
Telegiornaliste 
	anno II N. 25 (57) del 26 giugno 2006
          
 
 
Intervista a Katia Serra
                    di Mario Basile
                    
                    Laureata in scienze motorie, consigliere federale
                    della FIGC,
                    collaboratrice di Walter Pettinati di 
Calciodonne
                    e testimonial delle figurine 
Panini.
                    
                    Ma soprattutto grande calciatrice. Tutto questo è 
Katia Serra. Una carriera iniziata vent’anni fa quando a Bologna decisero 
di puntare sul talento di quella ragazzina che, instancabile, correva su e 
giù per la fascia. Un talento confermatosi negli anni a seguire con 
svariati successi e presenze in Nazionale.
                    
                    Telegiornaliste.com ha incontrato Katia Serra per parlare 
ancora di calcio femminile e dei suoi progetti futuri.
                    
                    Avrà certamente seguito lo scandalo che ha colpito il 
calcio maschile. Un suo commento in merito.
                    «Come rappresentante del calcio femminile il mio commento è 
legato al fatto che sicuramente i valori e i presupposti sui quali si basa la 
nostra disciplina sono altri. Diciamo che in questo momento il calcio maschile 
ha poco di sport e molto di business e, come donna di sport, questa cosa mi fa 
soffrire, non mi piace. Vorrei che la nostra disciplina riuscisse ad acquisire 
più spazio e più dignità in funzione proprio di quei valori che la 
contraddistinguono»
                    
Quindi 
si può dire che il calcio femminile rappresenti quel calcio “romantico” che il 
calcio maschile ha smesso col tempo di essere?
                    «Si, diciamo probabilmente il calcio maschile che c’era 
stato agli inizi. E quindi anche noi oggi giochiamo fondamentalmente per una 
grande passione, per un grande amore per il gioco della palla, indifferentemente 
da quelli che sono i risvolti o gli aspetti di contorno. Per cui la definizione 
che lei ha dato la trovo ottima: calza a pennello con la nostra situazione».
                    
Con l’arrivo di Rossi in FIGC pensa che possa cambiare qualcosa in meglio per 
il calcio femminile? Sarà istituito un campionato professionistico anche per le 
donne?
                    «E’ ancora prematuro parlare di calcio professionistico nel 
femminile perché mancano i numeri. Quello che io mi auguro, e che si augura 
tutto il movimento, è la possibilità di fare un progetto di sviluppo che sia su 
basi pluriennali proprio per lanciare questa disciplina che da sempre si trova 
invece in una situazione di conflitto tra le esigenze della Nazionale, in quanto 
per essere atlete di Nazionale ci si deve organizzare in un certo modo, e 
l'attività dei club, che richiede un impegno minore e quindi viaggia anche dal 
punto di vista federale da un altro punto di vista: da una parte la FIGC, 
dall’altra la Lega Nazionale Dilettanti. Questo doppio canale crea delle 
difficoltà nella gestione e nella crescita della disciplina. Di certo sarebbe il 
momento propizio per farsi ascoltare e cercare di capire che sotto questo 
aspetto qualche cosa andrebbe cambiato per rendere più agevole l’attività del 
calcio femminile».
                    
                    Perché il calcio femminile in Italia è meno seguito 
rispetto a quello di altri Paesi come Germania e Stati Uniti? C’è ancora una 
mentalità troppo chiusa?
                    «Quest’ultimo è un aspetto. Anche se bisogna dire che 
comunque è migliorata la situazione. Se mi avesse fatto questa domanda anni fa 
le avrei solo detto: “Si, il motivo è questo”. Oggi le dico che il motivo era 
questo, lo è ancora, però piano piano fortunatamente qualcosa sta cambiando in 
termini di mentalità. Ma tutti i cambiamenti richiedono tempi lunghi per poter 
avvenire in maniera stabile e duratura. Sicuramente questo è sempre stato il 
grande limite, ma come sta cambiando la mentalità del Paese nei confronti della 
condizione della donna lo si vede anche nello sport, in questo caso nel calcio 
femminile. Io vedo uno spiraglio, non ancora una porta aperta, ma sicuramente 
uno spiraglio».
                    
Qualche 
anno fa lei ha dichiarato che il problema delle calciatrici era la tecnica, in 
quanto le ragazze si avvicinavano troppo tardi a questo sport. La situazione è 
migliorata col tempo?
                    «Sì, sotto questo aspetto decisamente sì. Infatti questa 
cosa era legata al fatto che non si faceva attività giovanile o se ne faceva 
veramente poca. Oggi, invece, ci sono più società organizzate in tale direzione 
e c’è anche più richiesta da parte delle ragazzine che, vedendolo magari in 
televisione o vedendolo praticare dai loro amici o fratelli, vogliono 
avvicinarsi e chiedono di poter giocare. Più la ragazzina inizia da piccolina a 
giocare, più l’aspetto tecnico ne guadagna perché alle spalle ci sono più anni 
di addestramento».
                    
Parliamo della sua carriera. Dopo tredici anni di A1, a gennaio è tornata in 
B con il Cervia. Cosa l’ha spinta a prendere questa decisione?
                    «Fondamentalmente delle esigenze familiari: volevo 
avvicinarmi a casa. Poi in questa società ho trovato anche dei presupposti di 
mentalità di cercare di fare lo sport con dei canoni di professionalità e di 
serietà che non avevo riscontrato in altre società. Anche questo aspetto è stato 
una molla che mi ha spinto in questa direzione. Poi non le nascondo che ho già 
invece parlato con la società perché mi manca l’agonismo della A1. Un agonismo 
chiaramente superiore, è normale che sia così. Quindi cosa farò in estate 
onestamente non lo so, si vedrà tutto quanto poi, però di certo sono stata bene, 
mi sono trovata bene e auguro a questa società, indipendentemente da Katia 
Serra, di continuare a praticare il calcio con una certa mentalità e di crescere 
nel tempo. Ripeto indipendentemente da Katia Serra, eventualmente».
                    
                    Una decisione che comunque le ha portato fortuna perché 
ha ritrovato anche la Nazionale.
                    «Sì e no. Nel senso che sì, l’ho ritrovata, poi però è stata 
anche un problema la categoria per continuare ad essere parte della Nazionale. 
Diciamo che sotto questo aspetto c’è grande differenza tra la serie A e la serie 
B. Di conseguenza il CT mi ha fatto capire che per rientrare nel giro azzurro 
bisognerebbe essere stabili in serie A, perché si tratta di due campionati 
differenti. L’ho ritrovata sono stata molto contenta in quanto per me è sempre 
un punto di riferimento importante far parte della Nazionale e indossare la 
maglia azzurra, però per poterci rimanere in pianta stabile vanno fatte scelte 
diverse. Per cui anche sotto questo profilo l’estate verrà affrontata con delle 
riflessioni a 360 gradi».
                    
                    Quali sono quindi i progetti futuri di Katia Serra? Un 
ritorno in serie A1?
                    « Magari (ride, ndr)! Si, l’obiettivo è questo. Però 
sono anche consapevole che è un momento particolare che si ripercuote nel calcio 
dilettantistico e a maggior ragione nel calcio femminile. E’ un momento in cui 
anche l’economia italiana non aiuta certo gli sport minori a operare al meglio. 
Questo è l’obiettivo, ma non è detto che si possa concretizzare facilmente. Non 
sono più una ragazzina che pur di giocare è disponibile ad andare dappertutto, 
ovviamente, e ci sono anche delle altre esigenze che fanno meditare a fondo se 
una scelta è giusta o nel tempo potrebbe non rivelarsi quella che uno sperava».