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Telegiornaliste anno IV N. 26 (151) del 7 luglio 2008
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Laura Chimenti, una neomamma al Tg1 di
Giuseppe Bosso
Giornalista professionista dal 2000,
Laura Chimenti approda a Rai Uno nel 1996 con Style, rubrica su moda,
tendenze e viaggi. Passa poi alla redazione del
Tg1 mattina
e successivamente alla redazione economia.
Laura, come ha vissuto il ritorno al lavoro dopo la maternità?
«La prima settimana è stata terribile. Non riuscivo davvero a orientarmi, ma col
tempo ho ripreso il mio ritmo e posso dire di essere riuscita a reggere bene. Ho
la fortuna di avere vicino persone che mi sono di grande aiuto e di abitare a
pochi passi dagli studi di Saxa Rubra. Cerco comunque di essere una mamma
presente a tempo pieno, e per questo credo sia indispensabile riuscire ad
organizzarsi bene».
Crede che le difficoltà di una giornalista neomamma siano le stesse di altre
lavoratrici?
«No, secondo me la nostra è una condizione peggiore. Il nostro lavoro, bello e
flessibile, non permette di poterti organizzare come se, ad esempio, gestissi un
negozio. In quel contesto, pur con la rigidità degli orari e dei ritmi, avrei
miglior modo di organizzarmi. Come giornalista, invece, non sai mai che giornata
ti si pone, che cosa devi fare e dove devi andare. Ma ripeto, malgrado questo
penso di riuscire a cavarmela più che bene».
Ora che ha una figlia, come si sente quando tratta storie di violenza su
bambini?
«Confesso che la maternità mi ha cambiato. Prima che nascesse mia figlia queste
notizie mi addoloravano, ma riuscivo a focalizzare quasi subito. Ora che ho la
bambina, invece, mi si stringe davvero il cuore quando sento parlare di queste
atrocità, al punto che vorrei cambiare canale. Purtroppo noi giornalisti
tendiamo ad essere alquanto cinici nel trattare queste storie. Provo un forte
dolore al pensiero che la mamma di Denise Pipitone sia da anni alla ricerca di
sua figlia senza avere una risposta, così come ho provato dolore in occasione
della morte del piccolo Tommaso Onofri, vicenda capitata proprio nei giorni in
cui scoprii di essere incinta».
Ha parlato di cinismo dei giornalisti. Anche il pubblico è responsabile di
tutto questo, chiedendo di continuo che i tg trattino casi di cronaca nera...
«Alla fine noi siamo soltanto persone che raccontano la realtà che ci circonda,
e di questa fa parte sia la violenza sui bambini che temi più leggeri, ad
esempio il look delle vallette del Festival di Sanremo. Ma mentre
parliamo dei vestiti delle vallette perché è quello che vuole la gente,
trattiamo dei casi atroci che capitano a certi bimbi perché è cronaca. Purtroppo
succede anche questo intorno a noi».
Telegiornaliste, alcuni mesi fa, intervistò il suo collega
Stefano
Campagna che in quell'occasione dichiarò di essere gay. La cosa come è stata
vissuta in redazione?
«C’è una brutta tendenza ad emarginare gli omosessuali in genere, sia sul lavoro
che nella vita di tutti i giorni. Per quanto riguarda noi, abbiamo evitato di
parlare di una cosa che fa parte della vita privata e intima di un collega. Sono
convinta che Stefano abbia concesso questo scoop non certo per fare scalpore o
notizia, ma perché semplicemente ha deciso di dichiarare al mondo questo lato
della sua vita e per poter vivere a testa alta».
Sempre a proposito di Telegiornaliste, cosa le ha suscitato scoprire
di avere un grande seguito?
«Ho scoperto per caso il vostro sito tramite alcune colleghe. Non ho provato
alcun imbarazzo e, in ogni caso, penso sia un aspetto che fa parte del mondo
della televisione, dove ci sono persone interessate al nostro lavoro. Purché
ovviamente non capiti di leggere cose brutte…».
Se sua figlia volesse seguire le sue orme?
«Indubbiamente vorrei assecondarla, ma la metterei in guardia su tante cose: il
nostro è un lavoro duro, si guadagna poco, non ti lascia molti spazi per la vita
privata e ti richiede enormi sacrifici. Ma se ovviamente vedessi in lei una
grande passione e una grande voglia di cimentarsi nel mestiere, le sarei
accanto. L’importante è che faccia ciò che desidera».
La notizia che spera di dare un giorno?
«Il ritrovamento di Denise Pipitone. Devo dire, ad ogni modo, che sono sempre
stata molto libera nel mio lavoro. Trattando di economia, ho sempre avuto la
possibilità di dare le notizie senza vincoli, anche se negative come l’andamento
della borsa o le decisioni sfavorevoli del Fondo Monetario Internazionale». |
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CRONACA IN ROSA Stupro: crimine contro
l'umanità di
Camilla Cortese
L'ONG internazionale Human Rights Watch l’ha definito
un atto storico. L’Italia ne ha
sponsorizzato la ratifica insieme ad altri 32 Paesi. Il
popolo della rete si è letteralmente scatenato
su migliaia di blog e siti internet per salutare il lieto
evento. Venerdì 20 Giugno 2008 il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha
approvato all’unanimità la
risoluzione 1820, che classifica lo stupro come
un’arma di guerra. Alla stregua di bombe e cannoni.
Un documento lungo e complesso, che tocca i molti punti del
problema. Ex Jugoslavia, Sudan, Repubblica Democratica del Congo, Rwanda,
Liberia e Birmania sono stati - e sono tuttora - alcuni tra i Paesi dove si
ricorre al reato di violenza sessuale come a una tattica di guerra:
attraverso l'oltraggio e l’umiliazione dei civili, donne e ragazze, ma
anche bambine dai quattro agli otto anni, si inducono le popolazioni e i gruppi
etnici alla sottomissione o alla fuga, spesso anche dopo la fine dei conflitti
bellici.
L’impunità degli aggressori è uno degli aspetti più
odiosi della questione considerando che, secondo le valutazioni dell’ONU, in
alcuni casi gli episodi di violenze ai danni delle popolazioni in territori di
guerra sono divenuti «sistematici e diffusi, raggiungendo livelli sconcertanti
di brutalità». Così ha denunciato il Segretario generale dell'Onu Ban
Ki-moon durante i lavori del Consiglio, presieduti dal segretario di Stato
americano Condoleezza Rice.
Poiché lo stupro e altre forme di violenza sessuale
verranno d’ora in poi considerati anche crimini contro
l’umanità e atti collegabili al genocidio, sarà necessario escluderli
dalle disposizioni di amnistia
nell’ambito dei processi per la cessazione dei conflitti.
La risoluzione si riserva di stabilire sanzioni a carico
degli Stati che non procederanno in questi termini, considerando il ricorso
a misure mirate e progressive contro gli aggressori. In pratica un avvertimento:
i colpevoli potrebbero essere portati di fronte alla Corte Penale
Internazionale dell'Aja.
Oltre all’impegno assunto nella stesura di un rapporto
sulla situazione dettagliata nelle aree di conflitto, da
presentare al Consiglio entro il 30 giugno 2009, lo stesso Ban Ki-moon deve
lavare via a suon di punizioni il recente
scandalo che ha coinvolto operatori, militari e forze di
polizia nell’ambito delle missioni di pace delle Nazioni Unite.
Le gravissime denunce di sfruttamento e abuso sessuale ai
danni di civili ospitati nei campi per rifugiati sono citate anche nella
risoluzione, con soluzioni operative al problema e politica di tolleranza zero
verso i responsabili.
Come a dire che sulla Croce Rossa non bisogna sparare, ma
sull’ONU possiamo farci un pensierino. |
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FORMAT
Okkupati: il lavoro in tv di
Federica Santoro
Ritorna puntuale Okkupati, il programma di
Rai Tre sul lavoro e la formazione: trenta minuti di orientamento e
approfondimento sulle opportunità offerte dal mondo delle imprese e del sociale.
Un mix di informazione e intrattenimento che quest’anno festeggia il suo
decimo compleanno. Telegiornaliste ha intervistato la sua storica
conduttrice,
Federica Gentile.
Per la prima volta i giovani italiani sono più
poveri dei loro genitori. La ricerca di un impiego è oggi una delle
preoccupazioni maggiori per molti, ragazzi e ragazze tra i 18 e i 35 anni. Alla
luce di questa situazione, è realistico parlare ancora di carriera?
«Intesa come crescita personale, certo! È ora di
mettere da parte i nostri antichi paletti. Il mercato non è più quello di una
volta: meglio dimenticare il posto fisso e rimboccarsi le maniche».
Questo, però, significa flessibilità e
precariato...
«Sì, ma anche stimoli nuovi per la creatività e
il talento personali. Oggi un giusto approccio al mercato del lavoro comprende
il mettersi in gioco in prima persona, abbandonando i cliché vecchio stampo che
non rispecchiano più la società».
Okkupati è un programma sul lavoro che
in modo semplice ed efficace affronta una problematica complessa e mutevole.
Quali sono le novità di quest’anno?
«Siamo arrivati alla decima edizione del
programma e devo dire che abbiamo sempre cercato di essere al passo con le
trasformazioni del mercato. Da quest’anno, vista la flessibilità che
caratterizza ampie fasce di lavoratori, affronteremo temi diretti non più solo
ai giovani in cerca del primo impiego, ma ci rivolgeremo anche a chi con qualche
anno in più e maggiore esperienza è costretto a cercare un nuovo lavoro,
offrendogli gli strumenti per orientarsi nella sua ricerca nel miglior modo
possibile».
In che modo?
«Cercando di mettere in contatto attraverso video
ma anche web le realtà delle imprese locali e le loro esigenze con chi sta
cercando un impiego. Valorizzando anche quel mercato di saperi e di mestieri che
sembra non andare più di moda, ma su cui c’è ancora una forte domanda da parte
delle aziende. Più che mai è importante ricreare un rapporto tra la formazione
professionale e le esigenze del territorio, cosa che i mezzi di comunicazione
spesso sottovalutano, caricando di appeal e falsi significati alcune professioni
e trascurandone altre che, in questo modo, vengono considerate antiquate e meno
appaganti».
Il sito web del programma, oltre alle puntate
d’archivio, offre la possibilità di inserire o leggere annunci di lavoro o
accedere ai bandi di finanziamento diretti ai giovani laureati e laureandi.
Credi che mettersi in proprio sia la prospettiva più auspicabile, oggi, per un
giovane laureato?
«Credo che il mercato attuale possa valorizzare
molto la professionalità individuale, tutto sta nel cogliere le occasioni
accettando di mettersi in gioco, allontanandosi dalle mode e dai miti imposti
dai media. Ci sono altre mille realtà lavorative da scoprire e Okkupati
cerca da dieci anni di raccontarle».
Conduttrice ma non solo: voce amata dai
radioascoltatori di Radiodue, docente alla Sapienza (di Elementi di
improvvisazione dell’intrattenimento radiofonico), moderatrice di convegni,
autrice di saggi: quale di queste attività trovi maggiormente gratificante?
«Tutte allo stesso modo. Bisogna essere
trasversali nelle proprie esperienze, mai sedersi ma cercare sempre di trovare
qualcosa che ci stimoli e ci faccia crescere professionalmente e umanamente». |
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CULT Aída
Rubio González: la terra spagnola arriva a Napoli
di Valeria Scotti
Napoli spalanca le sue braccia all’arte contemporanea. A Piazza Vittoria, a
pochi passi dal mare, la città dimentica i problemi che la soffocano e mostra
fiera la neonata Galleria Napoli Nobilissima. Qui accoglie un’artista
spagnola, come sostenuta dall’amorevole abbraccio di una madre.
Diciannove sono le tele di Aída Rubio González, straordinaria pittrice
che fino al 30 settembre espone la sua prima mostra personale, La
Forza del Gesto, curata da Ian Rosenfeld e Ivana Porcini. L’artista
saluta i confini iberici e, come fosse il primo viaggio importante della vita,
approda a Napoli con la forza e l’originalità che contraddistingue la sua
pittura.
E' una donna giovane, Aida: ha solo 30 anni, una laurea presso
l’Accademia di Belle Arti di Salamanca e numerosi riconoscimenti nel suo
bagaglio. Le sue opere, le sue collezioni vivono già in svariati angoli della
Spagna - Accademia di Storia dell’Arte di San Quince, Fondazione Gaceta, Centro
Culturale e Sociale di Ibercaja, Dipartimento di pittura della facoltà di Belle
Arti di Salamanca sino alla Fondazione Adaja - e ora toccano e coinvolgono
Napoli, per tanti versi così simile e così legata alla sua terra d’origine.
Aida mescola la polvere spagnola a quella del Sud d’Italia, e si concede
senza remore. Pittura intensa, dedita al dramma umano e pronta ad accompagnare
il visitatore in un viaggio interiore di intime narrazioni riguardanti la
sua stessa quotidianità e i ricordi più vivi - quelli che affiorano subito alla
mente - legati all’infanzia.
Un lasciapassare all’osservatore che preferisce costruire svariate e personali
trame intorno a quei colori.
Aida riempie con la forza del suo gesto lo spazio della galleria e regala una
buona dose di libertà interpretativa e immaginifica. E proprio lì si abbandona
alle sue tele, anima, corpo e respiro, in una dedizione assoluta come
forse solo una donna sa fare. |
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DONNE Bimbe
che vanno lontano
di Silvia Grassetti
«Questa bambina andrà lontano», disse di lei Pablo
Neruda. Non immaginava certo che quel “lontano” potesse
comprendere un giorno la prigionia lunga sei anni
a cui le Farc, Forze Armate Rivoluzionarie Colombiane,
l’avrebbero costretta.
E ci è impossibile immaginare quanto la sofferenza
e la frustrazione del sequestro abbiano spinto
lontano le emozioni e le riflessioni della
prigioniera senatrice nascosta nella giungla. Quando
si diffusero le immagini della sua condizione critica, lo scorso novembre, tutti
abbiamo immaginato, preoccupati, che la meta di quel “lontano” fosse ormai
prossima.
Anche se era evidente che qualcosa stava cambiando. L’uccisione
dell’ideologo delle Farc Guillermo Torres e del cosiddetto
“numero 2” Raul Reyes, la morte del fondatore e capo Manuel Marulanda
Velez, lo scorso aprile. La liberazione
a gennaio di Clara Royas, vice-candidata presidenziale
nel 2002 e amica della Betancourt, sequestrata assieme a lei il 23 febbraio di
quell’anno in un’imboscata a San Vicente del Caguan.
Ma prima che si creassero le condizioni per il rilascio sono
dovuti trascorrere sei anni. La paladina del pacifismo, la
nemica della corruzione Ingrid Betancourt da libera dava fastidio: divenuta
senatrice grazie alle denunce, che le fecero guadagnare il maggior numero di
voti mai registrato da un candidato alle politiche colombiano, anche il
numero dei nemici aumentò. In particolar modo “grazie” al libro in cui la
Betancourt dimostrava i
finanziamenti del Cartello Calì alla campagna elettorale
del presidente Samper.
Ma chi è questa coraggiosa, coraggiosissima donna che
finalmente è tornata libera?
Ingrid Betancourt è figlia dell’ambasciatore colombiano a
Parigi Gabriel, e di Yolanda Pulecio, senatrice. Madre di due figli oggi
maggiorenni, Lorenzo e Melanine, avuti dal primo matrimonio con il diplomatico
Fabrice Delloye, la Betancourt sposò in secondo nozze Juan Carlos Lecompte, un
manager colombiano di origini francesi.
Nata a Bogotà il 25 dicembre del 1961, Ingrid ha studiato a
Parigi, diplomandosi allo “Sciences Po”. Nel 1989, dopo aver vissuto in
diversi Paesi, la Betancourt decide di tornare in Colombia, dove già
l’anno successivo inizia la carriera politica.
Viene eletta alla Camera dei Rappresentanti grazie
anche ai voti di quanti sostenevano mamma Yolanda, ex Miss Colombia oltre
che senatrice.
Nel 1994 Ingrid fonda un proprio partito politico,
“Verde Oxigeno”. Il suo impegno contro la corruzione fa sì che la senatrice
inizi a ricevere quelle minacce di morte
che la spingeranno a trasferire i figli in Nuova Zelanda.
Nel 2002, quando ebbe luogo il suo rapimento,
la Betancourt era candidata alle elezioni presidenziali
della Colombia. Nel 2008, il giorno dopo la sua liberazione,
ha annunciato: «Aspiro ancora alla massima carica dello Stato».
Come diceva Bertold Brecht, ci sono solo pochissime
persone che lottano tutta la vita: «Costoro sono
indispensabili».
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TELEGIORNALISTI
Fabio Bonini tra la Gente di Mare
di Giuseppe Bosso
Giornalista pubblicista, attore teatrale e televisivo, presentatore,
doppiatore e scrittore.
Fabio Bonini, a lungo volto noto della soap opera Vivere, oggi è
conduttore e autore della trasmissione Gente di Mare su
Mediolanum Channel.
Si può essere allo stesso tempo attore e giornalista?
«Certo, anche se quello che faccio a Mediolanum Channel non è un lavoro da
giornalista tradizionalmente inteso. La mia attività principale rimane quella di
attore».
Si è parlato a lungo della chiusura della soap Vivere, in cui hai
interpretato due personaggi in epoche differenti. Che sensazioni ti ha suscitato
questa notizia?
«Sicuramente molto dispiacere per i colleghi e per quelle maestranze che,
ancora oggi, sono rimaste senza lavoro dopo anni passati nella soap, ma questo è
uno degli aspetti della precarietà che caratterizza il mestiere di attore.
Trovarsi a spasso, talvolta, è quasi inevitabile».
Si sarebbe potuto fare qualcosa per salvare questa soap, in fondo amata da
tantissimi spettatori?
«Sì. In ogni caso non è certo per il calo di ascolti che Vivere è stato
chiuso. Ancora adesso stanno trasmettendo le repliche di anni fa - in cui c’ero
anch’io - e gli ascolti sono sempre buoni».
Ti sei cimentato anche come autore per Un sogno che diventa realtà,
il libro che hai scritto quest’anno e che racconta come hai realizzato il tuo
desiderio di girare il mondo in barca. Nella nostra era frenetica e spietata c’è
ancora posto, dunque, per i sogni?
«Deve esserci assolutamente posto, altrimenti è la fine. L’esperienza che ho
raccontato è quella di un ragazzo che fin da adolescente aveva questa
aspirazione e che, con il tempo e con il lavoro, è riuscito a realizzare. E’
importante avere sogni, ma soprattutto avere la capacità di rimboccarsi le
maniche per trasformarli in realtà».
E a tal proposito, conduci la trasmissione Gente di Mare su
Mediolanum Channel, canale dedicato all’economia e alla finanza. Non ti senti un
po’ fuori posto in questa collocazione?
«In realtà Mediolanum non è incentrata solo ed esclusivamente su programmi
finanziari, anzi. È una vera emittente generalista in cui c’è spazio per tutto,
dalle automobili alle barche, dallo sport allo spettacolo».
I tuoi prossimi impegni?
«In autunno mi vedrete in una fiction in prima serata con Raoul Bova,
Intelligence, in cui sarò un agente segreto deviato. E tanto per non
perdere questa tendenza, ho interpretato anche un killer che insegna addirittura
a dei bambini ad uccidere. Questo accade precisamente in un film che spero esca
presto nelle sale. Si tratta di Mandala, in cui ho lavorato con il
collega Giorgio Biavati, il Giovanni Bonelli di Vivere».
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SPORTIVA Danica Patrick, bellezza e talento
al volante
di Mario Basile
“Donna al volante, pericolo costante” diceva
un vecchio adagio. Cavallo di battaglia per molti uomini frustrati, banale
sarcasmo maschilista per le donne sempre più emancipate dei nostri tempi.
Testimonianza di quanto ci sappia fare con la velocità il gentil sesso è
l’americana Danica Patrick.
A ventisei anni, la bella pilota originaria
di Beloit, nel Winsconsin, è diventata l’eroina dell’automobilismo
d’oltreoceano grazie alla vittoria, ottenuta lo scorso 20 aprile, in
IndyCar
sul circuito giapponese di Motegi.
Nessuna donna ci era mai riuscita prima, nemmeno l’esperta Sarah Fisher
con cui la Patrick condivide il record di aver conquistato una pole position
alla 500 miglia di Indianapolis. La stessa corsa che le diede risalto
quando annunciò la sua partecipazione. Anche in questo caso: nessuna donna
l’aveva fatto prima.
L’escalation di Danica Patrick comincia tre
anni fa, quando entra a far parte del team di
Mario Andretti per prendere parte al
campionato di Indy Car. Quattro stagioni in cui Danica si confronta con i più
bravi e migliora di anno in anno. Nell’ordine: dodicesimo posto (2005),
nono (2006), settimo (2007), quinto (2008 ancora in corso). Un
totale di 1271 punti, 1
vittoria e 4 podi.
Ma non sono state solo le vittorie a fare di
Danica Patrick la star dell’automobilismo made in Usa. Le sua bellezza non è
passata inosservata ad addetti ai lavori e burattinai dello showbiz, tant’è che
la Patrick, lo scorso febbraio, ha avuto la copertina della rivista Sports
Illustrated ed ha posato per un servizio sexy.
Bellezza a parte, è lei la leader indiscussa
delle donne al volante. Alle sue spalle scalpitano altri talenti pronti a
mettersi in mostra: da Sarah Fisher a Milka Duno, passando per
Bia Figuereido
e Bianca Steiner. Perché una donna al
volante non è sempre un pericolo costante. |
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