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Telegiornaliste anno IV N. 18 (143) del 12 maggio 2008
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Lella Confalonieri, il lato rosa del Tg5
di Giuseppe Bosso
Giornalista professionista dal 1992, oggi
Lella Confalonieri
è responsabile della redazione milanese del Tg5.
Come è cambiato il
Tg5
con l’avvento di
Mimun alla direzione?
«Il Tg5 ha sempre seguito una certa linea fin dalla direzione di Enrico Mentana.
Certo, con la gestione di Carlo Rossella c’è stato un momento in cui abbiamo
magari dato un po’ più di risalto al glamour e al costume così come adesso, con
il nuovo direttore, siamo tornati ad occuparci prevalentemente di cronaca e di
politica, ma la nostra identità è sempre stata quella che il pubblico ha seguito
nel corso degli anni».
E' infastidita nel vedere il suo nome nella famigerata lista "figli e
parenti" tra tanti suoi colleghi?
«Meno di zero. Le mie cose e il mio lavoro me le sono costruite da sola e non
certo per il cognome che porto. Riguardo quella lista, trovo alquanto contorto
il mescolare la Rai, che è il servizio pubblico, con Mediaset che è un’azienda
privata. Non voglio dire che si debbano fare favoritismi nell’una o nell’altra,
ma che sono due ambiti completamente diversi. In ogni caso, penso che il lavoro
e l’impegno alla fine paghino, anche se magari qualcuno può pensar male per
questioni di cognome».
Si dice che suo zio abbia "bacchettato" la redazione del Tg5 per il troppo
spazio lasciato alla cronaca nera. Cosa ne pensa?
«Più che altro avrà assunto un punto di vista di spettatore non contento di
vedere continuamente servizi sui delitti di sangue che, negli ultimi anni, hanno
caratterizzato non poco le vicende del nostro Paese. C'è stato un periodo in cui
abbiamo dato particolare risalto a queste vicende, e dobbiamo forse fare un po’
di autocritica per il modo con cui li abbiamo esposti. La cronaca è il sale
dell’informazione: anche i delitti più efferati fanno parte del contesto in cui
operiamo e che il telespettatore-utente esige di sapere. La cosa importante, da
un punto di vista etico, è evitare di soffermarci sui particolari più macabri
che esulano dal dovere-diritto di cronaca».
Da milanese, cosa ne pensa dell’assegnazione di
Expo
2015?
«E' un traguardo importante non solo per Milano, ma per tutto il nostro Paese.
Un evento di questa portata non può dare altro che vigore ed entusiasmo: il
giorno dopo l’assegnazione ho notato già un particolare fermento in città. Credo
che rappresenti una grande spinta per tutti e un'occasione per mostrare al mondo
cosa può portare all’Italia una rassegna del genere».
C’è un servizio o un’intervista a cui è particolarmente legata o che vorrebbe
fare?
«Ritengo che ogni intervista, ogni servizio siano importanti: è quello che cerco
di trasmettere sempre anche ai colleghi della redazione di Milano. Per quanto mi
riguarda, ricordo con piacere un’intervista che feci all’avvocato Agnelli in
strada: una sua risposta sul Governatore della Banca d'Italia, il giorno dopo,
era nei titoli di tutti i quotidiani. E questa è stata una bella soddisfazione.
Quella che vorrei fare? Tutti i giornalisti sicuramente aspirano a intervistare
grandi personalità come il Papa o il presidente degli Stati Uniti. Io, però,
vorrei cercare di aiutare le tante donne che soffrono in tutto il mondo, come la
bambina dello Yemen che era stata data in sposa dal padre a un uomo che l’ha
maltrattata e che alla fine ha chiesto il divorzio. Una storia che mi ha molto
toccata».
Finora l’abbiamo vista come inviata principalmente. Quando passerà alla
conduzione?
«Ritengo che i colleghi che già ricoprono questo ruolo siano in gamba. Comunque
la conduzione da studio non è una cosa che sento mia. Mi sta benissimo quello
che faccio ora».
Dopo i politici,
Beppe
Grillo
ha puntato il dito contro i giornalisti, al punto da chiedere la soppressione
dell’Ordine.
Lei cosa ne pensa?
«E' una battaglia che già Pannella, in passato, aveva portato avanti. Condivido
comunque le ragioni di questa protesta: qualche volta mi chiedo cosa ci stia a
fare l'Ordine...». |
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CRONACA IN ROSA
Non pensate a sesso unico! di
Federica Santoro
Organizzare le aziende in maniera che diano più spazio alle
donne, alla loro creatività e al loro dinamismo, per creare una società
moderna e paritaria. Questo è l’obiettivo del progetto "Laboratorio di pari
opportunità: pratiche per il superamento degli stereotipi", promosso da
Arcidonna
con la campagna di comunicazione
Non pensare a sesso unico.
Un progetto della Sicilia che parte dalle scuole - dove sono
già iniziati i primi incontri per sensibilizzare i ragazzi - per diffondere la
cultura di genere, rimuovere gli stereotipi e promuovere la presenza delle
donne nei processi decisionali. Seconda area d’intervento sarà quella del mondo
del lavoro, dove ancora sopravvivono dinamiche che tendono a emarginare e
sottovalutare il ruolo della donna: attraverso la creazione di sportelli
infopoint all’interno di aziende private e pubbliche, si cercherà di
favorire l’incontro tra manager e mondo femminile. Arcidonna ritiene un
obiettivo strategico, soprattutto in Sicilia, intaccare un’organizzazione
aziendale che tiene le donne fuori da qualsiasi processo di condivisione di
responsabilità - e quindi di potere - penalizzando lo sviluppo della
società tutta.
La realizzazione del progetto, che durerà fino al 31 dicembre
2008, e cioè solo sei dei dodici mesi inizialmente previsti, è stata possibile
grazie ai fondi di Equal seconda fase, un programma europeo diretto a combattere
gli stereotipi di genere ancora radicati soprattutto nel mondo del lavoro.
Dietro a tutto questo, però, si nasconde un giallo burocratico che ha
costretto Arcidonna a partire con la realizzazione del programma senza i
finanziamenti necessari: i fondi stanziati dalla regione Sicilia dal 2000 al
2006 per gli interventi sul tema della parità avevano escluso senza alcuna
motivazione la Onlus che da vent'anni si occupa di politiche di genere, a
vantaggio di tre enti sconosciuti.
Dopo il ricorso al Tar, che ha condannato
l’Assessorato della Regione e annullato la graduatoria restituendo ad Arcidonna
il diritto al finanziamento, anche una commissione d’inchiesta europea ha
voluto vederci chiaro facendo tappa in Sicilia e incontrando la presidente di
Arcidonna, Valeria Ajovalasit, che così replica: «Il sistema di erogazione non è
trasparente e la Regione continua a fare ostruzionismo. Ci rivolgeremo anche
alla Procura della Repubblica per abuso di potere se sarà necessario - continua
- ma porteremo avanti fino in fondo la nostra battaglia».
La campagna Non pensare a sesso unico vuole spingere a
riflettere, anche con un sorriso amaro, «sul perché
nel Parlamento italiano la presenza di donne sia ancora oggi ferma al 17 per
cento, dato che ci pone al 67esimo posto tra i parlamenti del mondo, preceduti
persino dal Senegal e dagli Emirati Arabi. Oppure a chiedersi il motivo per cui
ancora oggi, in Italia, sette milioni di donne in età lavorativa siano fuori dal
mercato del lavoro».
Inoltre, con la collaborazione di Cgil e Confindustria,
Arcidonna sperimenterà all’interno di alcune imprese siciliane pratiche di
diversity management, già applicate nel resto d’Europa con ottimi
risultati, per l’inserimento delle donne nel mondo del lavoro e per migliorare
le possibilità di carriera. Infine è prevista la sottoscrizione di un Codice
di autoregolamentazione da parte di aziende e sindacati per rendere concrete
le soluzioni che via via saranno sperimentate e che avranno permesso di
raggiungere gli obiettivi prefissati. |
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Pino Strabioli: racconto il grande teatro in tv
di Valeria Scotti
Pino Strabioli è un uomo dai modi gentili,
quasi d’altri tempi, che ha dimostrato come una passione possa trasformarsi in
un lavoro. Diviso tra teatro e televisione, calca da anni i più importanti
palcoscenici italiani e contemporaneamente è alla guida di una delle isole
felici del nostro panorama televisivo,
Cominciamo Bene Prima, lo spazio nel mattino di Rai Tre dedicato allo
spettacolo, alla cultura e al teatro.
Sta per concludersi l’ottava stagione di
Cominciamo Bene Prima. Facciamo un passo
indietro: quali sono stati gli esordi?
«In televisione avevo lavorato a Uno Mattina
dove mi ero occupato di gastronomia, tradizioni
culturali, artigianato. Però la mia passione da sempre è il teatro, tanto che
lasciai il programma per andare in tournée con Paolo Poli per I viaggi di
Gulliver. Dopo due stagioni non tornai alla Rai, ma proposi all’allora TMC
un programma che coniugasse le tradizioni delle città d’arte italiane con il
teatro. Cecchi Gori, l’editore, accettò e feci una serie di puntate in cui
andavo nelle piccole città di provincia: qui seguivo gli spettacoli,
intervistavo gli attori e visitavo monumenti, raccontando così le tradizioni del
luogo. Un’esperienza carina che decisi di proporre a Rai Tre quando, da un anno,
era nato il contenitore del mattino Cominciamo Bene. Provammo con una
striscia di 10 minuti dove fondamentalmente facevo ritratti degli attori. E poi
è andata talmente bene che i 10 minuti son diventati 50, fino a trasformarsi in
un vero e proprio programma».
Qual è il pubblico che vi segue?
«Il mattino ha un pubblico logicamente adulto: ci
sono ad esempio molti pensionati. Lavoriamo sulla memoria e riceviamo tante
lettere e mail da persone che ci ringraziano perché facciamo rivivere loro
alcune stagioni della televisione e facciamo ritrovare alcune voci e volti del
teatro. Ci seguono anche molti giovani universitari, probabilmente di facoltà
umanistiche, che studiano la storia del teatro. Qualche tempo fa uscì un
articolo che ci dava molto seguiti in Liguria. Il 33% dei nostri telespettatori
arriva da lì e appartiene a una situazione culturale medio-alta. Probabilmente
in questi anni siamo riusciti a diventare un’alternativa ai grandi contenitori
come Uno Mattina o al nuovo programma di Canale 5 con Brachino e la
D’Urso».
Il punto di forza di Cominciamo Bene Prima?
«Il nostro punto di forza è forse quello di
riuscire a informare in maniera leggera. Non siamo mai pedanti, ma utilizziamo
un linguaggio semplice rivolto alle arti dello spettacolo. Ad esempio abbiamo il
momento musicale con il Maestro Leo Sanfelice che evoca l’avanspettacolo, il
varietà alla vecchia maniera. E’ un grande jazzista con tanta poesia, ironia e
ha un’eleganza rarissima».
Un tempo, il venerdì era il giorno deputato
alla messa in onda di pièce teatrali. Oggi, invece, il teatro sembra esser
diventato un tabù per la tv. Perché?
«E’ cambiato il linguaggio televisivo, è cambiata
la forma di spettacolo. Non c’è più il varietà, l’"artista" in televisione.
Sarebbe assolutamente anacronistico oggi trasmettere delle commedie teatrali
come erano riprese allora: il pubblico si annoierebbe. E’ sicuramente una grande
perdita, ma bisognerebbe investire economicamente e culturalmente su un nuovo
linguaggio per tornare a raccontare e far vivere il teatro. Credo che la
televisione debba fermare la memoria storica degli attori. Quando negli anni
Cinquanta la televisione nacque, guardava al teatro come al fratello maggiore.
Alcuni grandi attori ci andavano, altri la snobbavano, però c’erano grandi nomi
come Albertazzi, Anna Proclemer, Dario Fo che hanno lasciato delle testimonianze
bellissime. Oggi c’è la pigrizia a non investire in un progetto dove l’attore
vero trovi un posto significativo anche in tv. Si sono invertiti i ruoli: la
televisione dà molto spazio alla vita, alla gente senza nessuna formazione e
provenienza».
Parliamo dunque dei reality, la pecora nera
della tv italiana. Come si rapporta a questi fenomeni?
«Non guardo molto questo tipo di televisione. Mi
capita di subirla se sono in casa o perché altre persone ne parlano. Ad esempio,
al Grande Fratello ho trovato assolutamente inutile assistere al pianto
della dottoressa di fronte all’Ordine che voleva radiarla. Non riesco a
classificare questa tv, non ha nessun peso culturale, sociale, di osservazione.
Forse il reality poteva avere una funzione quando è nato: allora era un
esperimento. Ora, invece, è diventato una ripetizione che rotola su se stessa.
Non mi scandalizza, non mi offende, non mi provoca niente. E penso che quando un
evento arriva a non portare nessuno stimolo, non ha più senso. Inoltre trovo
diseducativo far capire alla gente che basta partecipare a un gioco per vincere
500mila euro e cambiare in parte la propria vita. Sia l’intrattenimento che
l’informazione hanno delle colpe perché esaltano dei fenomeni che non andrebbero
proprio presi in considerazione. Come Corona e le sue presunte truffe che
arrivano sulle copertine di tutti i giornali. Ognuno, purtroppo, in qualche
maniera riesce a trovare profitto da questi fenomeni».
Lei nasce come attore e tuttora continua la
sua carriera in teatro. Come concilia quest'arte con la televisione?
«Credo molto nel mezzo televisivo e per fortuna
ci sono dei prodotti buoni, anche se spesso costretti a orari difficili.
Pensiamo alla Rai Educational di Minoli, al nostro mattino di Rai Tre, alla
Gabanelli. Anche il teatro, comunque, sta cambiando la sua fisionomia: ci
sono ragazze del Grande Fratello, del programma
Amici o vallette che s’improvvisano attrici.
Mi piace riuscire a fare entrambe le cose, ad esempio ho finito da poco una
tournée con Marina Gonfalone, Capasciacqua. Nel frattempo non mi lascio
risucchiare dalla televisione: non smanio per andare ospite nei programmi, per
apparire sui giornali, per condurre il pomeriggio o la prima serata. Cerco di
mantenere una coerenza e sono felicissimo che la Rai mi dia la possibilità di
occupare uno spazio di 50 minuti al giorno dove posso parlare delle mie
passioni: mi sento davvero un privilegiato».
Il teatro e la tv parlano davvero due
linguaggi diversi o può esserci qualche punto in comune?
«La televisione potrebbe utilizzare di più i
bravi attori di teatro. Flavio Insinna, ad esempio, ci ha dimostrato che un buon
attore può fare un egregio intrattenimento senza boria, portando il suo bagaglio
in un programma. La televisione ha il dovere d’informare su una grande fetta di
cultura in continuo movimento che non è solo quella dei "ricchi e famosi,
subito". Dal mio piccolo osservatorio, vedo che la gente ha fame di sapere, di
conoscere i vissuti dei protagonisti. Non dimentichiamo che siamo la memoria di
personaggi come Vittorio Gassman, Carmelo Bene. La televisione, dunque, deve
riuscire a non cadere nell’errore di dimenticare il passato». |
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CULT Diego
Sanchez: il mio omaggio a Frank Sinatra
di Valeria Scotti
Attore, cantante, musicista. Tutto questo è Diego Sanchez, artista
napoletano. Dopo le prime esperienze come animatore in alcuni villaggi turistici
e numerose partecipazioni televisive - La sai l'ultima?, La squadra - da
anni Diego si dedica al teatro, lavorando accanto a grandi nomi del palcoscenico
italiano. Attualmente è il direttore artistico del
Cabaret
Portalba, teatro del centro storico di Napoli.
E’ partita in questi giorni la rassegna Non solo Cabaret al Cabaret
Portalba…
«Sì, il mio rapporto con il Cabaret Portalba è nato nel 2001, quando decisi di
creare una mia compagnia. La proposta piacque ai proprietari di allora e
debuttai qui. E’ andata bene: oggi la compagnia di Diego Sanchez riesce a
portare avanti sempre nuovi spettacoli, soprattutto musical, con un centinaio di
date all’anno. Lo scorso anno mi è stato proposto di diventare il direttore
artistico del Cabaret e dal settembre 2007 ho preso la gestione completa. In
questa struttura interpreto i miei spettacoli e ospito quelli degli altri
artisti. Inoltre, siamo tornati a proporre veri e propri spettacoli dal telaio e
dalla struttura teatrali, completi di scenografia, disegno luci e regia».
Il 13 maggio ci sarà il debutto di un tuo lavoro dedicato a Frank Sinatra. Ce
ne parli?
«Mr Frank, storia di un mito, è l’omaggio a un grande personaggio che ha
lasciato nella memoria di tutti noi un ricordo vivissimo. Sinatra è l’emblema di
uno stile unico nel fare spettacolo. Il caso vuole che il 15 maggio ricorra il
decennale della sua scomparsa. Lo spettacolo racconta la storia di Sinatra, le
vicende legate alla mafia, a John Kennedy, ma parla soprattutto delle tantissime
donne che il cantante ebbe, anche se il suo unico grande amore fu Ava Gardner.
Io interpreto un probabile figlio segreto che, alla fine, scoprirà in realtà di
non esserlo».
Sei un personaggio polivalente: ti muovi tra recitazione, danza, canto. Oggi
quanto è importante essere completi?
«Nasco come musicista, cantante e pianista, poi ho scoperto la passione per la
recitazione che mi ha portato ad approfondire lo studio legato allo spettacolo.
Amo definirmi un artista, non per presunzione, ma perché credo sia il termine
più giusto per abbracciare le varie arti. Ho iniziato giovanissimo, l’anno
prossimo festeggerò vent’anni di carriera e ho sempre sentito la necessità di
approfondire tutte le discipline, anche dal punto di vista della performance
tecnica. E’ importante conoscere il “dietro le quinte” anche se oggi sono
accompagnato da una squadra di giovani tecnici che mi dà un grande sostegno. La
completezza aiuterebbe a evitare la mediocrità che abbiamo attualmente nel mondo
dello spettacolo. I vari reality show stanno rovinando il panorama italiano e
molti giovani non conoscono la figura del teatrante, cioè di colui che si è
sempre prodigato e ha vissuto il teatro in una certa maniera».
A proposito di teatro e tv, proprio in questo numero di Telegiornaliste
c’è la nostra intervista a
Pino Strabioli…
«Strabioli è un personaggio che vive di teatro. L’ho conosciuto a Roma durante
la sua tournée, Capasciaqua - uno spettacolo bellissimo - e questa è la
prova che i lavori interessanti ci sono, portano pubblico a teatro e che si può
fare teatro e televisione insieme. Nel suo programma riesce a dare dei bei
segnali, a insegnare: si distacca completamente da quello che attualmente ci
propinano e che è diventato trash, inutile e mediocre. Peccato solo che
Cominciamo Bene Prima vada in onda di mattina, una fascia orario alquanto
limitata».
Tra le tue esperienze passate, ci sono grandi nomi. Come è stato lavorare con
loro?
«Ho avuto la fortuna di lavorare con grandi personaggi legati al teatro: Giacomo
Rizzo, Raffaele Paganini, Beppe Vessicchio, Claudio Insegno. Questi artisti non
hanno mai fatto pesare il loro nome e sono riusciti a trasmettere la loro lunga
esperienza. Giacomo Rizzo, il mio maestro per la comicità legata al teatro
napoletano, è un attore a tutto tondo: dopo sessant’anni e più di carriera è
tornato al cinema con L’amico di famiglia di Paolo Sorrentino e ha vinto
dei premi. Giacomo mi ha trasmesso l’educazione teatrale, la professionalità e i
tempi comici. Quanto a Paganini, mi ha trasmesso la passione per la danza,
l’umiltà, l’eleganza, la serenità e la leggerezza nell’affrontare i problemi.
Ricordo un episodio: eravamo in tournée a Milano con Rodolfo Valentino ed
ebbi con alcuni miei colleghi un problema con l’auto. Quella sera dovettero
intervenire i nostri sostituti in scena. Tra il primo e il secondo atto, mentre
l’amministratore di compagnia ci rimproverava, Raffaele prese le nostre difese e
disse: “L’importante è che non capiti più”, con una grande calma che
probabilmente, al suo posto, non avrei avuto. Vessicchio mi ha contagiato ancora
di più la passione per la canzone napoletana, quella non sguaiata. E Claudio
Insegno è il fratello maggiore che non ho mai avuto. E’ di una grande simpatia,
allegria e professionalità. Quest’anno debutterò con un nuovo spettacolo diretto
proprio da lui».
Possiamo dire che la comicità napoletana ha una marcia in più?
«Sono dell’idea che non sia la comicità napoletana ad avere una marcia in più.
Probabilmente abbiamo una dote in più rispetto agli altri: i tempi comici. Parlo
della predisposizione a far sì che, nel momento in cui c’è una domanda o una
situazione, riusciamo a dare la risposta nel giusto tempo metrico musicale.
D’altronde, come insegna Giacomo Rizzo, la comicità è musica». |
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DONNE Rania,
the Queen di Martina Barin
Bella, regina e appassionata di informatica, ovvero Rania
di Giordania, al secolo Rania Yasin. Nata in Kuwait il 31 agosto del 1970 da
genitori palestinesi, cresce con un’educazione occidentale. Prima frequenta una
scuola inglese in Kuwait, poi consegue la laurea in Business Administration
presso l’Università Americana del Cairo.
A causa della Guerra del Golfo si trasferisce insieme ai
genitori in Giordania, dove lavora come responsabile del sistema informatico per
una società finanziaria internazionale, Citibank, e poi per Apple. Galeotto fu
l’invito al banchetto organizzato nel 1993 dalla sorella e dal cognato del
principe Abdullah, titolari della Citibank di Amman. In tale occasione Rania
conosce il futuro re di Giordania con il quale convola a nozze solo cinque mesi
dopo e che la renderà madre di quattro figli. Il 9 giugno 1999 diviene la più
giovane regina del mondo e, ben presto, un’icona di stile.
I suoi lineamenti dolci e armoniosi hanno sbaragliato le
stelle del cinema tanto che un sondaggio della rivista
Harpers&Queen l'ha proclamata come la terza donna più
bella del mondo, dopo l’attrice Angelina Jolie e la modella Christy Turlington.
Ma la giovane regina ha preso a cuore il suo ruolo sin dall’inizio: è conosciuta
non solo per l’avvenenza, ma anche per le sue prese di posizione a tutela
degli emarginati. Tra le varie attività, ha incentivato la nascita di centri per
i bambini vittime di abusi sessuali e ha lanciato il programma NetAid World
Schoolhouse per promuovere e migliorare l’educazione dei più piccoli. Il suo
impegno per l’infanzia è stato premiato dall’Unicef nel gennaio 2007, quando Sua
Maestà è stata nominata Difensore emerito dell’Unicef per i bambini.
Con il suo savoir faire è riuscita a toccare
argomenti tabù per il Medio Oriente facendo inorridire i
conservatori: da sempre è schierata contro i crimini d’onore e l’imposizione
obbligatoria del velo. A tale proposito, ha dichiarato che «portare il velo è
una libera scelta personale e non un problema politico». Preoccupata
dell’approfondirsi della frattura fra il mondo occidentale e il mondo arabo, la
Regina, oltre al
sito regale, ha aperto un’interfaccia digitale su
Youtube, chiedendo a tutti gli internauti di inviarle
messaggi con domande inerenti al mondo arabo. L’obiettivo sembra quello di
utilizzare i media, da sempre accusati di aumentare i pregiudizi, in modo
costruttivo. I tantissimi interventi testimoniano che c’è ancora molto lavoro da
fare: i musulmani la insultano perché non porta il velo, mentre gli americani si
congratulano per l’iniziativa. «Alcuni video sono molto positivi, altri molto
critici, ma va bene così perché il dibattito fa parte del dialogo», è
stato il commento della regina.
La data limite per l’invio dei messaggi è il 12 agosto,
Giornata internazionale della gioventù, durante la quale Rania proverà a
rispondere ai tanti quesiti arrivati. «La tecnologia è importante, ma non è
tutto», afferma Sua Maestà nel sito ufficiale. «La tecnologia rende le cose più
semplici, riduce le distanze e apre le porte. Ma non può pensare, vedere,
creare». Una sintesi di saggezza e bellezza, una figura che sembra essere
l’emblema dell’incontro delle civiltà. |
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TELEGIORNALISTI
Mauro Suma, passione rossonera
di Giuseppe Bosso
Mauro Suma, giornalista
professionista dal 1994, è il direttore di Milan Channel, primo canale tematico
della squadra rossonera, nato in occasione del centenario della squadra campione
del mondo in carica.
Che sensazione le dà essere direttore del canale dei campioni del mondo?
«E' un grande onore. Ma la cosa più gratificante è il fatto che dopo aver
vissuto come tifoso le vittorie del
Milan,
ora ho la possibilità di essere partecipe a questi successi, di condividerli con
i veri protagonisti».
Primo canale satellitare dedicato ad una squadra di calcio in Italia, a cui
poi hanno fatto seguito quelli di Roma, Inter e Juve...
«Mi fa molto piacere che siano nati e che il settore cresca. Quella dei club
channels è una realtà interessante in cui il tifoso ha la possibilità di poter
seguire 24 ore su 24 la propria squadra, vivendo il clima che si respira nello
spogliatoio e nei dintorni della società».
Essere milanisti è indispensabile per poter lavorare a
Milan Channel?
«Nei primi tempi di vita Milan Channel ha puntato in toto sulla
professionalità, sulle doti e sulla concretezza delle persone, magari sorvolando
sulla fede calcistica. Ma adesso, man mano che stiamo crescendo, cerchiamo di
unire l’impegno e le capacità alla fede rossonera».
Grandi vittorie - l’ultima a Yokohama lo scorso dicembre - ma anche momenti
difficili per il Milan in questi anni, dalla finale-beffa di Champions persa a
Istanbul al tormentone Calciopoli. Qual è stato il ruolo di Milan Channel in
questi momenti?
«Ho sofferto da tifoso, nella carne, la beffa di Istanbul, e Milan Channel in
quel momento ha avuto non pochi problemi a riprendersi, come tutto l’ambiente
rossonero. Quanto a Calciopoli, il discorso è diverso: siamo stati davvero gli
unici a difendere a spada tratta il Milan sui contenuti, sui punti. Abbiamo
sempre vissuto il nostro Club come limpido e leale. La cosa che ci viene
riconosciuta ancora oggi è che il nostro canale, in quelle settimane, è stato un
toccasana, un’oasi di tranquillità in mezzo a tante polemiche e al rischio di
sanzioni assurde e sproporzionate. E’ stata una dura prova per il Milan e per
noi, ma direi che l’abbiamo superata alla grande, come poi hanno dimostrato le
vittorie di Atene e di Yokohama».
Quali sono i giocatori rossoneri da cui ha avuto maggiore disponibilità per
il canale?
«Direi tutti. Ricordo con piacere, tra i giocatori del passato, Bierhoff,
Albertini, ma anche i nostri padri della patria - Maldini, Costacurta - non si
sono mai negati. Tra i giocatori attuali, ho trovato grande feeling con Seedorf,
Kakà e Inzaghi. Ma ripeto, tutti sono sempre stati più che disponibili verso
Milan Channel».
Non si fa che parlare di un possibile arrivo di Ronaldinho a Milanello.
Servirà davvero a questa squadra?
«Rispetto le opinioni di quanti affermano che il suo acquisto non sia
necessario. Io, però, sono convinto di una cosa: è sempre meglio avere tanti
talenti su cui poter contare in squadra e, del resto, le vittorie del Milan
dell’era Berlusconi sono sempre state caratterizzate dalla presenza di numerosi
grandi campioni in squadra. Ritengo comunque che ci vorrà davvero molto tempo
per capire se Ronaldinho potrà essere rossonero oppure no».
Il Milan è la squadra italiana che più di tutte ha tenuto alta la bandiera
italiana in questi anni, eppure son frequenti gli attacchi, principalmente per
la figura del suo presidente. Lei cosa ne pensa?
«Sì, è così. Ma ho imparato a far finta di niente rispetto a queste cose. La
negatività di buona parte della comunicazione verso i colori rossoneri è una
questione extracalcistica che non ha nulla a che vedere con l’aspetto puramente
sportivo di cui preferisco occuparmi».
L’attualità impone di parlare anche del problema violenza negli stadi. Cosa
ne pensa?
«E’ un grave problema che sta vivendo il nostro Paese e che purtroppo rovina
quello che è lo sport più bello del mondo. Ci vuole davvero l’impegno di tutte
le componenti del calcio perché i violenti vengano messi al bando e perché
finalmente questo sport riacquisti quel suo valore che ha perduto con questi
episodi».
Dopo tanti successi, cosa possono sognare ancora i tifosi rossoneri?
«La bellezza del calcio sta nel fatto che si va avanti anche dopo tante
vittorie. In futuro non mancheranno nuovi stimoli, e il Milan di Berlusconi ne
ha sempre trovati tanti. Credo comunque che gli stimoli siano stati maggiori
quando non si vinceva da tanto tempo: per esempio a Yokohama c’era una
grandissima voglia di tornare a trionfare in una competizione che il Milan non
conquistava da 17 anni, così come l’ultimo scudetto, nel 2004. Adesso, però,
siamo nel 2008 e quattro anni sono tanti in casa nostra… Per questo motivo credo
che, il prossimo anno, il Milan avrà una gran voglia di scudetto». |
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Lo sport che non ti aspetti di
Mario Basile
Che lo sport sia in grado di superare ogni
limite è cosa risaputa. Mai ci saremmo aspettati, però, che potesse andare oltre
i limiti della decenza. A dire il vero, la colpa non è dello sport in sé, ma di
chi identifica come tale pratiche sessuali come il bukkake, molto in voga
in Giappone, a tal punto da creare anche una
federazione ufficiale (FIGB – Federazione
Italiana Giuoco Bukkake).
Niente a che vedere con le ironiche
Olimpiadi dell’Ormone organizzate l’anno
scorso. Niente “discipline” scherzose e “giocatori” improvvisati: qui si fa sul
serio e c’è spazio solo per veri professionisti. Quanto siano da definirsi
sportivi o stelle del porno è una differenza sottile, da valutare con tutta
calma.
Nel presentare questo sport, i dirigenti
della FIGB lo hanno descritto così: «Uno sport molto divertente» - e non lo
mettiamo in dubbio - «che consente infinite variazioni sul tema principale. La
FIGB ha selezionato le più interessanti dal punto di vista agonistico e le ha
inserite nella lista delle discipline ufficiali».
Tra queste si annoverano: il bukkake
artistico, le cui gare sono presiedute da giurie di esperti in materia che
valutano le esibizioni; il bukkake in lungo; il
bukkake al bersaglio, destinato a
“tiratori scelti”; il bukkake a copertura; il bukkake a cronometro,
forse l’unica occasione dove, in una pratica sessuale, essere veloci non è un
limite; il bukkake a staffetta e il bukkake volumetrico. Sui dettagli più
precisi di ognuno, preferiamo sorvolare.
Sembra, però, che non vi abbia voluto
sorvolare la Chiesa: in America (ad oggi competizioni ufficiali in Italia
non si sono ancora disputate) ha protestato per la contravvenzione all’ordine
divino di non disperdere il seme. Controversia superata con l’accordo di donarlo
alle associazioni benefiche che si occupano delle coppie con problemi di
sterilità. Ma non è solo questa la nota positiva di questo sport, come ricordano
gli stessi dirigenti della FIGB. «Il nostro compito è adoperarci affinché il
bukkake riesca a diffondersi anche in Italia, cercando tuttavia di mantenere
intatto il gioioso spirito di confronto e competizione che ha fatto grande
questo sport».
Del resto, mai come in questo caso
l’importante è partecipare… |
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