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Telegiornaliste anno IV N. 24 (149) del 23 giugno 2008
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Laura Cannavò, volto del Tg5
di Giuseppe Bosso
Telegiornaliste incontra questa settimana
Laura Cannavò, uno dei volti più conosciuti del Tg5.
Gioie e dolori di lavorare al tg del mattino?
«Dopo sei anni non conduco più l’edizione mattutina, per scelta del direttore
Mimun. Ora mi occupo della rassegna stampa, ma posso dire che il discorso è un
po’ lo stesso. La gioia è sicuramente poter arrivare la mattina presto a dare le
notizie prima degli altri. Come si può facilmente intuire, ci sono però anche
dei contro non da poco, a cominciare dal fatto che per buona parte della
settimana devi alzarti molto presto per poter arrivare puntuale in redazione. Ma
credo che siano sacrifici che valga la pena di fare. E poi da qualche mese ho
cominciato a lavorare a una nuova edizione flash delle 10.00. Dura solo 3
minuti, ma va molto bene e spero crescerà insieme a Mattino 5, il
contenitore del mattino che mette insieme informazione e intrattenimento».
Come ha vissuto il significativo ricambio che ha caratterizzato il
Tg5
negli ultimi mesi?
«Beh, comincio col dire che sono molto legata ad Enrico Mentana. Nel 1999 mi
diede la possibilità di condurre, dimostrandomi grande fiducia e gliene sarò
sempre grata. Grazie alla sua impostazione, il Tg5 si è sempre distinto dagli
altri telegiornali come l’unico tg in cui il conduttore non si limita a leggere
le notizie dal gobbo - che per sua scelta non c’è nella nostra redazione - ma è
protagonista attivo e partecipa alla creazione del giornale. Oggi è sempre meno
così. Forse durante la direzione di Carlo Rossella ho avuto qualche difficoltà,
dovute principalmente a qualche suo timore su quello che potevo dire in
conduzione. Chiusa questa fase, mi è dispiaciuto abbandonare la conduzione dopo
tanti anni, ma ognuno dirige a modo suo e fa le sue scelte».
Si trova più a suo agio nelle vesti di anchorwoman o di inviata?
«Entrambe queste figure rappresentano aspetti bellissimi del nostro mestiere. In
passato ho lavorato in Rai e ho molto amato quel periodo in cui andavo sul posto
a raccogliere la notizia. Soprattutto mi è piaciuto occuparmi di argomenti che
generalmente il formato standard di un telegiornale tende a sacrificare, come la
cultura, gli spettacoli e la musica. Mi piacerebbe riprendere un po’ questo
settore».
In passato si è trovata alle prese con Paolini, il celeberrimo disturbatore
televisivo che ultimamente ha subito le violente reazioni di alcune sue
colleghe, tra cui
Safiria Leccese di
Studio Aperto. Ha mai pensato anche lei di reagire così nei suoi confronti?
«No. Direi che nel gioco della comunicazione ci sono anche queste figure e
questi personaggi che sono prodotti dallo stesso sistema televisivo. Al di là di
questo, comunque, rimane il fastidio che ti possono creare durante la diretta».
Si dice che ultimamente i tg si soffermino troppo sulla cronaca nera, tanto
che pare che il presidente di Mediaset Confalonieri abbia bacchettato i suoi
colleghi milanesi per il troppo spazio che il Tg5 dedica a queste storie. Lei
cosa ne pensa?
«Da qualche mese sono attiva anche nel Sindacato della
Federazione
Nazionale della Stampa. Quello dell’insistenza sugli aspetti morbosi delle
notizie, non solo nei telegiornali ma anche nei contenitori pomeridiani, è un
tema che mi sta molto a cuore. Sono notizie che fanno ascolto: nessuno può
negare che lo share cresce quando ci sono storie come il delitto di Perugia,
soprattutto perché vengono trattate insistendo molto sui particolari più crudi.
L’informazione che punta sull’emozione è funzionale a far crescere gli ascolti,
e non solo a questo. Serve anche a inculcare nel pubblico paura e timore, non
solo per questi casi di omicidi più o meno efferati. Lo stesso spazio e la
stessa attenzione bisognerebbe darla alle notizie che parlano della criminalità
organizzata».
Il
forum di Telegiornaliste evidenzia come lei sia una delle tgiste più
seguite, tanto che esistono addirittura dei fan club dedicati a lei. Cosa le
suscita questo interesse nei suoi confronti?
«Mi fa piacere, certo. Suscitare l’interesse della gente è un aspetto del nostro
mestiere, purché non accada quel che non deve accadere, e cioè che lo spettatore
presti più attenzione a chi legge la notizia che non alla notizia stessa, il
cuore dell’informazione. Certo, è fondamentale avere cura della propria immagine
e del proprio aspetto, ma anche in questo caso il discorso è lo stesso. Sempre a
proposito di internet e dell’interesse per le telegiornaliste, comunque, c’è una
cosa che ci terrei a dire».
Prego.
«Non sono assolutamente imparentata, come ho letto da qualche parte, con
Candido Cannavò. E' una precisazione che ci tengo a fare. Una volta ne ho
parlato con lui, una persona molto simpatica e gentile. Mi ha confessato che
anche a lui, ogni tanto, qualcuno chiede se sono sua figlia visto che molti dei
miei colleghi del Tg5, e non solo, hanno parentele più o meno famose. La cosa
più naturale è pensare che io sia la figlia del famoso giornalista. Bene, nel
mio caso ci tengo a dire che non è così, il mio cognome è solo il mio e basta».
C’è una notizia che le piacerebbe dare un giorno in apertura del Tg5?
«Mah, sicuramente una notizia positiva, come la fine delle ostilità tra
israeliani e palestinesi. È difficile rispondere a questa domanda, ma
sicuramente vorrei poter parlare di cose belle, sebbene riconosco che
emotivamente non hanno quella stessa presa sullo spettatore che invece hanno
notizie negative o eclatanti. Ma io sono anche mamma di una figlia di 7 anni che
si spaventa nel vedere tante cose brutte al telegiornale...». |
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CRONACA IN ROSA Toglietemi tutto, ma non la
mia vagina di
Camilla Cortese
L’infibulazione è la mutilazione genitale femminile
che consiste nell’asportazione del clitoride (escissione),
delle piccole labbra e di parte delle grandi labbra con cauterizzazione, ferri
arrugginiti o vetri, cui segue la cucitura della vulva con spine o filo di
ferro, lasciando aperto solo un foro per permettere la fuoriuscita dell'urina e
del sangue mestruale. Il tutto senza anestesia. Viene eseguita ogni anno su tre
milioni di neonate e bambine di età compresa tra i sei e i dieci anni.
Essere donna non è mai stata e non è una passeggiata. In Cina
sei una maledizione per la famiglia, che nel migliore dei casi ti
abortisce prima. Nei paesi dell’Africa sub-sahariana, oltre a Somalia, Yemen,
Oman, Emirati Arabi Uniti e in alcune zone dell’Indonesia e della Malaysia, se
nasci donna sei sporca, impura e dotata di un fallo primordiale (il clitoride)
che entrerà in conflitto con quello di tuo marito e danneggerà i tuoi figli,
emetterà cattivi odori e, scatenando la libido, ti spingerà all’adulterio
disonorando te, la tua famiglia e i tuoi avi per sempre.
Invece una virtuosa donna infibulata è accettata nella
comunità patriarcale, può essere corteggiata, può
sposarsi e generare figli. Se non è morta prima per emorragia, tetano,
setticemie o infezioni delle vie urinarie e genitali, e se convive serenamente
con formazione di cisti, incontinenza, frigidità, sterilità e panico dei
rapporti sessuali. E il premuroso marito, che spesso l’ha acquistata per
due capre, taglierà la sua vagina la prima notte di nozze, salvo poi farla
ricucire dopo ogni parto. Lei proverà terrore e dolore per tutta la vita.
Questo rito non ha basi religiose, nonostante la
maggioranza degli Stati islamici lo tollerino, ma piuttosto tribali: l’antico
senso di impotenza per la forza sensuale e generatrice del corpo femminile porta
l’uomo alla pratica della mutilazione come forma di controllo, e in una società
dove l’unica funzione della donna è sposarsi, la creazione di una
consuetudine indispensabile al matrimonio diventa l’alibi perfetto. Così
sono le madri stesse a perpetuare la tradizione, a sottoporre le figlie alle
loro stesse sofferenze.
Il 7 giugno 2008, seguendo l’esempio di Ghana, Uganda,
Marocco e Eritrea, il Parlamento egiziano ha approvato una legge che
vieta l’infibulazione, punibile ora con una pena da tre mesi a due anni di
reclusione o con una multa. Nonostante una evidente falla (l'escissione può
essere praticata in caso di "necessità medica"), questa legge è il frutto di
anni di mediazioni e pressioni fatte da associazioni non governative europee tra
cui
Non c'è pace senza giustizia e
Aidos, dall'ex ministro Emma Bonino e da Suzanne Mubarak, moglie del
presidente egiziano. In Egitto il 96% delle donne hanno subito mutilazioni
sessuali. Praticamente tutte.
Ma c’è chi si ribella. Ci sono donne in tutto il mondo
che stanno alzando la voce e stringendo le cosce per salvare dalla brutalità
quell’organo morbido e gentile. Ci sono uomini come Blaise Compaoré, Presidente
della Repubblica del Burkina Faso, che ha dichiarato al suo popolo di non aver
sottoposto le figlie all’escissione, creando nel Paese un modello di
comportamento che ha fatto scendere vertiginosamente il numero di bambine
mutilate. Ci sono registi, come il padre del cinema senegalese Sembene Ousmane (Moolaadé,
2004) e la giovane ciadiana Zara Yacoub (Dilemme au féminin, 1994) che
con i loro film denunciano la paura delle bambine e la speranza di
arrivare a domani. Tutte intere. |
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YKS: il primo canale user generated di
Federica Santoro
Prima della Current Tv di Gore, un canale video
multipiattaforma era già stato ideato e realizzato dal network The Blog Tv:
il suo nome è YKS (si legge "X"), con un palinsesto al cento per cento
realizzato dai video inviati e segnalati dalla internet generation.
Un modo per proseguire la contaminazione tra i
media iniziata nell’ottobre del 2006 quando, da un'idea di Bruno Pellegrini,
nasce TBTV
(TheBlogTV), modellata nel palinsesto dagli
utenti della rete, al tempo stesso produttori e fruitori dei contenuti. Lo
sviluppo della comunità di vlogger che aderiscono alla realizzazione di
video è rapidissimo: la community conta oggi circa 5.000 partecipanti attivi e
realizza programmi televisivi
generati dal basso.
Nascono così Tifosi 2.0, dedicato agli
amanti del calcio e ai tifosi di ogni squadra,
Sport Attack sugli sport estremi e strani (in
onda su La3, 7Gold), CityZen, un programma di citizen journalism dove le
inchieste sono realizzate dal pubblico (in onda su Quotidiano.net), Remix,
il meglio della rete (in onda su NessunoTV e Music Box), e
BlogNotes, programma dedicato ai viaggi (in
onda su Nat Geo Adventure). E poi campagne pubblicitarie, le cosiddette UGA
(User Generated Advertising). Tra i clienti: Save the Children, il Ministero
per le Politiche Giovanili e le Attività Sportive, FIAT, Alpitour, IBM.
Agli inizi del 2008, TBTV decide di affiancare al
sito una nuova piattaforma proprietaria, su cui sperimenta il primo programma
UGC (User Generated Content), visibile in chiaro,
Blister, Pillole dal Web, dal marzo di
quest’anno in onda su All Music, e il primo programma UGC dedicato alla
maternità, Mamme nella rete, in onda da aprile su Discovery Real Time:
«Si tratta di una community verticale che raccoglie i contributi di mamme e neo
mamme o non ancora mamme, che hanno esperienze diversissime – spiega Daniela
Fantozzi, responsabile stampa di TBTV – le mamme si raccontano in piena libertà
perché sono loro stesse a realizzare i video di cui sono protagoniste».
Nuova arrivata è YKS Tv, il canale
multipiattaforma visibile sul canale 863 di Sky, sul web attraverso il
portale Virgilio.it, e presto anche sul cellulare, come ultima e forse più
grande sfida di TBTV per la conquista di una nuovo rapporto tra pubblico e
contenuto. Nella programmazione di YKS i video sono suddivisi in otto categorie:
Entertainment, Tech, Sport, Life, Passion, Travel, News, World; VlogShow
condotti da esperti e personaggi noti della rete; Format Contest, un mix di
contest video, format televisivo e reality show, dove unico protagonista è il
pubblico; News, le notizie più cliccate del web.
La logica è quella del web 2.0 aperto a
tutti, per lanciare le idee più simpatiche e interessanti già presenti in rete.
Dunque, via libera alla creatività, purché sia dal basso. |
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CULT Lucarelli,
la forza della letteratura di Erica Savazzi
«La forza della letteratura è rendere vive delle notizie che magari leggiamo sui
giornali in maniera ripetitiva. Quando le mettiamo in un romanzo diventano
un’altra cosa, diventano cose vere», ci dice
Carlo
Lucarelli, scrittore, sceneggiatore, conduttore televisivo e radiofonico.
Giallista da sempre, ultimamente si è dedicato al fumetto – Cornelio, da
poco in libreria – e al romanzo storico.
L’Ottava vibrazione racconta della campagna italiana in Eritrea.
Perché ha scelto di parlare di avvenimenti quasi dimenticati?
«Proprio perché sono avvenimenti di cui non si parla e che invece sono molto
importanti per la nostra storia. E il romanzo può andare a riscoprire dei
momenti del passato e ridargli vita e interesse. Questa è la sua funzione e
questo è quello che ho cercato di fare».
Secondo lei la letteratura può dare risposte riguardo al passato e
indicazioni per il futuro?
«Certo. Quello che fa la letteratura è riprendere il passato, cogliere il
presente e addirittura il futuro - nel senso che immagina cose che non sono
accadute e magari non accadranno - e svelare i meccanismi che stanno dentro le
cose in una maniera molto appassionante e accattivante. Secondo me questo serve
a cambiare la realtà che viviamo e soprattutto a cambiare il futuro».
La bellezza della letteratura può migliorare il mondo?
«Sicuramente sì, la bellezza è anche un mezzo per arrivare da qualche parte e la
bellezza delle pagine scritte serve a portarsi dietro un messaggio. Quando
tramite la letteratura viene recepito un messaggio importante, allora ecco che
essa ha eseguito il suo compito».
Ci può essere identificazione tra realtà e letteratura?
«Se l’autore è bravo capisci che quello che racconta sono fatti che accadono e,
anche se non a te, accadono a un personaggio del quale ti interessa il destino:
è come se accadessero a tuo amico. Di conseguenza, è come se accadessero a te». |
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DONNE A
Souhayr Belhassen il Premio Internazionale per i Diritti Umani di
Federica Santoro
Lo scorso 31 maggio Orvieto ha celebrato il 60esimo
anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (firmata a Parigi
nel dicembre del 1948), onorando con il Premio Internazionale Diritti Umani
Città di Orvieto la giornalista tunisina Souhayr Belhassen, la prima
donna a diventare presidente della Federazione Internazionale dei Diritti
dell'Uomo (Fidh).
Protagonista indiscussa del giornalismo tunisino da più di 30
anni, collaboratrice di Jeune Afrique, Souhayr Belhassen studia scienze
politiche a Tunisi e Parigi. Una volta giornalista, lavora per l'agenzia
di stampa Reuters. Nel 1967 inizia il suo impegno per i diritti umani: la Guerra
dei Sei giorni che fa esplodere il conflitto arabo-israeliano toccando anche il
popolo tunisino è la molla che la spinge alla militanza. Da allora lotta per la
difesa dei diritti dei più deboli, delle donne e dei giovani, i più
colpiti dalla censura e dalla repressione.
Dopo qualche anno diventa vicepresidente della più antica
organizzazione del mondo arabo e africano per la difesa dei diritti umani – la
Lega tunisina per la difesa dei diritti umani (Ltdh) - ma la sua
determinazione a non barattare la libertà con il potere la costringe
all’esilio, tra il 1993 e il 1998. Sono anni difficili, di forte
impegno politico e civile.
Espressione di quel mondo arabo-musulmano ridotto al
silenzio, Souhayr Belhassen è stata più volte ostacolata e ostracizzata. Ancora
oggi, il pericolo per la sua vita resta alto. Nonostante questo non esita a
denunciare gli abusi della politica del suo Paese, il dramma africano, i
diritti calpestati delle donne e dei bambini.
Con questa motivazione ha ricevuto il premio della città di
Orvieto, un premio importante che Belhassen definisce come «il segnale di una
nuova percezione della donna nella vita pubblica araba, dove i difensori per i
diritti umani sono costretti a un lavoro di Sisifo nel cercare di introdurre i
diritti elementari dell’essere umano, prima di tutto il diritto alla vita
stessa. E’ un segnale forte a tutto il mondo arabo - continua - in cui la
cultura e le tradizioni da sempre imbavagliano le donne e ostacolano la loro
emancipazione». |
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TELEGIORNALISTI
Alfredo Macchi: l'importanza di raccontare la
guerra
di Giuseppe Bosso
Alfredo Macchi,
giornalista professionista dal 1990, dopo alcune collaborazioni con la carta
stampata e la Rai, arriva al Tg4 di Emilio Fede. Inviato per la guerra del
Kosovo del 1999, l’intifada in Palestina e in Afghanistan, collabora da anni
nella veste di fotografo con diverse organizzazioni umanitarie per le quali ha
realizzato reportage dal Terzo Mondo.
Tra le tante esperienze che hai vissuto, quale ti è rimasta più impressa?
«I due mesi trascorsi in Afghanistan. Purtroppo c’è un aneddoto tragico di
questa parentesi: lì ho incontrato Maria Grazia Cutuli con la quale sarei dovuto
andare a Kabul. Ma lei, purtroppo, non ci è mai arrivata. E' stato terribile, ma
anche un’occasione irripetibile per vivere in prima persona il lento cammino di
un Paese che superava la dittatura talebana tra mille difficoltà, senza luce e
acqua, e che tornava alla pace dopo 25 anni di guerre».
Il modo migliore che ha un giornalista per porsi rispetto a tanta
sofferenza?
«E’ importante, secondo me, riportare i fatti che hai modo di vedere con i
tuoi occhi. Non condivido per questo l’atteggiamento dei colleghi che rimangono
negli alberghi limitandosi a riprendere le agenzie: occorre andare direttamente
dove c’è la notizia, anche se dolorosa, per poi riportare allo spettatore quello
che hai visto. Riguardo la guerra, cerco sempre di riportare entrambi i punti di
vista, anche se mi rendo conto che non è facile trattare questo tema così
delicato. Ma credo che la sofferenza che porta un conflitto alla popolazione
civile sia il primo messaggio che la gente deve conoscere».
Come concili l’impegno umanitario con il tuo lavoro?
«Il mio lavoro di fotografo per associazioni umanitarie è un altro modo per
viaggiare e raccontare. Un mezzo diverso, come lo è la televisione, che però ha
i suoi ritmi e i suoi tempi. Una foto ha la forza di cogliere un attimo,
un’emozione, uno sguardo che può rendere bene l’idea di una situazione e
congelarla nel tempo. E quindi consente di riflettere».
E come fotografo, hai delle regole che segui scrupolosamente?
«Cerco di evitare di ritrarre immagini cruente, il sangue. Mi impegno sempre
nel massimo rispetto delle persone che ritraggo, spesso alle prese con una
profonda sofferenza, e quindi meritevoli di sostegno. Rispetto per loro, dunque,
ma anche per chi poi guarda le foto».
Hai girato in lungo e in largo il mondo: ritieni sia indispensabile per far
bene il giornalista?
«Come si diceva una volta, ogni giornalista che si rispetti deve consumare le
proprie scarpe. Battuta che, in una professione ormai in gran parte fatta
davanti al computer, vuole significare quanto dicevo sull’esperienza di inviato
di guerra: bisogna andare a vedere con i propri occhi, verificare le notizie. Si
può, certo, operare bene anche nel proprio ambito territoriale, ma la cosa più
importante è cercare di raccontare la notizia recandosi direttamente sul posto,
parlando con i protagonisti. Chi ha poi la fortuna e la possibilità di
viaggiare, ha l’occasione di poter raccontare persone, abitudini, culture
lontane dal nostro mondo: il Tibet, l’Africa, l’India. E' sicuramente il massimo
assistere alla storia che si compie».
Da anni, ormai, infuriano le polemiche perché i telegiornali dedicano
troppo spazio alla cronaca nera...
«E’ vero, e la cosa che mi dà maggiormente fastidio è questo gusto esagerato
nel porre l’attenzione sui particolari più scabrosi. Non è questo il compito del
giornalista: talvolta può anche sostituirsi all’autorità giudiziaria nelle
indagini, ma non al punto di voler approfondire a tutti i costi vicende intime
per il solo gusto del pubblico, mancando di rispetto a vittime, indagati e a una
parte dello stesso pubblico. Sono a favore di un lavoro giornalistico duro ma
serio, meticoloso e documentato. No ai pettegolezzi, insomma».
Dopo oltre quindici anni al Tg4, che giudizio puoi dare del tuo direttore,
Emilio Fede?
«E’ un personaggio che, come forse nessuno altro in Italia, conosce la
televisione: può davvero insegnarti molto. Ha un carattere particolare e non
sono mancati battibecchi. Ma al di là di questo, tra noi c’è sempre stata stima
e rispetto reciproco».
A proposito di battibecchi, famoso su
YouTube è quello in cui tu ti sei trovato coinvolto, tra Fede e Paolini,
davanti alla Federcalcio nei giorni di Calciopoli. Che effetto ti fa rivederti
in quel momento?
«C’è un
fuori onda che ha trasmesso Striscia la notizia tagliando la prima
parte, quella in cui Fede mi chiedeva di passare a Paolini il microfono. Poi si
è corretto, dicendo di dargli solo il mio auricolare, ma era troppo tardi: io
non potevo più sentirlo. Quindi il direttore si è arrabbiato non poco. Certo, è
anche divertente da vedere, ma mi auguro che la gente mi conosca per le cose
serie che ho fatto, per il mio lavoro quotidiano e non per un episodio di quel
tipo. Mi ritengo un giornalista vecchio stampo, che non cerca la notorietà a
qualsiasi costo».
Chiudiamo con un sogno: qual è il male del mondo che vorresti cancellare?
«E' davvero un’utopia questa: la guerra è una cosa bruttissima, causata da
troppi interessi, e cancellarla è quasi impossibile. Ritengo però che per un
giornalista sia importante raccontarla, anche perché spesso ci sono gesti di
altruismo inaspettati da parte della gente comune. E violazioni dei diritti
umani, se denunciati, possono portare a maggiore consapevolezza dell’opinione
pubblica. Se avessi la bacchetta magica, farei sparire dal mondo anche la fame,
le malattie e la sopraffazione dei forti verso i deboli». |
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SPORTIVA Wrestling da sgranare gli occhi
di
Pierpaolo Di
Paolo
Più che sportivi sono stuntman, personaggi di
spettacolo il cui reale obiettivo non è quello di prevalere sugli avversari,
quanto di far colpo sul pubblico. Per riuscirci, puntano su acrobazie
spettacolari e rischiose e, perché no, sulla sensualità.
Non sembra un caso che le campionesse di
questa disciplina - come in un discount - siano scelte in base a precisi
standard di gradimento: Angelina Love è amata dalla maggioranza
anglosassone, Melina Perez è il sogno erotico dei latini, Layla è la classica
bellezza nera, Gail Kim quella orientale.
Tra costumi sempre più microscopici, corpi
sudati, pose volutamente maliziose, le belle wrestler seducono il pubblico e si
costruiscono il trampolino per il successo, magari a Hollywood.
E' proprio questa la parabola di Gail Kim:
nata a Toronto nel 1976, a 27 anni viene scelta come campionessa dai dirigenti
WWE (World Wrestling Entertainment), dove
diventa "The Queen of Cats", la felina. L'avventura dura appena un mese,
poi i rapporti si incrinano e viene licenziata, ma la bella canadese non si
perde d'animo: posa per numerose riviste e le sue foto in topless fanno il giro
del mondo. La ritrovata notorietà le vale un contratto con la
TNA (Total Nonstop Action), unica vera
concorrente della WWE, dove la Kim diviene "knockout of the year" (diva
dell'anno) nel 2007, prima di approdare finalmente al cinema col film Royal
Kill.
Per quale motivo ci si ostini ancora a
considerare sport questo spettacolo, resta a tutt'oggi un mistero insoluto.
Bisogna però ammettere che queste ragazze hanno davvero il talento, e non certo
comune, di mettere in mostra le loro migliori qualità. |
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