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Telegiornaliste anno IV N. 17 (142) del 5 maggio 2008

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MONITOR Serena Bernardo, signora del talk show di Giuseppe Bosso

Serena Bernardo, napoletana e giornalista pubblicista dal 1995, muove i primi passi nel mondo della televisione come annunciatrice dell’emittente Tele Europa. Attualmente conduce sul circuito Tele A il talk show Gradite un caffè.

Serena, da cosa nasce Gradite un caffè e a quale modello di talk show si ispira?
«Non vorrei sembrare presuntuosa, ma ritengo il mio un vero talk show inteso come salotto in cui gli ospiti intervengono e interloquiscono in maniera garbata senza alzare la voce, cosa che bandisco assolutamente. Era questo il significato del talk show fino agli anni 90, poi è arrivata la tv urlata che vediamo oggi. Noi riusciamo a trattare sia temi un po’ più frivoli che argomenti seri e impegnativi».

Quali sono gli ospiti con i quali hai maggiormente piacere di interloquire?
«Non amo molto i politici, soprattutto perché è un settore che non mi appartiene per il suo linguaggio e per il suo meccanismo. Essendo biologa e avendo seguito un percorso di studi scientifico-medico, sono proprio questi i personaggi con cui mi trovo maggiormente in sintonia».

Si può parlare in maniera pacata delle problematiche di Napoli?
«Assolutamente sì. Per esempio, ultimamente, abbiamo ospitato i vertici dell’ARPAC con cui abbiamo trattato il problema ambientale che sta vivendo la nostra città a causa dell’emergenza rifiuti. Napoli ha delle eccellenze che andrebbero meglio valorizzate e pubblicizzate, in campo sanitario ad esempio. Abbiamo ospitato il Professor Poggi che gestisce il reparto di oncologia dell'ospedale Pausillium in maniera straordinaria. Insomma, ci sono delle perle che se unite, formerebbero una meravigliosa collana. Però è anche vero che, per i telegiornali nazionali, parlar male di Napoli è un gioco quasi irrinunciabile. Ho calcolato che ogni giorno, in media, ci sono almeno tre servizi sulla città per un totale di ventuno a settimana. Ebbene, di questi soltanto due parlano di Napoli in termini positivi, mentre il resto spazia tra immondizia, camorra e cronaca nera».

Riesci ad essere garbata e puntigliosa al tempo stesso, magari facendo domande critiche agli ospiti in trasmissione?
«Più che puntigliosa mi ritengo curiosa, penso sia una dote indispensabile per fare bene il nostro lavoro. Quanto alle domande critiche, dipende dagli ospiti, ma si può anche fare qualche domanda, in modo garbato, sulle cose che non funzionano».

Qual è il modo giusto per affrontare ospiti che, magari, non ti sono simpatici?
«Non penso ci sia una regola in particolare, comunque è meglio per loro non risultarmi tali…»

Il tuo programma è stato inevitabilmente coinvolto dalla chiusura di Canale 10, emittente che vi ha ospitati prima di Tele A. Come hai vissuto questo momento e cosa credi rappresenti per la Campania la fine di un’emittente storica?
«E' stata davvero una grande perdita. Per anni Canale 10 è stato un punto di riferimento e un punto di partenza per tante intelligenze che si sono man mano affermate: conduttori televisivi, registi, microfonisti, addetti ai lavori che svolgono quel fondamentale e silenzioso lavoro dietro le telecamere. Era un’importante risorsa per Caserta - dove c'erano gli studi - e la sua chiusura si è rivelata tragica per quanti lavoravano lì. Lo stesso non può dirsi per quegli editori che non ci hanno pensato su troppo a chiudere. Il problema è proprio questo: oggi non ci sono quasi più editori con la "E" maiuscola, che svolgono questo lavoro con vera cognizione di causa più che per interesse».

Tra un talk show e un tg, quanto cambia il modo di fare informazione?
«Notevolmente. In una redazione di telegiornale ti trovi a dover rispondere a un direttore che ti impartisce delle direttive alle quali difficilmente puoi disattendere. I ritmi sono molto più serrati e rigidi rispetto a un talk show».

Quali sono le colleghe e i colleghi che più ammiri e stimi, sia a livello locale che nazionale?
«Serena Albano è una cara amica con cui ho condiviso praticamente lo stesso percorso professionale, avendo iniziato anche lei come annunciatrice a Tele Europa. Sono molto legata anche a Brunella Chiozzini, proprio perché abbiamo in comune il nostro essere donne di famiglia con gli stessi problemi e gli stessi ritmi. Ammiro molto le college del Tg3 campano come Cecilia Donadio e Maria Laura Massa. E poi c’è un aneddoto su Licia Colò: ero in corsa con lei per la conduzione di Geo&Geo, ma alla fine rinunciai. Beh, considerando che da lì ha avuto inizio un grande percorso per la Colò, mi sono spesso chiesta se la stessa cosa sarebbe accaduta anche a me. Ma non rimpiango quella scelta».

Hai partecipato a Campania Sport qualche anno fa e hai condotto un tg sportivo su Telelibera 63. Come ti sei trovata in quei contesti?
«Per quanto riguarda Campania Sport, inizialmente avevo qualche perplessità ma ho ascoltato l’editore Paolo Tonino che ha voluto darmi fiducia. E' durata poco, ma sono contenta di aver potuto lavorare con due cari amici come Peppe Iannicelli, un grande professionista, e Umberto Chiariello, una vera peste (ride, ndr) con il quale non sono mancate alcune discussioni. Ma lo sport è qualcosa che ho vissuto ai tempi d’oro del Napoli di Maradona, quando Telelibera 63, prima in Italia e con un grande sforzo redazionale, creò il primo tg sportivo. Mi è capitato di essere l’unica donna presente agli allenamenti della squadra azzurra, ho avuto modo di conoscere i campioni che hanno caratterizzato quel periodo come Carnevale, Ferrara e il grande Diego. Poi mi sono allontanata dallo sport, ma l’esperienza a Campania Sport non è stata negativa, anzi ho vissuto "il bello della diretta" e non è una cosa da poco».

Secondo te, la posizione della donna nella società napoletana deve ancora fare qualche passo in avanti?
«Nel campo dell’imprenditoria e del giornalismo ci sono delle figure che hanno raggiunto ottimi risultati, ma ci sono molti passi da fare ancora. Per quanto possano esserci colf e baby sitter che ti aiutano, sei sempre tu alla fine a organizzare la casa, il marito e i figli. Comunque non penso si debba cercare in maniera ossessiva di dimostrare di essere migliori degli uomini. Ognuno va per la sua strada, e se riesce a dimostrare ciò che vale, può emergere».

Quali difficoltà hai incontrato nel conciliare lavoro e vita privata?
«Per le scelte che ho fatto, non credo di averne avute molte. Ho avuto la possibilità di approdare alla tv nazionale,ma allora preferii rimanere nell'ambito locale per non rinunciare alle festività con i miei cari, e l’ho fatto con grande convinzione e serenità. Ho avuto poi la fortuna di essere aiutata dalla mia famiglia, da mio marito che mi ha sempre appoggiata, e dalle mamme e alle nonne che mi hanno dato una mano con i miei figli».

Cosa vedi nel tuo domani?
«Non ho mai amato i programmi a lunga scadenza. Amo vivere giorno per giorno tanto le gioie quanto i dolori. Nel mio presente di mamma c’è l’adolescenza dei miei figli con le sue inevitabili problematiche. Riguardo il mio lavoro, invece, potrebbe anche arrivare il giorno in cui io decida di passare dall’altra parte della telecamera, magari come regista o, come sto facendo anche adesso, come produttrice».
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CRONACA IN ROSA Un Parlamento a colori di Camilla Cortese

Jean Léonard Touadi, dopo trent’anni di presenza in Italia, è un esempio di integrazione riuscita. Nato nel 1959 in Congo, a Brazzaville, è giunto nel nostro Paese nel 1979 per studiare, con l’idea di tornare al più presto in patria e dare il proprio contributo allo sviluppo. L’arrivo in Italia, in una calda giornata di luglio, lo ricorda oggi come un momento felice: era un giovane pronto per iniziare un’avventura nuova in un Paese nuovo, imparare la lingua e vivere con grande entusiasmo in una Roma accogliente e curiosa verso questo tipo di immigrazione.

Ha studiato lavorando, sapendo che alla fine degli studi la sua vita avrebbe avuto una svolta, e dopo la laurea in Filosofia all'Università Gregoriana di Roma ha ottenuto quella in Giornalismo e Scienze politiche alla Luiss di Roma, con specializzazione in politica estera. Con lui altri ragazzi, altri studenti che non pensavano di poter restare. Però le circostanze della vita hanno trasformato il "progetto di ritorno" in un "progetto di adozione" che ha portato Touadi a fermarsi in Italia. Tanta fatica, impegno e sacrifici, uniti però alla speranza di cambiare, per se stesso e per la famiglia rimasta in Congo.

Il primo lavoro come insegnante di scuola secondaria, poi come giornalista in Rai: dal 1993 ha collaborato a numerosi programmi radiofonici e televisivi, tra cui Permesso di Soggiorno (Radio Uno), C'era una volta (Rai Tre) e Un mondo a colori (Rai Due), di cui è stato autore e conduttore, diventando il volto simbolo degli stranieri nella televisione pubblica, in un contenitore multiculturale che racconta ogni mattina la vita, le speranze e le tradizioni degli immigrati in Italia.

Jean Léonard Touadi è anche saggista e autore di opere dedicate ai temi della cultura e della geopolitica africana, è docente universitario, collabora con numerose testate italiane e straniere ed è uno degli opinionisti storici di Nigrizia, dove cura la rubrica mensile Sesto Continente. Lo sforzo continuo per non far coincidere l’esilio materiale dalla propria terra con l’esilio spirituale e culturale, lo ha portato a occuparsi dei problemi e delle speranze della proprio continente, spiegando ai concittadini italiani l’Africa, i suoi problemi ma anche la sua bellezza.

Oggi è sposato con Cristina, romana e giornalista, e ha due figlie piccole. Dall’amicizia con Walter Veltroni è nata la prima importante esperienza politica come assessore alle Politiche Giovanili all’Università e alla Sicurezza del Comune di Roma. E con le ultime elezioni è arrivato il risultato più importante e significativo: eletto alla Camera nel collegio Lazio 1 con l'Idv di Antonio Di Pietro, sarà il primo parlamentare di colore della storia italiana. Un grande uomo che, con l'eccellente curriculum e l’onestà intellettuale dimostrata in tanti anni di carriera giornalistica, ci fa ben sperare in un futuro dove l’incontro fra culture sarà visto come un’opportunità.
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FORMAT Pagellone di aprile di Giuseppe Bosso

10 pieno a Daria Bignardi e alle sue Invasioni barbariche che, per il quarto anno, si conferma programma di punta della programmazione di La7. Che siano attori, politici, scrittori a venire "torchiati" dalla ex regina del reality trash, il successo è assicurato!

9 sorprendente a Rebecca la prima moglie. Grande successo in due serate per RaiUno che si rifà ad Hitchcock e al romanzo di Daphne du Maurier. Ottima Cristiana Capotondi, non più giovane promessa di film adolescenziali ma attrice sempre più completa.

8 meritato a L’arena di Domenica In, che centra il botto con l’intervento in diretta di Adriano Celentano in occasione del dibattito sull’Ordine dei Medici. E il Molleggiato non si smentisce nemmeno stavolta.

7 con riscatto ad Antonella Clerici che con Ti lascio una canzone riesce sorprendentemente a far recuperare ascolti alla Rai nella prima serata del sabato sulla Corrida, dopo la delusione del Trio. E Antonella si fa perdonare anche il passo falso chiamato Il treno dei desideri.

6 stentato ad Amici. Ancora una volta Maria De Filippi e i suoi giovani aspiranti divi non steccano in prima serata e nel pomeriggio di Canale5. Peccato soltanto per i troppi veleni, per la competizione accesa al massimo tra i concorrenti e per qualche insegnante non molto benevolo.

5 allo Show dei Record. Barbara D'Urso per Canale 5 è (quasi) sempre una scommessa vincente in prima serata, ma al di là dei grandi ascolti stupisce vedere come il pubblico possa seguire con così grande interesse esibizioni e vicende di dubbio gusto.

4 da dividersi in due tra i Carabinieri di Canale5 e La Nuova Squadra di RaiTre che riescono nell’incredibile impresa di fallire nella stessa formula: nuova ambientazione, nuovo (o quasi) cast. Il risultato? Due serie ormai datate che non suscitano più lo stesso interesse di un tempo. Trame troppo lente, monotone e inzuppate di pseudo starlette tv tra ex Grandi Fratelli, letterine, veline, miss e simili che, dopo tre serate, Canale5 ha mandato ai box. Troppo violenti, esasperati e - tranne Ravello e Taricone - sconosciutissimi, gli uomini del commissariato Spaccanapoli.

3 fischiato a Simona Ventura che stupisce con le sue dichiarazioni polemiche verso un’istituzione come Raffaella Carrà. Cara SuperSimo, i grandi personaggi si distinguono anche per una grande umiltà che, evidentemente, tu non sembri conoscere.

2 scandaloso alla Rai che nega ai telespettatori la fondamentale partita di Champions League Roma-Manchester preferendo quella tra due squadre inglesi. E' in momenti come questi che ci si chiede a cosa serva pagare il canone.

1 all’ennesimo Grande Fratello che per l’ottava volta regala l’ennesimo brodo trito e ritrito: fuori e all’interno della casa storie più o meno piccanti, fidanzati traditi o presunti tali, in studio protagonisti di clamorosi - o studiati - abbandoni. E Buona Domenica, come al solito, ringrazia e raccoglie gli eliminati. Quest’anno l’aggravante della stucchevole e inspiegabile vicenda Lina-Ordine dei Medici di Napoli, che ha perso una buona occasione per tacere rispetto a tanti scandali sanitari ben più vergognosi della partecipazione di una dottoressa a un reality show.

0 alla peggiore campagna elettorale dell’Italia del dopoguerra che non salva nessuno: candidati, giornalisti, partiti. E il governo che verrà non sembra promettere nulla di buono...
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CULT Lo spazio bianco di Valeria Parrella di Valeria Scotti

Un parto prematuro e l’angoscia di una madre non più giovanissima, Maria, verso la sua Irene “sospesa” in un’incubatrice. E’ questo il tema raccontato nel libro Lo spazio bianco, Einaudi editore, l’ultimo lavoro della scrittrice napoletana Valeria Parrella. Una condizione che l’autrice ha vissuto in prima persona e che ha voluto in parte descrivere nel suo vero primo romanzo, dopo le raccolte di racconti Mosca più balena e Per grazia ricevuta, edite da Minimumfax. L'abbiamo intervistata.

Maria, la protagonista, è una donna complessa che nella vita non sa aspettare. Anche sua figlia è così: nasce infatti prematura. Come si riempie lo spazio bianco dei mesi di terapia intensiva neonatale?
«Si riempie di paure, di speranze, di nuove parole da cercare per definire la situazione e della possibilità di incertezze nei ricordi».

La storia è frutto di un’esperienza autobiografica. C’era una giusta distanza da mantenere tra la donna e la scrittrice?
«La scrittrice non se ne frega della donna. La scrittrice non pensa mai a una mediazione quando scrive, altrimenti perderebbe l’unico motivo per cui lo fa, cioè sentirsi libera».

Lo spazio bianco s’allarga anche su Napoli, la sua città. In che modo?
«Non si allarga su Napoli, semmai è dentro Napoli. La città, in questo caso, è vista da lontano, o tramite le donne e gli uomini che la protagonista incontra».

Siamo tutti coscienti del confronto, spesso difficile, tra individuo e istituzione. La giusta via, anche in questo caso, può stare nel mezzo?
«La mia protagonista incarna uno spirito consapevole e combattivo, quindi definisce il conflitto tra individuo e Stato già presente nel coro dell’Antigone. E’ per definizione un’antinomia, quindi insolubile».

Nei suoi precedenti lavori sono apparse spesso donne dalle situazioni precarie o dall’anima tormentata. Denuncia di un malessere o ricerca di condivisione e comprensione tra l’universo femminile?
«Entrambe. Le donne sono belle, permeabili, forti e raccontano molto. Insomma, un bacino di riferimento per me imprescindibile».

Lei è anche autrice teatrale. Tra gli ultimi lavori, al Teatro Mercadante di Napoli è andato in scena lo spettacolo 3 terzi di cui fa parte la sua storia L'incognita boh!: ci parla di questa esperienza visiva e non solo cartacea?
«Avevo già scritto per il teatro un’opera poi pubblicata da Bompiani nel 2007 con il titolo Il verdetto. Il teatro è un passo molto importante. In genere uno scrittore è solo con le pagine. Qui, invece, tutto si anima grazie alle luci, ai costumi e ai corpi».
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DONNE La pittura di Artemisia di Erica Savazzi

La passione di Artemisia: si intitola così il romanzo che la scrittrice Susan Vreeland ha dedicato ad Artemisia Gentileschi, pittrice secentesca di grande talento, trascurata per lungo tempo e poi eletta a simbolo del femminismo negli anni 70. Come suggerito dell’autrice fin dal titolo, la passione è al centro della vita dell’artista: passione per l’arte, in un’epoca in cui le donne non potevano studiare, e passione per la giustizia, quando contrariamente ad ogni usanza denunciò il suo stupratore.

Artemisia viene da una famiglia di artisti. Il padre Orazio Gentileschi è un pittore caravaggesco molto conosciuto, autore degli affreschi delle sale del Quirinale. Artemisia è la prima e la sola donna in una famiglia di sette figli. Tutti vengono indirizzati all’arte, ma Artemisia è la più dotata. Il padre le insegna quindi a dipingere, affidandola a diversi insegnanti. Diventerà una delle poche artiste donne della storia dell’arte.

Nel 1612, lo scandalo: Orazio Gentileschi denuncia Agostino Tassi, suo amico e insegnante della figlia, per stupro. Il processo dura parecchi mesi e provoca scandalo nella Roma di quel tempo, non tanto per lo stupro in sé – la considerazione dei diritti della donna era nulla - ma perché Tassi si rifiuta di “riparare” con il matrimonio, essendo già sposato. Condannato, resta in carcere per pochi mesi. Allora Artemisia era una adolescente. Per “riscattarsi” da quella macchia si sposa con un fiorentino, conoscente del padre.

A Firenze Artemisia continua a dedicarsi alla pittura e al disegno, coltivando amicizie con personaggi del calibro di Galileo Galilei, la famiglia Medici, Michelangelo Buonarroti figlio. E’ la prima donna a essere ammessa alla prestigiosa Accademia del disegno. Viaggia molto: Napoli, Londra (dove lavora il padre), Genova e poi ancora Roma.

Nelle sue opere Artemisia rappresenta soprattutto storie di donne mitologiche o tratte dalla Bibbia, mettendo al centro, per la prima volta, proprio il punto di vista femminile: lo sconcerto e la paura di Susanna, la tensione di Giuditta che decapita Oloferne, la sicurezza di Minerva, il turbamento di Maria Maddalena, l’abbandono agonizzante di Cleopatra. Figure rappresentate in modo realistico e sensuale, con le loro passioni e la loro corporeità.
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TELEGIORNALISTI Teo Bellia, il comunicatore multimediale di Giuseppe Bosso

Nato a Roma, Teo Bellia è giornalista professionista dal 1993 e doppiatore di numerosi attori e personaggi in alcune serie animate in tv. Tra le sue esperienze passate, la conduzione del tg di Tmc e la collaborazione a Il Processo di Biscardi nel 1994. E’ direttore della testata online Notizie migliori.

Doppiatore, giornalista, attore, dee-jay, responsabile dei notiziari di Rds: tante attività, ma chi è davvero Teo Bellia?
«Un comunicatore che fa anche didattica, cercando sempre di divertirsi e di cimentarsi in nuove sfide. Faccio e ho fatto tante cose, ma sicuramente è nel doppiaggio che ho trovato le maggiori soddisfazioni. Certo, mi piace anche saper improvvisare come richiede la diretta radiofonica e in tv, ma nel doppiaggio occorre una particolare impostazione e una particolare attenzione, per cui ho la possibilità di approfondire meglio in questo senso e di variare, a seconda dei personaggi che mi capitano. E' un grande impegno, ma mi dà ogni giorno stimoli e divertimento».

Notizie migliori, il rotocalco online da lei diretto, nasce dall’esigenza di dare un’informazione diversa da quella che i grandi mezzi propinano al pubblico, senza cadere nel buonismo. Crede che il pubblico abbia davvero questa esigenza?
«Credo che ormai la gente sia al limite del disgusto per quello che legge sui giornali e vede in televisione, tanto più che si tende a leggere prima di tutto la fine dei quotidiani, le pagine di spettacolo e quelle sportive. La politica, la cronaca, sono sempre pagine inzuppate di notizie negative. Insomma, così facendo si finisce per mostrare le cose più brutte di come sono poi in realtà, alimentando un pessimismo eccessivo. Ecco perché nasce Notizie migliori. Innegabilmente non è un buon momento per l’Italia, ma se poi ci pensiamo non è che stiamo messi peggio di altri Paesi. Dovremmo smetterla di credere che le buone notizie non facciano presa sul pubblico, perché non è vero. Vedo che tra molti colleghi giornalisti esiste una sorta di copia e incolla nell’insistere sulle stesse cose. Il risultato è scontato: tanto si parla di una cosa che la gente arriva a credere che sia vera, anche se poi non è così».

Qual è stata la “notizia migliore” di cui si è occupata la sua testata?
«A parte la vittoria ai Mondiali di calcio? (ride, ndr) Scherzi a parte, sono rimasto molto contento di aver parlato di una scoperta scientifica sulla cura di una malattia che fino a quel momento era ritenuta incurabile. E' importante, ripeto, abbandonare questa visione che relega ai margini notizie come questa credendo che non abbiano seguito».

E’ innegabile, però, che alla lunga siano sempre le notizie di cronaca nera e quelle in qualche maniera negativa a fare maggiormente presa sulla gente. Di chi è maggiormente la responsabilità?
«Si dice sempre che sia il pubblico il responsabile: è colpa del pubblico se la tv è piena di reality show, se i programmi sono spazzatura. Questa è un’altra cosa che dovrebbe finire. La televisione, in questo senso, sa anche valorizzare cose diverse. Pensiamo solo a Benigni e alle sue letture della Divina Commedia. Molti esperti, a prima vista, avrebbero riso ad una simile idea in prima serata, e invece Raiuno ha fatto buonissimi ascolti. Penso che si debba uscire dagli schemi dell’appiattimento che è il vero responsabile della scarsità dei contenuti e del fatto che le notizie che sentiamo sono sempre le stesse. Si deve invece cercare di valorizzare meglio quelle alternative che, alla lunga, possono rivelarsi azzeccate. Tanto per fare un altro esempio, credo che il successo della serie di Dr. House sia dovuto soprattutto al fatto che il pubblico cercasse un’alternativa alla figura tipica del medico istituzionale come, per rimanere in tema di serie tv, il dottor Kildare».

Dopo la politica, Beppe Grillo ha puntato l’indice contro i giornalisti che a suo dire costituiscono una casta, tanto da chiedere anche l’abolizione dell’Ordine. Cosa ne pensa?
«Premesso che la battaglia contro gli ordini, le caste, è qualcosa che si conduce da anni e non solo da noi ma anche al Parlamento Europeo, penso che Grillo non tenga presente una cosa: chi inizia a fare il giornalista si trova a dover affrontare un percorso faticoso e arduo, e con un concetto di precarietà per niente paragonabile a quello dei ragazzi che lavorano ai call center. E' chiaro che, dopo tanti sacrifici e anni di duro lavoro, una volta conquistata l’agognata qualificata te la tieni stretta. Per il resto, credo che le caste vadano eliminate laddove, in qualsiasi settore esistano, proteggano principalmente gli incapaci o gli scorretti. In ogni caso si deve tener presente che tanti lavori richiedono una grande specializzazione, ed è forse in questo senso che si possa parlare di casta. Anche il doppiaggio, per alcuni aspetti, costituisce una casta, ma proprio per le sue caratteristiche che permettono l’accesso solo a chi sia in possesso di doti particolari».

Nel discusso cartone I Griffin presta la voce a un narciso anchorman. E' questa, secondo lei, la caricatura ideale dei protagonisti del mondo dell’informazione?
«Tom Tucker, il personaggio a cui ci riferiamo, è un’estremizzazione in definitiva. E' una caricatura che esprime ciò che non dovrebbero essere nella realtà i giornalisti. Anche se, confesso, spesso mi è capitato di vedere dei giornalisti assumere degli atteggiamenti simili a quelli di Tom Tucker, ma non al suo livello…».

Sono tanti i cartoni, come I Simpson di cui è stato direttore del doppiaggio e in cui attualmente presta la voce a Boe il barista, che hanno riscosso molto successo. Eppure hanno creato polemiche riguardo i contenuti, soprattutto tra i nostalgici di serie del passato come I Puffi a cui ha partecipato. Qual è la sua opinione in merito?
«I tempi cambiano. Penso che oggi, in definitiva, del politically correct la gente ne abbia piene le tasche. Viviamo comunque in un’epoca in cui, grazie alla presenza di tanti canali satellitari, queste serie del passato o i cartoni della Disney riescono a sopravvivere senza togliere la presenza di serie alternative».

Molti suoi colleghi doppiatori si sono affermati anche sul piccolo e grande schermo. Rimane quindi una buona palestra per la strada dello spettacolo questo settore che pur riscontrando molto successo in rete (come il sito di Antonio Genna) non sembra poi molto valorizzato?
«E' assolutamente una grande palestra. Tanti attori, tanti giovani che aspirano a lavorare nello spettacolo non sempre si rendono conto delle enormi potenzialità che offre questo mestiere. E nfatti molti colleghi che avevano alle spalle anni passati nelle sale di incisione, una volta sul set di una fiction o di un film si sono trovati notevolmente avvantaggiati proprio per l’abilità che avevano acquisito in precedenza».

In un’intervista radiofonica per Broadcast Italia ha raccontato i suoi esordi e la conclusione è stata "Perché il passato abbia un futuro". In quest’epoca dove la tecnologia imperversa e sembrano smarrite le emozioni di quel passato, cosa si può fare per riscoprirle?
«La cosa da fare è semplicemente riuscire ad andare al di fuori di quegli schemi, di quelle rigidità strutturali che i ritmi di oggi sembrano importi in ogni momento. Che una scaletta o uno schema vadano seguiti è fuori discussione, ma anche qui l’importante è non cadere mai nell’appiattimento e soprattutto non perdere l’entusiasmo e la voglia di divertirsi che mi ha sempre accompagnato fin dagli esordi».
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SPORTIVA Boxe femminile: pugni e sensualità, binomio vincente di Pierpaolo Di Paolo

Sabato 29 marzo 2008, a Forlì, la boxe italiana è salita sul tetto del mondo con la splendida vittoria mondiale di Simona Galassi che, nella finale per il titolo dei pesi mosca Wbc, ha sconfitto la milanese Stefania Bianchini in un acceso derby tutto italiano.

La sensazione, avvertita da più parti, è che con questa impresa la Galassi abbia contribuito in maniera importante a far guadagnare al suo sport quell'attenzione mondiale e quella ribalta che meriterebbe e di cui è ancora troppo povero. Non si è trattato comunque del primo derby italiano a questi livelli: proprio l'anno scorso la stessa Bianchini aveva conquistato il medesimo titolo superando a Udine Maria Rosa Tabbuso.

Un successo inimmaginabile per il nostro Paese. Si pensi che appena pochi anni fa, fino al 2001, la boxe in Italia era vietata alle donne.
«So di aver fatto una grande impresa, l'ho capito dai commenti della gente, ma la strada da percorrere è ancora tanta. E' importante creare continuità per poter sperare di rilanciare uno sport da sempre ostacolato da pregiudizi immeritati ed eccessivi. In Germania il pugile più pagato è una donna: Regina Halmich. Lei è importante per noi perché ha sempre combattuto molto bene e ha quindi attirato attenzione, interesse. E' quello che spero di riuscire a fare anche io: non solo essere una campionessa, ma restarci».

Fa riferimento a pregiudizi, ad esempio che una donna che combatte non è femminile? «Sì, questo è uno dei tanti ed è assolutamente falso. Io faccio boxe da anni e penso di essere molto femminile. Non sono grossa, ho semplicemente un fisico molto ben definito ed allenato. Gli uomini non si accorgono mai subito che sono una pugile. Certo, quando lo vengono a sapere le cose spesso cambiano: c'è chi si intimorisce, chi mi propone una sfida... Fuori del ring vorrei esser vista solo per quel che sono, una donna normale».

Ad ascoltare i commenti di quanti hanno assistito all'incontro, la Galassi ha vinto dimostrando una grande tecnica oltre che un'innata eleganza. Non solo forza dunque, e la bella romagnola ci tiene a sottolinearlo: «Ho fatto davvero un bell'incontro, anche se la mia pignoleria mi porta a pensare che avrei potuto dare ancora qualcosa di più a livello stilistico. Ma quando si affrontano avversari così forti non puoi far sempre tutto ciò che vuoi».
A vederla, è davvero difficile darle torto.
La Galassi, la Bianchini, la stessa Halmich: pugili belle, femminili, vincenti.
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