Archivio MONITOR Mamma Cristina Guerra di Giuseppe Bosso Questa settimana incontriamo, al rientro dalla maternità, Cristina Guerra, conduttrice del Tg1. Cristina, è dura tornare al tg dopo l'assenza per maternità? «Sì e no: temevo non sarebbe stato facile riprendere dopo così tanto tempo, ma devo dire con molto piacere che in fin dei conti è stata meno dura di quanto pensassi». Cosa hai trovato di diverso al Tg1 rispetto a quando avevi lasciato? «E’ cambiato certo nelle linee editoriali, con il cambiamento alla direzione che si è verificato, ma sostanzialmente siamo sempre lo stesso tg per gestione, contenuti e sostanza». Molto apprezzati dai nostri lettori i sorrisi con cui chiudi le edizioni che conduci. Da cosa nasce, allora, il tuo sorriso disarmante? «Certamente mi fa piacere creare idealmente con lo spettatore un'atmosfera, se così si può dire, di tipo familiare. Sorridere è importante, sia all’inizio dell’edizione sia alla fine, anche per distendere la tensione dopo notizie non sempre positive. Bisogna tener presente che il pubblico del mattino spesso si è appena alzato ed è pronto a recarsi al lavoro ed è importante fargli cominciare bene la giornata». Se i tuoi figli volessero seguire le tue orme li incoraggeresti? «Certamente riceverebbero i miei consigli sugli aspetti positivi e negativi del mestiere; la cosa più importante, comunque, è che un figlio sia libero di decidere cosa fare nella propria vita, potendo contare certo sull’appoggio e l’incoraggiamento dei genitori. Che non deve diventare imposizione verso una particolare attività. Scegliere con la propria testa è la cosa che spero possano fare i miei figli. E se volessero fare i giornalisti, non glielo impedirei». Vuoi fare un saluto ai nostri lettori che ti seguono e che hanno tanto atteso il tuo ritorno? «Ringrazio tutti, sia per il sostegno che per i complimenti; è sempre un piacere ricevere apprezzamenti garbati per il proprio lavoro. E’ una bella fonte di energia». MONITOR Susanna Schimperna, l'astrologa scettica di Giuseppe Bosso Nata a Roma, Susanna Schimperna è giornalista pubblicista dal 1981. Scrittrice di romanzi, ha diretto le riviste Blue e Cuore. In televisione è nota per lo spazio dedicato all’astrologia nella trasmissione Omnibus di La7. Collabora anche con Radio2. Susanna, da cosa nasce il tuo interesse per l’astrologia e cosa cerca la gente nell'oroscopo? «Da piccola mi piaceva molto l’astronomia, e studiandola mi sono appassionata anche alle cosmogonie antiche, in cui lo studio del movimento degli astri era strettamente collegato alla loro influenza sulla vita terrestre. Sono molto scettica: non dirò mai che credo nell’astrologia, come non credo in alcuna altra cosa. Il verbo “credere” non fa parte del mio vocabolario. Man mano che ho approfondito il tema, però, ho scoperto la bellezza dell’interpretazione dei segni, e gli aspetti legati ai miti e alla simbologia. Concordo con Margherita Hack: non esiste alcuna influenza diretta tra i pianeti e lo svolgimento della nostra esistenza. Non allo stato attuale delle nostre conoscenze, perlomeno. Un altro problema consiste nel fatto che la gente dagli oroscopi pretende risposte immediate, anziché utilizzare l’astrologia come una chiave di interpretazione». Siamo un popolo innegabilmente superstizioso, che tende a farsi irretire, vedi le vicende legate a Wanna Marchi e ai vari maghi. La tua opinione? «È un problema grave, ma va analizzato a partire dalle sue radici. Questi imbonitori trovano terreno fertile soprattutto nelle ore notturne, in cui non esiste una regolamentazione della programmazione televisiva, ed è proprio quello l’orario in cui davanti al televisore ci sono le persone più fragili, che tendono facilmente a cadere in queste trappole. È assurdo pensare di poter vincere milioni al lotto ricorrendo a riti come buttare il sale per terra e simili… L’astrologo, naturalmente, non ha nulla a che vedere con questi maghi». Ritieni che Omnibus, a cui partecipi da anni, abbia risentito dell’abbandono di Marica Morelli? «La partenza di Marica ha coinciso con un cambiamento di Omnibus: la struttura del programma si è modificata, i contenuti hanno assunto un taglio decisamente più politico. E anche il mio ruolo, passando da quello spazio in cui interagivo con Marica facendo delle vere e proprie lezioni di astrologia, allo spazio iniziale, in cui sono sola e “gioco” con consigli in pillole. Aggiungo che mi è dispiaciuto vederla andare via, avevo instaurato un bel rapporto con lei». Hai aperto un blog con cui interagire con il popolo della rete: pensi che sia la nuova frontiera dell’informazione, del giornalismo? «Non del giornalismo, ma sicuramente dell’approfondimento, della voglia di stare insieme e, anche se ti sembrerà esagerato, della psicoterapia, per le enormi potenzialità. Il giornalismo è qualcosa di diverso, che richiede un ampio controllo delle fonti di informazione. Forse un caso a parte è il blog di Beppe Grillo, in cui però questo controllo è dato dal pubblico stesso che lo segue giorno per giorno. Credo che in questo senso libertà e responsabilità siano molto legate». Ci sono mai stati commenti che ti hanno infastidita? «Non posso negare che due o tre persone in particolare, con i loro attacchi violenti e per lo più di tipo personale, mi abbiano dato molto dispiacere. Col tempo, però, mi sono resa conto che dietro questo comportamento molto spesso si nasconde anche un bisogno di sfogo che chiede soddisfazione». Stampa, radio, televisione e romanzi: non ti sei fatta mancare niente, ma qual è la tua collocazione ideale? «Ho diretto la rivista Blue con molto orgoglio e soddisfazione, così come ho diretto Cuore. E ho collaborato (e tutt’ora collaboro) a varie testate. In realtà, però, mi ritengo più una scrittrice che una giornalista, e mi piacerebbe proprio ricominciare ad occuparmi di questo più assiduamente, anche perché è forse il campo che meglio si concilia con la mia discontinuità e il mio bisogno non solo di riportare i fatti, ma di commentarli da una mia personale ottica». Chiudiamo con una domanda sul titolo del tuo blog: quali sono i cattivi pensieri di Susanna Schimperna? «Cominciamo col dire che questo titolo ha due significati: “cattivi pensieri” nel senso che i pensieri, se davvero sono tali e non semplici riecheggiamenti di opinioni sentite o lette, destabilizzano sempre la realtà, apportano turbativa, agiscono come stimolo critico. In un altro senso, cattivi pensieri sono quelli che fanno nascere angoscia, ansia. A me appartengono entrambi i tipi, come un po’ a tutti. Approfitto per dire, a chi non lo sappia, che Cattivi Pensieri è anche il titolo del programma quotidiano su Radio2 che conduco da anni e che, giunto ormai alla dodicesima edizione, riprenderò il 23 luglio. Tutte le notti, a mezzanotte in punto». CRONACA IN ROSA Ricordi, eroi, rivoluzioni di Erica Savazzi L’estate 2007 è una stagione di ricordi. Il primo è quello di Lady Diana: si commemora il decennale dalla morte con presunte rivelazioni, scandali, processi e biografie fresche di stampa. Ma sfogliamo una rivista qualsiasi e… Come non ricordare che Elvis Presley forse è ancora vivo in un qualche luogo segreto? Come non citare l’assassinio di Gianni Versace magari collegato a torbide storie sessuali? Come non sospirare ripensando alla favola di Grace Kelly, attrice che, come pochissime altre donne, il principe azzurro lo incontrò davvero? Se i giornali pubblicano le notizie che fanno vendere, e se si fa tanto parlare, ancora, intorno a misteri che misteri non sono, o a personaggi che hanno spesso più spazio in mostre, concerti, sfilate, interviste ad amici e parenti di quanto meriterebbero, un motivo ci sarà. Forse più di uno. E non è detto che il libro cartonato oro o l’ennesimo “best of” compaiano sugli scaffali (solo) per via del giro di affari che ruota attorno a queste iniziative editoriali. Che ci sia bisogno dei divi dell’età dell’oro per mimetizzare la mancanza di eroi nella nostra attualità? D’altronde è evidente come i personaggi del passato che puntualmente vengono rispolverati abbiano rappresentato nella loro epoca un cambiamento epocale, un soffio di modernità, una ventata di coraggio nell’uscire dagli schemi allora imposti. Praticamente dei rivoluzionari. Ma oggi, che celebriamo i vari decennali e ventennali dalle morti, spesso tragiche, di questi personaggi, con chi potremmo sostituirli? Chi è oggi il rivoluzionario? La velina che sposa il calciatore? La ragazza che partecipa a un reality per trovare marito? Il vip che passa l’estate in Costa Azzurra? Chi è il vero rivoluzionario oggi? Bisogna aguzzare lo sguardo per trovarlo, è lontano dai riflettori. Se rivoluzionario è chi sfida le convenzioni nelle quali vive, allora le ultime rivoluzionarie sono Hina e tutte le donne come lei, che lottano e pagano con la vita. Per poter essere quello in cui credono, senza condizionamenti. FORMAT La cyber tv di nonno Maurizio di Nicola Pistoia Nonno Maurizio, 68 anni, ha da poco iniziato a capire il funzionamento del telefono cellulare e subito si è tuffato in un’impresa molto ardua. Il nonno di cui parliamo è uno dei giornalisti più importanti della tv italiana. Che ha dato vita a programmi di grande successo, che ha sperimentato, in prima persona, ogni genere televisivo esistente e che oggi, dopo oltre 40 anni di carriera, è pronto ad intraprendere una nuova avventura. L’uomo di cui stiamo parlando è Maurizio Costanzo. In tanti anni di lavoro gli sono piovuti addosso complimenti e tante critiche: su tutte, quella che lo vede reo di aver fomentato il genere del reality show invitando nei suoi programmi “pupazzetti” tipo Costantino, Daniele, e altri. Si è parlato addirittura di Costanzo come fautore del trash televisivo. Nonostante questo, Costanzo rimane comunque uno dei pochi stacanovisti a proporci qualcosa di nuovo anche d’estate. Il 2 luglio, sul canale satellitare Sky Vivo, è partito il suo nuovo show dal titolo Stella. Lo ammettiamo: non è che questo show si discosti molto da tutti gli altri. Ma il contesto è senza dubbio diverso, più nuovo. Quattro famiglie, tramite alcune webcam posizionate nelle rispettive case, sono collegate con un teatro Parioli riadattato in chiave cyber - spazio per l’occasione. Ogni giorno si discute di un tema, grazie anche all’intervento di ospiti in studio e soprattutto del pubblico a casa, che può partecipare inviando sms e mms. Ed è il pubblico che decide in che direzione la trasmissione deve andare. Un talk show interattivo che impedisce i tanti tempi morti che di solito tendono ad imperversare in questo tipo di programmi. In Stella c’è un po’ di Maurizio Costanzo Show, un po’ di Buon Pomeriggio e un pizzico di Grande Fratello. Però c’è anche l'energia di un uomo di quasi settant’anni che cerca di stupire dando vita a discussioni sempre diverse. Costanzo tornerà a metà settembre con una nuova edizione del suo Show e insieme alla moglie, Maria De Filippi, è pronto a ripopolare Canale5 con i suoi programmi. Non si può avere tutto dalla tv. CULT L'agenda rossa di Paolo Borsellino di Antonella Lombardi E’ il 19 luglio del 1992. A Palermo, in via D’Amelio, alle 7.00 di una domenica già calda, squilla il telefono in casa del magistrato Paolo Borsellino. E’ il procuratore Pietro Giammanco, che ha appena comunicato a Borsellino il conferimento della delega sulle indagini di mafia. Una delega attesa da mesi e ostacolata da lungaggini burocratiche. «La partita è chiusa», dice Giammanco al magistrato che, turbato, urla: «La partita è aperta». Poche ore dopo una Fiat 600 imbottita di tritolo uccide Borsellino e la sua scorta, chiudendo, brutalmente, “ogni partita”. Dopo la deflagrazione, tra le macerie ancora fumanti, c’è chi riesce a sottrarre dalla borsa bruciacchiata del magistrato ucciso un'agenda rossa, regalo dell’Arma, su cui Borsellino era solito annotare tutto. Indagini, appuntamenti, minuziosi commenti mai mostrati a nessuno, che il giudice teneva gelosamente per sé, consapevole dei pericoli ma con un’ansia di verità resa più impellente dalla recente strage di Capaci in cui era morto Giovanni Falcone. Il 19 luglio, misteriosamente, quell’agenda sparisce. Un libro, dei giornalisti Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, L’agenda rossa di Paolo Borsellino, cerca ora di ricostruire gli ultimi 56 giorni di vita del magistrato attraverso le testimonianze dirette dei familiari di Borsellino, dei colleghi, degli investigatori, delle carte giudiziarie, dei pentiti. Partendo da un’agenda grigia, depositata agli atti e che ha fatto da puntuale riscontro alle parti più lacunose dei ricordi. Nel libro è reso in maniera molto vivida il clima di quegli anni, con Mani pulite, la strage di Capaci, ma anche l’indignazione dei comuni cittadini. Oggi, però, secondo Giuseppe Lo Bianco, «la memoria è come se fosse artefatta. Un’inchiesta, tuttora in corso, cerca di capire se c’è stato un carabiniere che ha fatto false dichiarazioni, ma non spetta a noi dirlo». E per Sandra Rizza «è come se si fosse scelta la strada della memoria indolore. Quindici anni dopo ci sono le fiction, che hanno il pregio di raccontare in termini agiografici i protagonisti di quelle vicende, ma, allo stesso tempo, hanno il difetto di banalizzare tutto. Perché, a distanza di anni, non si è fatta una commissione parlamentare di inchiesta sulle stragi?». Un mistero ingombrante scomparso dalle pagine dei giornali e di cui ormai si discute, come altri misteri italiani, più sulle pagine dei libri: «Ormai non si fa più giornalismo investigativo. E i libri sono una delle poche isole in cui è ancora possibile far riflettere e porsi delle domande», ha detto in proposito Lo Bianco, mentre per Sandra Rizza «è come se si fosse scelto di perpetuare un ricordo addolcito. E’ casuale che l’agenda sia scomparsa pochi minuti dopo la strage, in uno scenario ancora fumante, davanti a decine di investigatori e poliziotti?». Nella prefazione, Marco Travaglio ha scritto: «Forse, se ai misteri dell’agenda rossa si fosse dedicato un decimo dello spazio riservato dalla televisione di regime al delitto di Cogne e ad altri diversivi, oggi sapremmo qualcosa in meno sul pigiama della signora Franzoni e qualcosa in più sulle origini della nostra Seconda Repubblica». Nel quindicesimo anniversario di quella strage, per il magistrato Antonio Ingroia, amico e collega di Borsellino, «l’Italia ha scelto la propria amnesia e non ha fatto tutto ciò che poteva. La storia della Seconda Repubblica affonda i propri pilastri nel sangue di quelle stragi e le sue fondamenta saranno sempre incrinate, almeno fino a quando non si farà luce». DONNE La dama della radioattività di Tiziana Ambrosi Donne e scienza, un binomio ancora oggi visto con sospetto, se non con superficialità e una certa dose di maschilismo. Pregiudizio ieri come oggi. Ma in passato si aggiungeva anche un rigido ruolo della donna nella famiglia e nella società. Un dato positivo: la ricerca e le discipline scientifiche attirano un sempre maggior numero di donne, tanto che alcuni laboratori di ricerca hanno una netta prevalenza di personale specializzato femminile. Parlando di donne e scienza il primo nome che salta alla memoria è quello di Marie Curie. Polacca di Varsavia, nasce in una famiglia con una certa tradizione culturale: la madre era pianista, professoressa e cantante, il padre insegnante di matematica e fisica. Affascinata da questo mondo, e convinta delle proprie capacità, Marie decide di intraprendere la carriera scientifica. Nonostante un clima ostile - un ruolo troppo maschile per una donna - alla fine della scuola superiore Marie lavora come precettrice per potersi pagare il corso universitario - all'epoca l'università di Varsavia era interdetta alle donne. Marie, insieme con una sorella, si trasferisce a Parigi e si iscrive alla Sorbonne. Oltre ai corsi regolari, approfondisce autonomamente la matematica e la fisica. Ma Parigi è anche il luogo dell'incontro forse più importante della sua vita, quello con Pierre Curie, professore di fisica e dal 1895 compagno di vita e di ricerca. L'interesse dei coniugi Curie, nel frattempo diventati genitori di due bambine, è per la radioattività. Con diverse prove di laboratorio si accorgono della presenza nei campioni di due sostanze molto radioattive, mai identificate prima. La tavola periodica si arricchisce così di due elementi, il radio e il polonio - così chiamato in onore del Paese natale di Marie. La sensazionale scoperta viene annunciata al mondo il 26 dicembre del 1898. Quattro anni dopo, Mare Curie riceve il premio Nobel per la fisica insieme con Henri Bequerel. Dopo la morte di Pierre, a Marie viene offerta la cattedra che fu del marito alla Sorbonne. Continuò i suoi studi sulla radioattività. Riuscì ad isolare il radio puro e il polonio puro e per questo vinse nel 1906 il Nobel per la chimica. L'approccio alla scienza dei Curie fu sempre distaccato. Era sì un mezzo per vivere, ma non per arricchirsi. Non fecero mai guadagni esorbitanti grazie alle loro scoperte, lo spirito dello scienziato puro prevalse fino alla fine. Marie si prodigò durante la Prima Guerra Mondiale per alleviare le sofferenze dei soldati: inventò una sorta di macchina a raggi X portatile, la Petit Curie. Fondò l'Institute du Radium - attualmente Curie - che ancora oggi è punto di riferimento per la ricerca sul cancro. Ciò che la fece vivere fisicamente e intellettualmente le diede anche la morte: a causa della lunga esposizione alle radiazioni, Marie Curie morì nel luglio del 1934, lasciando il suo nome stampato negli annali delle scienze. TELEGIORNALISTI Carlo Paris, re degli inviati sportivi di Giuseppe Bosso Questa settimana abbiamo incontrato Carlo Paris, una fra le "voci dal bordocampo" più note e apprezzate dal pubblico televisivo italiano. Come non chiedere il suo parere sul mondo del calcio post Calciopoli? Il primo campionato della "nuova era" calcistica si è concluso con una netta vittoria dell’Inter mentre infuria il dibattito sulla sua credibilità: è stato davvero un campionato minore, dove la squadra nerazzurra era favorita dalla mancanza di reali concorrenti? «Non condivido questa idea: questo campionato è stato vero e combattuto come gli altri anni. Che poi ci siano state squadre penalizzate è un altro discorso, ma la penalizzazione fa parte delle regole del gioco, come le squalifiche e le espulsioni: non per questo influisce sulla credibilità del torneo». A distanza di un anno dello scandalo, che pare ancora non essere finito, ritiene che si sia davvero fatto un cambiamento importante, oppure la situazione è ancora la stessa? «Direi che entrambe le posizioni siano eccessive: le cose sono molto cambiate e, rispetto al passato, molti personaggi sono stati allontanati. Ma piuttosto che colpire a suon di squalifiche coloro che si rendono colpevoli di comportamenti irregolari, ritengo che debba cambiare il modo stesso con cui il calcio si propone: è la base di partenza che deve riguardare tutte le parti interessate, dalle società ai calciatori, fino ai tifosi». Cosa crede che ricorderemo, a distanza di tempo, di questa annata: le vicende giudiziarie o il trionfo di Berlino, reso ancora più indimenticabile proprio perché giunto in un frangente così difficile per la nostra immagine? «Sono due aspetti separati e molto diversi tra loro: quello sportivo, iniziato con la vittoria della Coppa del Mondo e che è continuato poi con quella del Milan in Champions League sarà sicuramente una pagina importante da conservare; per l’altro verso, non si potrà nemmeno archiviare la triste pagina legata al momento di bassezza rappresentata da Calciopoli». La mancata assegnazione all'Italia degli Europei 2012 rappresenta una sconfitta dei nostri dirigenti o un segnale di novità in cui anche altri Paesi come Polonia e Ucraina si fanno avanti? «L’allargamento dell’Europa coinvolge anche il calcio, e lo esprime pienamente il fatto che due nazioni calcisticamente in crescita come Polonia e Ucraina siano riuscite, unendo le forze, ad ottenere questa affermazione. Per quanto riguarda l’Italia, invece, direi che da questa sconfitta dobbiamo trarre insegnamento: è anche conseguenza, appunto, dell’immagine negativa che è derivata da quella fase. È da qui che dobbiamo ripartire per una svolta in positivo». Per Raisport l’assegnazione dei diritti sulla Champions League ha rappresentato un'ideale compensazione dopo la perdita della Serie A? «Indubbiamente sì. Ma la questione dei diritti televisivi sul campionato va rivista attentamente, anche alla luce degli ascolti piuttosto deludenti delle trasmissioni Mediaset in queste due stagioni; venendo a noi, la Champions League ha rappresentato un'importante affermazione sia in ordine di ascolti che di consensi, e ci auguriamo che anche l’anno prossimo sia così». Il “caso Ambrosini” esprime, secondo lei, un momento di particolare degenerazione comportamentale che sta riguardando i protagonisti dello sport più amato dagli italiani? «Certamente: dirigenti, società e se vogliamo anche noi giornalisti, purtroppo, sono coinvolti in questo frangente; ma è un discorso che non riguarda solo il mondo del calcio, come testimoniano alcune sedute del Parlamento, dalle quali non emergono certo segnali positivi per il Paese. Dopo la tragedia di Catania abbiamo assistito ad un acceso dibattito in cui è prevalsa da un lato, per l’immediato, la volontà di inasprire duramente le misure di polizia per bloccare ulteriori episodi di violenza, e dall’altro, per il futuro, la necessità di dare importanti segnali alle generazioni future; è questo aspetto che richiederà maggiore attenzione, proprio per quello che i giovani rappresentano». SPORTIVA Le Olimpiadi dell'ormone di Antonella Lombardi L’importante non è vincere, ma limonare. Con questo slogan promettente sono arrivati, sulle spiagge italiane, i giochi più provocatori dell’estate, le Olimpiadi dell'ormone. Aspettando Pechino 2008, e con un pensiero al rimpianto gioco della bottiglia e alla canzone Tapparella di Elio e le Storie tese, ci si può allenare per partecipare alle cinque specialità di gara previste: dalla limonata stile libero al salto del reggipetto, alla pelvica sincronizzata, al corpo libero con l’asta e ai quindici metri accoppiati. E’ questo il banco di prova per le millantate - o, se siete fortunati - certificate “abilità” oggetto di discussioni accese fra amici. E così, se i maschietti dovranno slacciare nel minor tempo possibile il reggiseno di una ragazza, sfidando le urla della folla e la solidità di ganci e ferretti con una sola mano, le ragazze dovranno dimostrare di saper “approcciare” un palo da lap dance nel migliore dei modi. C’è chi preferisce farlo parlando al palo, chi osa un ballo mai visto e chi si lancia in improvvisate coreografie. I risultati sono quasi sempre comici, complici le battute taglienti dello Zoo di Radio 105: da Marco Mazzoli, la voce dell’incoscienza, il dj a prova di querela, a Fabio Alisei, genovese con il pesto in tasca, il braccio corto della legge. A Wender, uno dei fondatori dello Zoo, bello e impossibile visto da 600 metri di distanza, a Paolo Noise, vulcanico, le sue battute sono travolgenti come le sue sopracciglia. Da Cefalù a Milano Marittima, passando per Catania e Cattolica, tutti possono partecipare. Per conoscere le tappe delle Olimpiadi è sufficiente andare sul sito e cliccare la sezione “tour” in cui sono indicate le città coinvolte nella manifestazione. Sul sito è inoltre possibile rivedere i video con le proprie... performance. L'importante qui, si sa, non è vincere. Dannata festa delle medie, cantava Elio... |
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