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Intervista a Patrizia Camassa (1) tutte le interviste
Patrizia CamassaTelegiornaliste anno II N. 23 (55) del 12 giugno 2006

Un limite al peggio di Silvia Grassetti

«Ancora mi chiedo perchè ci ostiniamo a volere che gli arabi siano come noi, non succederà mai».
Apro l’editoriale con queste parole di Patrizia Camassa, caporedattore di Teleregione Puglia. Dopo l’ultimo attentato costato la vita e la salute ad altri militari italiani, credo che le parole di chi nei Paesi musulmani, Iraq, Afghanistan, c’è stato, costituiscano una testimonianza importante per tutti.
«In Iraq ci sono stata quando rapirono Umberto Cupertino – prosegue Patrizia -, di San Michele di Bari. Un'esperienza forte, un altro mondo, ma che merita rispetto, e tanto».

In Afghanistan Patrizia ha visto «bimbi di quattro, cinque anni che sbucavano fuori dal ciglio della strada all'improvviso e a piedi nudi, con le guance rosse dal freddo, vestiti a malapena con una tuta, e gridavano, stendendo le manine, Italiani, NATO, fame... pane! Noi ci fermavamo – continua la telegiornalista -, con tutti i rischi del caso, e i nostri militari, persone meravigliose, gli davano biscotti, merendine, li prendevano in braccio e li coccolavano, come se fossero figli loro».

Forse il busillis sta proprio qui, nella confusione tra missione di pace e missione di guerra che fin dal primissimo giorno dopo gli attentati alle Twin Towers ha contraddistinto le successive operazioni militari: come potevano stare assieme la benevolenza verso gli “italiani brava gente” e l’appoggio incondizionato agli USA nella loro volontà di occupazione di nazioni sovrane e delle loro risorse?

Allora tiriamoci fuori dal coro dei “via l’Italia subito” e dei “restiamo fino alla fine”: la democrazia non si esporta, non è merce ma un fatto culturale. E cultura è rispetto delle differenze, e responsabilità.

Poso la penna, ma resto a riflettere su queste altre parole di Patrizia Camassa, che forse indicano la direzione corretta su cui concentrare gli sforzi per un futuro più giusto, a Occidente come a Oriente:
«Quando sono rientrata in Italia era il 24 dicembre, la notte di Natale, non riuscivo a smettere di pensare a quei bambini e guardavo l'abbondanza intorno a me. A mio figlio dissi che era un ragazzo davvero fortunato.
Dopo qualche giorno ho iniziato a contattare aziende di prodotti alimentari, pasta, olio, pelati, acqua minerale e latte, ho comprato tantissima cioccolata, tanta da riempire un camion, la FIGC pugliese mi regalò palloni e mascotte. Contattai il Colonello che comandava il contingente e il cappellano militare in missione, e grazie a loro ho spedito tutto, con la preghiera di rifornire gli orfanotrofi e i bimbi, le loro famiglie per strada. Così è stato. Ho adottato due bambini a distanza, che ho conosciuto lì. Ogni tanto spedisco del vestiario.
Ma come si può restare insensibili?».

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