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Telegiornaliste anno V N. 27 (198) del 13 luglio 2009
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MONITOR Barbara
Serra, in diretta da Al Jazeera English
di Giuseppe Bosso
Nata a Milano ma cresciuta tra Copenaghen e Londra,
Barbara Serra fa parte dal
2006 della redazione londinese di
Al Jazeera
English, il nuovo canale all news in inglese di Al Jazeera (canale 522 su
Sky Italia). In precedenza ha lavorato alla BBC (London News), Sky News e Five
News, dove è stata la prima giornalista non di lingua madre inglese a condurre
un tg nazionale di prima serata in Gran Bretagna. Settimanalmente interviene al
programma di Rai Educational Tv Talk in
collegamento dagli studi di Al Jazeera di Londra.
Che bilancio puoi trarre da questa tua esperienza ad Al Jazeera?
«Inizialmente non è stato facile lasciare Sky News, un canale che mi ha offerto
molte opportunità. Ma dopo un paio di anni ad Al Jazeera, posso sinceramente
dire di aver preso la decisione giusta. Al Jazeera English è una tv unica che
mostra opinioni e angoli del mondo raramente visti su altri canali. Condurre il
tg per Al Jazeera è un lavoro molto stimolante».
Ritieni auspicabile, vista la forte presenza in Italia di immigrati di
religione musulmana, la creazione di un canale italiano per Al Jazeera?
«Non sono d’accordo con la premessa. In confronto a Paesi europei come la Gran
Bretagna, Francia e Germania, in Italia non c’è una grande presenza musulmana.
Comunque Al Jazeera ha deciso di mandare in onda un canale in inglese proprio
per poter trasmettere ad un pubblico internazionale, e credo che un canale basti
per questo. Inoltre, Al Jazeera non si rivolge ad un pubblico esclusivamente
musulmano, come la Rai non si definirebbe un canale solo per cattolici.
Ovviamente noi riflettiamo le realtà del Medio Oriente. Ma mentre Al Jazeera
Araba, l’originale, è in lingua araba per un pubblico arabo, Al Jazeera English
è in inglese e mirata ad un pubblico misto ed internazionale».
Un anno fa hai partecipato al secondo V-Day di Beppe Grillo. Che idea ti sei
fatta del suo movimento?
«Non sono d’accordo con tutto quello che dice e fa Beppe Grillo, però credo che
il suo sia un movimento necessario. Lui vuole mobilitare le persone, e in Italia
c’è molta passività. In più è stato il primo a creare un fenomeno internet nel
nostro Paese e a spronare i giovani a farsi avanti. Abbiamo visto nella campagna
elettorale di Barack Obama quanto sia importante l’uso dell’Internet in
politica. In Italia questa mentalità non esiste ancora, ma è solo questione di
tempo».
Se potessi intervistare Bin Laden, cosa gli chiederesti?
«Sono una donna cristiana, non credo che Bin Laden mi concederebbe
un’intervista. Comunque, grazie proprio a quei famosi video che vengono mandati
ai media, più o meno si sa cosa pensi Bin Laden. Il problema per l’occidente è
che lui è diventato un simbolo di lotta per molti che non sono d’accordo con la
politica occidentale, sopratutto americana, in terre musulmane».
Che idea ti sei fatta del caso Vauro? Nel Regno Unito un vignettista sarebbe
stato così duramente criticato?
«Credo che bisogna valutare caso per caso. Sicuramente l’informazione inglese è
più aggressiva e critica di quella italiana, e quando c’è una scandalo, di
solito il politico in questione si dimette. Ovviamente ci sono giornalisti bravi
e coraggiosi anche in Italia, ma nel nostro Paese c’è troppa influenza politica
in tv e questo rende la vita difficile a chi vuole essere imparziale». |
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CRONACA IN ROSA Nel
buio, aggrappata a qualcosa di
Camilla Cortese
Certe volte un’intera vita dipende dagli
attimi. L’attimo in cui si viene alla
luce, un sorriso, un dolore, sono momenti
intensi e indelebili. Appunto, momenti. La
felicità, l’amore, la rabbia, la
disperazione hanno conseguenze e forme
dilatate, cause scatenanti, picchi e
ritorni. Ma la vita vera si fa viva in
quegli attimi in cui è così forte da
toglierci il respiro.
Bahia Bakari ha quattordici anni, una
frattura alla clavicola e qualche bruciatura
sul ginocchio. Nell’attimo in cui lei
sopravviveva, 152 persone morivano nelle
acque dell’Oceano Indiano. Nella tragedia
del disastro aereo dello scorso 29 giugno,
quando un Airbus A310 della compagnia
Yemenia è precipitato al largo delle isole
Comore, Bahia Bakari ha sfidato la morte e
ha vinto.
Una storia come la sua è un fatto
collettivo, e non per il caso di
cronaca, lo stupore, la suggestione del
miracolo. Sopravvivendo alla morte, la
timida Bahia ha affrontato inconsapevolmente
le paure di tutti, ci ha dato una speranza,
ci ha ricordato che la forza di perdurare in
questo mondo si nasconde in involucri
insospettabili come un’esile ragazzina
incapace di nuotare.
Emergeva a stento nel buio, galleggiava nel
giubbotto di salvataggio aggrappata a un
pezzo d’aereo e, quando ha sentito le voci
dei soccorritori, dopo dodici ore in acque
gelide e impetuose, ha alzato il braccio.
Piangeva, tremava e chiedeva della madre,
era come se fosse nata una seconda volta
Bahia, restituita alla vita dall’oceano.
Tutti noi siamo sopravvissuti a
qualcosa, tutti noi ce la siamo vista brutta
e ci siamo ritrovati da soli nel buio,
annaspando, sbalzati fuori con violenza
dalla vita, abbiamo visto lampi e udito voci
che non erano di nessuno perché inghiottite
dall’oscurità, nuotato fra i rottami dei
nostri errori e i cadaveri di chi ci ha
fatto male.
Ma la giovane Bahia ci ha insegnato che
esiste quell’attimo in cui si ci ripiglia la
vita trattenendo il respiro, quell’attimo in
cui si deve alzare la mano per chiedere
aiuto, combattere anche senza capire
nulla, e farsi raccogliere dal freddo mare
piangendo. |
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Barbara
Gubellini, alla scoperta dei Paesi asiatici
di Giuseppe Bosso
Ritroviamo con molto piacere
Barbara Gubellini, alla vigilia del suo
ritorno sul piccolo schermo. A partire dal 13
luglio, infatti, per sei settimane sarà al
fianco di Alan Friedman nel nuovo programma
di La7 La Nuova Via della Seta, in
cui con il noto giornalista esperto di economia
ci guiderà alla scoperta dell’economia dei Paesi
asiatici, ormai sempre più destinati a ricoprire
un ruolo di primo piano nei futuri assetti
mondiali.
Dai misteri della natura con Sai xChé?
a quelli dell’economia, passando per quelli
"sessuali" con Sex Therapy. Cosa ti
aspetti da questa nuova esperienza?
«In realtà non mi occuperò degli aspetti
strettamente economici nel programma. Il mio
sarà un ruolo con cui proseguirò quel cammino
che avevo intrapreso fin dai tempi di Sai
xChè?. Credo di essere stata chiamata da La7
proprio perché avevano intenzione di fare un
programma che andasse alla scoperta di queste
terre lontane».
Che idea ti sei fatta di Alan Friedman?
«Non lo conosco da molto, ma devo dire che è una
persona simpatica, molto intelligente e
spiccata, dal carattere forte, che si fa sentire
nelle sue trasmissioni».
L’Asia: per alcuni il motore del futuro
sviluppo economico, per altri, specie chi opera
nel settore manifatturiero, uno spauracchio per
la concorrenza che esercita. Questo programma
quale visuale tenderà seguire?
«Una visione nuova. Questi Paesi stanno
crescendo sempre più e costituiscono anche per
noi occidentali un nuovo ambito di opportunità e
di investimenti. Stanno facendo passi importanti
per la lotta alla povertà, però non nascondo di
provare perplessità riguardo il rispetto dei
diritti umani che non hanno ancora ben
assimilato».
Debuttate a pochi giorni dalla chiusura del
G8 di L'Aquila. Credi siano utili questi
vertici?
«Sì, ma il mondo sta innegabilmente cambiando,
ed è in quella direzione che si sta spostando il
baricentro non solo dell’economia. Mentre la
popolazione europea e americana invecchia sempre
più, quella asiatica cresce ed è sempre più
giovane. Tanto per dirne una, sono stata a casa
dell’inviato di Repubblica, Federico
Rampini, e ho notato un planisfero completamente
diverso da quelli che noi siamo abituati a
vedere in Occidente, perché mette la Cina al
centro del mondo e l’America e l’Europa a destra
e a sinistra».
Approdi a La7 dopo le parentesi che hai avuto
in Rai (come autrice di Gaia, ndr),
Mediaset e Sky. Per molti l’emittente del gruppo
Telecom è un'oasi felice. E per te?
«Da spettatrice ho seguito sempre con interesse
i loro programmi e sognavo da tempo di potervi
approdare. In verità, già quando ero a Rete 4
avevo avuto delle proposte, ma non me la sentivo
di lasciare un programma a cui ero molto
affezionata. E poi tutti i miei amici che ci
hanno lavorato mi hanno sempre parlato bene
dell’ambiente, facendo crescere questa mia
aspirazione. Si è trattato solo di aspettare un
po’».
Torni in video dopo il matrimonio. Cosa ha
cambiato per te?
«Devo dire che finora il matrimonio è stato
molto sacrificato. Solo una settimana dopo le
nozze ero in Indonesia con Alan, ma mio marito
capisce che questo è il mio lavoro, ho sempre
viaggiato molto. Lui sa aspettarmi e, quando
stacco, c’è solo lui». |
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CULT John
Woodcock: la libertà di stampa sta per ricevere
un duro colpo
di Pierpaolo Di
Paolo
John Woodcock è intervenuto lo scorso 26
maggio a un seminario sui mezzi di ricerca della
prova all'Università Federico II di Napoli.
Agli studenti di Giurisprudenza, il magistrato
napoletano ha parlato a tutto campo del ruolo
del magistrato, del rapporto tra pm e stampa,
delle correnti politiche nella magistratura, non
disdegnando bordate al nuovo progetto legge
sulle intercettazioni.
Quando un magistrato indaga su personaggi
noti viene a trovarsi al centro di un
martellamento mediatico, e c'è sempre chi
insinua che egli non stia facendo semplicemente
il suo lavoro ma uno show, uno spettacolo. Che
sia in cerca di pubblicità. Come si affronta
questo rapporto col giornalismo?
«Si affronta continuando a fare il magistrato,
rifuggendo la tentazione che in qualche momento
ti coglie di reagire con la stessa moneta. Mi si
può dare atto di non aver mai partecipato a una
trasmissione televisiva o rilasciato interviste
a questo o quel giornale. Non dico che chi lo ha
fatto ha fatto male, io non voglio giudicare
nessuno. Capisco la tentazione di chi pensa:
"Tutti mi attaccano, persino i colleghi hanno un
atteggiamento ostruzionistico, sapete che c'è?
Io parlo". Ho resistito perché, essendo per metà
inglese, posso fare affidamento su un
grandissimo sangue freddo. Quel che viene detto
in televisione o scritto sui giornali non mi
lascia indifferente, ma sono consapevole che
esiste un gioco delle parti. So che c'è chi ti
attacca perché istituzionalmente deve farlo,
anche se deve dire cose che in realtà nemmeno
pensa, e chi ti difende per lo stesso motivo,
anche quando magari hai commesso un errore.
L'importante è entrare in questo ordine di idee,
questo ti aiuta molto».
Non ha mai pensato di smettere di fare il
magistrato come hanno fatto altri?
«No. Importante è rimanere convinti di voler
fare il magistrato e null'altro, almeno fin
quando ti danno la possibilità di continuare a
farlo. Perché spesso capita che questo sogno per
cui avevi speso tante energie, e in cui avevi
investito, svanisce. Alcuni non hanno potuto
continuare e non per loro volontà. Rimanere
convinti di voler fare il magistrato vuol dire
anche saper rinunciare a fare la battuta al noto
giornalista che chiede l'intervista, rinunciare
a questa o quella trasmissione televisiva,
rinunciare a tutte le cose che stimolano il tuo
narcisismo. Gli esseri umani sono per loro
natura narcisisti e possono essere allettati dal
consenso degli altri esseri umani. Il problema è
trovare il modo di convivere da un punto di
vista istituzionale e giudiziario con il
desiderio di questo consenso».
Cosa pensa del decreto legge sulle
intercettazioni? In che modo influirà sulla
stampa?
«Questo disegno di legge contiene un giro di
vite significativo sulla libertà di stampa.
Oggi, in linea di massima, non è pubblicabile
ciò che è coperto dal segreto istruttorio. Con
la riforma, il divieto di pubblicazione verrà
spostato in avanti, e per le intercettazioni il
divieto comporta ipotesi di reato
particolarmente gravi. I giornalisti non
potranno più pubblicare non solo le
intercettazioni per esteso, ma neppure un
riassunto. Non possono proprio far riferimento
al contenuto del documento, anche se non è
coperto da segreto processuale. Questa tutela
esasperata della riservatezza individuale
porterà conseguenze nefaste. Io potrò affidare
mio figlio al salumiere e non sapere che è in
custodia cautelare per pedofilia. Si confonde
diritto di stampa con presunzione di
colpevolezza: se io dico che una persona è stata
accusata o messa in custodia cautelare per un X
reato, non lo sto condannando, sto solo
raccontando le cose come stanno. La libertà di
stampa è il miglior strumento di democrazia, un
diritto sacrosanto in qualunque stato
democratico, è il più efficace cane da guardia
che un ordinamento civile possa avere. Eppure
questa legge metterà alla stampa un bel
bavaglio». |
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DONNE Pina
Bausch, l'angelo del teatrodanza
di Deborah Iaizzo
La tedesca Philippine Bausch, meglio
conosciuta come Pina, si è congedata dalla
scena il 30 giugno 2009, solo cinque giorni
dopo aver appreso di essere affetta da un
tumore maligno. La sua vita è stata
caratterizzata da una grande volontà di
cambiamento. Oltre ad essere una delle più
influenti coreografe mondiali, è stata la
creatrice di una nuova concezione della
danza che chiamò tanztheater,
teatrodanza: un connubio tra due
espressioni artistiche, dove il danzatore è
anche attore e cantante.
A partire dall'adolescenza, la danza è stata
il principio della sua esistenza. Anni 50:
inizia la formazione artistica nella
Folkwang Hochschule di Essen, diretta da
Kurt Joss. Grazie a una borsa di studio,
frequenta poi la Julliard School of Music
di New York, e inizia a lavorare per il
New American Ballet e per il Metropolitan
Opera Ballet. Rientrata in Germania, compone
coreografie per il corpo di ballo della
Folkwang Hochschule, la prima scuola
della quale fu direttrice.
Il 1973 è l'anno della svolta: fonda il
Tanztheater Wuppertal Pina Bausch che le
consente di dedicarsi a una forma di danza
espressionista e intimista. Cafe Muller,
il suo spettacolo più celebre, è del 1978.
Nelle sue opere il pubblico viene coinvolto
in un tipo di danza che mette in risalto,
con l’ausilio del teatro, i sentimenti, le
gioie, le frustrazioni e le paure dell’uomo
moderno sempre più privo di valori e di
certezze a causa del consumismo.
Alcuni registi, tra i quali Fellini ed
Almodovar, le propongono delle
partecipazioni cinematografiche, stupiti
dalla naturalezza dei movimenti che l'hanno
resa divina e irraggiungibile.
Dal 4 al 6 luglio 2009 avrebbe dovuto
presentare al Festival dei Due Mondi di
Spoleto la sua ultima creazione,
Bamboo Blues, opera con cui lascia
al suo pubblico il dolce ricordo di una
donna che ha rivoluzionato profondamente il
mondo della danza contemporanea. |
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TELEGIORNALISTI Le
Distrazioni Sonore di Patrizio Longo
di Valeria Scotti
I concetti fondamentali della sua biografia? Giornalista freelance.
Appassionato e cultore di musica alla ricerca di “nuove” sonorità.
Collezionista di vinili. Patrizio Longo,
nato a Lecce nel 1972, è l’autore del format radiofonico Extranet
trasmesso da alcune radio dell’FM italiana e in internet attraverso
Musicgel. In rete è il papà di
Distrazioni Sonore.
Ci racconta il suo percorso professionale ed emozionale con la radio?
«Sono stato affascinato dalla magia che trasmetteva la radio fin da giovane,
quando ancora si parlava di vinile ed io acquistavo i 45 giri degli Artisti
che passavano le radio locali. Ad un tratto nella mia vita ho voluto essere
"spregiudicato" e ho provato a lavorare in un'emittente locale tenuta da
persone che di esperienza anche a livello nazionale ne avevano acquisita
tanta. È iniziato così il mio percorso radiofonico. Un'emozione
indescrivibile: quando si accendeva la luce "rossa" dimenticavo il mondo, ma
allo stesso tempo ne ero protagonista».
Dopo anni di esperienza, qual è dunque il suo concetto di radio?
«A mio avviso la radio è e sarà sempre una compagna di viaggio
insostituibile».
Cosa significa oggi fare informazione musicale in Italia?
«Significa essere molto attenti alla scena e soprattutto avere un ampio
bagaglio culturale prima di esprimere delle opinioni. L'Artista può non
interessarci, ma non per questo motivo va declassato».
La musica può generare errori o va sempre accettata, al di là dei propri
gusti personali?
«La musica è arte. Compito di chi ascolta è leggerne i contenuti».
La scomparsa di Michael Jackson: cosa pensa possa accadere ora intorno al
‘personaggio’?
«È partita come era prevedibile la corsa ad accaparrarsi un "pezzo" di
eredità, anche da persone che in vita lo trascuravano. Come ho scritto in un
articolo, "sembra essere un'icona di quelle che non subiscono il passare del
tempo”, e questa affermazione mi sembra molto attinente a chi oltre ad
essere uomo, è diventato un’icona».
Numerose le interviste a cui ha lavorato. Di quali va più fiero?
«Di tutte, ogni singola intervista mi ha permesso di conoscere aspetti
dell'individuo e dell'Artista che ho incontrato».
Siamo alla conclusione. In perfetto stile radiofonico, ci saluta con un
pezzo musicale?
«Stupendo di Vasco Rossi».
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SPORTIVA La
maledizione del wrestling di
Pierpaolo Di Paolo
Il wrestling è il mondo dove sport e spettacolo si
fondono assieme. Un mondo di eccessi, di personaggi
eccentrici ed improbabili. Un mondo di star dai
fisici che bucano lo schermo, dai muscoli enormi,
dal temperamento trasgressivo, irriverente,
scientificamente arrogante. Ma è anche un mondo di
morti precoci e violente. Negli ultimi 20
anni sono tantissimi i lottatori, famosi e non,
morti improvvisamente e in giovane età. Un numero
statisticamente enorme, allarmante, di gran lunga
superiore al tasso di mortalità di qualunque
altro sport.
Le ragioni di questo scempio sono intuibili. In un
sistema dove lo spettacolo è tutto, dove l'entertainment
prevale sullo sport, steroidi ed altre droghe
imperversano. Con la complicità di medici avidi e
irresponsabili, tanti atleti abusano di queste
sostanze al fine di aumentare spropositatamente la
loro massa muscolare e mantenere quelle
caratteristiche corporee che assicurano loro il
successo. Quei fisici assurdi che fanno
impazzire i telespettatori e che sono quindi pretesi
dagli organizzatori. Se vuoi rimanere sulla cresta
dell'onda, strappare ancora gli applausi o anche
solo l'ultimo contratto, lo devi fare. Il cuore, i
reni, il fegato e, in alcuni casi, l'equilibrio
psichico degli atleti, ne vengono seriamente
compromessi.
La lista delle tragedie è infinita. Come dimenticare
André René Roussimoff, in arte André The Giant,
il colosso che spaventava avversari e spettatori già
solo con la sua mole? Affetto da acromegalia, Andrè
a 12 anni era alto già 1.92. Non si è conosciuta la
sua reale altezza da adulto, dato che la WWE
diffondeva dati iperbolici per alimentarne la
leggenda. Forse 2.16 m. Simpatica la sua tecnica di
schienamento. The Giant colpiva gli avversari al
petto e poi si sedeva in maniera abbastanza goffa
sulla vittima, impedendole di alzarsi. Andrè muore a
Parigi il 27 gennaio 1993, di infarto. Aveva 47
anni.
Eddie Guerrero è stato campione del mondo WWE
nel 2004. Appena un anno dopo, il 13 novembre, era
atteso sul ring per un incontro di
Smackdown, ma non si è mai presentato
all'appuntamento. Fu trovato morto nella sua stanza
d'albergo per una crisi cardiaca, a soli 38 anni.
A 43 anni scompare Brian Adams, star che ha
interpretato diversi ruoli nel wrestling, il più
famoso dei quali fu quello di Crush dei
Demolition. Anni prima Brian era stato arrestato
per l'acquisto di una grande quantità di steroidi.
La federazione fu capace di rendere la carcerazione
di Crash come una particolarità in più del
personaggio.
Terribile ed agghiacciante la vicenda di Chris
Benoit. Star di Smackdown, il 22 giugno 2007
Chris legò mani e piedi alla moglie nella loro casa
di Atlanta, poi la prese con un Crippler
Crossface, una stretta mortale alla gola che
solitamente usava nei suoi incontri. Il giorno dopo,
di sabato, strangolò il figlio di 7 anni con la
stessa presa. Il lunedì si suicidò, impiccandosi a
testa in giù. La tragedia sconvolse l'opinione
pubblica e indusse i dirigenti Mediaset a cancellare
lo show dai palinsesti di Italia 1. Nella
casa furono trovati numerosi medicinali tra i quali
molti steroidi. Il medico gliene prescriveva
regolarmente in quantità industriali, fornendogli
ogni mese una quantità sufficiente per 10 persone.
Impressionante, anche se scollegata dalle altre, la
morte di Owen Hart. In occasione di un
incontro il lottatore, appena 34enne, avrebbe dovuto
calarsi dal soffitto della struttura direttamente
sul quadrato. Owen precipitò per 24 metri,
schiantandosi sul ring e morendo sul colpo.
Nonostante la situazione da subito drammatica, gli
organizzatori decisero di proseguire con l'evento.
Sono solo alcuni tra i più clamorosi di una catena
di episodi impressionante. È una maledizione
che si è abbattuta sui wrestler? Sì, la maledizione
dell'entertaiment a tutti i costi. |
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