Telegiornaliste anno IV N. 19 (144) del 19 maggio 2008
Stefania Bianchini: ho perso, ma mi sento ancora
campionessa
di Pierpaolo Di Paolo
Campionessa
mondiale pesi mosca Wbc dal 2005, una laurea in scienze motorie, master in
sociologia e marketing dello sport, telecronista per Eurosport dal 2002,
Stefania Bianchini
ci racconta la boxe femminile e lo sfortunato incontro del 29 marzo scorso, in
cui ha perso il titolo mondiale.
Sei una pioniera della boxe femminile, la prima ad aver portato un titolo in
Italia. Che sensazione ti dà questa considerazione?
«E' una grande soddisfazione. Ho aspettato tanti anni prima di avere
l'opportunità di combattere, perché in Italia è stato vietato fino al 2001. E
così sono stata la prima italiana a conquistare un titolo mondiale. Sono entrata
nella storia, nel Guinness dei primati, e questo non me lo può levare più
nessuno. Son stata anche odiata per questo: purtroppo quando una donna fa
qualcosa di importante, attira sempre molti sentimenti negativi. Ma io dico che
è meglio esser odiata che compatita».
Se la boxe è stata vietata fino al 2001, come è possibile che in così pochi
anni siamo arrivati a competere a livelli mondiali?
«Non abbiamo iniziato nel 2001. Io ho combattuto all'estero con licenza tedesca,
e tante si allenavano anche se non potevano combattere. La stessa Galassi è
stata molto brava tra i dilettanti prima di far bene nel professionismo, quindi
la scuola italiana è indubbiamente molto buona».
Raccontaci l'incontro di Forlì. Cosa è andato storto?
«Ho sicuramente sbagliato la preparazione al match. Mi prendo tutte le colpe
perché non è da me scaricarle su nessuno, però col senno di poi mi rendo conto
che potevo essere preparata meglio. Non mi riferisco tanto al preparatore
fisico, che ha fatto un lavoro eccezionale, quanto al maestro di pugilato che
non ha fatto un buon lavoro: infatti dopo l'ho licenziato. E' anche vero che la
mia avversaria è stata molto brava a sfruttare tutti i miei errori. In più, non
sono affatto convinta del comportamento dei giudici».
Pensi che combattere "in casa" della Galassi ti abbia penalizzata sul
verdetto?
«Precisiamo che io sono andata lì sicura di vincere, anche se poi così non è
stato. Questo perché sono sempre ottimista e non penso mai che un verdetto possa
essere pilotato. Non voglio insinuare questo: la Galassi ha vinto meritatamente
l'incontro. Quel che penso è che semplicemente le abbiano dato un punteggio che
non meritava, e non ce n'era nessun bisogno perché avrebbe vinto lo stesso. Mi
hanno umiliata e potevano evitarlo: queste son cose brutte che offuscano anche
le vittorie più nette. Di certo vorrei avere la possibilità di sfidarla di
nuovo, ma in qualsiasi altra piazza che non sia Forlì, perché oramai non mi fido
più».
Anche nella boxe non è tutto sempre trasparente? Ci sono pugili che vengono
aiutati rispetto ad altri?
«Sì. Se un arbitro vuole, può pilotare un match, e sono cose che purtroppo
accadono anche nella boxe. Ho combattuto all'estero e mi è capitato di vedere
verdetti ingiustificati. La stessa
Regina Halmich, che
avete citato la scorsa
settimana, è stata una pugile sempre molto aiutata in Germania».
La Halmich è stata un personaggio molto importante per il vostro sport. Pensa
dunque che non sia stata tutta farina del suo sacco?
«Quando lei era in tv l'audience era sempre alto, e questo ha aiutato molto a
promuovere il pugilato femminile. E' innegabile: è una bella guerriera rimasta
imbattuta, però bisogna anche dire che non l'hanno mai fatta perdere. La Halmich
è stata sconfitta una sola volta perché era andata a combattere negli Stati
Uniti, e da quella volta l'hanno fatta competere solo in casa. E' una grande
campionessa e un grande personaggio, ma non ha tutti i meriti che le danno».
L'idea di una donna forte è una cosa che spaventa gli uomini? E' vero che
essere una pugile interferisce con la vita privata?
«Per me non è assolutamente vero. Il fatto di essere una campionessa è una cosa
che mi avvicina agli uomini perché li affascina. Questo sport ti porta ad essere
in forma e sicura di te perché vai oltre tante barriere. Sei emancipata,
femminile e bella. Gli uomini avvertono tutto questo e ne sono attratti. Certo,
devono essere uomini in grado di mettersi in gioco e probabilmente in questo
sono anche aiutata dal fatto di vivere a Milano. In una realtà più provinciale,
immagino che le cose possano essere molto diverse. Personalmente, il fatto di
essere una pugile mi ha solo aiutata nei rapporti umani, mai ostacolata».
Passiamo a un altro luogo comune: cosa rispondi a chi dice che questo è solo
uno sport violento?
«Che al più è uno sport cruento, non violento. La violenza si ha quando si va
oltre le regole, quando si rifilano testate invece che pugni, ma questo non
accade quasi mai perché ci son delle regole che vengon fatte rispettare. Semmai
vedo molto più spesso nel calcio dei giocatori andare oltre le regole del gioco:
li vedo fiondarsi sulle caviglie degli avversari o tirarsi gomitate, calci...
Non è violenza quella? E' troppo facile criticare il pugilato per questo, ma la
verità è che ha le sue regole e queste vengono fatte rispettare meglio che in
altri sport».
Hai visto il film
Million Dollar Baby? L'immagine che vien fuori della boxe femminile non
è esattamente quella che hai descritto tu...
«L'ho visto al cinema e sono uscita dalla sala molto arrabbiata. Si fa tanto per
promuovere questo sport, e poi lo si mostra al pubblico in maniera assurda. Il
combattimento avviene come se non ci fossero regole, è tutto sbagliato.
Nonostante ciò, penso che il film abbia aiutato lo stesso il nostro sport, per
quanto non sia di certo quella la boxe reale».