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Telegiornaliste anno VI N. 24 (241) del 21 giugno 2010
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MONITOR Vulcanica
giornalista e molto di più: Cinzia Ugatti
di Giuseppe Bosso
Nata a Salerno, Cinzia Ugatti
è giornalista e attrice. Nel suo curriculum, la conduzione a Canale 21 del tg e
di un programma di intrattenimento. Negli anni 90 è stata corrispondente dalla
Campania per Verissimo.
Come concili il lavoro di redazione con il palcoscenico?
«Sono giornalista di mattina, al palcoscenico dedico la sera. Per fortuna mio
figlio Angelo ormai è grande, quindi non ha più bisogno che lo accompagni a
scuola come quando era piccolo. Ho una famiglia meravigliosa che mi segue e mi
sostiene. Per Angelo avevo lasciato la recitazione e, per non costringere lui e
mio marito a un traumatico trasloco, rinunciai alla proposta di trasferirmi a
Milano quando lavoravo a Verissimo. Non me ne sono pentita».
Più impegnativo essere attrice o giornalista?
«Tutte e due le cose hanno le loro difficoltà: come giornalista il mio primo
impegno è quello di essere obiettiva, di non manipolare le notizie che giungono
al telespettatore-utente, dalla cronaca alla politica. Sul palco è soprattutto
una fatica mentale, e da brava perfezionista quale sono cerco anzitutto di
studiare a fondo il copione per entrare nel profilo psicologico del personaggio.
Ma l’applauso del pubblico alla fine ti ripaga di questi sacrifici».
Sei la voce salernitana di Canale 21 con Peppe Iannicelli: avverti questa
responsabilità?
«Sì, e non nascondo di essere stata un po’ la pioniera della redazione di
Salerno in quanto Andrea Torino, il fondatore di Canale 21, quando nacque Angelo
si rese conto che per me poteva essere alquanto faticoso fare la spola tra le
due città. Decise così di creare questo spazio che poi si è sviluppato nel
tempo. Ne sono orgogliosa ma anche responsabile, perché un giornalista è
anzitutto il volto della comunità che espone, e qui a Salerno, soprattutto con
l’amministrazione De Luca, sono stati fatti importanti passi in avanti negli
ultimi anni».
A proposito del sindaco, candidato governatore per il centrosinistra alle
recenti elezioni regionali: nel 2006 sei scesa in campo a suo sostegno
candidandoti nella sua lista. Questa tua presa di posizione ti ha creato
problemi con i tuoi colleghi?
«Il mio è stato un appoggio di facciata, mi sono candidata in una lista civica
consapevole che non avrei ricoperto alcun incarico e lasciando spazio a chi la
politica la sa fare. Il mio sostegno al sindaco l’ho dato non in quanto di
sinistra, ma in quanto persona del fare e del giusto. Da anni Salerno era ferma
e inattiva. Con lui son stati fatti importanti passi in avanti, a cominciare
dallo sviluppo urbanistico e dalla gestione dei servizi. I colleghi, certo,
all’inizio non hanno tutti compreso il perché di questa mia scelta, ma nel tempo
qualche incomprensione si è superata e ora ho amici sia di destra che di
sinistra che si sono resi conto che una politica improntata sulle esigenze del
cittadino non ha colore o schieramento».
Come esce secondo te la nostra regione da questa elezioni regionali e come si
presenterà al futuro?
«Mi auguro bene. Caldoro può essere un buon presidente così come poteva esserlo
lo stesso De Luca. Certo, la campagna elettorale è stata segnata da luci e
ombre, ma ormai il tempo delle polemiche è finito, è il momento di tradurre in
risultati concreti le aspettative degli elettori, ed è quello che noi
giornalisti siamo chiamati a documentare. Ci sono tante cose che richiedono un
intervento efficace, problematiche note e meno note. E tra queste ci metto
quella dei bambini maltrattati, una piaga di cui temo non si parli mai
abbastanza, e che spero i servizi sociali seguano con maggiore attenzione in
futuro».
Quali sono state le esperienze giornalistiche e teatrali che più ti hanno
segnato?
«Sicuramente non dimentico la terribile alluvione di Sarno del 1998 che seguii
come inviata di Verissimo. Ricordo con tristezza e angoscia quei momenti
vissuti accanto a coloro che erano stati sistemati nelle scuole allestite a
dormitori, e i soccorsi della protezione civile. Poi i tanti eroi tra cui
inserisco una pediatra salernitana, Ester Rossi, che visse lontana da casa per
soccorrere i suoi bambini, e alle varie morti reagiva con straziante dolore.
Certo, ci sono stati momenti più leggeri e gratificanti come la Bit di Milano
che ho seguito in diretta: talvolta mi capitavano ospiti che non conoscevo
assolutamente, e per non rimanere spiazzata improvvisavo davanti alla
telecamera... In questi casi mi aiutava la mia esperienza teatrale. Come
attrice, mi ha soddisfatto lo spettacolo di quest’anno, Il giallo di Veronica,
un esperimento che probabilmente per la prima volta ha portato un thriller sul
palcoscenico. Il pubblico è stato al tempo stesso sconvolto e soddisfatto. Per
poter entrare nel personaggio, che al tempo stesso esprimeva tre personalità
diverse, ho seguito i consigli di uno psicologo».
Come riesci a conciliare lavoro e affetti?
«Con mio figlio ho un bellissimo rapporto improntato sulla sincerità e sulla
complicità. Gli sono vicina, quando sono a casa lo aiuto nello studio e parliamo
tantissimo. Anche mio marito è giornalista, e gli abbiamo insegnato a seguire il
telegiornale con attenzione, a farsi le sue idee. A lui piace molto scrivere, ma
non penso seguirà le nostre orme. Sogna di diventare veterinario, di aprire un
podere clinica... Se vincessi al Superenalotto sarei lieta di esaudire questo
suo desiderio (ride, ndr)».
Come ti vedi tra 10 anni?
«Di sicuro non davanti alla telecamera. Dentro ti puoi sentire sempre ragazza,
ma il viso, il corpo, risentono degli anni che passano, per cui credo che a un
certo punto sarà inevitabile decidere di dedicarsi al lavoro dietro le quinte.
Ma è una cosa che non mi spaventa, sono molto contenta di poter dare una mano ai
giovani, alle nuove leve. Non sono gelosa della mia esperienza e credo che chi è
in questo campo da più tempo debba aiutare chi muove i primi passi».
Come ti descrivi?
«Estroversa, solare, lontana da forme e da stereotipi. Guai a chi non rispetta
la mia indipendenza. C’è stato chi ha cercato di farmi lo sgambetto, ma le mie
gambe sono ben solide e hanno sempre retto. Non amo lasciare le cose a metà, e
cerco sempre di vedere il lato positivo delle cose».
Ti hanno mai messo il bavaglio?
«No, è una cosa molto triste che offende anzitutto lo spettatore e poi noi
addetti dell’informazione. Ma non ho mai tollerato condizionamenti, a costo di
pagarne le conseguenze». |
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CRONACA IN ROSA Da
invisibili a festeggiati di
Valeria Scotti
Si è celebrata il 20 giugno in tutto il mondo la Giornata
Mondiale del Rifugiato, l'evento istituito nel 2000
dalle Nazioni Unite per ricordare il numero crescente di
persone che ancora oggi fuggono dalle proprie case per
sottrarsi a guerre, persecuzioni e catastrofi ambientali. E
spesso l'Italia è solo una tappa della loro fuga.
Ad aiutarli c’è l'organizzazione umanitaria per l'emergenza
INTERSOS, come spiega Marcelo Garcia, coordinatore di
INTERSOS per l’Africa. E le cifre parlano da sole. «Circa
200 mila i rifugiati e gli sfollati interni che stiamo
assistendo nel Ciad, altrettanti gli sfollati in Darfur.
Stiamo accogliendo i congolesi che fuggono dalle violenze
delle milizie LRA cercando rifugio nel Sud Sudan, dove in
altre regioni collaboriamo alla ricostruzione insieme alle
popolazioni ritornate a casa dopo anni di rifugio oltre
frontiera, e dal 1992 siamo in Somalia dove da 20 anni
continua una guerra civile che ha prodotto una prolungata
crisi umanitaria definita da Ban Ki-mun la peggiore sul
pianeta».
La Somalia è proprio uno dei Paesi prioritari per
INTERSOS che si occupa di ospedali e centri di salute, della
fornitura di acqua potabile, di educazione e addestramento
professionale.
Il compito più difficile? Certamente restituire speranza
ad una popolazione che non trova vie d’uscita dalla povertà,
che vive nel pericolo e nella violenza costante.
Ma INTESOS stringe i denti e combatte. A Jowhar, ad esempio,
ha avviato una scuola professionale con il sostegno
dell’ente bilaterale Ebitemp per formare i giovani
attraverso corsi di computer, carpenteria edile, meccanica e
elettrotecnica insieme a corsi di sartoria. Fingere di non
vedere, proprio non si può. |
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FORMAT Rita
Sensoli, il bel canto su Raiuno di
Giuseppe Bosso
Questa settimana abbiamo il piacere di
incontrare un volto e una voce di Raiuno:
Rita Sensoli, cantante, attrice e ospite
fissa quest'anno a Uno Mattina week end.
Nel 1991 partecipa al Cantagiro e da lì
inizia il suo percorso che la porta, tra le
altre cose, a recitare nella serie
Incantesimo. Dal 2001 è nel contenitore
mattutino di Raiuno.
Rita, ripercorrendo la tua carriera possiamo
dire che non hai conosciuto 'spintarelle' o
raccomandazioni?
«Certo. Al di là di tutto credo che chi ha
talento, chi affronta con impegno i sacrifici di
tutti i giorni, alla fine riesce ad arrivare in
alto senza doversi appoggiare a nessuno».
A Uno Mattina hai duettato con
Eleonora Daniele e Luca Giurato. Come valuti
le loro doti canore?
«Mah, più che altro l'ho fatto per gioco, ma
sono entrambi due carissimi amici. Soprattutto
Luca che conosco ormai da una decina d'anni, da
quando iniziai a Uno Mattina nell'anno
che conduceva con la
Clerici.
Al di là dell'amicizia, è una persona perbene e
un valido professionista proprio come Eleonora,
una ragazza splendida».
I talent show che vanno così di moda, a tuo
giudizio, sono vere fucine di artisti o fiere
delle illusioni?
«Ho visto, non lo nego, anche ragazzi davvero
bravi e dotati, ma nella maggior parte dei casi
vedo soprattutto illusioni per questi giovani
che vengono presi soprattutto per fare audience
nel programma attraverso momenti che non hanno
nulla a che vedere con il talento artistico. La
gavetta, quando la fai bene, ti porta risultati,
ma spesso ci vuole molto tempo. Vedi Fiorello,
che ha iniziato facendo l'animatore nei villaggi
turistici, e poi è arrivato dove è arrivato in
età matura, ma ha saputo aspettare. Bisogna
saper accettare tanti rischi, e ci vuole davvero
una grande costanza per resistere ai ritmi
massacranti».
Cosa c'è nel tuo domani?
«Tante cose di cui, per scaramanzia, preferisco
non parlare...». |
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HOT GIRLS A
lezione di sadomaso di
Valeria Scotti
Scuole finite. Non tutte però. Le lezioni di
sadomaso vanno avanti e si svolgono tra
insospettabili figure della Capitale. C’è chi
proprio a Roma non può farne a meno e arriva a
pagare 100 euro a sera per lasciarsi coinvolgere
in questo mondo proibito.
Gli insospettabili, dicevamo. Come la storia
proposta da Affaritaliani.it. Lidia e
Sergio, nomi fittizi. Lei, 39 anni, dipendente
di una delle aziende del Comune di Roma; lui, 48
anni, libero professionista. Sposati da 10 anni
e con un bimbo, vivono una passione di notte.
Lidia fa infatti la mistress, la
dominatrice. Sergio invece è il suo slave, lo
schiavo. Un'avventura cominciata per gioco, da
innocenti schiaffi sulle natiche durante i loro
rapporti, per arrivare a fruste, manette e la
cera bollente delle candele.
Il passo all’insegnamento del sadomaso è
stato breve. «Spesso sono i gay che ci chiamano,
sono i più curiosi e i più inclini a conoscere
il piacere di torturare un corpo per ricavarne
il piacere dell'oltre - spiegano i coniugi - ma
anche le coppie non scherzano. In particolare le
donne».
Lo dicono anche i ricercatori americani, in
fondo: il segreto delle coppie più stabili
sarebbe il sesso estremo, sadomaso,
bondage. È bastato infatti misurare i livelli
dell’ormone dello stress di tredici uomini e
donne partecipanti ad un party sadomaso, prima,
durante e dopo per arrivare a questa
conclusione.
Non ne siete convinti? Niente paura, cari
tradizionalisti. Dalla vostra parte, c'è lo
psicologo britannico Richard Wiseman
dell’University of Hertfordshire: «Non è
necessario frustare il proprio partner, ma
potrebbe bastare una cosa semplice come cucinare
insieme o fare i lavori di casa in due». A voi
la scelta. |
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DONNE Rubacuori
senza età: Rue McClanahan di
Chiara Casadei
«La gente mi chiede sempre se sono Blanche –
diceva l’attrice al Cape Cod Times –
Beh, Blanche era una donna del sud, di
Atlanta, lussuriosa, egocentrica e vanitosa…
e io non sono di Atlanta». Le parole di
Rue McClanahan, attrice americana morta
per infarto lo scorso 3 giugno all’età di 76
anni, andranno sempre a braccetto con il suo
successo più acclamato: la sitcom
Cuori senza età.
Nata a Healdton il 21 febbraio del 1934,
negli anni ’50 calcava già i palchi di
Broadway. Ma la lunga carriera nel mondo
televisivo la stava aspettando dal suo primo
ingaggio: una serie della Cbs, All in the
family del 1971, per la quale era stata
scelta dal produttore Norman Lear. Le sue
apparizioni in diverse sitcom e film per la
televisione la resero nota al pubblico
americano, ma il vero lancio mondiale
arrivò nel 1985 con la serie Cuori
senza età. In compagnia di altre tre
donne, interpretate da Beatrice Arthur,
Betty White e Estelle Getty, Rue alias
Blanche Deveraux, focosa donna del sud degli
Stati Uniti, vive a Miami e insegue tutti
gli uomini che incontra.
La serie, trasmessa in 60 Paesi per sette
stagioni, le ha regalato anche un Emmy per
l’interpretazione a cui in realtà la
McClanahan aveva faticato ad abituarsi:
«Blanche è estremamente sicura di sé. Trovo
che mi aiuta a essere più sicura di me.
Davvero. Se lei può pensare in quel modo,
perché non posso farlo anch’io?».
Al 2005 risale il suo ultimo lavoro per la
televisione nel film Back to you and me
per poi tornare alle origini, Broadway, e
alla sua passione per il teatro. Se nella
fiction era la rubacuori più acclamata,
anche nella realtà non è stata di meno: dopo
sei matrimoni, l’autobiografia che ha
scritto nel 2007 s’intitola My First
Five Husbands… and the Ones Who Got Away
(I miei primi cinque mariti… e quelli che
mi sono sfuggiti). Autoironica anche
sulla vita amorosa, Rue McClanahan resta,
agli occhi dei suoi fan, la mangiauomini più
divertente. |
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TELEGIORNALISTI Carmelo
Sardo: una lunga gavetta, poi le soddisfazioni
di Giuseppe Bosso
Incontriamo questa settimana
Carmelo Sardo, volto del
Tg5.
Agrigentino, muove i primi passi come inviato di cronaca per l'emittente
siciliana Teleacras, diventa corrispondente del prestigioso quotidiano
L'Ora di Palermo e collabora con il Giornale di Sicilia. Nel 1996
approda a Rai 2 come inviato per il programma di
David Sassoli Cronaca in diretta, e nell'estate 98 al Tg5,
chiamato da Enrico Mentana. Nel 2010 vince il premio
Alabarda
d'oro di Trieste con il suo romanzo Vento di Tramontana.
Il Tg5 per lei rappresenta un punto d'arrivo o di partenza?
«Sicuramente un importante punto d'arrivo. Ho avuto una lunga gavetta e
l'incontro con Mentana ha rappresentato una grande soddisfazione».
Ha condotto il tg della notte. Quali sono i pro e i contro che ha
riscontrato?
«Premetto che amo il giornalismo di strada. La conduzione, per quanto
importante sia, è un aspetto del giornalismo un po' ingessato che non mi
piace tanto. Diciamo che i pro sono tanti, l'edizione notturna è quella più
istituzionale, nel senso che c'è spazio per riassumere i fatti più
importanti del giorno, togliendo spazio a quelle notizie un po'più di
costume che invece si trovano nelle edizioni del giorno. I contro, certo,
sono stati gli orari piuttosto faticosi, stare sveglio fino alle 2... Ma poi
sono tornato alla mia vita di inviato».
Recentemente ha vinto il premio Alabarda d'oro di Trieste con il suo
romanzo Vento di Tramontana. Quali sono le soddisfazioni che le ha
dato?
«Si tratta di un libro autobiografico che ho scritto raccogliendo le
esperienze che mi porto dietro da anni, legate all'epoca del mio servizio
militare come agente di custodia. Quando l'ho scritto non immaginavo che
tipo di impatto potesse avere sul pubblico. Alla fine posso dire con
orgoglio che i consensi sono andati al di là di ogni mia previsione. Vincere
poi questo premio è stata una soddisfazione maggiore anche di quelle che mi
ha dato il giornalismo. Essere in gara con scrittori come Lerner,
Sorrentino, Ammaniti, e venire premiato da una giuria presieduta da Mario
Monicelli, il più grande regista vivente che abbiamo in Italia, è stata una
soddisfazione indescrivibile».
In questi giorni, con la legge sulle intercettazioni, si torna a
manifestare per la libertà di informazione: secondo lei è una sconfitta o un
segnale positivo?
«Entrambe le cose. Il fatto che si debba scendere in piazza è un grave
segnale che dimostra come la libertà di informazione sia messa in
discussione da questi provvedimenti. Ma è anche un buon segnale perché
rappresenta la volontà di difendere questa fondamentale e irrinunciabile
garanzia, poter informare ed essere informati».
Qual è la notizia che vorrebbe dare?
«Purtroppo essendomi occupato soprattutto di cronaca nera e di fatti di
mafia, non ho avuto modo di trattare spesso notizie positive. Mi piacerebbe
magari poter dire che la famiglia più povera d'Italia ha realizzato una
grande vincita al Superenalotto, ma questi sono sogni». |
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SPORTIVA Il
topless della discordia di
Pierpaolo Di Paolo
Madeleine Dupont, 23enne giocatrice di
curling della nazionale danese, non sembra contare
principalmente sulle sue doti sportive per
raggiungere la notorietà. Bionda e sensuale, con i
suoi occhietti azzurri guarda maliziosa verso la
fotocamera che la sta immortalando con indosso solo
un paio di mutandine.
È la solita, annosa questione, dell'assoluta
mancanza di attenzione verso i cosiddetti "sport
minori" che spinge le atlete a cercare altre vie per
ottenere quella popolarità e, perché no, quei
guadagni che la passione sportiva non consente loro,
pur talentuose. «Se una mia foto in mutande
può portare un maggior numero di persone a guardare
il curling in tv, allora è una buona cosa»,
sentenzia. Ed ecco che anche l'aggraziata danesina
finisce per sfilarsi i vestiti e ammiccare alla
macchina fotografica.
Accade però qualcosa di imprevisto. Le foto
sono di febbraio, e l'atleta è impegnata alle
Olimpiadi invernali di Vancouver. Durante un
avvincente scontro con il Canada, la Dupont ha tra
le mani il tiro decisivo, ma lo sbaglia
clamorosamente, condannando la propria nazionale
all'eliminazione dai Giochi. La ragazza prova ad
alleviare l'enorme responsabilità sportiva accusando
il pubblico di casa di scarsa sportività. Infatti i
canadesi l'hanno sommersa di fischi mentre lei
preparava il tiro decisivo, deconcentrandola.
Inevitabili però piovono su di lei pesanti
critiche, e le foto bollenti diventano il
principale motivo di rimprovero. Madeleine viene
accusata di essersi distratta un po' troppo con
riviste patinate e attività extrasportive,
danneggiando il suo Paese. La pressione è tale che
lei stessa finisce col pentirsi di una scelta che
l'ha esposta così tanto alla vigilia delle
Olimpiadi. «L'immagine è abbastanza fine, ma non so
più se ho fatto bene», confessa amareggiata ai
giornalisti.
In tutta onestà, se la sportiva si fosse dedicata,
la notte prima della sfida decisiva, ad una
maratona orgiastica, potremmo anche comprendere
tanto biasimo nei suoi confronti. Dubitiamo però che
una semplice foto, per quanto bollente, possa averne
compromesso la capacità di concentrazione e
competitività sportiva. Errori del genere,
specialmente nei momenti decisivi in cui la tensione
gioca un ruolo importante, sono all'ordine del
giorno. E chi ama lo sport lo sa e lo accetta. A
errore fatto, andare a pescare le foto per montarci
su una polemica ed aggredire con questi toni la
ragazza, suona forse un po' troppo facile e, a dirla
tutta, anche un po' troppo inquisitorio. |
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