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Intervista a Felicia Buonomo   Tutte le interviste tutte le interviste
Felicia BuonomoTelegiornaliste anno XVIII N. 3 (687) del 26 gennaio 2022

Felicia Buonomo, narrare sofferenza in versi
di Tiziana Cazziero

Incontriamo la giornalista e scrittrice Felicia Buonomo.

Ciao Felicia e grazie per il tuo tempo. Parlaci un po’ di te e di come nasce la passione per la poesia.
«Ciao a tutti. E, prima di ogni cosa, grazie per la preziosa ospitalità. Sono una giornalista. Ho cominciato a fare questo meraviglioso mestiere finita l'università e non riesco a immaginarmi diversamente. E, da qualche anno, ho affiancato anche l'attività letteraria a quella giornalistica. La passione per la poesia è nata nell'adolescenza. Prima di essere un'autrice, sono una lettrice. Jorge Luis Borges scriveva: «Che altri si vantino delle pagine che hanno scritto, io sono orgoglioso di quello che ho letto», citazione nella quale mi riconoscono totalmente. E quando ho capito che avrei voluto intraprendere anche l'attività letteraria (che ho portato avanti scrivendo anche saggi e libri-reportage giornalistici) avvinarmi alla poesia è stato naturale, ma sempre con uno sguardo sulla società. Sono anche direttrice di una collana di poesia per Aut Aut Edizione, che è stato il mio editore per un libro-reportage dove raccontavo dello sfruttamento del lavoro minorile in Africa (intitolato “I bambini spaccapietre. L'infanzia negata in Benin”); anche in questo caso lo sguardo, seppur poetico, è sempre sulla società, amiamo infatti definirla una collana di poesia sociale e civile».

Sangue corrotto è la tua ultima raccolta di poesie, cosa si deve aspettare un lettore dai tuoi versi?
«Questa è una domanda a cui è davvero difficile dare una risposta. Sangue corrotto è la narrazione in versi di una storia di sofferenza familiare, che si tramanda di generazione in generazione. Quello che spero è che il lettore si riconosca, che il messaggio sia universale. Ma soprattutto, spero che stimoli una riflessione sull'Altro. L'Altro per me è un concetto fondante, le persone sono tutto ciò che abbiamo ed è bene prendersene cura. La scrittura mi aiuta a veicolare questo messaggio».

Felicia la giornalista, ti va di raccontarci la tua esperienza editoriale?
«Ho iniziato finita l'università. Da Napoli mi sono trasferita in Emilia. Lì ho iniziato lavorando per un quotidiano locale, la Gazzetta di Modena e poco dopo – portando avanti entrambi in contemporanea – anche per una tv regionale, TRC. Dopo anni ho deciso di fare il salto, di provare a crescere professionalmente e mi sono trasferita a Roma, dove ho collaborato con la Rai. Ho cominciato a fare quello che viene definito giornalismo televisivo narrativo, realizzando dei video-reportage esteri, che mi hanno portato a raccontare tante realtà difficile e sofferenti all'estero. Poi la vita mi ha condotta a Milano, dove sono approdata in un'altra bellissima realtà editoriale che è Mediaset, l'azienda in cui attualmente lavoro come giornalista».

Sei un volto del telegiornalismo, cosa ti piace del tuo lavoro?
«Direi tutto. Non c'è aspetto del mio lavoro che non mi appassioni. Credo di essere fortunata, perché amo profondamente il mio lavoro e non per tutti è così. Il giornalismo ha l'obiettivo di informare, ma anche di raccontare, entrare nelle storie delle persone e veicolare messaggi».

La poesia e il giornalismo, pensi che ci siano degli elementi in comune?
«Per come io affronto entrambe le attività, direi che gli elementi in comune sono molti. Non sono di certo la prima giornalista a fare poesia. Tra gli esempi più illustri ricordiamo Eugenio Montale, che fu inviato storico del Corriere della Sera. Io credo nel valore sociale della poesia, così come per sua natura è il giornalismo. Non a caso, anche nei miei libri di poesia, c'è sempre uno sguardo sulla narrazione della società e sulle problematiche che la caratterizzano. Nella mia precedente raccolta poetica (Cara catastrofe, uscita nel 2020 per Miraggi Edizioni), narro in verso del rapporto vittima-carnefice, puntando un faro sul tema della violenza maschile sulle donne, tentando di superare alcuni stereotipi che animano il tema. Sangue corrotto (uscito quest'anno, nel 2021, per Interno Libri) è una sorta di prosecuzione di quel lavoro: va a indagare sulle origini familiari di un rapporto disfunzionale e violento».

Quando hai sentito che il giornalismo era la tua strada?
«Fin dalle scuole superiori. La mia professoressa di italiano mi spingeva a scrivere, ha sempre creduto nella mia capacità di raccontare. La società mi interessa, non potevo che diventare giornalista».

Il giornalismo è vissuto in diverse forme, ci sono le inchieste e quello della cronaca quotidiana, quale ti appassiona di più e perché?
«Non c'è una vera preferenza. Sono due modalità differenti, ma lo spirito è il medesimo. Nelle inchieste, ambito che ho portato avanti, c'è più tempo da spendere per arrivare anche a un solo singolo tassello di un'intera storia. Nella cronaca quotidiana c'è più frenesia. In entrambi l'obiettivo è informare, raccontare, avvicinarsi alla verità, come si diceva qualche domanda fa».

Com’è stato il tuo percorso di preparazione per raggiungere i traguardi di oggi?
«Io sono una di quelle persone che ha imparato – come si suol dire – “sporcando la suola delle scarpe”. Ho aggiustato il tiro mentre già facevo giornalismo, facendo la cosiddetta gavetta. Mi sono messa sempre in discussione, ho sperimentato varie strade, ho allargato lo sguardo. Faccio questo mestiere da circa 15 anni, ma ho ancora tanto da imparare e questo mi rende felice».

Cosa consigli alle giovani aspiranti giornaliste che intendono percorrere la tua strada?
«Credo di essere la persona meno indicata a dare consigli, proprio per ciò che dicevo poco fa. Ho ancora molto da imparare, diventa difficile per me dire a qualcun altro cosa sia meglio o peggio. Solo posso dire di studiare sempre e perseverare».

Hai altri progetti per il futuro? Puoi anticiparci qualcosa?
«Non ho progetti specifici in cantiere. Continuo a fare giornalismo, come da sempre e per sempre. E a scrivere libri».

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