Telegiornaliste anno XVIII N. 23 (707)
del 28 settembre 2022
Dora
Esposito, essere noi stessi sui social
di
Giuseppe Bosso
Blogger, scrittrice e molto altro, abbiamo il piacere di
incontrare
Dora Esposito, che ha riscosso un notevole successo
editoriale con il suo primo libro,
Un giorno ti racconterò,
pubblicato per
Arkadia Editore.
Dora, mi racconti anzitutto come nasce “Un giorno ti
racconterò” e perché questo titolo?
«Nasce tutto da un’idea, o meglio da un consiglio di Silvio
Muccino, che un giorno, chiacchierando, mi scrisse
mi
piacerebbe tantissimo leggere un tuo libro. In realtà era
un’idea che avevo già da tempo, poi con l’incipit di Silvio, non
ci ho pensato nemmeno un attimo e già dopo qualche settimana
avevo messo su buona parte del racconto. Sul titolo preferisco
lasciare al lettore scoprire il perché, sono sicura che capirà».
Giulia e gli altri personaggi del libro possono essere
definiti figli del nostro tempo?
«Assolutamente sì, lo sono. Ognuno dei personaggi ha la sua
storia a sé, ma che viviamo all’ordine del giorno; moltissimi mi
hanno scritto di essersi riconosciuti nelle loro vicende, chi in
Giulia, chi in Samuel, chi in Luca… siamo tutti un po’loro, per
così dire.»
Possiamo dire che progressivamente si stia sdoganando il
termine “influencer”?
«Sì, anche perché la parola ha tanti significati; capita anche a
me di fare qualche pubblicità, qualche promozione di prodotti se
me lo chiedono, ma ‘influencer’ è una parola che va di moda ed è
vista spesso anche molto male; io invece non la penso così, per
influencer si intende qualcuno che ‘influenza’, qualcuno che è
portato a condizionare altre persone, sia per il suo
comportamento, sia per altre cose, ma ognuno poi fa storia a sé.
Questa prospettiva negativa, penso nasca soprattutto dal fatto,
se mi concede, che spesso alcuni personaggi pubblicizzano
prodotti anche non convenienti o non hanno poi questa grande
influenza. Alla fine è un’espressione che assume varie tinte».
Tornare a Castellammare dopo aver vissuto a Milano per lei è
stata più una ripartenza o un diverso modo di fare un passo in
avanti?
«La mia è stata una vita altalenante; più che altro da
pendolare. Sono tornata a Castellammare per alcune necessità,
per me è una città come tutte le altre; Milano mi ha accolta, mi
ha ospitata, non posso dirne male, come di altre città dove ho
girato; mi adatto in qualunque posto vada e ogni città dove vado
si adatta a me; Castellammare resta la mia città nativa,
ovviamente come tutte le altre città ha le sue problematiche.
Sono nata nella mia città ma mi sento figlia un po’ di tutta
l’Italia, anche se ci resto legata, ci mancherebbe, con i pro e
i contro. Si nasce, ma poi si cresce, anche in altri luoghi».
I social non rischiano a lungo andare di essere una maschera
che soffoca la nostra vera identità, parlando anche della sua
esperienza?
«Dipende da come li utilizzi. Se sei te stesso rimani così anche
sui social, ma se ti crei un personaggio prima o poi la maschera
crolla; mantenendo ferma la propria privacy io sono favorevole a
un utilizzo di questi strumenti che comunque ci permette di
essere sempre se stessi. E posso dire di aver conosciuto
bellissime persone che tuttora sono miei amici; grazie ai social
lavoro e porto avanti anche la mia opera, cose che non sarei
riuscita a fare in altro modo».
Da madre il domani con le tante incertezze che stiamo vivendo
le suscita più timori o speranze?
«Sono molto apprensiva, ho paura per i miei figli, i miei nipoti
e tutti gli adolescenti che oggi devono misurarsi con un mondo
che non fa per loro, un mondo sempre più cattivo; pieno di odio,
pieno di concetti diseducativi e di disuguaglianza. Non dico che
prima non fosse così, ma oggi noto questa preoccupante tendenza
a far andare avanti l’odio, una moda che fa paura. Non ci si può
fidare degli altri, la gente è diventata molto malfidata e ha
ragione. E tende ad andare più verso forme di repressione
piuttosto che progressione. Per non parlare poi della crisi
governativa che implica molto quella lavorativa che obbliga i
giovani, per quanto sgobbino, a emigrare dalla loro città che
non offre loro alcuna prospettiva… nonostante questo, mi ritengo
una persona ottimista, ma ai ragazzi dico sempre di guardarsi
bene dal futuro, di saper scegliere cosa voler fare, che per le
condizioni politiche ed economiche, il nostro Paese lascia molto
a desiderare».