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Telegiornaliste anno V N. 22 (193) del 8 giugno 2009
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MONITOR Silvia
Rosa-Brusin, la scienza per il grande pubblico di
TonyJay, Valeria Scotti,
Deborah Comoglio
Grazie alla collaborazione con
Radio Web
Stereo, questa settimana abbiamo incontrato
Silvia Rosa-Brusin, vice
caporedattore di Leonardo, il tg della scienza di Raitre.
Sei il volto del tg Leonardo da molto tempo.
«Un'eternità. Era il dicembre del 1992 quando abbiamo iniziato con il primo
telegiornale scientifico. Il mio caporedattore di allora, Roberto Antonetto,
partecipò in Francia a un convegno di film scientifici. L'avevano invitato dopo
aver saputo che la Rai stava per intraprendere quest'avventura. Un collega
francese, quando seppe della nostra intenzione di andare in onda ogni giorno,
commentò "Siete pazzi?". Così Roberto, quando tornò, ci disse "Ragazzi, questa
cosa non lo fa ancora nessuno!". È stato molto incoraggiante».
Solo tu e Piero Angela, praticamente, a quei tempi.
«Piero Angela è il maestro di tutti noi, un caro amico e un collega che stimo
enormemente. Un faro di riferimento, di serietà per la categoria».
Anche lui ha la dote di spiegare in modo chiaro i concetti più difficili.
«La gente ha voglia di sapere, poi può non essere interessata sempre a tutti gli
argomenti. Il difficile e il bello di questo mestiere è fare da tramite tra due
mondi: chi sta a casa e chi sta nei laboratori».
Qual è il tipo di informazione che si predilige in Leonardo?
«Noi non riusciamo mai a fare il telegiornale che vorremmo. A volte ci dobbiamo
accontentare perché ci sono problemi di mezzi, di rapidità di informazione, di
distanze, magari anche di soldi. Adesso non ci occupiamo più di informatica o
cose di questo genere perché dopo di noi c'è una trasmissione specializzata,
Neapolis. Ma sappiate che quando è partito Leonardo non c'era
internet da noi. Occorreva recuperare le notizie dalle fonti. Mi ricordo delle
notti passate ad aspettare che in California si svegliassero per chiedere una
sola informazione».
Che cos'è per te il giornalismo?
«Una persona tanto più importante di me, Indro Montanelli, disse che il
giornalismo è quella cosa che noi giornalisti ameremmo fare anche senza essere
pagati».
E' una passione.
«Sì. Raccontare il mondo è un privilegio straordinario perché significa essere
in prima linea in qualunque settore. Sei gli occhi degli altri e hai una
responsabilità enorme perché racconti il mondo che vedi agli altri. Un mondo in
cui spesso i telespettatori, i lettori non hanno accesso, anzi, quasi mai».
L'inviato sul posto.
«Così dovrebbe essere il giornalismo. Purtroppo la nostra professione si sta
trasformando e sono sempre più i giornalisti che lavorano al desk, che
collezionano notizie di altre fonti. Questo è molto triste».
Qual è la differenza tra il giornalista della carta stampata e il giornalista
televisivo?
«La differenza è ovviamente nel mezzo. Alla base il modo in cui si lavora è
uguale: si va alla ricerca della notizia. Noi però dobbiamo sintetizzare
enormemente. E poi c'è l'uso delle immagini; spesso aiutano a comunicare dei
messaggi che con le parole non è possibile. È una sorta di multistrato: la
parola, il concetto che tu racconti, l'immagine, e il messaggio arriva completo.
Vengono coinvolti quasi tutti i sensi».
Cosa ti sarebbe piaciuto fare se non fossi diventata giornalista?
«Io non volevo fare la giornalista. Ho cominciato perché dovevo guadagnare e
mantenermi. Poi è diventato un lavoro. Credo molto ad una cosa: non si può mai
capire che cosa ti piace veramente fare fino al momento in cui non lo fai sul
serio. Il giornalismo è stata una passione che è cresciuta pian piano. Sono
rimasta travolta da questo fiume in piena».
Cosa manca alla tua carriera per poterla considerare completa?
«Ho avuto tanto da questo lavoro e ho dato tanto. Ho intravisto ad un certo
punto una strada, quella del ramo scientifico, che molte persone mi
sconsigliavano. Mi dicevano che lasciare il telegiornale regionale era una
follia. Ora mi piacerebbe poter continuare così, con un raggio internazionale».
C'è stato un momento in cui hai pensato di non farcela?
«Tantissimi anni fa lavoravo all'allora Gazzetta del Popolo e sono stata
vittima di quello che oggi si chiama mobbing. Questa cosa aveva messo
totalmente in discussione la mia intelligenza, la mia capacità di lavorare. Poi,
però, ho superato tutto. I posti di lavoro spesso non sono un luogo così
piacevole».
Fai parte del CICAP (Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni
sul Paranormale). Quindi credi agli extraterrestri…
«Ovviamente ci credo. Non ci sono degli omini verdi, non c'è niente nel nostro
sistema solare, ma con molta probabilità c’è un’altra forma di vita
intelligente. Ho partecipato alla fondazione della sede piemontese del CICAP,
poi colpevolmente non me ne sono mai occupata, ma fanno un lavoro veramente
straordinario».
Parliamo di Telegiornaliste.
«È un sito divertente. L'ho scoperto per caso e ogni tanto saluto tutti sul
forum perché sono molto simpatici. L'unica cosa che direi agli amici di
Telegiornaliste è di fare magari un po' meno attenzione al nostro aspetto
fisico e di più a quello che facciamo».
Hai un pubblico attentissimo.
«Sì, persone assolutamente deliziose. Devo dire che da Telegiornaliste ho
avuto un supporto veramente grande, e quindi li ringrazio». |
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CRONACA IN ROSA Un
corpo da urlo… di dolore
di Erica Savazzi
Vi propongo un gioco: provate a guardare il
documentario
Il corpo delle donne e immaginate
se, nelle immagini tratte da programmi
televisivi, al posto dei corpi femminili ci
fossero corpi maschili, magari di modelli.
Fate difficoltà a immaginarlo? Lo trovate
brutto? Ho provato a visualizzarlo ma quello
che ho visto mi è sembrato ridicolo,
assurdo.
Non intendo dire che anche gli uomini
dovrebbero essere messi nelle situazioni in
cui vediamo le donne ogni giorno, in ogni
programma: svestite, sexy, provocanti, mute
o inadeguate. No, non intendo parlare di
queste malintese pari opportunità. Intendo
dire: se è assurdo per un uomo stare
appeso come un prosciutto e essere
inquadrato solo sul lato B, perché dovrebbe
essere invece bello e “naturale” per una
ragazza? Perché l’uomo maturo – rughe,
capelli brizzolati – è accettato e
addirittura piace e invece la donna no, si
deve dare alla chirurgia estetica?
Donne soprammobile, donne grechine –
come le chiama l’autrice del documentario,
Lorella Zanardo – donne portaoggetto, che –
seminude – pubblicizzano dal detergente
intimo alle piastrelle (ricordate la mitica
pubblicità del silicone, antesignana di
tutto quello che vediamo regolarmente
oggi?). Sfogliate una qualsiasi rivista e
fate una statistica: quante volte ci sono
ragazze spogliate nelle inserzioni
pubblicitarie?
Se l’immagine della donne che si vede nei
media è specchio di quello che è
nella realtà, e a sua volta influenza
comportamenti e visione del mondo degli
italiani, non deve quindi stupire l’appello
lanciato in occasione del 2 giugno da donne
insignite di onorificenze al merito,
impegnate nelle istituzioni, nel sociale,
nelle professioni e in politica “per una
Repubblica che rispetti le donne”.
Preoccupate per il futuro, queste
personalità ci invitano a riflettere
sulla considerazione e sul ruolo che le
donne hanno e vogliono avere nella società. |
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FORMAT
Il
volto dell’UE di
Federica Santoro
Mtv International e la Commissione
Europea si sono unite per l’iniziativa
Can you hear me Europe?. L'intento?
Sensibilizzare i giovani fra i 18 e i 24 anni
sul tema delicato dell’identità europea
in vista delle elezioni del Parlamento. Il
network ha organizzato un urlo simbolico di
gruppo a Berlino, Milano e
Praga, un "big shout" testimoniato da uno
speciale andato in onda il primo giugno.
Annaig, Cristiana e Vincent. Tre ragazzi, tre
voci di una nuova generazione scelti a
rappresentare il continente. Si sono raccontati
ai microfoni di Mtv in uno speciale di 20
minuti, spiegando cosa rappresenta l’Europa per
loro. La prima è una ragazza francese, figlia di
immigrati, che oggi studia a Milano con la
passione dei viaggi; la seconda è una spigliata
romena, studentessa d’ingegneria a Praga, che
combatte contro i pregiudizi verso la sua
provenienza; il terzo è un giovane tedesco che
vive e studia a Berlino.
Una campagna - iniziata settimane fa dal
Portogallo - che ha attraversato il continente
coinvolgendo migliaia di giovani al grido: Mi
senti Europa? Per dire quello che si pensa
forte e chiaro. Chi non era presente fisicamente
al lancio dei tre slogan ha potuto gridare
virtualmente insieme agli altri inserendo
messaggi e video sul
sito ufficiale, o semplicemente osservando
ciò che succedeva nella sua città.
Da Lisbona a Vilnius, nelle piazze e nei parchi,
l’Europa del futuro, affacciata alle
finestre o davanti ai monitor del computer per
raccontare chi è, dei loro sogni, preoccupazioni
e ideali. Esperienze di vita diversissime ma in
accordo sul fatto che occorra avere una lingua
comune oltre alla moneta. |
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CULT Lo
famo ecologico? di
Valeria Scotti
Make love, not war. E se l’amore lo fate
seguendo il filone ecologico, qualcuno
potrebbe anche alzarsi a mò di standing
ovation nel momento clou. Imbarazzante sì,
ma un giusto riconoscimento alla vostra
iniziativa. Perché oggi va di moda non
inquinare, anche quando si parla di attività tra
le lenzuola.
Su
GreenMe, ecco svelato ogni dubbio.
Si parte dalla preparazione di una cenetta
tête-à-tête, possibile preludio a una lunga
notte d’amore. Via le pillolette blu e sì agli
afrodisiaci, solo se naturali. Erbe come
Ginseng, la radice di Kava, le foglie di
Damiana, il Tribulus, il Ginko Biloba, la
Rhodiola rosea potrebbero essere i giusti
alleati. L’importante è andare alla ricerca di
questi ingredienti con un minimo di anticipo
sulla tabella di marcia.
C’è poi la scelta dell’intimo ecologico,
biancheria eco-sostenibile a base di cotone
biologico o materiali come la soia o il bambù
che fanno tanto China Style. Insomma, lingerie
biodegradabile e a impatto zero. Probabilmente
anche sull’eccitazione del vostro partner.
Siete degli amanti dei sex toys? E allora
giocattoli erotici bio a volontà. Meglio se in
acciaio, vetro borosilicato, silicone, lattice,
caucciù e legno. Anche il cristallo va alla
grande, sperando che non veda mai pavimenti o
conosca urti improvvisi. Per non parlare delle
ultime tendenze che vogliono vibratori ad
energia solare. Solo le calcolatrici avevano
osato così tanto.
Una volta superati questi ostacoli, la guida
verde vi consiglia anche il “come”. No alle luci
accese, si risparmierà energia elettrica. Sì
alle candele, ma solo se di provenienza naturale
come quelle di cera d'api, stearina, soia o
palma.
Ora, dunque, siete pronti per farlo. Ma
solo se avete un letto con la certificazione del
FSC (Forest Stewardship Council). Ciò significa
che il vostro talamo dell’amore è costruito con
legno ottenuto da foreste gestite secondo
criteri di sostenibilità ambientale. A
completare il tutto, un materasso in lattice
naturale o in fibra di bambù su cui rotolarsi.
In mancanza di tali requisiti, niente paura:
potreste orientarvi per la doccia, a patto che i
rubinetti vengano chiusi nei momenti in cui si è
impegnati nell’atto. A farvi compagnia, shampoo
e bagnoschiuma naturali, non testati sugli
animali e conservati in flaconi in vetro o
plastica riciclata.
La contraccezione, infine. Anche quella pensa
ecologico: eco-condom disponibili in vari
colori, riciclabili e biodegradabili.
Troppe regole per l'eco-sesso? Non resta che una
soluzione: la castità. |
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DONNE Monika
Bulaj, immagini dalla Terra di mezzo
di Erica Savazzi
«Abbiamo viaggiato a lungo separatamente
talvolta – senza saperlo – sugli stessi
treni
Poi abbiamo fatto il grande viaggio insieme
sull’effimera frontiera della fortezza
Europa
Questo racconto a due voci
riassume un’esperienza di oltre vent’anni
Comincia prima della caduta del Muro
e finisce con nuovi muri
che spaccano il cuore del continente».
Le due voci di cui parla questo brano,
tratto dall’introduzione della mostra
Europa verticale, fino al 30 agosto al
Palazzo Ducale di Genova, sono quelle di
Paolo Rumiz, giornalista e scrittore, e di
Monika Bulaj, fotografa. La mostra rientra
in una rassegna dedicata al ventennale del
crollo del Muro di Berlino, e racconta un
viaggio tra Mar Baltico e Mar Nero, nella
“Terra di mezzo” dell’Europa.
Monika, come prepara un reportage?
«Lavoro su progetti molto lunghi. Vent'anni,
dieci anni. I reportage sono la conseguenza,
il metro, la disciplina, il ritmo. Nascono
dai grandi filoni tematici che seguo da
anni, che si intrecciano, che si inseguono,
talvolta sembrano prendere una nuova piega
per tornare, con impeto, sul tema chiave,
sulla domanda più importante. Nascono dal
sogno e dal senso di dovere e di necessità.
Ma non è un dovere triste, è la fonte di
gioia inesauribile, una passione fisica, una
droga. La necessità, come la intendeva
Simone Weil. Inevitabile».
Quali sono le sue fonti d’ispirazione?
«Sono libri, libri e ancora libri, carte
geografiche, incontri e viaggi. Perché è il
viaggio che costruisce il viaggio. Talvolta
le idee vengono da un film, un quadro o una
fotografia, da una frase, dalle cose più
disparate e strane. Tutto conta. Poi
l'intuizione e, soprattutto, le persone che
incontro, che mi ospitano, accolgono,
sfamano, raccontano loro storie, indicano la
strada. Senza di loro non farei nulla. Vengo
per incontrarli, per stare con loro,
guardare con loro, muovermi con loro, ridere
e piangere con loro».
Polacca di origine, trapiantata in Italia,
Monika collabora con D-La Repubblica,
Io donna, Internazionale,
National Geographic e con altre testate
italiane e straniere.
Nel suo lavoro si concentra sulla
religiosità (i libri Gerusalemme perduta
e Figli di Noè, Genti di Dio)
e sulla sua espressione. Come mai ha scelto
questo tema?
«Non so il perché e non me lo chiedo. Lo
devo fare ed è giusto e bello farlo. E
questo interesse c'è da sempre».
Secondo lei c'è qualcosa che accomuna
credo e religioni diverse?
«L'uomo».
Qual è il suo rapporto con la
spiritualità? Venire a contatto con
religioni diverse ha portato in lei dei
cambiamenti?
«La fede è la grazia, il dono. Non credo che
questa ricerca ha portato cambiamenti né
modifiche, forse, piuttosto, ne è la
conseguenza».
Una sua mostra si intitola Aure,
cosa significa?
«Ho citato Ellemire Zolla, e il titolo del
suo libro, per esprimere l’inesprimibile.
"In greco e in latino", scrisse, "si parla
del fascino come di una brezza, un'aura
spirante dalle persone o dai luoghi, che a
volte cresce, diventa turbine, nembo, nube
abbagliante, riverbero dorato, ingolfa e
stordisce". Questo lavoro è anche l'omaggio
alla sua scrittura. È un progetto di ricerca
fotografica iniziato più di dieci anni fa
sulla mistica in religioni del Libro, sui
confini dei monoteismi. Non è un lavoro di
documentazione, ma piuttosto l'esplorazione
degli archetipi, dei temi chiave, in 20
Paesi, dal Gibraltar (Gibilterra, ndr)
fino all'Asia Centrale. Sogno, divinazione,
danza, possessione, fuoco, acqua, tocco, il
Mistero dalla Passione, cammino, vuoto,
soglie. Alla fine dei conti, sono le
immagini che, accostate seconda la logica
visiva, parlano da sole».
Prossimi progetti?
«Tornare. In Afganistan, soprattutto. Sogno
di passare l'inverno a Kabul. Poi, anche in
Iran ed Egitto, Asia Centrale, Russia,
Africa.
Continuo la ricerca sulla mistica e il corpo
nelle religioni del Libro – Aure - e
sui poveri». |
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TELEGIORNALISTI
Ivo Mej: un sorriso, un pensiero
di Camilla Cortese
Pubblicista nel 1983, il tesserino conquistato «in maniera rocambolesca»,
Ivo Mej è giornalista professionista dal 1987. Attualmente è giornalista
di LA7 e conduttore di Cose dell'@ltromondo, la rubrica di LA7 sui
contenuti più eccentrici della rete. È stato regista per Raiuno, Senior
Editor per Euronews, autore e conduttore per STREAM e inviato di
Telemontecarlo (TMC), nonché autore e conduttore di programmi Tv.
Come hai scelto di fare il giornalista e come hai cominciato?
«A 12 anni, appena arrivato all’Istituto M.Massimo (gesuiti). Iniziai a
pubblicare un settimanale intitolato Il Massimino che raccoglieva
considerazioni sulla vita scolastica ed articoli di altri ragazzi ma anche
dei professori. Lo vendevo a 150 lire a copia e lo stampavo col ciclostile
dell’Istituto, nel pomeriggio, quando facevo il doposcuola».
Hai un approccio unico ai tuoi ruoli di giornalista, scrittore e autore
televisivo o applichi un metodo?
«Sì, il metodo Rozzi. Padre Franco Rozzi fu mio professore di Storia e
Filosofia. Ti faceva fare compiti come questo: Idealismo – Empirismo;
differenze, similitudini. Due righe. Come facevo a non diventare
giornalista? Prima, da bambino, c’erano state le “lezioni” televisive di
Mino D’Amato su Raiuno. Volevo essere lui. Finché non l’ho conosciuto
davvero».
Il tuo ultimo libro, Moro rapito! (ed. Barbera, 2008) è stato
assai apprezzato per l’analisi del rapimento di Aldo Moro dal punto di vista
dei mezzi di comunicazione. Tutti i giornalisti intervistati hanno accostato
i termini giornalismo e democrazia. Ma sono davvero sinonimi?
«Non vedo come non potrebbero esserlo. Basta pensare al Watergate. Lo
sanno bene i governanti che addomesticano la stampa comprandosela o le
tappano la bocca con la forza. Il vero problema italiano è che l’editoria
non rende soldi e chi edita prodotti informativi non è indipendente da
potere politico e/o economico».
Chi contrasta il giornalismo osteggia la democrazia?
«Certo. Se il giornalismo non è asservito e composto da giornalisti-fido.
Bau».
La spettacolarizzazione della notizia nei Tg: all’epoca del Caso Moro i
giornalisti la giustificarono in nome della veridicità, oggi invece
ammettono sia intrinseca al mezzo televisivo. È una prassi, un male
necessario o un brutto vizio?
«Una prassi generata dall’ignoranza. Molti di coloro che fanno i giornalisti
oggi non sanno neanche come si pronunciano le parole italiane. Figuriamoci
se possono pensare all’etica del Giornalismo!».
Nella spettacolarizzazione della notizia il giornalista, poiché trasmette
delle emozioni, diventa attore del fatto?
«Il giornalista diventa attore del fatto quando fa delle rivelazioni o mette
in moto meccanismi che cambiano la realtà. Le emozioni le dovrebbe
trasmettere l’arte (ma non necessariamente). Il giornalista, in realtà,
dovrebbe trasmettere solo informazione. Certo, nel caso di prodotti
audiovisivi o di grandi reportage si trasmettono anche emozioni, ma si
tratta di carriere diverse. Più simili al cinema o alla letteratura. Il
giornalismo quotidiano dovrebbe essere di pura utilità informativa».
Spaziando in molti campi nel corso della tua carriera, hai sempre seguito
il fil rouge della tecnologia, dai video game a You Tube, in una
nicchia che alla fine ha spopolato. Te lo sentivi?
«No. Non faccio nulla per opportunità. Per questo non sono diventato
Direttore (non ancora, almeno!). Altromondo, nel 1997, fu la risposta
di TMC a Mediamente. E devo dire che eravamo molto più divertenti».
Come si scrive la parodia di un libro commerciale e pornografico? (Melassa
P. - le acrobazie sexy di una adolescente appiccicosa, Ed. ilmiolibro.it,
2007)
«Divertendosi come un matto. E, come tutte le cose, ispirandosi a qualcuno.
Nel caso di Melassa P., a Daniele Luttazzi e al suo Va’ dove ti
porta il clito. Imperdibile!».
Alain Elkann, nella sua rubrica Due minuti un libro (LA7), ti ha
definito un tipo particolare che si occupa di cose strane. C’è un argomento
che ti spaventa e di cui non ti occuperesti?
«Assolutamente no. Con il compare Enrico Fornaro mettemmo alla berlina il
mondo dell’Alta Moda con Moda a Go Go e ci fermarono, spaventati,
dopo sei puntate. Tutti gli stilisti avevano chiamato per lamentarsi di
questi strani figuri che chiedevano a Ferré perché non dimagriva o a Gai
Mattiolo se per fare lo stilista bisognava essere gay. Mi piacerebbe molto
occuparmi di politica, ma senza limitazioni. Mi sa che non me lo faranno mai
fare».
Visto il tuo passato al Centro Sperimentale di Cinematografia, dicci una
volta per tutte perché agli italiani non piacciono i film italiani.
«Contesto la domanda: penso che ti riferisca ai film italiani contemporanei
perché quelli del passato piacciono e come. Vogliamo ricordare
Brancaleone, Fantozzi o le pellicole di Comencini, Dino Risi, De
Sica? Per non parlare di Febbre da cavallo, un cult che sento sempre
citare a memoria negli ambienti più impensati. Oggi alcuni film italiani
piacciono e sono grandiosi. Sorrentino e Salvatores su tutti, ma anche
Garrone, ovviamente. E non dimentichiamo il film italiano più bello degli
ultimi dieci anni: La Sconosciuta di Tornatore. Dunque, mi dispiace,
ma non sono d’accordo sull’assunto. Si può dire che i film italiani non
incassano come quelli di Hollywood, ma questo si deve soprattutto a due
cause: il mercato piccino che abbiamo e, forse, l’eccessiva produzione.
Molti film non si capisce proprio chi li abbia potuti finanziare».
Cosa ti piace di più della tua professione?
«La possibilità di cambiare le cose che non vanno (almeno una volta era
così). Fui molto orgoglioso quando riuscii a far sistemare una strada
dissestata da un assessore del comune invitato ospite alla radio dove
lavoravo. Oggi, visto che mi occupo di cose più “leggere”, mi piace
immaginare
che i miei prodotti facciano pensare, dopo avere strappato un sorriso». |
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SPORTIVA Stupri
e sport di Pierpaolo Di
Paolo
Due settimane fa abbiamo affrontato il problema
degli stupri nel rugby australiano-neozelandese. In
realtà, dati alla mano, questa è una piaga che non è
possibile circoscrivere al solo mondo rugbistico, ma
che si estende tragicamente alla realtà sportiva in
generale.
Numerosi episodi, troppi, dal calcio al
pugilato, al basket, dimostrano come il rugby non
sia che la punta dell'iceberg di un problema sociale
molto più drammatico. Una diffusa "cultura" della
violenza e di scarso rispetto della dignità altrui e
della donna in particolare. Ridotta a mero oggetto,
merce di consumo come tanti altri, in un mondo
prepotente, affogato com'è nella sua imbarazzante
ricchezza e nella sua sfacciata ignoranza. Dove
tutto si può comprare o prendere con la forza, con
l'arroganza di chi pretende di poter in ogni caso
dare un prezzo e contrattare. Con l'arroganza di chi
sa di avere tanti di quei soldi da poter fissare un
prezzo anche alla dignità altrui.
Una donna, in quest'ottica, altro non è che un
prodotto acquistabile come qualunque altro. Si
possono acquistare i suoi favori, se lei è
d'accordo. Ci si può assicurare anche il suo
consenso, quando la vittima non era consenziente e
occorre comprarsi a suon di soldoni il silenzio e la
sua dignità di donna violata. Magari quest'ultima
opzione è solo un po' - o molto - più cara.
Come non citare il caso di Robinho, stella
brasiliana del Manchester City, accusato di stupro
ai danni di una ragazza 18enne di Leeds. Il fatto
sarebbe avvenuto il 14 gennaio. Subito dopo la
stella scappò in Brasile, destando i sospetti della
stampa che, ignara, avanzò le ipotesi più
strampalate sui motivi della sua precipitosa fuga.
Arrestato il 28 gennaio, è stato istantaneamente
rilasciato su cauzione e schierato il giorno stesso
dall'allenatore Mark Hughes nella partita contro il
Newcastle. Della vicenda non si è saputo più nulla.
Si può riportare lo scandalo dello stupro al party
di Natale 2007 del Manchester United: per
l'occasione i Red Devils avevano interamente
prenotato l'esclusivo Great John Street Hotel. Alla
festa, tassativamente off-limits per mogli e
fidanzate, c'erano donne bellissime provenienti da
ogni parte d'Europa, musica, balli, alcool. Una
festa divertente e folle fino all'arrivo della
polizia, chiamata da qualcuno che ha denunciato uno
stupro.
Sono state condotte delle indagini, ma alla fine non
ci è dato sapere cosa effettivamente sia successo
quella notte. Possiamo continuare citando il
quotidiano
Le Monde, che ha rivelato come alle
olimpiadi di Sydney 2000 gli organizzatori
avessero predisposto una specifica unità di pronto
intervento per il rischio stupri. Secondo i servizi
sanitari di Sydney 2000, infatti, il provvedimento
era urgente: nel corso delle precedenti olimpiadi,
almeno otto atlete erano state soggette a stupri nel
villaggio di Atlanta 96.
Una serie infinita di episodi che hanno
generato il sospetto che sia proprio il mondo dello
sport, coi suoi ritmi ed il suo stile di vita, a
indurre nei ragazzi valori sbagliati e li istighi a
uno scarso rispetto verso la donna. Sinceramente non
lo crediamo. Preferiamo pensare che siano questi
individui a non meritare di essere identificati come
dei veri sportivi e, prima ancora, come dei veri
uomini. |
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