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Telegiornaliste anno IV N. 19 (144) del 19 maggio 2008
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Il trionfo di Cinzia Fiorato
di Mario Basile
Metti una sera a cena, in uno dei quartieri più chic di Roma, con
Cinzia Fiorato e ti
ritrovi travolto, quasi sorpreso, dalla simpatia e dal carisma della “Regina
della Notte” del Tg1. Doti che forse in video non traspaiono in maniera
immediata perché, in quel contesto, la fanno da padrone la sua classe e
professionalità.
Dispensa sorrisi la bella Cinzia. È raggiante per la vittoria del suo primo
campionato delle
telegiornaliste. Al di là del valore divertente della competizione, il
favore del pubblico è sempre un riconoscimento importante per chi entra ogni
giorno, o quasi, nelle case dei telespettatori. Una vittoria che ha un sapore
particolare, visto che Cinzia gode, rispetto ad altre colleghe, di meno
visibilità per via dell’orario in cui va in onda. «Ho vinto il campionato
conducendo l’edizione della notte… se mi spostano alle 20, magari vinco il
Pulitzer…», scherza la tgista romana.
Il clima è gioviale ed allegro. Merito della Campionessa che mette tutti i
presenti a proprio agio. Come? “Intervistandoli” uno ad uno. Scopre così che i
suoi fan le sono affezionati a tal punto da arrivare da ogni parte
d’Italia per premiarla e che l’orario proibitivo in cui va in onda, in fondo,
non è un problema. Basta programmare il videoregistratore e il gioco è fatto. Si
scherza poi sui commenti degli utenti del nostro forum, preoccupati per la linea
di Cinzia. Tranquilli cari amici, vi assicuriamo che la Campionessa è in
perfetta forma e la sua linea è più che invidiabile.
Il momento più divertente arriva quando Cinzia racconta di una delle cose più
difficili per il conduttore di un telegiornale: improvvisare in diretta quando
non parte un servizio. «Una volta – ha raccontato divertita la Fiorato – non
partì il servizio di chiusura del telegiornale. Era uno speciale di dieci minuti
sui libri e io non sapevo di cosa parlava, ma dalla regia mi pregavano comunque
di temporeggiare in attesa di risolvere il problema. Vi lascio immaginare…». Ma
il nemico più temibile in diretta è l’attacco di risata: «In quei momenti –
spiega Cinzia - devi solo sperare che parta il servizio e cercare di ritrovare
la concentrazione in quel breve periodo di tempo».
Il brindisi finale dà il via alla premiazione. Rocco Ventre, editore di
Telegiornaliste, consegna a Cinzia la targa commemorativa. Foto di rito e
ultime battute sulla vittoria: «È un premio bellissimo. Dà grande soddisfazione
perché è un’iniziativa bella ed unica nel suo genere. Voglio ringraziare chi mi
ha votata, anche perché non è facile seguirmi andando in onda a tarda notte».
Cinzia ci conferma che il nostro sito è conosciuto dai suoi colleghi: «So che è
molto seguito, sia dagli uomini che dalle donne, però non mi è mai capitato di
vederli votare per il campionato. Chi potrebbe essere la mia erede? Direi
Manuela Moreno. È
simpatica, brava, la conosco anche personalmente e posso dire che è una persona
squisita oltre che un’ottima professionista».
galleria fotografica
della premiazione |
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CRONACA IN ROSA
Se la ministra è sexy di
Camilla Cortese
Il Bel Paese e la politica da soap opera: c’è un premier che, con
anni di duro lavoro, si è costruito una carriera da consumato playboy, con
incidenti diplomatici ai danni della presidente della Repubblica Finlandese
(quella frigidona!) e riuscendo a indispettire la più discreta delle mogli che
pretese pubblica ammenda dalle pagine di
Repubblica. Poi, mentre il mondo lodava la Spagna di Zapatero e il
suo nuovo esecutivo forte di nove donne e otto uomini come ministri, lui diceva
che tutto quel rosa in Parlamento mal si sarebbe sposato con le peculiarità
mascoline della politica italiana. Oggi, a 71 anni, elegge
ministra senza portafoglio per le Pari opportunità Mara Carfagna,
l’oggetto dello screzio con la consorte, avvenente ex showgirl. E la stampa
estera ci è andata a nozze.
Beata ignoranza! Non conoscere le lingue straniere consente di non
comprendere la mattanza mediatica cui i mass media d’Oltralpe stanno
sottoponendo l’Italia e la signora Carfagna, con certi titoloni a prova di
bomba: si va dall’internazionale Mama mia! sovrapposto alle vecchie foto
del calendario osé (The Daily Telegraph), al poco rispettoso Ciao
bella! proprio in corrispondenza di natiche esposte in un non
indimenticabile balletto televisivo (bild.de).
Poi c’è chi riflette seriamente recitando più o meno così:
«L’emancipazione in Italia si vede anche da questo: le donne in carriera devono
avere forme da modelle e pose di nudo per ottenere maggiori chance di diventare
ministro» (oe24.at). Incalzando così: «I quattro ministeri assegnati alle donne
sono ancora tipicamente “femminili” e danno un segnale di arretratezza»
(Reuters). Affondando così: «Forse riflette le attitudini del nuovo Primo
ministro la media italiana delle ministre, piacenti e relativamente giovani –
età fra i 31 e i 41 – nella classe politica geriatrica d’Italia» (Reuters).
E se non bastassero i colleghi stranieri, e se nonostante tutto noi
piccole donne volessimo credere nelle nostre rappresentanti in Parlamento, se
volessimo issare il vessillo della solidarietà femminile? Ecco come buttare
prematuramente alle ortiche la professionalità delle signore del
Berlusconi quater, con quattro mosse per quattro ministre: uno,
misurare col doppio decimetro l’alluce di
Mara Carfagna che al giuramento ha osato un sandalino senza calza;
due, rimarcare le origini romanesche di
Giorgia Meloni, ministra senza portafoglio per le Politiche per i
giovani, e rimandarla in motorino alla Garbatella da cui proviene; tre,
sollevare una questione di Stato e interrogare addirittura le giornaliste di
moda sul misterioso punto di viola del tailleur di Stefania Prestigiacomo,
ministra dell’Ambiente e tutela del territorio e del mare; quattro, non
filarsi nemmeno di striscio la povera Mariastella Gelmini, ministra
dell’Istruzione università e ricerca, soltanto perché è la meno carina.
Ora, con tutto l’impegno e la correttezza, con tutte le leggi valide che
sicuramente le ministre presenteranno, con la concorrenza europea che ci
bacchetta e posiziona al fronte vere paladine della femminilità superiore
(Rachida Dati in Francia e Carme Chancón in Spagna solo per dirne un paio), con
la stampa italiana che prima incalza sulla legge 194 e poi ti piazza il servizio
con le chiome delle ministre che svolazzano al ralenti su I Wanna be loved by
you di Marilyn Monroe, ma chi mai prenderà sul serio queste signore? Noi sì,
perché sono la nostra unica speranza e ce le teniamo, le coccoliamo e le
difendiamo da quegli uomini che pare le abbiano nominate solo per metterle alla
berlina e spiare sotto le loro gonnelle. |
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FORMAT
La tv secondo Al Gore di
Chiara Casadei
Ex vicepresidente degli Stati Uniti e premio Nobel per la pace nel
2007 grazie al film-documentario Una scomoda verità sul riscaldamento
terrestre, Al Gore ha esordito anche in Italia con il progetto della sua
rivoluzionaria
Current tv. Nata nel 2005, inizialmente negli Usa, Gran Bretagna
e Irlanda, ha avuto un successo talmente grande che il suo creatore ha deciso di
lanciare questa sfida per un nuovo tipo di giornalismo e d’informazione – il più
democratico possibile - anche in Italia.
Current tv è propriamente la tv dei cittadini, costruita da
pod, servizi di breve durata che gli internauti di tutto il mondo possono
inserire nel sito e votare. Se meritevoli, i video potranno essere trasmessi nel
canale 130 di Sky (quello riservato appunto a Current) e addirittura vincere dei
premi in denaro fra i duecento e i mille dollari. In Italia, la programmazione
attuale ha la durata di sei ore circa, alle quali si aggiunge uno spazio
dedicato ai video selezionati tramite il sito web.
L’idea nasce sulla falsa riga di un’altra grande risorsa di Internet,
YouTube, in cui è possibile inserire video in maniera del tutto gratuita e
indiscriminata. Current, però, aggiunge a questo aspetto anche quello della
forma scritta, creando un vero e proprio giornalismo dei cittadini. Lo
stesso Gore ne parla in questi termini: «Current tv è l'unica rete televisiva di
informazione totalmente indipendente e vi garantisco che lo rimarrà
sempre». Inoltre ammette di esser stato colpito «dal grande dinamismo degli
italiani, dalla loro creatività, dal loro ingegno: ci aspettiamo che arrivi
molto materiale dall'Italia».
Per il pubblico sarà una novità rivoluzionaria, una risorsa
incredibilmente potente per far sentire anche la propria voce, soprattutto per
coinvolgere anche la fascia giovanile che, abituata a navigare quasi
freneticamente, si aspetta sempre video o notizie flash che riescano a colpire
la loro attenzione. Etichettandola come “tv”, però, in un qualche modo limitiamo
il suo campo d’azione. In realtà, come specifica in modo irritato David
Neuman, il capo della programmazione, si tratta di: «Current e basta. Noi
siamo insieme tv e Internet, vogliamo colmare la distanza fra i due
schermi».
L’apertura del canale è avvenuta l’8 maggio, con la visita a Roma
dello stesso creatore, accolto da una folta schiera di bloggers che non
aspettavano altro che sentire il premio Nobel portare avanti la campagna
promotrice di Current con queste parole: «Internet ha ridato il potere
all'individuo, la nostra missione è rompere le barriere di accesso
all'informazione». E poi: «Il filtro sociale funziona molto meglio in termini di
verifica dei fatti di un singolo redattore». Applausi e consenso per il
carismatico ma tranquillo Gore, che sicuramente resterà nella storia per la sua
capacità di innovare. |
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CULT Vote
for Women, la voce delle donne di Valeria
Scotti
Un percorso interdisciplinare sulla storia delle donne tra politica e
arte, storia e presente, norme sociali e ribellione. E’ questo il paesaggio che
fa dà sfondo all’esposizione
Vote for Women, un viaggio nel tempo dedicato alle donne, dall'Antichità
fino ai giorni nostri, per mostrarne il cambiamento nella società.
Il progetto, curato da Anne Schloen in collaborazione con il Comitato Pari
Opportunità della Provincia Autonoma di Bolzano – Alto Adige, è in programma
fino al 29 giugno presso la galleria Merano Arte di Merano.
L’occasione è il sessantesimo compleanno del suffragio femminile altoatesino
concesso nel 1948, ovvero tre anni dopo l’acquisizione di questo diritto da
parte delle altre donne italiane.
La mostra accoglie le opere di undici artiste contemporanee
internazionali: a confronto, generazioni e ambiti culturali differenti. Tra
queste, Valie Export e Adrian Piper, o le artiste altoatesine Julia Bornefeld e
Berty Skuber. Creazioni del passato, vicine al Femminismo, e opere concepite
proprio per questa esposizione, come le produzioni video di Vanessa Beecroft e
Pipilotti Rist.
I disegni, i quadri, le fotografie e gli oggetti, disposti secondo un filo
cronologico, parlano di norme sociali, di aspettative e desideri, indagano il
comportamento delle donne, come la progressiva presa di coscienza a partire
dall'Illuminismo. Fino a sottolineare posizioni anche non convenzionali con
quelle figure abili a rompere gli schemi, a negare i modelli tradizionali e a
mostrarsi sempre in prima linea. Donne a confronto con uomini di culto,
filosofi, giuristi, donne alle prese con il lavoro o con ruoli pubblici più o
meno accettati: sovrane, eroine, streghe, suffragiste.
E seppur qualche nota stonata si levi dal coro - l’accusa è di generare quasi un
pregiudizio al contrario - Vote for Women è una celebrazione ad alta
voce: quella delle donne per le stesse donne. Un invito in tutta regola a
cambiare le regole del gioco e a superare qualsiasi tipo di barriera, che
sia in ambito artistico, sociale e politico. Una volta per tutte. |
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DONNE Pippa
Bacca, la sposa sfortunata di
Valeria Scotti
Il suo sogno era quello di percorrere in autostop undici Paesi sconvolti
dalla guerra. Un viaggio condiviso con l’amica e collega Silvia Moro, e con un
abito da sposa
indosso. Un progetto coraggioso, in cui Pippa Bacca, artista
milanese, aveva messo il cuore e tutte le sue forze. Come sempre.
Giuseppina Pasqualino – questo il vero nome – era uno spirito creativo e
anticonformista. Al suo attivo, numerose mostre personali e collettive nate
anche dal suo grande amore per l’avventura che l’aveva portata a essere quasi
una figura nomade.
L’8 marzo, il suo ultimo viaggio per la pace: era partita dal capoluogo
lombardo in autostop, verso Israele e la Palestina, nell'ambito del progetto
Brides on tour. A coronamento di questo evento,
un matrimonio con la gente di quei posti, con la terra sofferente
e la ricerca di una pace difficile solo a pronunciarla.
Il bianco dell’abito da nozze come simbolo di luce e di purezza. Un
bianco sporcato dal sangue, perché dal 31 marzo si erano perse le tracce
dell’Artista.
Un colpo di testa volontario pochi minuti prima di salire sull’altare, al
fianco del suo “sposo”? O un rapimento da parte della popolazione curda?
Tutt’altro. La perdita della vita in un ultimo atto di fiducia verso gli
altri, per lei che affermava sempre: «Non si deve avere paura dei nostri
simili».
Il corpo di Pippa è stato ritrovato nudo, sepolto in un fosso
vicino al villaggio di Tassanli, nei pressi di Gebze. Suo assassino, un
disoccupato di 38 anni già noto alle forze dell'ordine, al quale Pippa aveva
chiesto un passaggio. Un imprevisto non calcolato da chi, con l’autostop, aveva
percorso l’Europa, il Nord e il Centro America. Una sorta di scelta di vita, a
sentire le parole di Elena Manzoni, mamma della ragazza: «E’ una
filosofia che ti fa conoscere davvero la gente: le mie figlie le ho educate
così».
Non c’è disperazione in questa donna, solo presa di coscienza della
tragedia e l’annuncio di voler organizzare una
mostra per ricordare la figlia scomparsa. Una morte che molti
ritengono quasi annunciata, ma per Elena la spiegazione si riduce al fato: «Mia
figlia è stata sfortunata: ha incontrato la persona sbagliata in un posto
sbagliato, e nel momento sbagliato». |
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TELEGIORNALISTI
Se li conosci non li eviti di
Erica Savazzi
Non potevamo di certo perdere un’occasione del genere. Cinque personaggi molto
discussi, quattro giornalisti e pubblico ministero finito sulle prime
pagine di tutti i giornali, riuniti in una sala a incontrare il pubblico, a
ribadire una volta in più quello che hanno detto, scritto, dichiarato. Uno a
fianco all’altro Luigi De Magistris, Peter Gomez, Gianni
Barbacetto, Marco Travaglio e Michele Santoro in una gremita
aula anfiteatro alla Fiera internazionale del libro di Torino.
Spunto della conferenza il libro Mani sporche, clamoroso successo
editoriale, e la novità Se li conosci li eviti. Spunti, appunto, perché
dai libri si parte per parlare di politica e politici, di società, di giustizia.
Con due sorprese. La prima: una sala gremita di giovani, di ventenni. Perché,
come ha detto Travaglio, «parlar male dei politici lo può fare ognuno a casa
propria», ma parlare di fatti, sentire quello che in televisione e nei
giornali è omesso oppure detto sottovoce, evidentemente per il pubblico è molto
interessante.
Barbacetto, moderatore della conferenza, presenta gli ospiti, poi passa la
parola a Gomez che spiega con passione il perché di questi libri: la politica
riguarda
direttamente i cittadini, ha ripercussioni forti sulla vita di tutti i
giorni, per cui è meglio conoscere chi governa il Paese.
Travaglio ribadisce parola per parola quanto affermato le sera prima a Che
tempo che fa, sottolineando che lui si è limitato a dire una cosa provata e
riconosciuta – il fatto che Renato Schifani sia stato in affari con tale Nino
Mandalà, mafioso oggi in carcere – senza peraltro accusare Schifani stesso di
essere a sua volta mafioso. Esponendo solo i fatti, quei fatti che, secondo lui,
l’informazione troppo spesso colpevolmente trascura, trascinata da una
politica di “conciliazione” in cui l’opposizione non si oppone e, invece
di dare man forte all’informazione libera, la contrasta a sua volta.
Luigi De Magistris sottolinea nel suo intervento come la longa manus
della politica giunga anche a influenzare la magistratura, di come quello
che la politica non riesce a fare – nel caso particolare il trasferimento di De
Magistris chiesto dall’ex ministro Mastella – sia stato poi portato avanti dagli
organi interni dell’organizzazione giudiziaria, proprio quegli organi che
dovrebbero invece garantirne l’indipendenza. Parla troppo poco Michele Santoro,
il tempo riservato alla presentazione è concluso, ma garantisce che nel suo
programma ci sarà sempre spazio per Travaglio.
Ed ecco la seconda sorpresa: nonostante i problemi della politica,
dell’informazione e della giustizia, tutti i relatori sono ottimisti.
«Una riforma di questi ambiti è possibile – dice ai nostri microfoni Travaglio –
perché se ognuno fa il suo mestiere è possibile». E ancora di più perché «quando
c’è così tanta gente, non si può che essere ottimisti». |
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SPORTIVA
Stefania Bianchini: ho perso, ma mi sento ancora
campionessa
di Pierpaolo Di Paolo
Campionessa mondiale pesi mosca Wbc dal 2005, una laurea in scienze
motorie, master in sociologia e marketing dello sport, telecronista per
Eurosport dal 2002,
Stefania Bianchini ci racconta la boxe femminile e lo
sfortunato incontro del 29 marzo scorso, in cui ha perso il titolo mondiale.
Sei una pioniera della boxe femminile, la prima ad aver portato
un titolo in Italia. Che sensazione ti dà questa considerazione?
«E' una grande soddisfazione. Ho aspettato tanti anni prima di
avere l'opportunità di combattere, perché in Italia è stato vietato fino al
2001. E così sono stata la prima italiana a conquistare un titolo mondiale. Sono
entrata nella storia, nel Guinness dei primati, e questo non me lo può levare
più nessuno. Son stata anche odiata per questo: purtroppo quando una donna fa
qualcosa di importante, attira sempre molti sentimenti negativi. Ma io dico che
è meglio esser odiata che compatita».
Se la boxe è stata vietata fino al 2001, come è possibile che in
così pochi anni siamo arrivati a competere a livelli mondiali?
«Non abbiamo iniziato nel 2001. Io ho combattuto all'estero con
licenza tedesca, e tante si allenavano anche se non potevano combattere. La
stessa Galassi è stata molto brava tra i dilettanti prima di far bene nel
professionismo, quindi la scuola italiana è indubbiamente molto buona».
Raccontaci l'incontro di Forlì. Cosa è andato storto?
«Ho sicuramente sbagliato la preparazione al match. Mi prendo tutte
le colpe perché non è da me scaricarle su nessuno, però col senno di poi mi
rendo conto che potevo essere preparata meglio. Non mi riferisco tanto al
preparatore fisico, che ha fatto un lavoro eccezionale, quanto al maestro di
pugilato che non ha fatto un buon lavoro: infatti dopo l'ho licenziato. E' anche
vero che la mia avversaria è stata molto brava a sfruttare tutti i miei errori.
In più, non sono affatto convinta del comportamento dei giudici».
Pensi che combattere "in casa" della Galassi ti abbia
penalizzata sul verdetto?
«Precisiamo che io sono andata lì sicura di vincere, anche se poi
così non è stato. Questo perché sono sempre ottimista e non penso mai che un
verdetto possa essere pilotato. Non voglio insinuare questo: la Galassi ha vinto
meritatamente l'incontro. Quel che penso è che semplicemente le abbiano dato un
punteggio che non meritava, e non ce n'era nessun bisogno perché avrebbe vinto
lo stesso. Mi hanno umiliata e potevano evitarlo: queste son cose brutte che
offuscano anche le vittorie più nette. Di certo vorrei avere la possibilità di
sfidarla di nuovo, ma in qualsiasi altra piazza che non sia Forlì, perché oramai
non mi fido più».
Anche nella boxe non è tutto sempre trasparente? Ci sono pugili
che vengono aiutati rispetto ad altri?
«Sì. Se un arbitro vuole, può pilotare un match, e sono cose che
purtroppo accadono anche nella boxe. Ho combattuto all'estero e mi è capitato di
vedere verdetti ingiustificati. La stessa
Regina Halmich, che avete citato
la scorsa settimana, è stata una pugile sempre molto aiutata in
Germania».
La Halmich è stata un personaggio molto importante per il vostro
sport. Pensa dunque che non sia stata tutta farina del suo sacco?
«Quando lei era in tv l'audience era sempre alto, e questo ha
aiutato molto a promuovere il pugilato femminile. E' innegabile: è una bella
guerriera rimasta imbattuta, però bisogna anche dire che non l'hanno mai fatta
perdere. La Halmich è stata sconfitta una sola volta perché era andata a
combattere negli Stati Uniti, e da quella volta l'hanno fatta competere solo in
casa. E' una grande campionessa e un grande personaggio, ma non ha tutti i
meriti che le danno».
L'idea di una donna forte è una cosa che spaventa gli uomini? E'
vero che essere una pugile interferisce con la vita privata?
«Per me non è assolutamente vero. Il fatto di essere una
campionessa è una cosa che mi avvicina agli uomini perché li affascina. Questo
sport ti porta ad essere in forma e sicura di te perché vai oltre tante
barriere. Sei emancipata, femminile e bella. Gli uomini avvertono tutto questo e
ne sono attratti. Certo, devono essere uomini in grado di mettersi in gioco e
probabilmente in questo sono anche aiutata dal fatto di vivere a Milano. In una
realtà più provinciale, immagino che le cose possano essere molto diverse.
Personalmente, il fatto di essere una pugile mi ha solo aiutata nei rapporti
umani, mai ostacolata».
Passiamo a un altro luogo comune: cosa rispondi a chi dice che
questo è solo uno sport violento?
«Che al più è uno sport cruento, non violento. La violenza si ha
quando si va oltre le regole, quando si rifilano testate invece che pugni, ma
questo non accade quasi mai perché ci son delle regole che vengon fatte
rispettare. Semmai vedo molto più spesso nel calcio dei giocatori andare oltre
le regole del gioco: li vedo fiondarsi sulle caviglie degli avversari o tirarsi
gomitate, calci... Non è violenza quella? E' troppo facile criticare il pugilato
per questo, ma la verità è che ha le sue regole e queste vengono fatte
rispettare meglio che in altri sport».
Hai visto il film
Million Dollar Baby? L'immagine che vien fuori della
boxe femminile non è esattamente quella che hai descritto tu...
«L'ho visto al cinema e sono uscita dalla sala molto arrabbiata. Si
fa tanto per promuovere questo sport, e poi lo si mostra al pubblico in maniera
assurda. Il combattimento avviene come se non ci fossero regole, è tutto
sbagliato. Nonostante ciò, penso che il film abbia aiutato lo stesso il nostro
sport, per quanto non sia di certo quella la boxe reale».
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