Telegiornaliste anno V N. 1 (172) del 12
gennaio 2009
Giancarlo Padovan: «Il
giornalismo sportivo italiano? Bigotto e
servile»
di Pierpaolo Di Paolo
Caporedattore sportivo del Corriere della Sera
e direttore di Tuttosport da ottobre 2002
a gennaio 2008, oggi
Giancarlo
Padovan è direttore editoriale del
Corriere di Livorno. E' stato anche
allenatore di calcio femminile per Fiammamonza e
Torino calcio.
Non
ha mai nascosto disappunto per il
giustizialismo, da lei definito ipocrita, che ha
caratterizzato Calciopoli. Cos'è che non ha
funzionato in quel processo?
«Vengo or ora da un processo a Calciopoli
tenutosi a Torino e di cui sono stato
presidente. Sono tante le cose che non hanno
funzionato. Innanzitutto, in una giustizia che
pretende di esser giusta, e non un affaretto
domestico, è inconcepibile che sia eliminato un
grado di giudizio, soprattutto se ciò viene
deciso da un signore, Guido Rossi, che ha legami
acclarati con una delle società antagoniste.
Questa persona ha abolito, come fosse un
dittatore africano, il primo grado di giudizio
eliminando una delle garanzie della difesa. Si
comincia dall'appello. Ma appello di cosa? In
secondo luogo, pur dando per assodato che il
castello accusatorio fosse effettivamente
compromettente per la Juve, lo era ugualmente
per Fiorentina, Milan, Lazio e Reggina».
Non sono state punite tutte?
«Formalmente sì. Sostanzialmente, tutte sono
state ammesse in A, eccetto la Juventus. Il
Milan è stato addirittura ammesso in Champions
(poi vinta!) poiché le decine di punti sottratti
alla società rossonera erano giusto un paio in
meno di quelli necessari ad escluderla dalla
competizione. Ora si è riconosciuta una società
talmente responsabile da doverle sottrarle
decine di punti, e lo si è fatto non tanto per
il campionato futuro, ma per il precedente del
quale - classifica alla mano - si sa già quale
incidenza avranno i punti sottratti. La
decisione diventa una barzelletta se la marea di
punti sottratti sono esattamente un paio in meno
di quelli necessari ad escluderla dalla
Champions League. Questo ha provocato lo sdegno
dell'UEFA, ma non di un'Italia bigotta e servile
quasi quanto il suo giornalismo sportivo».
Altri appunti da fare a Calciopoli?
«Certo. La sentenza è contraddittoria e
inaccettabile, e gli atti ne dimostrano
l'assurdità. Alla Juve non è mai stato
contestato l'art. 6 (illecito sportivo) ma
unicamente la violazione dell'art. 1 (lealtà
sportiva). Ma se la società non ha compiuto
illeciti sportivi, come si può condannarla come
se lo avesse fatto?».
Lei è candidato alla presidenza del calcio
femminile e ha un sito dal nome significativo:
Cambia il calcio femminile. Come pensa si
possa cambiare questo mondo?
«Per tanti aspetti questa disciplina ha il calcio
più arretrato e meno conosciuto. Non mi
riferisco certo alla qualità del gioco, ma
esiste un evidente problema di comunicazione, di
marketing. In questo ambiente occorre un
rinnovamento, ed il fatto che a queste elezioni
ci sia una candidatura alternativa è già un bel
passo in avanti rispetto al passato. Anche
perché, se dopo 12 anni di governo Levati e di
insufficiente mobilità ed iniziativa - se non di
regressione - il calcio femminile vuole provare
un'alternativa, ciò può essere solo un bene».
Se alle elezioni di gennaio non dovesse
farcela, è il calcio femminile ad aver perso un
treno, o lo ha perso Padovan?
«Io non perdo e non guadagno nulla. Per questo
mondo ho fatto molto sia come allenatore di
Fiammamonza e Torino, sia nella ricerca continua
di risorse, sia nel campo dell'informazione dove
ho lottato per ottenere il poco spazio che ha.
Sono riuscito, da direttore di Tuttosport,
a dedicare 2 volte alla settimana mezza pagina a
questo sport, cosa che non ha fatto nessun
altro. Non l'ho fatto solo da appassionato. L'ho
fatto perché da un lato il calcio femminile ha
l'assoluta necessità di esser conosciuto,
dall'altro quest'iniziativa mi poteva introdurre
dei lettori. Certo, non facevo affidamento su
numeri straordinari, ma fossero anche solo le
200, 300 persone che comprano il giornale per
leggervi il proprio nome o conoscere le ultime
novità di un settore così vasto e tanto
trascurato... Adesso veda il calcio femminile se
ho fatto abbastanza».
Da presidente, lotterebbe per arrivare a dei
campionati misti?
«Bella domanda. Mi legge nel pensiero. Certo non
posso avere la pretesa, da presidente, di
cambiare il mondo. Questa è una rivoluzione che
deve partire dalla Fifa, tuttavia lo considero
un traguardo possibile. Ci vorranno forse dieci
anni per arrivare ad abbozzare un progetto del
genere, ma le dico che lo pensavo da tempo, ed
anche se adesso sembra una cosa futuristica, il
fatto stesso che tu mi faccia questa domanda
dimostra che è un'idea che circola nella testa
della gente. Questo è già un gran bel segnale».
Anche tra gli addetti ai lavori potrebbe
esistere questa idea. Mi pare che tempo addietro
l'avesse sostenuta anche un presidente di serie
A, Luciano Gaucci.
«Si, ma Gaucci lo faceva come provocazione. Il
fatto è che da nessuna parte è scritto che
debbano giocare solo maschi. Il regolamento
parla di persone, di giocatori. Gaucci dice:
"Con la liberalizzazione della Comunità Europea,
la calciatrice è parificata al calciatore. Io
assumo un professionista con un contratto di
lavoro, non posso discriminare in base al sesso.
Qui si tratta di assegnare dei posti di lavoro a
livello europeo, non si può dire che i candidati
devono essere solo maschi". Tutto questo
discorso, formalmente ineccepibile, cade nel
momento in cui si evidenzia che le calciatrici
non hanno lo stesso status dei calciatori, da
nessuna parte in Europa la calciatrice è
professionista. Se lo fosse, l'idea di Gaucci
sarebbe ineccepibile. Ma Gaucci è folclore,
voleva fare un po' di scena. Qui parliamo di
altre cose».
Il calcio femminile ha gli stessi problemi di
quello maschile? Che mi dice del doping?
«No, non esiste. Il controllo antidoping è
costante e preciso, e le persone che negli
ultimi tre anni vi sono incappate sono due: una
per cannabis, l'altra per cocaina. Per tanti
versi le donne sono più avanti: qui non esiste
la simulazione, non esistono le partite
concordate, le gare durano 90 minuti e si
giocano alla morte, non ho mai visto una squadra
che a un certo punto gioca a perdere perché dati
i risultati degli altri non ha più interesse e
preferisce fare un favore all'avversario. Qui
non ci sono favori. Il calcio è tecnicamente
avanzatissimo. Semplicemente questo sviluppo
tecnico non è supportato da altrettanta
fisicità. L'esplosione fisica maschile è lontana
anni luce, e questo è l'unico gap».
Telegiornaliste
anno V N. 2 (173) del 19 gennaio 2009
Giancarlo Padovan:
«Tuttosport? Non scrivo per un giornale del
quale non condivido più nulla» di
Pierpaolo Di Paolo
Continuiamo questa settimana la nostra
chiacchierata con
Giancarlo
Padovan.
Dopo i cinque anni passati alla direzione di
Tuttosport, quali sono i suoi progetti
attuali?
«Il mio rapporto con Tuttosport si è
interrotto a gennaio 2008. Subito dopo sono
stato ingaggiato da Cairo Editore per la
realizzazione di un quotidiano sportivo a
pagamento, del costo di 0,50 cents.
Successivamente abbiamo optato per un free press
sportivo, esperienza che manca a livello
mondiale. Il tutto, però, si è arenato a
settembre, è stato necessario congelare
l'iniziativa per problemi finanziari. E' un
peccato perché avevamo realizzato un progetto
grafico del tutto innovativo per l'Italia, ma
mancando la certezza di sponsor adeguati non è
stato possibile dare l'avvio al programma. Resta
un'idea viva e vegeta, ma non sarà realizzata a
breve».
Nel frattempo, ci sono altre idee
all'orizzonte?
«Altroché. Intanto c'è la novità Cristiano
Lucarelli. Da lungo tempo il giocatore mi
corteggiava affinché prendessi in mano il
Corriere di Livorno. Non si tratta di
un quotidiano solo sportivo, ma completo. Io
prendo il posto del calciatore alla presidenza
del consiglio d'amministrazione della
cooperativa Adriano Sisto. Inoltre, sono stato
nominato direttore editoriale. Svolgerò un ruolo
manageriale, voglio investire sullo sviluppo del
quotidiano. In primis cercherò di intervenire
sul bacino d'utenza del giornale, per allargarlo
in modo da estenderlo oltre i confini della
città di Livorno che, al giorno d'oggi, ne
costituiscono il limite principale».
Quindi Lucarelli le ha chiesto di sostituirlo?
«Non esattamente, io svolgerò un ruolo che lui
non poteva ricoprire. Si tratta di una persona
impegnata dal suo ruolo professionale ma, al di
là di questo e con tutto il rispetto, io posso
fornire un'esperienza e una competenza diverse.
Ciò che spero di fare è riuscire a fornire un
livello di gestione che sia un di più rispetto
alla semplice direzione di un giornale».
Il nome di Cristiano Lucarelli rinvia a una
forte caratterizzazione politica. Questo avrà un
ruolo nel progetto?
«Non ha avuto e non avrà alcun ruolo. Questo
giornale, se vuole avere un futuro, deve
presentare una caratterizzazione politica meno
marcata possibile. Ciò perché, al di là delle
convinzioni personali, esiste già da 130 anni un
giornale,
Il Tirreno, che è egemone nella zona,
soprattutto da un punto di vista ideologico. Noi
non dobbiamo cercare una linea alternativa o
allinearci su uno spazio già coperto, finiremmo
schiacciati. Dobbiamo invece trovare uno spazio
nostro attraverso un giornale libero, privo di
legami e preconcetti. Un giornale attento alla
cronaca e che sia credibile e coerente,
strettamente fedele alla notizia. Dobbiamo
puntare tutto su indipendenza e credibilità».
Certe sue scomode posizioni hanno avuto un
ruolo nel suo allontanamento da Tuttosport?
Di certo si è trovato controvento in un periodo
in cui era consigliabile assumere ben altri
atteggiamenti...
«Assolutamente no. So bene che si dice questo, e
che qualcuno imputa al mio editore la decisione
di rimuovermi. Tuttavia la risoluzione del
contratto è stata consensuale. Da quattro anni e
mezzo svolgevo quel ruolo e ci eravamo detti
che, dopo l'estate, ci saremmo rivisti per
discutere il futuro. A quell'incontro sono
andato mettendo nella borsa il contratto
d'assunzione, evidentemente avevo le idee chiare
già di mio. Nessuno mi ha cacciato».
Tuttavia molti lettori di Tuttosport di
fede juventina...
«No, no, ma questo lo so. Io farei più bella
figura a fare la vittima, ma non sono una
vittima. Parliamoci chiaro, ove mai ci fossero
stati dei poteri forti, che siano Inter,
Moratti, Telecom, famiglia Elkann o altri, che
si fossero mossi per togliermi di mezzo, cosa
cambierebbe? Anche ammesso che sia così, che
importa? Sarei forse un martire?».
Beh, un suo rilievo l'avrebbe. Basti dire che
col nuovo direttore, Paolo De Paola, il giornale
sembra avere tutt'altra linea rispetto a
prima...
«Questo è indiscutibile. Il giornale, negli
ultimi tempi, ha avuto una linea editoriale che
sconfessava totalmente la mia perciò,
nonostante le offerte che ho ricevuto
dall'editore, ho deciso di dare le dimissioni.
Io non scrivo per un giornale del quale non
condivido proprio nulla. Poi, sa, io sono un
uomo fortunato. Il 9 dicembre ho chiuso i miei
rapporti con Tuttosport e il 10 ho
firmato il contratto con Cairo. Potendo contare
su un'innata fortuna, ho sempre trovato
immediatamente una nuova opportunità. Continuo
senza dover rinunciare mai a nulla di quelle che
sono le mie prerogative di commentatore sportivo
ed editorialista sportivo. Sono una voce libera
nel campo dell'informazione sportiva. Anche se
mi avessero fatto fuori, non mi avrebbero
comunque tolto la parola, la forza delle mie
idee, la libertà di esprimere opinioni anche
molto forti. Io sono e resto un giornalista
libero e ne vado fiero».
Un esempio di opinione libera?
«Un esempio è in tutta la mia carriera di
commentatore ed editorialista sportivo, fino ad
oggi. Ho sempre espresso con libertà ogni idea,
anche la più forte. Ho scritto di recente un
libro sulle massime di Mourinho che reputo un
grande allenatore e una grandissima personalità.
Tutto il contrario del precedente allenatore,
Roberto Mancini, che era solo uno pseudo
allenatore». - continua nel prossimo numero