|  Telegiornaliste 
	anno II N. 13 (45) del 3 aprile 2006 
 Gandolfo, da volontario a giornalista di 
	Filippo Bisleri
 È un volto noto del Tg5, uno degli inviati di punta del tg di 
	Carlo Rossella. Stiamo parlando di 
	Giuseppe "Beppe" Gandolfo
        che abbiamo raggiunto dopo la sua esperienza professionale alle 
	Olimpiadi.
 
 Beppe, come hai scelto di fare il giornalista?
 «L'ho scelto incontrando, all'età di sedici anni, un sacerdote 
	giornalista mentre mi trovavo in Friuli come volontario durante il dopo 
	terremoto».
 
 Cosa ti piace di più della professione giornalistica?
 «La varietà degli argomenti da affrontare e l'incontrare ogni 
	giorno persone nuove, diverse».
 
 Sei un inviato: ti ritieni uno dei giornalisti che, per dirla con 
	un'espressione di Anna 
	Maria Chiariello , ama "sporcarsi le scarpe di fango"?
 «Le notizie non arrivano sul computer: devi andarle a cercare, 
	devi essere presente sul posto dove accadono per poterle raccontare, almeno 
	per quel che concerne la cronaca».
 
 Quali sono gli argomenti che preferisci affrontare?
 «Non ho particolari preferenze. Mi piacciono le storie, il 
	risvolto umano dei fatti».
 
 Hai una preferenza per il giornalismo televisivo o ti piacciono anche 
	altri media come la carta stampata o le radio?
 «Ho lavorato per anni in agenzia e collaboro da decenni col 
	quotidiano Avvenire, 
	ma la tv è il mezzo che prediligo per la commistione fra scrittura, immagini 
	e audio».
 
 Nella tua esperienza professionale hai un servizio, un personaggio o 
	un'intervista che più ricordi?
 «Non ne ho nessuno in particolare, ma tanti. Ripensandoci, sono molti i 
	volti che mi tornano alla mente di persone che ho incontrato in esperienze 
	tragiche o gioiose, quasi tutte mi hanno lasciato qualcosa, anche se spesso 
	si tratta di incontri fuggevoli».
 
 Chi sono stati i tuoi maestri di giornalismo?
 «In questo mestiere non esistono maestri. Certo ci sono colleghi 
	che hanno maggior esperienza, ma ho capito in questi anni che ogni 
	volta che si arriva in un luogo per raccontare una vicenda dobbiamo essere 
	tutti nella medesima condizione, praticanti alle prime armi, pronti a 
	raccogliere tutte le notizie necessarie per fare il pezzo».
 
 Tra colleghi e colleghe chi apprezzi di più?
 «Sono in molti, ma il mio mito è 
	Toni Capuozzo. È per me una fortuna poter lavorare, ogni tanto, al 
	fianco di Toni Capuozzo».
 
 Molti sono i giovani che vorrebbero fare i giornalisti. Quali 
	consigli daresti loro?
 «Di non arrendersi alle prime difficoltà. Io ho fatto quindici anni 
	di gavetta prima di avere un contratto. Consiglio poi di non 
	settorializzarsi, ma di essere voraci e curiosi, di non credersi mai 
	arrivati, di voler sempre imparare, ricominciare daccapo».
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