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Intervista a Chiara Oliviero   Tutte le interviste tutte le interviste
Chiara OlivieroTelegiornaliste anno XVI N. 27 (644) del 21 ottobre 2020

Chiara Oliviero, da Hercules a Netflix
di Giuseppe Bosso

Intervistiamo Chiara Oliviero, doppiatrice con cui ripercorriamo il suo percorso e le sue prospettive.

Come si è avvicinata al mondo del doppiaggio, ricorda la sua prima volta in sala?
«Ho iniziato prestissimo, a 9 anni doppiando una bambina nella serie Hercules, molto popolare negli anni ’90, e lì per la prima volta mi trovai in sala, catapultata in una realtà che a me appariva strana e diversa da quella che ero abituata a vedere da spettatrice. Era un gioco, ovviamente, in quel momento, ma piano piano è diventata una cosa diversa».

Con quale attrice o personaggio si è sentita maggiormente coinvolta?
«Sono tante, ma se devo scegliere penso al film La vera storia di White Boy Rick dove ho doppiato la sorella del protagonista, una ragazza problematica, fragile, con risvolti drammatici, e solo a rivedere quelle scene ho provato una forte commozione. Anche quando ho doppiato Elizabeth Lail nel film Countdown, ho potuto immergermi nelle mille sfaccettature del suo personaggio. Aldilà della trama fantasy-horror, ha interpretato una ragazza combattiva, che improvvisamente si ritrova pesantissime responsabilità sulle sue spalle. Viene calunniata, perde il suo fidanzato, soffre per l’improvvisa morte della madre, si sente responsabile, ma nonostante tutto non perde mai la lucidità e va dritta verso la soluzione. Tutto condito da un tenerissimo amore per il padre e per la sorellina, che cerca costantemente di proteggere».

Anche il vostro ambiente ha inevitabilmente risentito dell’emergenza covid: come ha vissuto la ripresa dopo il lockdown?
«Le società hanno lavorato per metterci a disposizione un ambiente più̀ sicuro; il rientro è stato strano, con i tablet per i copioni, i plexiglas per dividerci dall’assistente a cui non eravamo abituati; abbiamo ricominciato così, ma per me che sono ipocondriaca è stato molto rassicurante. Le società̀ hanno lavorato per metterci a disposizione un ambiente più̀ sicuro; il rientro è stato strano, con i tablet per i copioni, i plexiglas per dividerci dall’assistente a cui non eravamo abituati; abbiamo ricominciato così, ma per me che sono ipocondriaca è stato molto rassicurante».

Prossimamente dove potremmo ‘ascoltarla’?
«Ci sono molte cose in cantiere, cose che avevamo lasciato in sospeso e che stanno per ripartire, come la serie Hollywood su Netflix o il reboot di Streghe; un film di Natale prodotto dalla Disney e Valeria, che è una trasposizione spagnola di Sex & The City in versione adolescenziale».

E proprio a proposito di Netflix e di altre piattaforme che hanno cambiato molto per lo spettatore, si può dire che abbiano fatto lo stesso anche per il vostro mondo?
«Sicuramente è stata una novità che ci ha permesso di prendere parte a molti interessanti progetti rivolti ad un bacino di utenza molto più ampio. E mi fa piacere apprendere che gli utenti italiani tendenzialmente preferiscono visionare serie doppiate piuttosto che in lingua originale, è come rendere omaggio al nostro lavoro e non può che farci piacere».

Giulia Tarquini che intervistammo tempo fa l’ha indicata tra le sue più care amiche: è così nel vostro settore?
«Sì, è un mondo dove è facile relazionarsi. Si potrebbe pensare ad un ambiente sedentario dove si incontrano sempre le stesse persone, ma non è così, ogni giorno puoi entrare in contatto con tanti colleghi, e alla fine ci conosciamo tutti. Poi ovviamente c’è qualcuno con cui ti trovi maggiormente in empatia ed è facile sviluppare rapporti di amicizia, condividendo il tuo lavoro che occupa la maggior parte del tempo».

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