Telegiornaliste anno XVII N. 26 (676) del
6 ottobre 2021
Katia
Serra, tra Europei e calcio femminile
di
Giuseppe Bosso
Ormai è un volto noto agli appassionati calciofili di tutta
Italia. Oltre vent'anni in campo nel passato, oggi dirigente
e commentatrice, che lo scorso 11 luglio per Raiuno ha
potuto raccontare la magica notte del trionfo azzurro a
Wembley, incontriamo nuovamente
Katia Serra.
Bentrovata Katia, grazie della disponibilità: anzitutto
glielo voglio chiedere a bruciapelo, con quel “sì!” alla
parata di Donnarumma sul tiro di Saka sente di essere
entrata nella storia anche lei come i nostri azzurri
campioni d’Europa?
«Lì per lì sinceramente no. Ero solo felice per la vittoria
degli Azzurri, al pari di tanti italiani. Col passare delle
ore ho ricevuto tantissimi messaggi di congratulazione per
essere “Campione d’Europa” così, giorno dopo giorno ho
realizzato. Diciamo che mi sento tale grazie a Mancini e ai
ragazzi e, scrivere la storia è sempre stato un mio
obiettivo, un forte desiderio».
Il calcio femminile, di cui è stata protagonista in
un’epoca, per così dire, ancora pionieristica, è ormai una
realtà consolidata, che manca però del riconoscimento del
professionismo: ritiene questo passo imminente o ancora la
strada è lunga?
«Il passaggio avverrà sicuramente a luglio 2022. Ritengo che
vada valutato bene in quale modo, perché replicare il
modello maschile sarebbe un errore imperdonabile. Siamo
diversi per storia, cultura, interesse mediatico ed
economico. Serve dare tutele a tutti coloro che ci lavorano,
ma graduali e commisurate alla nostra realtà».
Ingaggi stratosferici, violenza negli stadi e altre
problematiche ancora attuali hanno in parte minato
l’interesse per il calcio maschile: non c’è pericolo che
alla lunga possano coinvolgere anche quello femminile?
«Voglio sperare di no e, oggi, lo vedo un non problema. La
responsabilità di non lasciarsi coinvolgere nella direzione
sbagliata fa capo a tutti, indistintamente, ed è legata alle
scelte che si compiono ogni giorno. Fa più danno un
atteggiamento sbagliato reiterato che un uragano
improvviso».
Come è stata accolta dal giornalismo televisivo in un
contesto dove, pur con la presenza di valide professioniste,
prevale ancora una maggioranza maschile?
«Il mio è un ruolo diverso rispetto alle giornaliste. Vengo
dal calcio giocato come gli ex calciatori, con un passato
importante ma sconosciuto perché, come dicevi prima,
appartengo a una generazione pionieristica. Attorno a me per
anni ho avvertito tanta sorpresa, difficoltà ad essere
accettata e ho la consapevolezza che sto sulle montagne
russe. Da un po’ di anni la situazione è migliorata, questo
è un periodo “up”, sono mentalmente forte per sapere che la
situazione potrebbe ricambiare, ma mi auguro di fare ancora
il talent a lungo, perché mi diverte e tante persone me lo
chiedono. Prima di tutto lo devo a loro. Mi piace l’idea di
essere uno stimolo per le più giovani e, per fortuna,
ultimamente incontro personaggi che hanno il coraggio di
migliorare la cultura sessista».
Ritiene maturi i tempi per una presenza femminile anche
ai vertici delle organizzazioni calcistiche?
«Al vertice ci deve arrivare chi è competente, professionale
e ci arriva con un percorso senza favoritismi, dopo la gusta
esperienza. Ridurre tutto al genere lo trovo limitante, mi
piace di più pensare di battermi per la meritocrazia, anche
se le quote rosa sono necessarie per avere le opportunità.
Senza le donne troverebbero ancor più difficoltà».
In prospettiva futura si vede più in veste di
commentatrice o dirigenziale nel mondo del calcio?
«Nel mondo del calcio ho ricoperto tanti ruoli, spaziando da
quelli tecnici ai quelli dirigenziali, dall’insegnare a
scuola fino all’università. Non mi pongo mai limiti e valuto
le offerte che mi arrivano. Fino ad oggi ho avuto la fortuna
di poter scegliere, spero sia sempre così…». Katia Serra,
tra Europei e calcio femminile
di Giuseppe Bosso
Ormai è un volto noto agli appassionati calciofili di tutta
Italia. Oltre vent'anni in campo nel passato, oggi dirigente
e commentatrice, che lo scorso 11 luglio per Raiuno ha
potuto raccontare la magica notte del trionfo azzurro a
Wembley, incontriamo Katia Serra.
Benvenuta Katia, grazie della disponibilità: anzitutto
glielo voglio chiedere a bruciapelo, con quel “sì!” alla
parata di Donnarumma sul tiro di Saka sente di essere
entrata nella storia anche lei come i nostri azzurri
campioni d’Europa?
«Lì per lì sinceramente no. Ero solo felice per la vittoria
degli Azzurri, al pari di tanti italiani. Col passare delle
ore ho ricevuto tantissimi messaggi di congratulazione per
essere “Campione d’Europa” così, giorno dopo giorno ho
realizzato. Diciamo che mi sento tale grazie a Mancini e ai
ragazzi e, scrivere la storia è sempre stato un mio
obiettivo, un forte desiderio».
Il calcio femminile, di cui è stata protagonista in
un’epoca, per così dire, ancora pionieristica, è ormai una
realtà consolidata, che manca però del riconoscimento del
professionismo: ritiene questo passo imminente o ancora la
strada è lunga?
«Il passaggio avverrà sicuramente a luglio 2022. Ritengo che
vada valutato bene in quale modo, perché replicare il
modello maschile sarebbe un errore imperdonabile. Siamo
diversi per storia, cultura, interesse mediatico ed
economico. Serve dare tutele a tutti coloro che ci lavorano,
ma graduali e commisurate alla nostra realtà».
Ingaggi stratosferici, violenza negli stadi e altre
problematiche ancora attuali hanno in parte minato
l’interesse per il calcio maschile: non c’è pericolo che
alla lunga possano coinvolgere anche quello femminile?
«Voglio sperare di no e, oggi, lo vedo un non problema. La
responsabilità di non lasciarsi coinvolgere nella direzione
sbagliata fa capo a tutti, indistintamente, ed è legata alle
scelte che si compiono ogni giorno. Fa più danno un
atteggiamento sbagliato reiterato che un uragano
improvviso».
Come è stata accolta dal giornalismo televisivo in un
contesto dove, pur con la presenza di valide professioniste,
prevale ancora una maggioranza maschile?
«Il mio è un ruolo diverso rispetto alle giornaliste. Vengo
dal calcio giocato come gli ex calciatori, con un passato
importante ma sconosciuto perché, come dicevi prima,
appartengo a una generazione pionieristica. Attorno a me per
anni ho avvertito tanta sorpresa, difficoltà ad essere
accettata e ho la consapevolezza che sto sulle montagne
russe. Da un po’ di anni la situazione è migliorata, questo
è un periodo “up”, sono mentalmente forte per sapere che la
situazione potrebbe ricambiare, ma mi auguro di fare ancora
il talent a lungo, perché mi diverte e tante persone me lo
chiedono. Prima di tutto lo devo a loro. Mi piace l’idea di
essere uno stimolo per le più giovani e, per fortuna,
ultimamente incontro personaggi che hanno il coraggio di
migliorare la cultura sessista».
Ritiene maturi i tempi per una presenza femminile anche
ai vertici delle organizzazioni calcistiche?
«Al vertice ci deve arrivare chi è competente, professionale
e ci arriva con un percorso senza favoritismi, dopo la gusta
esperienza. Ridurre tutto al genere lo trovo limitante, mi
piace di più pensare di battermi per la meritocrazia, anche
se le quote rosa sono necessarie per avere le opportunità.
Senza le donne troverebbero ancor più difficoltà».
In prospettiva futura si vede più in veste di
commentatrice o dirigenziale nel mondo del calcio?
«Nel mondo del calcio ho ricoperto tanti ruoli, spaziando da
quelli tecnici ai quelli dirigenziali, dall’insegnare a
scuola fino all’università. Non mi pongo mai limiti e valuto
le offerte che mi arrivano. Fino ad oggi ho avuto la fortuna
di poter scegliere, spero sia sempre così…».