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Telegiornaliste anno IV N. 32 (157) del 15 settembre 2008
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Chiara Barin, il volto di Quotidiano.net WEB TV
di Valeria Scotti
Giornalista professionista dal gennaio 2008,
Chiara Barin oggi lavora nella redazione Internet di
Quotidiano.net
diretto da
Xavier Jacobelli. Tra le sue esperienze passate, varie collaborazioni
per quotidiani e mensili di Rovigo, per il settimanale sportivo Area Sport
e la trasmissione sportiva Strike, e per la redazione de Il Resto del
Carlino.
Giovanissima e con una carriera già importante alle spalle. Un ricordo dei
tuoi esordi nel mondo del giornalismo?
«Il mio primo articolo è stato il resoconto di un consiglio comunale del mio
paese, per un quotidiano locale che ora non esiste più. E' l'esordio, e non si
scorda. Mi viene in mente, poi, l'emozione che ho provato nel seguire la mia
prima partita di calcio "importante", un'amichevole tra il Rovigo Calcio e il
Padova. Tra i biancoscudati giocava Sergio Porrini, ex Juventus: non mi sembrava
vero di poter raccogliere le sue parole a fine partita. Allora non avrei mai
immaginato di appuntare sul mio taccuino, solo dopo pochi anni, le dichiarazioni
di Alessandro Del Piero, Romario e Massimo Moratti o di andare a cena con la
nazionale di rugby».
Un aspetto per te affascinante del giornalismo?
«Attraverso l'intervista mi affascina la possibilità di scoprire aspetti anche
impensabili delle persone, al di là del ruolo che ricoprono pubblicamente, nel
loro modo di vivere la quotidianità, le relazioni affettive, gli interessi.
Vivendo un giornalismo più legato all'intrattenimento, dallo sport fino a
spaziare al gossip, ho potuto apprezzare quanto questo possa essere importante
per i lettori, i navigatori, i telespettatori, quasi al pari del giornalismo
sociale e di denuncia».
Sei il volto di
Quotidiano.net WEB TV. Un punto di forza di questa famiglia?
«Quotidiano.net WEB TV è il servizio di Quotidiano.net con un palinsesto di
videonews anche in diretta che riguarda gli argomenti più disparati: dalla
cronaca allo sport, dal calciomercato agli esteri, dalla politica all’economia
al gossip. Dopo alcuni servizi sportivi, presto il volto proprio alla rubrica di
gossip: ogni settimana commento le notizie più interessanti con il direttore
Xavier Jacobelli e il vicedirettore Giuseppe Tassi. I nostri video sono raccolti
dalla piattaforma Mogulus e, dopo una collaborazione con Libero.it, i più
recenti sono caricati su YouTube. Il momento di massima popolarità della nostra
web tv risale al 19 marzo scorso, quando Striscia la notizia ha trasmesso
un mio videocommento in prima serata».
Numerose tue esperienze lavorative hanno riguardato lo sport. Da cosa nasce
questa tua passione?
«Da bambina adoravo raccogliere le figurine degli album dei calciatori. Da
Italia 90 - avevo 9 anni - ho cominciato a seguire le imprese di Roberto Baggio
e grazie a lui mi sono avvicinata al calcio, che è tuttora la mia passione più
grande. Quando a 20 anni ho iniziato a scrivere, mi sono orientata al
giornalismo sportivo e, a livello locale, mi sono ritagliata un ruolo di primo
piano nell'ambito del calcio dilettantistico, sia sulla carta sia in tv. Il
passaggio a Quotidiano.net ha rappresentato per me il salto dal locale al
nazionale. Seguo tutti i giorni l'aggiornamento dei nostri canali sportivi, ma
non dimentico le mie origini: da quattro anni svolgo il ruolo di segretario per
una società di calcio dilettanti della mia provincia, cui resto
affezionatissima».
Il web come nuova frontiera dell’informazione: a chi aspira a una carriera
nel mondo del giornalismo, conviene rivolgersi verso le nuove tecnologie?
«Certamente sì. Le nuove tecnologie rappresentano il futuro dell'informazione,
non tanto perché sostituiranno i giornali, quanto più perché sono
un'integrazione ormai indispensabile. Grazie ai siti d'informazione online, è
possibile sapere in tempo reale cosa accade e seguire lo sviluppo di una notizia
nell'arco della giornata, in qualunque momento e in qualunque luogo, attraverso
il cellulare o il pc collegati a Internet. Inoltre, la multimedialità
arricchisce la notizia poiché consente di consultare link potenzialmente
infiniti, poi gallerie di foto, audio e video. Eleva a un grado altissimo
l'interattività con i lettori attraverso la possibilità immediata di partecipare
ai forum e ai blog dei giornalisti, di commentare le notizie, di votare i
sondaggi».
Si può parlare, oggi, di un modo di fare giornalismo più "giovane"?
«Più che di un giornalismo giovane parlerei di un giornalismo più agevole ed
accattivante: articoli più brevi, corredati da grafici, riassuntivi e immagini.
Anche a livello televisivo si cercano l'immediatezza e la semplicità del
linguaggio, così l'informazione è più vicina alla gente». |
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CRONACA IN ROSA Darfur, progetti al femminile
di Erica Savazzi
«Il conflitto in Darfur non è ancora risolto. Le poche
risorse naturali, terre fertili, pascoli e fonti d’acqua sono spesso cause di
scontri tra le varie tribù. La situazione
resta instabile anche grazie al moltiplicarsi di
gruppi armati che commettono atti di banditismo sia sulla popolazione locale che
sugli operatori umanitari delle organizzazioni internazionali».
Africa, Sudan, Darfur. Una regione in guerra da sei anni,
milizie governative contro i ribelli e tribù contro tribù. Abbiamo intervistato
chi in Darfur ci lavora, per cercare di aiutare la popolazione civile, vittima
di un conflitto che non accenna a risolversi. Prisca Benelli e Micol Picasso
lavorano per
Intersos, ONG presente nella regione dal 2004, rispettivamente come
Responsabile di Programma UNHCR e Darfur Coordinator.
Di che cosa vi occupate in particolare?
«Attualmente stiamo lavorando su un progetto in
collaborazione con l’Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati
(UNHCR). In pratica, stiamo operando nei villaggi remoti di tutta l’area servita
nelle nostre basi (la provincia di Habila e del Wadi Salih) con interventi
basati sui bisogni della comunità. Centri per giovani e donne, ma anche
infrastrutture per l'educazione, per l’acqua, sostegno all'agricoltura, supporto
alle fasce più vulnerabili della popolazione e realizzazione di campagne di
sensibilizzazione su tematiche specifiche, come ad esempio le corrette pratiche
igieniche. Inoltre dal 2004 stiamo monitorando la situazione di circa 600
villaggi, oltre a campi di rifugiati ciadiani e di sfollati interni. È un lavoro
di profiling per raccogliere dati sulla popolazione e i suoi bisogni,
dati che vengono resi disponibili alle agenzie e organizzazioni umanitarie
attive nella zona su una apposita
piattaforma internet e che servono per avere un quadro
completo della situazione e identificare meglio i bisogni. Infine, stiamo
implementando progetti di scolarizzazione e di costruzioni di scuole in
collaborazione con l’Unicef, programmi per la sicurezza alimentare in
collaborazione con la Fao e, in passato, abbiamo collaborato con la Cooperazione
italiana e l’Unione Europea».
E la popolazione locale?
«La comunità è direttamente coinvolta negli interventi. Noi
forniamo i materiali e sosteniamo le attività che poi sono realizzate e gestite
direttamente dai beneficiari».
Vi rivolgete a donne e giovani tramite degli apposti
centri. In cosa consiste la loro attività?
«Il senso dei nostri centri è molteplice. Da un lato, i
centri rappresentano uno spazio sociale, di riunione e di discussione, in un
contesto di conflitto che ha distrutto le reti sociali tradizionali su cui si
basava la vita dell’individuo. Ma è anche uno spazio per organizzare dei corsi e
sviluppare competenze professionali. Nei centri per i giovani ci sono corsi per
fabbri, per falegnami. Nei centri per le donne si insegna a fare il sapone, a
fare il pane, a realizzare oggetti artigianali. Inoltre, in quasi tutti i centri
si svolgono lezioni di alfabetizzazione per adulti. Col doppio scopo di
ristabilire le relazioni vitali per una comunità e di rendere possibile una
forma di reddito indispensabile per l’autosufficienza e una ricostruzione basata
su forze locali».
Luoghi di formazione e di incontro, quindi.
«Anche di aiuto reciproco. La comunità all'interno dei centri
crea meccanismi di supporto per i suoi componenti più vulnerabili: spesso ci
sono centri per bambini, simili a degli asili autogestiti, e vengono messe in
pratica, anche con il nostro supporto, delle strategie specifiche di sostegno a
categorie di persone con particolari difficoltà. Per fare degli esempi, in uno
dei nostri centri, a Garsila, una volta al mese viene organizzato un grande
evento, una sorta di festa a cui la comunità è invitata a partecipare e viene
offerto da mangiare gratuitamente alle persone più povere o malate, non
indipendenti; in un altro centro, a Umkher, le donne si impegnano a turno per
assistere gli anziani della comunità; a Forobaranga, infine, nella classe di
saldatura vengono realizzate delle sedie a rotelle che poi vengono distribuite
ai disabili. Così i centri diventano un vero e proprio network sociale
all’interno dei villaggi».
Qual è l'importanza di rivolgersi a donne e giovani?
«Rivolgersi alle donne e ai giovani è fondamentale: da un
lato, perché sono elementi particolarmente fragili sia strutturalmente - nella
civiltà e cultura del Darfur - che come vittime della crisi; dall'altro, perché
contengono una capacità particolare e intrinseca di rinnovamento e allo stesso
tempo di trasmissione delle conoscenze acquisite. La donna è il centro della
famiglia: in un contesto di guerra, solo chi è da sempre il custode delle
tradizioni può cercare di normalizzare gli schemi di riferimento familiare e
sociale che sono rimasti sconvolti dalla violenza. Ma allo stesso tempo le donne
si occupano dell’economia domestica, raccolta dell’acqua, lavori agricoli,
raccolta della legna. Noi cerchiamo di introdurre meccanismi più efficienti e
meno rischiosi per questo tipo di lavori, e ci rivolgiamo a loro per far passare
anche messaggi relativi alla salute e all’igiene».
Una osservazione su voi operatori: diversamente da quanto
si potrebbe pensare – soprattutto dato il luogo della missione – il vostro staff
è molto al femminile...
«È vero. Sempre di più si nota un'elevata presenza femminile
in questo settore. Da un lato questo può essere ricondotto al fatto che nella
divisione dei ruoli, tradizionalmente, le mansioni di cura sono un'incombenza
femminile, pensiamo alle infermiere, alle assistenti sociali. D'altra parte, è
un dato anche abbastanza sorprendente: questo lavoro, che pure è uno dei più
belli del mondo, è molto duro e richiede un sacco di rinunce. Per una donna è
molto difficile conciliare una carriera soddisfacente in questo campo e una vita
familiare ed affettiva piene. Ma noi ci proviamo!».
Le donne sono più brave?
«Questo lavoro richiede grandissima professionalità e
dedizione; siamo orgogliose di vedere molte colleghe delle grandi organizzazioni
o delle Nazioni Unite ottenere incarichi di responsabilità, e sebbene come in
molti campi i posti chiave siano ancora prerogativa maschile, crediamo che ci
sia più fiducia ad affidare a una donna incarichi operativi delicati piuttosto
che a un uomo». |
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Debutti su Canale 5 di
Federica Santoro
Se su Rai Due riparte la sesta edizione dell’Isola
dei famosi, condotto dalla ormai onnipresente e pluripremiata Simona
Ventura, Canale 5 sfoggia per il palinsesto televisivo autunnale Il ballo
delle debuttanti, un nuovo reality che vuole portare brio nella serata
domenicale. Per sei settimane, dodici ragazze tra i 18 e i 23 anni si
sfideranno per assicurarsi il titolo di "Debuttante del 2008". In palio,
la possibilità unica di vivere un sogno, partecipando al Gran Ballo delle
Debuttanti dell’Opera di Vienna e vincendo una Borsa di Studio da 100mila euro.
La conduzione è affidata a Rita Dalla Chiesa
con il supporto artistico di Garrison Rochelle,
coreografo stimato dal grande pubblico anche per la sua presenza fra i docenti
di Amici e, per la prima volta, nei panni di co-conduttore. Alla giuria
l’ingrato compito di decidere chi eliminare dalla squadra meno votata dal
pubblico a casa, pubblico che nella puntata finale decreterà la vincitrice.
Protagonista del nuovo talent show, ideato da
Maria De Filippi, è il ballo. Reduce
dai successi di Amici, l’indiscussa regina del tubo catodico lancia una
nuova trasmissione che, a passi di valzer, minuetti e cha cha cha, tiene
impegnate due squadre capitanate da
Gheorghe Iancu per la danza classica, e
Bill Goodson per quella moderna. Due
filosofie di vita si scontrano: bellezza, eleganza e raffinatezza contro
coraggio, sincerità e passionalità, attraverso un unico linguaggio,
quello del corpo e della danza, per trovare il prototipo della ventenne
contemporanea. Le ragazze sono affiancate dai corpi di ballo delle due
formazioni, chiamati
Chic e Pop a seconda delle preferenze
artistiche dei due maestri, e che vantano dieci prestanti "cadetti".
Intanto non sono mancate le polemiche per la De
Filippi, accusata di proporre una sfida tra una tradizione troppo aristocratica,
lontana dalla realtà sociale italiana, e una modernità spicciola ed
autoreferenziale. Come sempre sarà il telecomando a fare da giudice. |
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CULT La
movida delle donne
di Chiara Casadei
A Lodi, dal 18 al 27 settembre, si terrà il primo Festival internazionale della
letteratura e creatività al femminile,
Da Donna a Donna. L’evento, che animerà diversi luoghi della piccola
città lombarda, ospiterà numerose giornaliste e scrittrici pronte ad analizzare
la figura femminile, in tutti i suoi aspetti e fascinose sfumature.
Tra i nomi presenti, Cristina Mondadori, medico cardiologo e psicoterapeuta
infantile, Giuliana Sgrena, giornalista e scrittrice, Silvana Giacobini,
giornalista opinionista e direttrice di Diva e donna, e Livia Pomodoro,
presidente del Tribunale di Milano e docente universitaria.
Il Festival dà ampio spazio anche alle associazioni e ai movimenti femminili
del territorio che offrono servizi e costituiscono una risorsa di grande
livello. A questo scopo, sarà collocato in piazza Broletto un’agorà delle
donne, vetrina che in alcune giornate ospiterà esibizioni e numerosi
incontri sempre sul tema femminile.
Perché proprio Lodi? Per Giuseppe De Carli, giornalista e responsabile Struttura
Rai Vaticano, uno dei rappresentanti del comitato promotore organizzativo:
«L'idea, uscita quattro anni fa al termine del Premio internazionale di Poesia e
Narrativa, Sulle orme di Ada Negri, manifestazione presieduta
dall'indimenticato Mario Luzi, lasciò sbigottito l'uditorio. Lodi, piccola città
di provincia, con una nobilissima storia dietro le spalle, è la città della
poetessa del Quarto Stato, Ada Negri. In più, c'è il contesto di un
anniversario, quello di una città fondata, 850 anni fa, da Federico Barbarossa».
Il Festival si aprirà con monsignor Rino Fisichella, rettore della Pontificia
università Lateranense, che presenterà il proprio carteggio inedito con Oriana
Fallaci.
L’obiettivo principale è quello di spalancare le porte alle donne, famose
e non, italiane e extracomunitarie, di ogni etnia o appartenenza religiosa, con
la speranza di trasformare gli ascoltatori curiosi in lettori forti e motivati.
È sicuramente un'avventura ammiccante, eccitante, sorprendente, e soprattutto
proiettata in ogni direzione. |
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DONNE Mila
e i suoi cinquant’anni di moda di
Camilla Cortese
Non aveva rimpianti Mila Schön. Solo uno, roseo a dire
il vero, per il suo lavoro, perché avrebbe voluto continuare fino all’ultimo a
vestire le donne, ad ingentilirle con eleganza. Conduceva da anni vita ritirata,
e se n’è andata circondata dall’affetto della sua famiglia. Si spegne con lei
l’ennesima stella nel firmamento della moda italiana, una delle
protagoniste del mito del made in Italy.
Nata Maria Carmen Nutrizio, sorella del giornalista Nino
Nutrizio, arrivò a Milano nel Dopoguerra. Mila non sapeva né disegnare né
tagliare, ma possedeva innati gusto e senso delle proporzioni e del
colore. Sposata con il commerciante di preziosi Aurelio Schön, veneto di origini
austriache, per vestirsi frequentava le grandi sartorie di Parigi, in
particolare Balenciaga: da questi viaggi imparò molto.
In seguito alla separazione dal marito, per mantenere il suo
tenore di vita si inventò un’attività e iniziò a creare abiti, vestendo le
signore della borghesia meneghina con uno
stile elegante e raffinato: il segno di Mila Schön era
la fuga dall'opulenza dell'alta società romana e dalla frivolezza giocosa di
quella parigina. Prese con sé una prèmiere, Enrica, che veniva da una grande
modellista, e osservandola lavorare imparò a esprimersi correttamente in modo
tecnico. A breve cominciò a presentare piccole collezioni invitando conoscenti e
amiche.
Nel 1958 aprì un piccolo atelier, e nel 1965 il marchese
Giovanni Battista Giorgini, l'inventore della moda italiana, la invitò a
debuttare sulle prestigiose passerelle fiorentine del pret-à-porter di Palazzo
Pitti. Con una leggendaria collezione tutta violetta, venticinque sfumature
diverse dal lilla al glicine, conquistò l'attenzione internazionale: mentre a
Parigi dominavano le forme a corolla di Dior e le costruzioni volumetriche di
Balenciaga, a Milano Mila Schön mandava le signore alle prime della Scala con
capi dalle linee rigorose e tutti fatti a mano.
La ricerca del candore formale la spinse verso la
sperimentazione di materiali inediti come il double, creato con il
Lanificio Agnona, che prevedeva l'accoppiamento di due tessuti e permetteva
l'uso di cuciture nascoste e nervature. Nelle sue creazioni ricorreva il tema
del
rapporto fra ricerca artistica e progettazione, i suoi
elementi preferiti erano le onde, i cerchi concentrici e colorati, gli intarsi
ispirati alle opere di Mondrian, Calder, Klimt, Pollock.
«Io noto solo il brutto delle cose, eliminandolo rimane il
bello» amava dire Mila che, con questa filosofia e con l’eleganza asciutta e
senza orpelli del suo marchio, ha conquistato icone di stile come Marella
Agnelli e Jackie Kennedy, Farah Diba e Ira Fürstenberg.
Al Palazzo Reale di Milano, in calendario dal 19 settembre al
12 ottobre 2008, era già pronta proprio una retrospettiva del suo lavoro per
celebrare i cinquant'anni della maison. Illuminante il titolo: Linee, colori,
superfici. |
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TELEGIORNALISTI
Leonardo Panetta, professionista
dell'informazione
di Giuseppe Bosso
Nato a Reggio Calabria,
Leonardo Panetta
ha mosso i primi passi nel mondo del giornalismo presso Odeon Telereporter e
ha frequentato la scuola di giornalismo dell'Università IULM di Milano. Da
giugno 2006 è nella redazione del tg di Italia 1.
Il bello e il brutto dell’essere inviato di
Studio aperto?
«Diciamo che sono due aspetti che si combaciano. Il bello è rappresentato
certamente dal fatto che nel nostro tg seguiamo ogni storia, ogni vicenda
dall’inizio fino alla fine. Per contro, questo ti comporta chiaramente molto
lavoro e molto impegno, per cui non è assolutamente un lavoro per chi pensa di
essere pigro».
Come sei approdato a Studio aperto?
«Due anni fa, grazie all’allora direttore
Mario Giordano che
ho conosciuto durante il master che ho seguito. Incontrarlo è stato molto
importante per me: dopo quasi un mese che muovevo i primi passi in redazione, mi
ha mandato a seguire il caso di Hina, la giovane pakistana uccisa dai familiari.
Ha avuto fiducia, certo, ma ha subito messo in chiaro le cose: "E’ la tua carta,
giocatela bene!". Beh, a distanza di tempo posso dire che è stata davvero una
buona giocata. Ho potuto seguire fatti molto importanti, dalla strage di Erba
all’omicidio di Federica Squarise quest’estate. Ho avuto anche la soddisfazione
di vincere, nel 2007, il Premio giornalistico dell’UCSI, ed è stata per me una
grande gioia».
Siete spesso accusati di dare troppo spazio ai delitti di cronaca nera.
Cosa ne pensi?
«Credo che queste vicende, seppur dolorose, siano una rappresentazione del
nostro Paese più rispondente alla realtà di quanto, per esempio, possano essere
le notizie di cronaca e di politica. In effetti, negli ultimi anni, abbiamo dato
molto spazio alla cronaca nera, ma non credo più o meno di altri tg. Dopotutto,
ogni telegiornale è come un’edicola, ci sono notizie diverse sugli svariati
argomenti di tutti i giorni, ma ovviamente si cerca di mettere in primo piano le
notizie più richieste dal pubblico».
Cronaca nera, ma anche campagne sociali e iniziative benefiche nella vostra
programmazione: è questa la linea editoriale che seguite?
«Non penso di poter rispondere a questa domanda perché chi decide la linea
editoriale è il direttore. Scherzi a parte, noi riceviamo ogni giorno tante mail
che ci chiedono di occuparci di temi come l’abbandono degli animali oppure
richieste di aiuto di persone malate. Per quello che possiamo fare, cerchiamo di
dare spazio anche a loro».
L’impiego delle tecnologie come pensi abbia cambiato la professione del
giornalista?
«Molto, sicuramente. Internet, la tecnologia, ti permettono di reperire
informazioni da tutto il mondo ed è molto utile per chi si occupa di notizie
dall’estero. Magari non la pensa così chi è più legato alla cronaca locale».
Consiglieresti un master come quello che hai seguito tu per muovere i primi
passi nel giornalismo?
«Per me è stato sicuramente l’inizio migliore, visto che non avevo né amici né
parenti nell’ambiente, per cui ho dovuto muovere i miei primi passi così. Lo
consiglio, certo, ma con un’avvertenza: non contate su chi vi insegna, ma su voi
stessi. Il master che ho seguito, alla scuola di Paolo Liguori, ci ha subito
fatti sentire come una vera redazione e non, come di regola avviene in questi
ambiti, studenti desiderosi di imparare. Partendo fin dall’inizio con questa
mentalità, con questa consapevolezza di essere professionisti dell’informazione,
si possono ottenere i risultati migliori». |
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Se le due ruote si tingono di rosa...
di Mario Basile
Che le donne fossero capaci di fare notizia
anche nel mondo dei motori lo si era capito quando lo scorso aprile
Danica Patrick, pilota di auto
statunitense di 26 anni, si era aggiudicata una gara di Indycar. Cosa mai
successa prima. In pochi sapranno, però, che la passione delle donne non si
ferma alle quattro ruote, ma è forte anche nell’universo del motociclismo.
A guidare il gruppo delle professioniste
delle due ruote c’è una bella bionda ungherese di 25 anni che di nome fa
Nikolett Kovacs. Come da prassi oramai,
alla ribalta ci è salita non tanto per i risultati ottenuti in pista, ma per gli
scatti osé che ha concesso due anni fa alla rivista sexy Penthouse.
Una trafila simile a quella toccata alla Patrick: prima le copertine dei
giornali, poi il podio. La Kovacs, però, il podio non l’ha ancora conquistato.
Almeno in competizioni di rilievo. L’anno scorso, comunque, ha avuto modo di
assaporare il motomondiale prendendo parte, grazie ad una wildcard, alle
qualifiche della 125cc al Gran Premio di Turchia senza però guadagnarsi
un posto utile per partecipare alla gara.
L’universo delle due ruote, però, non ha solo
Niki Kovacs come centaura. Prima di lei hanno provato a lasciare il segno anche
la tedesca
Katia Poensgen, che tre anni fa riuscì
nella 250 a chiudere 14esima e a stabilire il record di prima donna ad andare a
punti nella categoria; la ceca Marketa Janakova
già in pista alla tenera età di 16 anni nel
2004, quando con i colori del Team Angaia sostituì il collega Mattia Angeloni
per tutto l’arco della stagione.
La pioniera è stata invece Taru Rinne.
La pilota finlandese nel lontano 1989 conquistò anche un prestigioso settimo
posto ad Hockenheim.
E le nostre? Romana Fede e Cristina
Peluso guidano il gruppo delle centaure italiane nel campionato nazionale e
in quello europeo. Grandissimi risultati, però, non se ne sono visti ancora. La
risposta femminile a Valentino Rossi non ha ancora un nome. |
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