Telegiornaliste
anno II N. 41 (73) del 13 novembre 2006
Sandro Ruotolo, a destra di Santoro
di Giuseppe Bosso
Nato a Napoli, Sandro
Ruotolo inizia la carriera giornalistica ne Il
Manifesto. Dal 1980 in Rai, comincia la collaborazione
con Michele Santoro nel 1988: inviato di Samarcanda,
caporedattore al Rosso e Nero, vicedirettore della
struttura Tempo Reale. Per tre stagioni televisive è
coautore e vicedirettore di
Moby Dick e Moby's su Italia1. Nel 1999 segue
Michele Santoro a Rai1 per il programma Circus e nel
marzo 2000 per Sciuscià. Nel 2006 torna in
televisione con il programma Annozero.
Da quasi vent'anni lei è il "braccio destro" di Michele
Santoro; che tipo di rapporto si è instaurato tra di voi nel
tempo?
«Stima, affetto, lavoro e comunanza. E passione comune per
questo mestiere. Direi che si può riassumere così».
Santoro dopo alcuni anni è tornato in tv con Annozero,
ma i dati sugli ascolti non sono positivi: dipende dalla
nuova formula del programma rispetto a quella storica?
«È un programma nuovo che cerca di proporsi ad un pubblico
conservatore, che non ti fa sconti quando cerchi di
guadagnare ascolti. Direi comunque che, per gli share di
Rai2, i risultati di Annozero sono più che
lusinghieri, considerando che ottiene due punti in più della
media. La strada è certamente in salita, ma ci vuole tempo
perché un prodotto si affermi e si consolidi. Indubbiamente
la trasmissione è diversa dai “classici” programmi di
Michele Santoro che il pubblico è abituato a seguire; tenga
conto che le generazioni si formano ogni cinque anni, e noi
ne abbiamo saltata una, in questo lustro».
Senza entrare nel merito della vicenda che ha riguardato
il suo collega, pensa che ancora oggi la politica possa
condizionare in maniera così forte il mondo dei media e
dell'informazione?
«Prodi ha lanciato questo monito, appunto, per
un’informazione più libera. Il problema è che nel nostro
Paese non ci sono editori “puri”, intesi come liberi da
condizionamenti. Sicuramente la carta stampata è più libera
della televisione (ma anche lì si avvertono queste
presenze). È sicuramente un tema che dovrà essere affrontato
nei prossimi anni».
Quale ritiene sia il ruolo del giornalista nella società
di oggi, tra vicende dolorose come i tanti delitti che
abbiamo vissuto e una situazione politica di forte contrasto
dialettico tra gli schieramenti?
«Raccontare. È questo il nostro compito, essenzialmente.
Dopodiché è chiaro che quando vuoi fare inchiesta o
approfondimento devi essere in grado di espletare il tuo
punto di vista. Ed è importante averne molti. È stato
importante, secondo me, l’appello lanciato da Ciampi
all’epoca della sua presidenza, e ora da Napolitano, i quali
si sono richiamati ad una maggiore libertà dei giornalisti.
Alla luce delle oscure vicende che hanno riguardato i
colleghi di La Repubblica, del caso Telecom che è
molto eloquente secondo me, e gli stessi scandali del calcio
e della televisione, direi che c’è un Paese Italia da
raccontare in maniera compiuta ed esauriente».
Il suo è uno dei
blog più visitati in rete: come crede che queste nuove
forme di comunicazione potranno influire sulla vita del
futuro?
«Ci fanno crescere. Sicuramente sono forme di comunicazione
solitamente riservate ad un target più giovane, come
immagino nel caso del vostro magazine, in un’Italia che
invecchia a vista d’occhio. I dati dicono che i giovani
guardano meno la televisione e passano di più il loro tempo
davanti al pc, come i miei figli, proprio per le enormi
potenzialità che la tecnologia offre loro. Direi che sarebbe
opportuno “svecchiare” il pubblico della televisione
cercando proprio di avvicinare i giovani con l’impiego della
tecnica. Per quanto mi riguarda, invece, posso dire che il
blog mi diverte, dandomi una possibilità in più di esprimere
le mie opinioni».