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Telegiornaliste anno III N. 20 (98) del 21 maggio 2007


MONITOR Patrizia Schisa, medicina per passione di Giuseppe Bosso

Incontriamo questa settimana Patrizia Schisa, inviata della trasmissione Elisir su Rai3.
Il suo matrimonio professionale con Michele Mirabella e con Elisir dura da ormai dieci anni: è soddisfatta di questa esperienza?
«Essere chiamata a condividere la conduzione di un programma da servizio pubblico è stata per me una importante crescita professionale, in prima serata e con contenuti di tipo "alto". La diretta non è stato un problema, avendone fatte centinaia, anche in contesti duri; e poi ho sempre amato la medicina, mi è sempre piaciuto studiarla e ho trovato un bel gruppo, con Mirabella e Gargiulo».
Con Elisir ha modo di trattare dal vivo un argomento molto attuale e delicato come la salute e la sanità in generale: ritiene che trasmissioni come la sua dovrebbero avere più spazio proprio per questa importanza?
«Noto con vero piacere che la gente non è mai paga di informazione sul tema, in particolare relativamente agli aspetti, per così dire, “sociali” della medicina; è sicuramente positivo che a questa grande curiosità risponda la crescita di programmi che ne trattano ampiamente».
Qual è il ruolo dell’informazione proprio in uno dei settori più discussi del nostro Paese, come ha recentemente dimostrato la clamorosa inchiesta di L’Espresso?
«Noi di Elisir ci occupiamo di salute e non di sanità istituzionalmente intesa; il fine della trasmissione non è certamente quello di analizzare lo stato del funzionamento o meno del sistema sanitario del nostro Paese, ma a parte questo è sicuramente importante che ci sia un’informazione trasparente anche in questo senso».
Che tipo di interesse ha potuto riscontrare nel pubblico riguardo le sue inchieste?
«La cosa che più mi ha fatto piacere è scoprire, soprattutto tra la gente che incontro per strada, che un programma che era stato pensato principalmente per un pubblico adulto abbia invece ottenuto anche una larga fascia di pubblico giovanile, che si interessa e vuole approfondire le tematiche che trattiamo».
Finora l’abbiamo vista principalmente nelle vesti di inviata: qualora le proponessero una conduzione come affronterebbe questa esperienza?
«Rispetto a quando ho iniziato questo lavoro, molte cose sono cambiate, e portare avanti una conduzione oggi è cosa molto difficile da ottenere. Per quanto mi riguarda, amo il mondo esterno, andare direttamente sul posto dove presentare il mio servizio».
Le piacerebbe trattare argomenti diversi, memore magari della sua esperienza con Arbore tanti anni fa?
«Allora ero una ragazza che si avventurava in un mondo nuovo, adesso ho imparato ad amare soprattutto quello che sto facendo ora; mi piacerebbe, certo, trattare sempre di temi sociali in maniera magari anche leggera, senza però staccarmi del tutto dall’informazione legata al mondo della medicina, che non manca mai di connettersi con la scienza, con l’attualità e anche, perché no, con il costume».
MONITOR Daniela Accadia, il volto giovane di All news di Giuseppe Bosso

Nata a Milano, Daniela Accadia è giornalista professionista dal luglio 2006. Conduce, alternandosi con Barbara Pede, la striscia di informazione All news su All music.
Che tipo di informazione cerchi di fare in All news?
«Ovviamente un’informazione pensata principalmente per quello che è il target dell’emittente, e cioè il pubblico dei giovani: diamo molto spazio nella prima parte alla cronaca estera e alle notizie più leggere, per poi, man mano, dare spazio anche alle ultime novità della musica».
Ti sei laureata discutendo una tesi sul tg web; ti è stato d’aiuto per la tua esperienza?
«In realtà è accaduto l’esatto contrario; ero ancora laureanda quando ho preso parte ad uno stage che mi ha permesso di accedere ad All music, quindi è stata l’esperienza sul campo che mi ha, per così dire, suggerito di impostare una tesi proprio sul lavoro che stavo facendo».
Forse non fa discutere abbastanza lo sciopero dei giornalisti per il rinnovo del contratto di lavoro: cosa ne pensi da diretta interessata?
«Spero possa portare ad ottenere quelle che sono le giuste rivendicazioni, volte a tutelare non solo noi giornalisti ma anche, se non soprattutto, gli utenti, che sono i destinatari del nostro lavoro».
Che rapporto hai instaurato con Barbara Pede, con cui ti alterni nella conduzione di All news?
«Bello, socievole. Si lavora insieme, e si è creata una bella atmosfera all’interno di una redazione molto affiatata».
Dove vuole arrivare Daniela Accadia nel mondo del giornalismo?
«Già essere qui è la realizzazione di un sogno per me. In futuro mi piacerebbe dare maggior spazio all’approfondimento musicale nella striscia, magari anche utilizzando documentari e reportage».
CRONACA IN ROSA Sbatti il mostro in prima pagina di Tiziana Ambrosi

Questa volta è stato un intero paese ad essere colpito dal sospetto, dal dubbio. Molto più spesso accade a singole persone, gente comune e personaggi conosciuti.
Il caso di Rignano Flaminio, alle porte di Roma, è solo l'ultimo di una lunga serie che, accanto ai fatti di cronaca, vede protagonista un certo tipo di giornalismo a tratti morboso e alla ricerca di una facile verità, qualunque essa sia. Anzi: meglio se scabrosa e del tutto innaturale.
Se un gruppo di maestre elementari e una bidella vengono arrestate per pedofilia c'è di che aprire i telegiornali, far chiacchierare gli avventori del bar e magari distrarre da altri avvenimenti più importanti. Da anni le armi di distrazione di massa ci hanno fatto dimenticare, o per lo meno accantonare, i guai del nostro Paese.
Non siamo qui a schierarci con gli innocentisti o con i colpevolisti. Non è certo compito nostro, ma della magistratura, che sta lavorando in tal senso. Quello che vogliamo sottolineare è come molto spesso venga sbattuto il mostro in prima pagina, senza prendere in considerazione le conseguenze.
Sì, perché nell'opinione pubblica, cui viene dato in pasto con molto risalto l'inizio della vicenda - e molto raramente la sua conclusione - il dubbio rimane sempre.
La scarcerazione delle maestre, dopo appena due settimane e in alcuni casi su richiesta del Gip, davvero mette la parola fine? Certo, le indagini sono ancora in corso, ma il dubbio che alla scuola di Rignano non tutto fosse pulito si è insinuato.
E anche quando la magistratura riconosce un imputato innocente per essere del tutto estraneo al fatto, il sospetto continua a strisciare. Il caso più noto è quello di Enzo Tortora. Accusato e processato per collusione mafiosa, portato ammanettato davanti alle telecamere, e infine prosciolto. Chi paga per le sofferenze patite? E chi assicura che sia completamente riabilitato agli occhi del grande pubblico? Forse, un grande "mah..." rimane sempre.
Notizie battute al cardiopalma. Gheddafi ha avuto un malore, Gheddafi sta bene, non è in coma, Gheddafi telefona a Prodi...Un rincorrersi di notizie che non trovano riscontri e si dissolvono in una bolla di sapone.
Erba, Como. Quattro persone uccise e la casa data alle fiamme. Si cerca il marito tunisino di una delle vittime, la pista è quella della droga. Lui la picchiava, lei voleva divorziare. Un mostro. Però forse non c'entra. Pare che l'abbiano rintracciato. Pare siano stati i vicini di casa. No, Azouz Marzouk non è un assassino, ma per molti rimarrà uno spacciatore, uno che picchiava la moglie. La calunnia sarà anche un venticello, ma a spazzarla non basta un uragano.
Forse è quello che il pubblico vuole, o forse è stato educato a volere questo. Plastici della villetta di Cogne e processi pubblici urlati in ogni sorta di trasmissione televisiva.
Nel frattempo è caduto il principio secondo cui una persona è innocente fino a che non venga provata la sua colpevolezza. Anzi molto spesso, distrattamente, tra un boccone e la lavatrice, la "pubblica" sentenza è emessa ancora prima del processo. Quello vero. Riappropriamoci di questo concetto, perché l'onta non si lava più.
FORMAT AAA Nuove idee cercansi di Nicola Pistoia

Ci risiamo. Sono le ore 21.13 di lunedì 7 maggio. Su Rai2 parte un nuovo show, un misto tra Corrida e Portobello, ideato e condotto da Fabio Canino, dal titolo Votantonio Votantonio. Sei concorrenti propongono idee nuove ed originali, talvolta molto bizzarre, per migliorare il nostro Paese. Il vincitore assoluto verrà aiutato dalla produzione a realizzare il proprio progetto, trasformandolo in proposta di legge.
Il primo, il secondo, il terzo e così via fino al sesto partecipante. Si esibiscono tutti. Il programma termina con l’augurio di una buona notte e con l’arrivederci alla prossima puntata.
Una seconda puntata, in realtà, non ci sarà mai. O meglio, esiste una registrazione ma non verrà più trasmessa. Il perché lo si può ben intuire. Anche Votantonio Votantonio è stato colpito dal virus degli ascolti calanti. In verità un primato, il programma di Canino, lo ha raggiunto: è stato l'unico programma, nella storia della tv italiana, a totalizzare un misero 4,96% di share alla prima puntata. Un dato che ha subito spinto i dirigenti Rai a porre una croce definitiva anche su questo show.
Sembra proprio che intorno a Viale Mazzini aleggi un’epidemia: dopo la chiusura anticipata di Colpo di genio con Simona Ventura e Teo Teocoli, dopo le infinite polemiche nate intorno a programmi come Notti sul ghiaccio, La sposa perfetta e Apocalypse show, un ennesimo programma chiude i battenti a causa dell'Auditel.
E pensare che sia Frankestein che Cronache marziane, le ultime due fatiche di Fabio Canino, avevano convinto sia i produttori televisivi sia i telespettatori, grazie anche alla simpatia, alla professionalità e al buon senso del padrone di casa.
Cosa ci riserverà adesso la Rai? Staremo a vedere. Nell’attesa di un riscontro, si spera positivo, si sono aperti i casting per un nuovo reality show: AAA Nuove idee cercansi. Le selezioni si svolgeranno direttamente nell’ufficio del Presidente Petruccioli, all’ultimo piano di Viale Mazzini.
CULT I mille volti dell’editoria di Gisella Gallenca

Numeri da capogiro, grandi autori e sorprese non-stop. L’edizione 2007 della Fiera Internazionale del Libro, che si è conclusa lo scorso 14 maggio, ha riconfermato ancora una volta Torino come la città dei grandi eventi.
Più di 300.000 visitatori da tutto il mondo, e molti “tutto esaurito” per le star ospitate: Wilbur Smith, Dario Fo, Niccolò Ammaniti, Aleida Guevera, Julia Kristeva e Umberto Eco, solo per citare alcuni nomi.
Per l’occasione il Salone si è ampliato, comprendendo al suo interno TorinoComics, uno degli appuntamenti emergenti per l’editoria fumettistica italiana. E ancora, uno spazio Bookstock, che ha ospitato workshop, letture, proiezioni di cortometraggi, e altre, svariate, iniziative. Infine, Lingua Madre, una vera e propria arena di confronto e scambio tra le diverse culture del mondo.
Si è parlato di narrativa, di scienza, di giornalismo, di cinema e di nuovi media, esplorando a 360° gradi la nuova figura dello scrittore. E del lettore. Sono emersi nuovi trend: fenomeni di nicchia, destinati però ad diffondersi nei prossimi anni.
I nuovi media diventano un efficace mezzo di promozione per i prodotti editoriali, dando la possibilità di riassumere intere storie in poche immagini: sono i booktrailers, la nuova frontiera dei libri in televisione. Attenzione focalizzata sull’universo Internet anche per Vittorio Sabadin, che ha presentato il suo libro L’ultima copia del New York Times: una riflessione su come stanno cambiando le esigenze del pubblico, e su come il mondo dell’informazione potrà evolversi, mettendo al primo posto la velocità.
Ma anche idee per un giornalismo che sa rinnovarsi, utilizzando il commento ai fatti come arma vincente. A volte, ricorrendo all’ironia. Ed è così che le acute invettive di Massimo Gramellini diventano un libro: Ci salveranno gli ingenui, la raccolta del meglio di Buongiorno, rubrica che da anni addolcisce la mattinate dei lettori della Stampa.
Sulla stessa linea, Com’è dolce Parigi… o no!?, di Antonio Caprarica, famoso giornalista televisivo, apertamente anglofilo ma curioso di capire meglio i francesi, gli europei che più ci somigliano.
L’ironia disincantata è l’ingrediente principale di molta narrativa. Un esempio per tutti, Un’estate al mare di Giuseppe Culicchia: un ritratto grottesco della società moderna, che mette il lettore davanti a uno specchio.
In contrapposizione al registro iperrealistico, il successo crescente per la narrativa fantasy. Un pubblico variegato, di tutte le età e di tutte le estrazioni sociali, ha partecipato con grande interesse alla presentazione di Le due guerriere della bestsellerista italiana Licia Troisi. Mentre sul versante fumetti, la Bonelli ha proposto la graphic novel Dragonero.
Infine, la letteratura che incontra il turismo culturale: Una Mole di parole, passeggiate nella Torino degli scrittori, vera e propria guida curata da Alba Andreini. Per guardare la città con occhi diversi.
DONNE Da Aurore a George, storia di una donna indipendente di Erica Savazzi

Conquistare la propria libertà, essere indipendente, vivere alla propria maniera, in positivo o in negativo.
E' difficile ora, immaginate due secoli fa. Eppure c’è chi ce l’ha fatta, e l’indipendenza è coincisa con un cambio di nome: Aurore Dupin, moglie e madre, diventa George Sand, scrittore di successo.
Allora, a Parigi, George - Aurore era famosa, unica donna tra scrittori di inizio Ottocento del rango di Balzac, Hugo, Musset, Dumas.
Sposata a diciassette anni con Casimir Dudevant – forse per sfuggire a una madre oppressiva – ben presto si accorge che il matrimonio non funziona: Casimir non ha le sue stesse passioni - tra tutte la lettura e la musica - e non ama il comportamento "libero" della moglie. I due arriveranno a un accordo: niente divorzio, ma in compenso Aurore si stabilirà a Parigi con i due figli.
A Parigi Aurore soddisfa il suo desiderio di lavorare e di mantenersi da sola. Scrive per Le Figaro e inizia a dedicarsi alla letteratura. Il primo romanzo lo scrive a quattro mani con Jules Sandeau, suo amante, e con l’aiuto di Balzac. L’opera, intitolata Rose et Blanche, sarà firmata con lo pseudonimo J. Sand. L’anno successivo, nel 1832, esce Indiana, scritto autonomamente e firmato come G. Sand: fu un grande successo.
La vita sentimentale di George Sand fu complicata e spesso infelice, anche se nella maggior parte dei casi fu lei a scegliere di tagliare i rapporti coi suoi compagni. In particolare ricordiamo i suoi legami con Alfred de Musset, lasciato per l’italiano Pietro Pagello; con l’avvocato Michel de Bouges, con il compositore Chopin, relazione che durò più di undici anni, e con Alexandre Manceau, ultimo amore che assistette fino alla morte per tubercolosi.
Cresciuta con la nonna in campagna, George Sand era una persona estremamente libera e progressista. Repubblicana ai tempi delle rivoluzioni antimonarchiche del 1848, poi delusa per la mancata concessione del diritto di voto universale femminile, le fu proposto di entrare a far parte della prestigiosa Académie Française. Per tutta risposta scrisse un opuscolo. In cui affermava che non c’era ragione per le donne di entrare in una istituzione vecchia come l’Accademia, non perché “virgulti troppo giovani”, ma perché “troppo maturi”.
Dal 1830 alla sua morte, avvenuta nel 1876, Aurore scrisse ininterrottamente: la sua opera completa è di 109 volumi, tra Correspondance, una biografia (Histoire de ma vie) e svariati romanzi, tra cui Jeanne, La petite Fadette e La mare au diable. Ancora oggi i suoi libri sono pubblicati sotto lo pseudonimo di George Sand. Non sappiamo se per un'amara ironia.
TELEGIORNALISTI Guido Meda, la voce dello sport di Nicola Pistoia

Conduttore storico di Studio Sport, tg sportivo di cui ha presentato oltre 1.500 edizioni, Guido Meda ha inaugurato e reso famoso lo stile inedito del cronista del Moto GP.
Lo abbiamo incontrato per cercare di svelarvi il segreto della sua originalità.
Quando da piccolo ti chiedevano cosa volevi fare da grande, come rispondevi?
«Il pilota d’aerei. Poi il medico, chirurgo per la precisione. Oppure il veterinario!
Però ero curioso, mi piaceva parlare, raccontare. Sapevo che la scelta giusta sarebbe stata quella di provare a fare il giornalista. Come molti di noi, mi figuravo inviato di guerra».
C'è Indro Montanelli all'inizio della tua carriera...
«Cominciai a collaborare con il Giornale diretto da Indro che avevo vent’anni. Portavo storielle di cronaca che a volte venivano pubblicate a volte no, poi storie di sport. Milano in quegli anni ne era ricca: basti pensare al grande Milan di Sacchi. Quella squadra generava racconti e notizie in maniera incredibile, e me ne appassionai pur essendo interista. Mi avvicinai alle pagine sportive del Giornale, c’era gente in gamba che poi ho ritrovato nel corso della mia carriera: Umberto Zapelloni (ora vicedirettore alla Gazzetta dello Sport), Massimo Concione, il povero Titta Pasinetti. Mi insegnarono un mestiere, mi lasciai coinvolgere e fui assunto dalla Fininvest nel 1988, quando nasceva l’avventura sportiva di Tele Capodistria. Da lì in poi sono rimasto in tv, con la stessa squadra. Ho condotto più di 1.500 edizioni di Studio Sport, ho fatto il telecronista, l’inviato, ho curato speciali, ho fatto delle puntatine nel varietà. Ho fatto cose giuste e commesso errori enormi. Sono cresciuto. Avevo una passione per le moto che tenevo mia, da motociclista praticante, al di fuori del mio lavoro, fino al 2002 quando la rinuncia di Nico Cereghini ha fatto sì che io venissi candidato per la nuova avventura Mediaset del motomondiale. Presa al volo, ovviamente!».
La tua voce è diventata ormai un'icona del giornalismo italiano: sei l'erede di Pizzul e di Ciotti, tanti giovani telecronisti ti imitano...
«Non me ne accorgo mai, a meno che non ci sia qualcuno come voi che me lo fa notare: mi fa un piacere enorme. Trasmettere ciò che ho imparato in questi anni a chi ha meno esperienza di me è uno degli aspetti che preferisco della mia vita in redazione. Senza dubbio. Purché imitarmi non diventi uno scimmiottare grottesco».
Il tuo stile lo hai studiato a tavolino, è frutto di consigli o è pura spontaneità?
«Non ho cercato di codificare uno stile. L’unica cosa che faccio è quella di cercare di essere il più possibile a mio agio con me stesso, con il microfono e con i miei interlocutori. Non mi imposto, non imposto la voce, non cerco per forza un linguaggio forbito, non controllo le emozioni. Le mie dirette motociclistiche sono troppo lunghe (comincio alle 10.30 la mattina e finisco alle 16.00) per poter mantenere un contegno televisivo ortodosso.
Poi il motociclismo è fatto di fiammate, di impennate, di sorpassi, di rumore. Adeguare il mio modo di raccontare alle corse è la cosa più semplice e istintiva che potessi fare. Mi spiace quando trovo qualcuno che non si identifica nel mio modo di far telecronaca perché pensa che io reciti una parte o che certe cose le penso di notte. Niente di più falso. Come certi telecronisti giocano (o hanno giocato) a pallone, io metto benzina alla mia passione andando in pista con la moto tutte le volte che posso. Mi fa sentire più vicino ai piloti, mi fa capire meglio le loro azioni».
Il tuo giudizio informato sullo sport italiano. Come è cambiato? Cosa c'è da fare?
«Sappiamo benissimo tutti che alimentare la cultura sportiva è sempre più difficile quando gli interessi sconfinano nell’enorme, come accade non direi per lo sport, ma per il calcio. Io non mi scandalizzo per quello che succede, io mi vergogno per i singoli che le cose le fanno accadere. Molti di noi raccontano lo sport esasperando certi temi, mettendo pepe nel piatto della polemica, ma rimanendo entro il limite che le regole del buon giornalismo ci impongono. Quindi non si getti la responsabilità di quello che accade o è accaduto solo sui giornalisti o sulla tv come cercano di fare in molti. La verità è che dove c’è potere c’è gioco per accrescerlo. E i giornalisti che nel gioco di potere entrano sono pochissimi. E’ lo sportivo come “modello” che oggi è sbagliato».
Le virtù attribuite allo sport dalla Grecia classica in poi non valgono più?
«Lo sportivo non è più un’icona educativa da trasmettere a chi viene dopo di noi. Capito questo, si può lavorare per le regole e per il loro rispetto. Non mi illudo che lo sport torni ad essere un valore educativo. Mi illudo che si possa fare un piccolo passo indietro, che si possa insegnare ai ragazzi il valore della fatica e il bello dell’agonismo. Ma ora è bene trasmettere anche quanto di pericoloso ci sia nel professionismo sportivo, nel denaro facile, nel successo sudato sì o no».
Vale per lo sport in genere o solo per il calcio?
«E’ il calcio che va oltre lo sport, molto oltre, ma non è malato. Essendo molto grande è anche molto difficile da gestire. Ascolta i conduttori sportivi quando dicono Adesso parliamo di sport: il Milan, eccetera: nemmeno specificano di cosa stanno parlando. Va da sé che si parla di calcio.
Se ne parla troppo? Forse sì, ma il male dov’è? Siamo noi, è il nostro Paese, la nostra cultura, la nostra economia delle idee. Pensare di cambiare tutto radicalmente è utopia e moralismo spicciolo. Ci sono problemi molto più grossi che poi ricadono anche sul calcio, ma non è il calcio la loro origine. Il Mondiale vinto ci ha restituito un’immagine positiva del calcio italiano in tempi rapidissimi. Gli atleti hanno fatto il loro dovere, noi abbiamo sventolato uniti la bandiera italiana.
Poi a Catania è morto un uomo. Tra i tifosi si annidano i criminali, ma i tifosi non sono criminali. Tra i dirigenti si annidano gli imbroglioni, ma i dirigenti non sono imbroglioni».
Cosa ti piace guardare in tv oltre lo sport?
«Di tutto, non ho pregiudizi. Mi ritrovo a guardare con mia moglie ogni genere di reality show e non me ne vergogno. Ho anche la lacrima facile. Guardo molto i canali tematici, prediligo l’informazione. Apprezzo molto i telefilm americani che sono in voga ora, meno le grandi fiction. Guardo molto i tg e gli avvenimenti sportivi di ogni genere. Se dovessi scegliere su quale unico canale inchiodare il mio telecomando forse sceglierei Sky Tg 24, anche se a volte mi irritano i conduttori bambolotti e belli per forza».
Se le offrissero di condurre un programma non sportivo, magari uno musicale, accetterebbe?
«Perché no? Però vorrei capire bene di cosa si tratta. Musicale non basta. Legare con degli interventi uno all’altro dei videoclip musicali non credo che mi interesserebbe. Era un programma musicale Sarabanda? No, perché all’inizio era divertente, poi alla fine era scaduto nel trash.
In tv bisogna stare molto attenti a dove si mettono i piedi. A volte ti capitano cose che sembrano belle e pulite e poi scopri di aver sbagliato. Poi recuperare è difficilissimo. L’ho fatto per un po’. Accettavo di tutto. Ho fatto l’inviato delle trasmissioni più strane. Ora sono cambiato. Sconfinare mi piace e trovo che non ci sia nulla di male, ma anche con le semplici ospitate che ogni tanto ci vengono proposte sono diventato molto selettivo».
Un ricordo del tuo e nostro collega, Alberto D'Aguanno.
«Finisco solo per aggiungere lodi alla massa di lodi che già i miei colleghi hanno tessuto di lui. Alberto è arrivato con me, qui, nel 1988. E’ stato uno dei colleghi con cui ho riso di più, mentre sul lavoro ridiamo sempre meno. Alberto aveva ironia, senso dell’umorismo, magari nero, sarcastico, ma ne aveva tanto. Avevamo una passione comune per il genere demenziale, ci trovavamo spesso a parlare come gli Elio e le storie tese, sdrammatizzando anche i fatti più seri che riguardavano la nostra quotidianità.
Il primo ad arrivare la mattina, molto brontolone; gli piaceva raccontare che tutte le sfighe capitavano a lui. Si era auto - soprannominato Paperino. A volte, forse, gli capitavano davvero, ma era abilissimo a guidare il suo destino professionale cercando la perfezione.
Come era preciso lui nel cercare la battuta di sicuro effetto, la definizione che una migliore era impossibile trovarla, così pretendeva lo stesso tipo di atteggiamento da chi gli lavorava accanto. Coraggiosissimo, anche nel rapporto coi potenti, una virtù preziosissima nel nostro mestiere. E lui era così bravo da poterselo permettere, da risultare inattaccabile. Alberto è stato uno che ha fatto strada per davvero, partendo dal basso, guadagnandosi gli spazi. Una battuta di spirito, o una battuta cattiva da lui aveva un senso. La stessa battuta fatta da altri che, dopo due giorni che hanno messo piede in tv, si permettono di sparare qualsiasi cosa ha un altro effetto, anzi, ha un effetto pessimo. Alberto aveva dato un senso al percorso di ricerca della credibilità che ognuno di noi dovrebbe fare. Lui ci era riuscito. Se tutti facessero come D’Aguanno avremmo l’informazione televisiva con la I maiuscola, pressoché perfetta. Mi manca da pazzi. Gli ho proprio voluto bene».
OLIMPIA Cristina Cini, pioniera delle donne arbitro di Mario Basile

Il premio Marisa Bellisario è uno di quei traguardi che per una donna in carriera hanno un sapore particolare.
In un’epoca dove le donne cominciano a raccogliere i primi frutti di un’emancipazione cominciata oltre trent’anni fa, aggiudicarsi un riconoscimento che «premia le donne che si sono distinte nella professione, nel management, nella scienza, nell'economia e nel sociale a livello nazionale ed internazionale», non è cosa da poco.
Quattro anni fa la fiorentina Cristina Cini ci è riuscita. Di professione arbitro e, all’occorrenza, guardalinee, il suo nome salì alla ribalta quando fu designata come assistente dell’arbitro Dattilo in un Triestina – Venezia del settembre 2002.
Emozionata? Macché. Giusto il tempo di superare l’iniziale momento di empasse e poi via sciolta, sulla fascia a segnalare rimesse laterali e fuorigioco.
E come reagirà, ci si chiese, alle eventuali proteste di pubblico e calciatori? All’esordio la Cini, mise a tacere anche i più dubbiosi, non lasciandosi sfuggire di mano la situazione e non facendosi condizionare dai coretti “poco simpatici” che il pubblico riserva alla terna arbitrale.
Del resto Cristina Cini non era certo l’ultima arrivata. Nel 1990 si era iscritta al Corso per Arbitri indetto dalla FIGC, il primo aperto anche alle donne, e l’anno seguente aveva fatto il suo debutto su un campo da calcio da arbitro. Fu, quello, un punto di partenza della sua carriera, cominciata per gioco e diventata poi fonte di belle soddisfazioni. Tutto senza tralasciare il suo lavoro principale di riproduttrice di stampe artistiche; il suo primo amore, l’atletica leggera; e la sua famiglia.
Le oltre duecento presenze sui campi dilettantistici le valgono, nel 1999, la promozione in Serie C. La gavetta, fino al passaggio in Serie B e il passo obbligato, visti gli ottimi risultati, in Serie A.
24 maggio 2003: è questa la data da ricordare per Cristina Cini. Il designatore la sceglie per coadiuvare l’arbitro Tiziano Pieri nella partita Juventus – Chievo. Poi il meritato premio Bellisario, condito da una motivazione che è tutta un programma: «Per essere divenuta la prima guardalinee donna del campionato di calcio professionistico. Per aver saputo interpretare il suo ruolo con una serietà, una naturalezza e un rigore che hanno zittito ogni gratuita prevenzione».
Sono passati oramai quattro anni. Cristina Cini è ancora l’unica donna guardalinee dei nostri campionati professionistici. Le altre sue colleghe vivacchiano nelle serie dilettantistiche. Stime recenti dicono che sono oltre 1.300 quelle iscritte all’AIA. Un numero elevatissimo rispetto agli altri Paesi.
All’estero diverse donne arbitro sono già arrivate al livello professionistico, alcune hanno persino fatto parte di terne arbitrali in occasione di partite di coppa.
Altro calcio, altra cultura.
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