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Telegiornaliste anno V N. 12 (183) del 30 marzo 2009

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MONITOR Monica Matano, grinta, garbo e genuinità di Giuseppe Bosso

Una lunga esperienza alle spalle sulla stampa e in tv. Pubblicista dal 1996, Monica Matano ha iniziato a soli 19 anni la collaborazione alla Rai, dopo aver superato un provino per Raisat2. Nel suo curriculum spiccano Cominciamo bene, La vita in diretta, Costume e società, Dossier e Salute del Tg2. Dal luglio del 2008 fa parte della redazione di Rai Sport.

Quali sono state le maggiori difficoltà che hai incontrato nell’affrontare il mondo sportivo?
«Non parlerei di difficoltà perché quello dello sport è un mondo verso il quale orientavo attenzione e interesse già da ragazza. Del resto, l’approdo al giornalismo sportivo non è stato casuale, ma il frutto di una scelta rivolta a completare la mia formazione professionale. Confesso, invece, di provare amarezza quando vedo traditi o vanificati i valori e gli obiettivi dello sport che è per me un’agenzia educativa dalle straordinarie potenzialità».

Anche quest’anno forti polemiche stanno segnando il nostro calcio, caratterizzate dall’ingresso di un personaggio come Mourinho. Che idea ti sei fatta del tecnico nerazzurro e del suo modo di porsi con i media, inedito per il nostro calcio?
«Le polemiche non sono il male del calcio. Anzi, fino agli anni Sessanta ne erano il sale perché alimentavano la passione degli sportivi. Sono le cadute di stile, la perdita del buon gusto, la rissosità gratuita e l’avidità smodata di taluni personaggi che proiettano ombre inquietanti sullo “sport più bello del mondo” e ne potranno pregiudicare il futuro. Quanto a Mourinho, ritengo che sia un grande allenatore e un singolare personaggio. Studia il calcio, lo conosce come pochi e ha anche il coraggio di esporre le sue idee senza riserve e senza compiacenti censure. Esagera però e diventa insopportabile quando utilizza la consapevolezza della proprie capacità e l’ostentazione spavalda dei successi ottenuti per rivolgere espressioni oltraggiose all’indirizzo dei suoi colleghi, verso i quali dovrebbe, in ogni caso e al di là di qualsiasi contrapposizione tecnica, concettuale o dialettica, manifestare il rispetto che la sensibilità, l’eleganza e lo stile, prima che la deontologia, impongono ad ogni essere umano. Senza eccezioni, neppure per uno “special one”».

La gavetta, come la tua, alla lunga paga?
«Premesso che ho la prudenza di non ritenermi arrivata e un po’ di saggezza che mi fa conoscere quanto cammino dovrò ancora percorrere per migliorare le mie capacità professionali, credo fermamente che nel corso della vita sia data a tutti la possibilità di raggiungere gli obiettivi ambiti. Per conseguirli, però, occorre cercarli con tenace determinazione, con tanta forza d’animo e con incrollabile fiducia. Anche quando le difficoltà sembrano compromettere i nostri progetti. Se poi arriva un pizzico di buona sorte, allora è fatta. Va ricordato, tuttavia, che la fortuna non va attesa, ma conquistata o almeno meritata».

Per chi volesse seguire la tua strada?
«E’ una professione difficile che occorre amare, impone sacrifici enormi e ritmi di vita frenetici. Ma senza indulgere ai luoghi comuni e senza fare gratuita professione di ottimismo, sono convinta che il giornalismo offre e proporrà sempre spazi e occasioni a tutti quei giovani che, sorretti da una buona preparazione culturale e da autentica vocazione, sapranno coglierne e apprezzarne le suggestioni».

Tra tante colleghe a Raisport hai avvertito una competizione maggiore rispetto a dove avevi lavorato in precedenza?
«Raisport offre una discreta visibilità. E’ un aspetto che alimenta qualche antagonismo, certo più evidente di quello da me rilevato in altre testate giornalistiche dell’azienda. Tuttavia non parlerei di competizione, ma di piccole espressioni di invidia presenti dappertutto e solitamente manifestate da coloro che ignorano o dimenticano le generose gratifiche ricevute, solo perché impegnati a criticare tutto ciò che gli altri hanno saputo meritare. D’altra parte, l’io è il peggiore di tutti i pronomi».

Che idea ti sei fatta di Telegiornaliste e cosa ti suscita essere così seguita e apprezzata?
«E’ una testata giovane e vivace che, con le schede e le interviste, asseconda senza morbosità l’interesse degli utenti ai quali offre anche l’opportunità di interagire con il colorito confronto del forum o con il giudizio di valore e di merito espresso col voto nello speciale campionato delle telegiornaliste. L’essere seguita non è per me soltanto un motivo di soddisfazione, ma anche di sprone e di incoraggiamento. Gli apprezzamenti poi sono graditissimi».

Hai avuto un modello a cui ispirarti?
«No, se lo si intende come riferimento puntuale a una “bella del video” da emulare. Faccio del mio meglio per resistere alle sollecitazioni recitative della televisione e conservare la mia genuinità. Certo che mi piacerebbe tanto avere la grinta della Gruber e l’elegante garbo di Maria Concetta Mattei, che è una collega bravissima e un’amica dolce e affettuosa».

Come credi cambierà il modo di fare informazione con il digitale terrestre e l’uso continuo di tecnologie sempre più avanzate?
«Credo che il digitale rappresenti una straordinaria possibilità per allargare l’offerta televisiva. Per quel che concerne un eventuale cambiamento del modo di fare informazione, penso che esso sia solo in parte legato all’impiego di tecnologie più sofisticate. L’informazione ha oggi un volume ragguardevole e una velocità impressionante. Il problema è che una gran parte dell’offerta resta inutilizzata per l’insufficienza culturale dei media e per le difficoltà dei fruitori. Occorrerebbe un ripensamento di tutto il complesso processo dell’informazione che fosse in grado di preparare un proficuo e dialettico confronto tra fonti, media e fruitori, per realizzare una comunicazione completa e imparziale, rispettosa dei diritti di lettori e telespettatori liberi e autonomi».

Ti occupi anche di problematiche dell’adolescenza: quale deve essere l’atteggiamento dei media di fronte a queste nuove generazioni alquanto turbolente?
«L’adolescenza è un periodo molto delicato, contraddistinto da grandi trasformazioni fisiche, culturali e affettive. Con l’esplosione della sfera affettiva e il bisogno di autonomia intellettuale, i ragazzi elaborano convinzioni e valori personali che li portano alla ricerca di modelli con cui confrontarsi o identificarsi. L’assenza di modelli virtuosi e di valori, la crisi della famiglia e della scuola, la corruzione e il malcostume, la scarsa credibilità dei media sono tutti elementi che concorrono a spiegare le manifestazioni di devianza giovanile che testimoniano disagio, solitudine,infelicità. E’ difficile istituire una terapia efficace e non ho la presunzione di proporne una. Auspico, però, un forte impegno e un rinnovato slancio delle agenzie educative del Paese e, tra queste, annovero lo sport, quello con la "S" maiuscola, fondato sul rispetto di sé, degli altri e delle regole, proteso a esaltare il concetto della lealtà e del sano agonismo».

Come mai, secondo te, la tv per ragazzi di oggi ha perso smalto e creatività? Pensi ci siano margini di miglioramento?
«Perché non abbiamo autori, idee. Anche la letteratura per l’infanzia non mi pare che abbia espresso negli ultimi anni presenze di rilievo. L’ultimo grande scrittore per i ragazzi è stato Gianni Rodari: ha trasformato la struttura di tradizionali generi letterari, come la fiaba, la novella e la filastrocca e ne ha ampliato i contenuti e le finalità educative. Non deve perciò sorprendere l’assenza di una programmazione rivolta ai telespettatori più giovani. Una situazione resa più inquietante dalla crescente proposta di trasmissioni che condanniamo come TV spazzatura. Quella con la quale pigramente conviviamo. E con ignobile ipocrisia».

Tra i tuoi desideri, la realizzazione e la conduzione di un programma per ragazzi. Come vorresti impostarlo?
«Studi recenti e seri hanno dimostrato quanto peso la Tv abbia sull’equilibrio e sullo sviluppo psicoaffettivo degli spettatori più giovani, e quanto il piccolo schermo condizioni le loro conoscenze e i loro comportamenti. Questa considerazione mi fa ritenere che sia indifferibile elaborare un’offerta televisiva per i ragazzi dotata di scientificità pedagogica. Io penso ad un programma che sappia coniugare la pluralità degli interessi giovanili (musica, sport, cinema, società, motori, viaggi) con gli elementi fondamentali di una buona formazione civica, primo tra tutti la conoscenza delle istituzioni e del loro funzionamento e la presentazione semplice e chiara delle diverse attività produttive del Paese. Un programma svelto, denso di buoni contenuti, agile nella struttura, mai banale, ravvivato dalla sapiente scelta degli ospiti da ricercare tra campioni dello sport, attori, cantanti e tra i personaggi più giovani del giornalismo, della politica e dell’economia. Un appuntamento pomeridiano, capace di produrre interesse e in grado di sollecitare la curiosità dei nostri ragazzi».

Qual è il tuo sogno nel cassetto?
«Non ho sogni nel cassetto, ma un grande progetto d’amore: assecondare il mio forte desiderio di maternità».
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CRONACA IN ROSA I Riciclabili: Clemente Mastella di Camilla Cortese

Una volta si tradiva per trenta denari, oggi per una poltrona da 20mila euro al mese al Parlamento Europeo. Chi tradiva, era almeno in grado di indicare Gesù ai soldati, mentre oggi si va baldanzosi all’Europarlamento senza spiaccicare una parola di inglese. Clemente Mastella è tornato, e ne ha per tutti.

Torna in politica dopo un anno di purgatorio, un periodo nero pieno di tormenti e ingiuste umiliazioni per uno statista dalla silhouette importante il cui prepotente deretano ha scaldato le sedie della Camera per 32 anni e otto legislature consecutive dal 1976 al 2008.

Clemente nostro uno stinco di santo non è. Ricordiamo il caso Il campanile, il giornale di partito oggetto di diverse indagini giornalistiche che ne hanno evidenziato la funzione privata con oltre un milione di euro di finanziamenti pubblici ottenuti per sé e i suoi familiari. Ricordiamo il figlio Elio Mastella, che andò a vedere una gara di Formula Uno con un volo di Stato. E ancora sua moglie Sandra Lonardo, ex presidente del Consiglio regionale della Campania, finita sotto inchiesta per minacce in tema di nomine ospedaliere e sospesa dagli incarichi politici. E per finire, il 14 ottobre 2007 Clemente Mastella viene iscritto nel registro degli indagati della procura di Catanzaro nell'ambito dell'inchiesta Why Not del sostituto procuratore Luigi De Magistris: l'ipotesi di reato è abuso di ufficio. L’allora ministro della Giustizia, fresco di legge sull’indulto, viene sospettato di essere coinvolto in una rete costituita da politici, imprenditori, giudici e massoni finalizzata ad ottenere finanziamenti dallo Stato e dall'Unione europea.

Mastella nostro è come un volatile migratore, dagli anni Settanta ha militato in qualunque orientamento sinistra-destro-centrista dei partiti di centro. In confronto, le migrazioni eurasiatiche della cicogna nera sono una barzelletta: è fresca la notizia della sua candidatura alle elezioni europee col Popolo delle Libertà di Silvio Berlusconi, del quale fu ministro del Lavoro negli anni 90, il quale ha finalmente pagato l’obolo per il regalino del 2008, quando la sfiducia di Mastella, allora nella maggioranza di centrosinistra, provocò la caduta del governo Prodi a tre anni dalle elezioni. Il suo Udeur in provincia di Benevento sta all’opposizione col centrosinistra, ma a Bruxelles che ne sanno, e lui decide di «scendere in campo con la convinzione di poter vincere, altrimenti ce ne saremmo stati a casa. Il nostro ritorno non nasce da un sentimento di ripicca o vanità, ma dalla convinzione di poter rappresentare ancora qualcosa».

Il bello è che dopo un anno di collegamenti dallo stadio San Paolo con Simona Ventura per Quelli che il calcio, Clemente nostro ha il dente avvelenato e la coda di paglia più che mai, lui che è un brav’uomo e che in fondo ha commesso solo qualche peccatuccio.

Così risponde a tono alle domande più piccate, citandole nel suo blog come la Giovanna d’Arco di Ceppaloni e sgranando gli occhioni come un bimbo che, in fondo, è stato solo colto con le mani nella marmellata, e poi i suoi amichetti lo fanno tutti, perché sgridare solo lui.

Come vanno ora le cose a casa sua?
«Diciamo che anche lì va molto meglio. Ma si rende conto che mio figlio è venuto una sola volta su un volo di Stato e per questo sono finito al tribunale dei ministri?».
Sì, ma i voli di Stato non dovrebbero servire per andare a vedere una gara di Formula Uno...
«Certo. Ma come mai altri figli fanno telefonate particolari, o sono al centro di vicende giudiziarie, e verso di loro non c'è tutta la cattiveria usata nei miei confronti?».

Non contento, apostrofa come «farabutti e ipocriti» coloro che hanno ironizzato sulla sua candidatura alle europee, salta sulla sedia per la teoria del Giuda della scorsa legislatura - «Vadano a controllare i numeri del Senato e voglio proprio vedere se diranno ancora che sono stato io a far cadere il governo Prodi!» - e si riscopre sommo poeta in un libro di prossima uscita in cui racconta di un «complotto» ordito a suo danno per farlo dimettere e dove promette, «ce ne sarà per tutti». Scommettiamo che, dopo il suo ritorno, ce ne sarà anche per noi?
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FORMAT Il Pagellone di marzo di Giuseppe Bosso

Pagellone di marzo che, a grande richiesta, riproponiamo in versione "meteo".

Sole splendente su Claudio Amendola, vero man of the month su Canale 5, protagonista indiscusso a Scherzi a parte e a I Cesaroni. Se nella più amata delle serie del Biscione l’attore romano si conferma interprete navigato, nella trasmissione che burla i big dello spettacolo si rivela sorprendente intrattenitore.

Sereno su Roberto Saviano, protagonista di una prima serata record su Raitre. L’autore di Gomorra, pur nel mirino della camorra, è presente e invita i napoletani (e non solo) a non cedere alla sopraffazione della criminalità.

Soleggiante su Chi l’ha visto che cambia collocazione (dal lunedì al mercoledì), ma non l’impegno di sempre. Federica Sciarelli è sempre lì a dare speranza ai cari di quanti sono scomparsi.

Poco nuvoloso sui Simpson. Vent’anni e non sentirli per la più sgangherata, perfida ma irriverente famiglia della televisione, che ci terrà compagnia per almeno altre due stagioni. Per la gioia dei fan di Homer, Bart & Co.

Variabile su Canale 5 che decide di mandare, per ora, in soffitta i Telegatti. Invero la rassegna aveva notevolmente perduto lo smalto di un tempo, ma in periodi di magra come questi probabilmente i vertici Mediaset hanno ben pensato che non fosse il caso di organizzare una parata di (costose) stelle come ogni anno.

Foschia su Raifiction. Benissimo Pane e libertà con Piefrancesco Favino nei panni di Giuseppe Di Vittorio, personaggio che le nuove generazioni non conoscono abbastanza; un po' meno bene il Puccini di Alessio Boni e l'ennesima storia con Lino Banfi protagonista, con lo stesso canovaccio che ormai, e non ce ne voglia l'amato Nonno Libero (che presto rivedremo..), conosciamo anche prima della trasmissione.

Nebbia sul Digitale terrestre, ormai prossimo al lancio definitivo in gran parte della Penisola ma non ancora del tutto recepito e non altrettanto meglio pubblicizzato e sostenuto. In Sardegna, come ha segnalato Grillo, non ha avuto finora grande riscontro. E ora?

Piove su Raiuno che non ha voluto accordare a Veronica Maya la stessa fiducia riposta in Caterina Balivo ed Eleonora Daniele. Per la bella conduttrice di Verdetto finale, una sola puntata dei suoi incredibili e tanto di saluto.

Temporale sui media che hanno strumentalizzato la vicenda Caffarella dall’inizio fino alla fine. Non sappiamo quanto fosse opportuna la puntata di Porta a porta (tanto per cambiare) con Karol Racz, ma ci auguriamo davvero che ora su questa vicenda cali il sipario e non diventi un nuovo caso Cogne.

Grandina sul calcio italiano, miseramente fuori dalle coppe europee con la sola eccezione dell’Udinese. Tra un anno andremo (si spera) in Sudafrica a difendere il titolo di campioni del mondo, ma in questo quadriennio finora le nostre squadre non hanno onorato sempre questa carica.

Burrasca, ed è proprio il caso di dirlo, su Raiset. Sì, perché non ne possiamo più di palinsesti cambiati all’improvviso, di programmi spostati e cancellati in un lampo, da entrambe le parti.
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CULT Professione orgasmo di Valeria Scotti

Combattere per il piacere femminile si può, si deve. O almeno si tenta. Come accade da quattro anni a San Francisco. La comunità One Taste non promette lunghi pomeriggi di briscola, presentazioni di prodotti cosmetici o tavole rotonde sull’uncinetto, ma un orgasmo più prolungato.

E’ a San Francisco che una quarantina di persone, tra i venti e i trent'anni, lavorano affinché l’orgasmo abbia un ruolo fondamentale nella vita di ogni donna. A capo del movimento c’è Nicole Dandone, paladina del concetto "slow sex". Una laurea in semantica, una passione per il Buddismo e l’inaugurazione della sua comunità Zen. «Non credo che le donne capiscano veramente il significato di libertà almeno fino a quando non comprendono la loro sessualità». Guai a darle torto.

E allora benvenuti nella comunità del piacere, il club della meditazione orgasmica dove ci si applica sin dalle prime ore del mattino. Tutte stacanoviste e nude dai fianchi in giù, distese nella sala centrale, mentre i partners maschili si impegnano a stimolare il piacere femminile. Ad aiutarli, le tecniche del guru del sesso Ray Vetterlein. E una promessa: fino a trenta minuti la durata dell’orgasmo.

Alla ricerca, insomma, della ricetta per l’orgasmo perfetto che non si trova su nessun libro di cucina. Neanche Indiana Jones era arrivato a tanto. C’è però chi va oltre e decide di ragionare con il cuore. E’ accaduto a Elana Auerbach e Bill Press, incontratisi in quel bizzarro universo e oggi con un figlio e la fede al dito. «Io e mio marito volevamo vivere una vita centrata sulle emozioni del cuore - ha dichiarato Elana al New York Times - piuttosto che centrata sugli organi genitali». Lecito chiedersi cosa mai ci facessero nella comunità orgasmica.
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DONNE Elena, la prima donna ranger di Chiara Casadei

È piemontese doc la prima donna a entrare nelle Forze speciali dell’esercito. Trent’anni, di Cuneo, Elena Bono confessa che all’età di cinque anni si faceva spesso fotografare sull’attenti. Finalmente il suo sogno nel cassetto si è avverato proprio pochi giorni fa, dopo tanto impegno e lunghi sacrifici. Precisamente è ranger, cioè un soldato addestrato per combattere in qualsiasi situazione. Questo le ha richiesto prove fisiche non indifferenti – 10 trazioni, 15 piegamenti alle parallele e 20 sulle braccia, 10 km di marcia zavorrata, 40 addominali e 1500 metri di corsa in 6 minuti – solamente per essere ammessa ai corsi di addestramento della durata di un anno.

«Fisicamente è stata dura. Non si può nascondere il fatto che i maschi siano più forti. Ma con la forza di volontà e lo spirito di gruppo si riesce a portare a casa il risultato. Certo, mi sono sentita dire "voi donne non ce la farete mai" ma ormai sono cose superate». Ora con i suoi colleghi uomini il rapporto è sereno e goliardico, anzi, essendo per età la più grande, la chiamano affettuosamente “mammina” e le chiedono consigli sentimentali.

Dopo aver fatto parte del primo contingente di donne soldato, è entrata nei paracadutisti della Folgore, con i quali ha partecipato alla missione Enduring Freedom, in Afghanistan. Di quell’intensa esperienza ha raccontato: «Le afghane si fidano solo di noi che ci mostriamo molto rispettose della loro sensibilità e tradizione. L'altro giorno mi si è avvicinata una ragazzina di 10 anni, Aysha, che incredibilmente parlava inglese, per chiedermi: "E' vero che sei una soldatessa? Sai, invidio i tuoi occhi azzurri e i tuoi capelli biondi. Siccome sei stata così buona con noi che abbiamo deciso che la figlia di una mia sorella avrà il tuo nome"».

Tutt’altra vita, insomma, rispetto a quella che inizialmente aveva intrapreso: studiava infatti Psicologia e intanto faceva l'insegnante. Poi la legge che avrebbe permesso alle donne l’ingresso nell’esercito è stata approvata e lei ha subito fatto domanda per arruolarsi, con l’appoggio dell’intera famiglia e del fidanzato che, paziente, si adegua agli orari di addestramenti e ai pattugliamenti notturni.
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TELEGIORNALISTI Emanuele Giordana, la magia dell’Afghanistan di Erica Savazzi

Afghanistan, Pakistan, Tibet. Viaggi e blog. Radio e informazione. Lo sguardo sull’Asia di Emanuele Giordana.

Per prima cosa ben tornato in Italia.
«Sono a casa da tre settimane (quattro, al momento della pubblicazione, ndr) ma se potessi partirei domani, non importa per quale destinazione».

Sei tornato dall'Afghanistan, Paese con cui hai una “storia” ultra trentennale.
«Sono andato lì per la prima volta nel 74. Gli afghani sono delle persone molto particolari, sono una razza speciale, molto affidabili, persone serie. Vivono in un Paese disgraziato, non parliamo poi della situazione delle donne. E poi l'Afghanistan è un Paese che mi piace, ha una sorta di magia che conquista».

Ti sei anche fatto operare di ernia, a Kabul.
«Era per evitare il servizio sanitario italiano (ride, ndr). In realtà era un ospedale sostenuto dalla Cooperazione italiana per cui sapevo chi mi avrebbe operato. Mi sembrava anche un gesto di fiducia doveroso nei loro confronti».

La Farnesina ha invitato le Ong italiane a lasciare il Paese.
«Secondo me è stata una comunicazione con un difetto di origine: sarebbe stato meglio discuterne prima con le organizzazioni presenti sul posto. Ovviamente se qualcuno si sente invitato a fare le valigie reagisce con forza: le Ong sono enti autonomi dal governo, per cui si può consigliare una certa azione, ma bisogna tener conto della loro sensibilità».

Questa rottura è ricomponibile?
«Spero che si risolverà in un colloquio: le Ong hanno chiesto di incontrare Frattini per parlare della presenza della società civile italiana in Afghanistan. Se restano solo i soldati è difficile parlare di ricostruzione».

Obama vuole cambiare strategia.
«Gli americani hanno una posizione che inizialmente è sembrata essere solo una scelta di carattere militare, cioè inviare 17.000 soldati, ma in realtà la cosa è più complessa. Prima di tutto sono solo 17.000 e non 30.000 come i comandi militari avevano chiesto, e in secondo luogo, questo ha anche a che vedere con il ritiro dall'Iraq. In realtà l'amministrazione americana sta ripensando tutta la strategia in Afghanistan, dando maggior forza ai capi tribali, agli organismi di governo decentrato e con un rafforzamento dell'esercito nazionale che gli americani vorrebbero portare a 400.000 uomini, una cifra importante che sottintende in un certo senso il nostro disimpegno. Gli americani sembrano voler cambiare strategia puntando anche su un aumento dei funzionari civili, quindi all'ambasciata, nella cooperazione e tra i consiglieri del governo. Inoltre stanno spingendo sul negoziato con i talebani. Una inversione molto interessante che potrebbe influenzare anche gli europei».

Non è un pericolo trattare con i talebani?
«È pericoloso ma inevitabile. La guerra è arrivata a un punto morto: noi non possiamo vincere, e nemmeno i talebani, per cui non rimane che il negoziato. Adesso possiamo negoziare da una posizione di forza, cioè con una presenza militare, ottenendo dei risultati che non ci sarebbero se col tempo e il logoramento della guerra - in termini di uomini e denaro - le truppe occidentali si dovessero ritirare abbandonando il Paese a una nuova guerra civile che va evitata in tutti i modi, anche negoziando col nemico».

Perché il tuo blog si chiama Great game?
«Il Grande gioco è il nome che un funzionario britannico diede al gioco militare e diplomatico che tra la fine del '800 e l'inizio del ‘900 facevano i russi e gli inglesi nell'area dell'Afghanistan e del Pakistan: gli inglesi per tenere la frontiera dell'India e i russi perché pensavano di invaderla. La parola poi è stata ripresa da Kipling nel suo libro Kim, in cui il protagonista diventa un agente del Grande gioco al servizio di sua maestà britannica. Ricorda il grande gioco fatto sulle spalle dell'Afghanistan che non è mai finito».

Le vicende Pakistane hanno influenza in Afghanistan?
«Pakistan e Afghanistan si influenzano reciprocamente, ecco perché bisogna correre ai ripari e cercare il negoziato su tutti i fronti. In Pakistan purtroppo le cose si sono molto deteriorate per cui oggi è la situazione forse più pericolosa dal punto di vista di diritti delle donne o dell'amministrazione della giustizia. È ancora più pericoloso perché si tratta di uno stato definito - come invece non è l'Afghanistan – il cui governo è molto instabile e debole».

Da dove deriva la situazione pakistana?
«Credo derivi in buona parte da una cattiva gestione delle aree dove si svolge il conflitto, che sono state neglette da parte dello stato centrale. Sono state lasciate in una situazione quasi di autogoverno, che in un certo momento è diventato desiderio di separazione e di secessione. Questo desiderio tende facilmente ad accoppiarsi con ideologie estremiste, che si tratti dell'islam o di altre teorie poco importa. Bisognerebbe andare alla radice di quei mali, proporre un intervento forte di carattere politico ed economico in modo da sottrarre agli islamisti quella massa di disoccupati, disillusi, disperati che aderiscono a una ideologia forse più per necessità che per convinzione».

- continua nel numero 184
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SPORTIVA E alla fine arrivò Playboy… di Mario Basile

Mentre in Marocco si corre il Rally delle “gazzelle” (quello riservato solo alle donne, per intenderci) e autorevoli star del motore “in rosa” come Danica Patrick cercano in ogni modo di guadagnarsi le attenzioni di tifosi e addetti ai lavori, è Playboy a scrivere un nuovo capitolo sul proverbiale connubio donne e motori. Una svolta sexy caratterizzerà, infatti, il prossimo mondiale di motociclismo con l’irruzione della celeberrima rivista per adulti come sponsor del team LCR Honda, il cui proprietario è l’italiano Lucio Cecchinello.

E proprio dalla mente di Cecchinello è nata l’idea di apporre il coniglietto più famoso del mondo sulla Honda RCV 212V del francese Randy De Puniet. La visita in Europa del patron di Playboy, Hugh Hefner, ha fatto il resto. L’accordo, ufficializzato nei giorni scorsi, prevede la sponsorizzazione per due gran premi - in Giappone e in Spagna - oltre che per i test di lancio della stagione in programma a Jerez de la Frontera: «Niente da fare invece per il Gp del Qatar…», aveva rivelato già prima dell’ufficializzazione Cecchinello. Del resto, a tutto c’è un limite.

Grande soddisfazione anche in casa Playboy. Gli americani intendono dare così una spinta considerevole alle vendite in Europa, che con l’economia boccheggiante dell’ultimo periodo non è mica roba da buttare via. Alessandro Ferri, direttore responsabile di Playboy Italia, ha spiegato: «Siamo davvero soddisfatti di aver siglato questo accordo di sponsorizzazione. Il binomio donne-motori è storicamente un binomio vincente per il nostro target di riferimento e siamo felici di poterlo proporre ai nostri lettori a fianco del Team LCR Honda».

Tutto fatto quindi. E già pronti i primi, naturalmente bollenti, scatti che immortalano il marchio Playboy sulla moto di De Puniet, col pilota francese in compagnia della futura playmate dell’edizione italiana della rivista. La bellezza in questione è Francesca Lukasik, modella padovana di ventidue anni. Già pronta magari a schierarsi anche in pista accanto ai piloti prima del via di un Gp.

Non c’è che dire, il nudo femminile è una garanzia che in tempi di magra non può essere tralasciato. Ad esso erano già ricorse in passato altre dive, o aspiranti tali, del mondo sportivo. Per pubblicità di solito, ma anche per necessità. L’Orsàn Elda Prestige, squadra di pallamano spagnola, due anni fa cercava uno sponsor per sopravvivere. Per trovarlo le giocatrici s’inventarono un servizio fotografico senza veli su un giornale. Le cui copie andarono subito a ruba, ovviamente. Un’idea che ha fatto scuola: le spagnole furono infatti imitate poco dopo dalle colleghe calciatrici del Torrejòn alle prese con problemi simili.

Il nudo tira e spesso può rappresentare la salvezza. Con buona pace delle femministe più accanite. E se è eticamente scorretto, pazienza.
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