Telegiornaliste anno XIII N. 34 (544) del 22 novembre 2017
Matilde
Andolfo, con Dossier sempre dalla parte dei più deboli
di
Giuseppe Bosso
Abbiamo nuovamente il piacere di incontrare
Matilde Andolfo,
combattiva e grintosa giornalista napoletana, che ci parla di
Dossier,
trasmissione da poco partita su Teleluna, l’emittente dove lavora da
anni con impegno e dedizione. Un’intervista letteralmente rincorsa, che
realizziamo con Matilde all’uscita delle elezioni per il rinnovo del
Consiglio dell’Ordine dei giornalisti a Napoli.
Come nasce Dossier?
«
Dossier nasce dalla nostra consapevolezza che a livello
locale-regionale mancava un contenitore di approfondimento, che andasse
oltre il semplice fatto di cronaca; e così il nostro editore Pasquale
Piccirillo ha pensato di dare più spazio all’informazione in maniera
diversa, sempre più dalla parte dei cittadini; indaghiamo in maniera
approfondita sulle cose che non vanno, ed ecco questa trasmissione che
si avvale del preziosissimo contributo dei videoreporter, la nuova
frontiera del giornalismo di oggi, in grado di riprendere, di
fotografare l’accaduto a 360 gradi attraverso le immagini».
Su quali tematiche o storie avete cercato di soffermarvi?
«I settori sono talmente svariati che non è facile elencarne in
particolare: dai disservizi dei trasporti alle scuole-colabrodo, che
quando crollano rappresentano una situazione ancor più allarmante; dalla
situazione precaria andiamo a vedere dove nasce il cortocircuito, questo
blackout che si viene a manifestare tra istituzioni, volontà di fare e
cittadino. Riguarda non solo Napoli e la Campania, ma tutto il Sud;
accade che i soldi ci siano, spesso e volentieri, ma non i progetti, la
capacità di realizzarli, e ciò pone la città un passo indietro alle
altre».
Rappresenta per te questa un’ulteriore occasione per essere una
giornalista vicina al popolo napoletano, sempre dalla parte dei più
deboli come ti
descrivesti?
«Sempre, lo sono perché è un dovere, non bisogna mai voltarsi indietro».
Mi dicesti nel nostro primo incontro “credo nel lavoro di squadra,
soprattutto tra donne”: come ti trovi nella squadra di Dossier?
«Siamo tante ragazze, ma anche maschietti. Credo sempre nel valore
dell’unione, valore aggiunto».
E sempre allora mi dicesti che non vedevi altre strade nel domani che
restare a Napoli: a distanza di anni hai cambiato idea?
«Sì, malgrado le tentazioni, malgrado sia sempre tutto più difficile,
malgrado editori che tagliano risorse per far quadrare i conti, cosa che
rende esercitare questa professione sempre più difficile. Ma noi andiamo
avanti, con sacrifici e coraggio».
Eppure sono tanti i giovani che lasciano la città, scoraggiati e
sfiduciati: anche il mondo dell’informazione può convincerli a
resistere?
«Il mondo dell’informazione fa parte proprio di questi giovani costretti
ad andare via; chi sceglie la via del giornalismo nel contesto attuale è
sempre più tentato dall’idea di andare via, in mancanza di sbocchi e
situazioni alternative. Anche chi fa informazione è tentato,
bisognerebbe creare le condizioni perché ciò non accada. Il governo
centrale spinge sempre più verso la cancellazione professionale, la
mortificazione della professione che può venir pagata tre euro a pezzo,
cosa inaccettabile…».
C’è spazio solo per il lavoro nella tua vita?
«Purtroppo lo spazio per il resto è poco; ci sono la mia famiglia, i
miei cani… ma vorrei diventare mamma, anche se è difficile allo stato
attuale. Sia chiaro che non demonizzo il maschio, mi rendo conto che è
difficile starmi dietro, come stai facendo tu adesso (ride, ndr, mentre
la seguiamo di corsa nella realizzazione dell’intervista)».
Pensare al domani ti spaventa?
«Moltissimo, mi ha sempre spaventata, un po’ perché sono una sognatrice
che deve inevitabilmente fare i conti con la realtà, e questo mi
dispiace, anche perché poi le cose cambiano, e non sempre in positivo».
Matilde Andolfo si è mai dovuta confrontare con la parola bavaglio?
«No, semmai con dei muri rappresentati da persone che cercavano di non
farmi raccontare la verità. Il mio editore ha deciso di puntare su
programmi di inchiesta consapevole dei rischi che comportano. E questo
significa che qualcosa di buono siamo riusciti a farlo. In ogni caso mi
sento a prova di bavaglio, potete mettermelo ma non mi zittirete!».