Tv Luna.
Matilde, chi è la donna del boss protagonista del tuo libro, Anna
Carrino, e come ti sei avvicinata a lei?
«Anna Carrino è semplicemente una donna con una storia orribile alle
spalle, che andava assolutamente raccontata. Dal 2007 Anna è una
collaboratrice di giustizia, ha svelato segreti e dinamiche del clan dei
casalesi pagando il prezzo più alto. È stata costretta a rinunciare ai
tre figli, mutilata nei suoi affetti. Ma tutta la sua vita è stata
costellata di dolori e tragedie. Così chiesi al procuratore Federico
Cafiero de Raho di incontrarla. Dopo quell’incontro è nata l’idea del
libro».
Cosa ti ha spinta a raccogliere questa testimonianza e qual è il
messaggio che speri di trasmettere ai lettori?
«Ho il “vizio” di scavare a fondo nelle storie e non fermarmi mai in
superficie. La storia di Anna andava raccontata perché la sua è una
storia universale, una tragedia greca. Anna è l’eroina raccontata da
Sofocle o Tucidide in cui confluiscono destino e libero arbitrio,
giustizia e verità processuale, etica e morale».
Anna Carrino è una persona che ha fatto una scelta coraggiosa, dopo
una vita di complicità con la camorra: tu, giornalista sempre schierata
in prima linea in difesa dei più deboli, come mi hai più volte
evidenziato nelle nostre precedenti chiacchierate, come consideri questo
suo pentimento?
«Anna ha maturato la decisione di collaborare con i magistrati della Dda
perché aveva capito di non avere via d’uscita. Aveva ben compreso che la
proposta di matrimonio che Francesco Bidognetti -alias Cicciotto di
Mezzanotte - le aveva fatto durante uno dei loro colloqui in carcere,
era soltanto una pantomima per placare la rabbia esplosa dopo la
scoperta dei tradimenti. Ma per Anna era chiaro che il rapporto si era
incrinato irrimediabilmente e che il boss prima o poi avrebbe ordinato
il suo omicidio. Però è anche importante sottolineare che, grazie al
lavoro degli investigatori e degli inquirenti, il percorso di Anna ha
significato anche un cambiamento interiore che le ha fatto capire e
soprattutto vedere in maniera netta la linea di demarcazione tra bene e
male».
Purtroppo però al di là di casi come quello di Anna le cronache ci
raccontano sempre di una realtà dove la delinquenza spopola, con
preoccupanti manifestazioni da parte soprattutto dei più giovani; in
tutto questo la storia che hai raccontato può rappresentare un messaggio
di speranza di cambiamento?
«Non saprei se la storia di Anna contenga un messaggio anche pedagogico.
Di sicuro chi legge questa storia può bene comprendere che la camorra è
tutt’altro che un modello di fascino e che chi intraprende la strada
della criminalità organizzata non può che finire male, in galera o morto
ammazzato».
Presentare il libro in occasioni come quelle di questi giorni
rappresenta anche un definitivo ‘ritorno alla normalità’ dopo le
restrizioni che ci ha imposto la pandemia?
«Per fortuna dopo due anni di restrizioni cominciamo ad uscire e a
riprendere le attività in termini di vita sociale e impegno civile».
Dopo la pandemia che avevamo attraversato all’insegna di molti
ottimistici messaggi come “andrà tutto bene” e “ne usciremo migliori”,
il mondo si trova oggi all’improvviso di nuovo in guerra; nella nostra
ultima intervista ti avevo chiesto se ti avevano mai messo il
bavaglio e mi rispondesti che nemmeno così ti avrebbero zittita: oggi ti
chiedo, riesci ancora ad avere voglia di andare avanti nonostante questo
dramma?
«Io vado avanti. Malgrado difficoltà e impedimenti riesco sempre a far
emergere me stessa, la mia natura e a non nascondermi. Credo sia proprio
del mio carattere e della mia personalità esprimere i miei talenti a
ogni costo senza rinunciarvi. Sarà incoscienza o proprio caparbietà, ma
non ho mai pensato di rinunciare a raccontare storie o fatti. Non
smetterò mai di essere un testimone».
Dall’ultima volta che ci siamo visti molte cose sono successe e
purtroppo sia tu che io abbiamo vissuto dolori come la perdita di
persone a noi care, mi riferisco in particolare a tuo padre e a tuo zio
Luciano Donelli: questo libro e il tuo lavoro quotidiano sono anche un
modo per portare avanti il loro ricordo?
«Assolutamente sì. La memoria ha per me un valore sacrale che ha il
significato dell’eternità. E a proposito di memoria e di ricordo ne
approfitto per pubblicizzare la seconda edizione del premio
giornalistico Luciano Donelli, la cui cerimonia di premiazione si terrà
a giugno. Stiamo organizzando l’evento insieme al parroco della sanità
Antonio Loffredo e sarà una manifestazione ricca di sorprese
strabilianti. Sarà una serata magica e spettacolare con la mia Sanità
sempre protagonista».