Telegiornaliste anno XVII N. 22 (672) del 8 settembre 2021
Letizia
Vicidomini e La Ragazzina Ragno
di
Giuseppe Bosso
Siamo lieti e onorati di incontrare nuovamente la scrittrice
Letizia Vicidomini, di nuovo in libreria con la
sua ultima opera, edita da Mursia.
Bentrovata Letizia, ci incontriamo per la tua nuova
fatica letteraria: anzitutto come nasce La Ragazzina
Ragno?
«Lo spunto per questo nuovo romanzo è stato, come sempre,
l’osservazione del mondo che mi circonda. Troppi adolescenti
privi di freni, lasciati liberi di spaziare in un mondo
parallelo e virtuale, spesso senza controllo né vigilanza da
parte dei genitori. L’immagine primaria, la suggestione
visiva è stata questa ragazzina esile e bellissima seduta a
gambe incrociate sul proprio letto, allungare le braccia
come zampe di ragno per prendere tutto ciò che desidera,
senza limiti».
Senza spoilerare nulla per chi non avesse ancora avuto il
piacere di leggerlo, hai usato il tuo stesso stile di
scrittura che abbiamo avuto modo per esempio di riscontrare
in romanzi come Il segreto di Lazzaro e Lei era
nessuno, parlando di caratterizzazione di personaggi
anche mediante il ricorso a flashback?
«Stavolta il linguaggio è più asciutto e teso, si adatta
alla storia e alla sua durezza, ma non mancano momenti
poetici e visionari, com’è nel mio stile. I “corsivi”, ossia
le pagine destinate ai flussi di coscienza, sono differenti
dagli altri miei romanzi perché non seguono uno schema
fisso, ma servono ugualmente a definire meglio le emozioni e
i sentimenti».
Possiamo dire che la protagonista di questo libro, e gli
altri personaggi, per il contesto in cui le loro vicende
ruotano, siano figli del nostro tempo?
«Certamente lo sono, anzi, mi auguro di aver acceso un focus
su una certa realtà ancora non troppo conosciuta, che deve
far paura, perché minaccia di estendersi sempre più».
La vicenda di Maya – sempre senza anticipare troppo a
beneficio di tuoi nuovi potenziali lettori – sullo sfondo
affronta una delicata problematica, quella della triste
piaga dello sfruttamento sessuale di ragazze minorenni, che
in questo caso sono loro stesse anche carnefici oltre che
vittime: senza con ciò giustificare ovviamente gli adulti
coinvolti, quale ritieni debba essere l’atteggiamento della
società nei confronti di queste ragazze? In particolare le
ritieni più da sanzionare o da tutelare pur nel loro errore?
«Penso che vadano sanzionati e in maniera forte gli adulti,
che hanno maggiori competenze e mezzi per capire quello che
hanno fatto. I giovani, che alla fine sono creatori di
questi meccanismi, vanno invece tutelati con il supporto di
servizi sociali, psicologi, ecc. Proprio per aiutarli a
maturare per costruire la loro coscienza».
Nei tuoi romanzi non sono infrequenti scene, per così
dire, di ‘stacco’, in cui i personaggi si trovano a tavola o
comunque in momenti di normale quotidianità tra di loro: un
lettore magari poco esperto non sempre apprezza queste pause
che invece si rendono necessarie per non appiattire la trama
principale: è una tua scelta stilistica, e se sì hai mai
avuto modo di confrontarti su questo aspetto con i lettori?
«Devo dire che gli spaccati di quotidianità anche leggera mi
divertono molto, e sono indispensabili per due motivi. La
vita vera è fatta anche di questo, vivaddio, e poi una
storia completamente buia non avrebbe lo stesso effetto sul
lettore: a mio avviso i colori brillano meglio, intorno al
nero».
Grande riscontro hai avuto fin dalla prima presentazione
a Napoli con la partecipazione di tuoi amici come Maurizio
De Giovanni: dopo il lockdown e le incertezze che la
pandemia hanno caratterizzato questi ultimi anni poter
ritrovare i tuoi lettori è stato un ritorno alla vita?
«Tornare agli incontri dal vivo, anche se con limitazioni
comprensibili e legittime, è stato meraviglioso. Nonostante
non mi sia mai fermata con gli eventi on line, i sorrisi
sono un carburante indispensabile per chi racconta storie».
De Giovanni, tuo caro amico, ha avuto successo anche
nelle trasposizioni televisive delle sue opere: ti hanno mai
proposto altrettanto per i tuoi libri? E, in via ipotetica,
hai mai pensato a potenziali interpreti dei personaggi che
hai creato?
«Non è ancora accaduto, ma mi piacerebbe moltissimo. Il
prodotto visivo ha un diverso linguaggio, sarei curiosa di
vedere come le mie parole possono trasformarsi in immagini.
Mi è capitato di parlarne con l’amico attore Antonio Milo
(il brigadiere Maione nella fiction di Ricciardi), che da
sempre ho visto perfetto nei panni del Commissario Martino.
Lui sarebbe d’accordo, chi sa che non possa essere un buon
auspicio».
E sempre a proposito di quello che abbiamo vissuto, in
prospettiva futura potresti scrivere un libro ambientato
proprio durante il lockdown, magari per una diversa
prospettiva delle storie che finora hai raccontato?
«Non credo, sarebbe un mondo troppo claustrofobico da
raccontare. Mi piace che i miei personaggi dialoghino con i
luoghi, oltre che con gli altri esseri umani. E poi è
un’esperienza che spero non si ripeta più, è stata troppo
dolorosa per tutti».
Prima dell’inizio del lockdown grande successo avevi
avuto con l’interpretazione di Sabato, domenica e lunedì di
Eduardo; a distanza di quasi due anni, anche per ovvie
ragioni, ti senti pronta per tornare sul palco e se sì come?
«Sarei felice di tornare sul palcoscenico con un testo di
Annibale Ruccello, che adoro:
Ferdinando oppure
Notturno di donna con ospiti; sarebbero una prova
difficile ma bellissima».