Tanta voglia di informazione. Le vocazioni al giornalismo
di Filippo Bisleri
La difficoltà di raccontare la verità. Le insidie più o meno occulte nei
luoghi di guerra tra popoli o di faide interne ad un popolo. Ma anche le
difficoltà di raccontare le dinamiche perverse che regolano il comportamento
delle tribù dei tifosi-ultrà delle diverse squadre di calcio.
Vetrina naturalmente per Ilaria Alpi e per la sua dolorosa vicenda che,
nel 1994, l’ha accomunata nella morte al suo operatore Miran Hrovatin. Sulla
vicenda Alpi-Hrovatin tanto è stato detto e tanto è stato scritto. Di certo
possiamo dire che Ilaria Alpi, una dei tanti giornalisti che hanno pagato con la
vita il desiderio di raccontare la verità sui fatti del mondo (come più
recentemente è accaduto per l’altra giornalista italiana Maria Grazia Cutuli
- di cui ci occuperemo prossimamente), è senza dubbio diventata l’icona del
giornalismo inchiesta, del giornalismo che vuole fare luce sulla verità. Ilaria
Alpi ha dato la vita, è una martire dell’informazione.
Un’informazione che, poi, qualche problema lo pone ai colleghi
chiamati a “spiegare” le escandescenze degli ultrà del calcio che hanno rovinato
un appuntamento da mondovisione come l’euroderby Inter-Milan. Colleghi che si
trovano, loro malgrado, alle prese con altri colleghi che per giorni,
nell’attesa delle partite, fomentano i dubbi, i sospetti. E allora il
giornalista che vuole fare correttamente il suo mestiere è assalito dai dubbi,
dal timore di essere proprio lui che, raccontando dei petardi o del gol
annullato, crea agitazione nelle tifoserie e arma le mani dei teppisti. Fare
informazione è, però, dire tutto, senza reticenze, senza se e senza ma.
Fa invece piacere notare come, dati alla mano, sia entrato in crisi il mondo
dei realities. Dopo la sbornia di “Grande Fratello” & company, il morbo di
curiosità che accaniva gli italiani sembra essere stato vinto con l’adeguato
vaccino. Meno male. Anche perché, ai tempi d’oro dei grandi ascolti dei
realities, al telespettatore poco importava di sapere se quello che veniva
mostrato era studiato a tavolino o accadeva per casualità. Verrebbe da dire che
aveva ragione il grande cineasta Akira Kurosawa proponendoci un film nel quale
lo stesso evento, visto da personaggi diversi, portava a ricostruzioni diverse.
Infine, venendo a “Ballarò”, bravo Floris ad ospitare il Presidente del
Consiglio, Silvio Berlusconi, reduce da una “scoppola” alle consultazioni
regionali. Certo, Berlusconi ci ha “messo la faccia” del tutto a sorpresa
assicurando ai telespettatori un momento di spettacolo, ma va anche fatta una
riflessione se quello sia stato un momento di informazione o una tribuna
politica extra in cui i nostri politici, di qualunque schieramento, dimostrano
di sapersi muovere meglio. Certamente meglio della capacità di capire i reali
problemi (e sono molti) dei cittadini e dell’informazione.
Perché le vocazioni al giornalismo non mancano, ma poter fare i giornalisti in
modo autentico e pieno è sempre più difficile.
MONITOR
Giornaliste di
frontiera: Ilaria Alpi
di Silvia Grassetti
Ilaria Alpi è nata il 24 maggio 1961 a Roma, ha conseguito il diploma di
maturità classica presso il liceo “Tito Lucrezio Caro”, e si è laureata il 3
dicembre 1986, col massimo dei voti, in Lingue e Letterature straniere moderne
presso l’università capitolina “La Sapienza”. Conosceva e parlava l’arabo, il
francese e l’inglese.
Ha collaborato con “Paese Sera” (1987), “L’Unità” (1988 – 1989), “Il
manifesto”, “Rinascita” e “Noi donne”. ed è stata
corrispondente da Il Cairo per “Italia Radio”.
E’ stata iscritta all’Albo dei Giornalisti, elenco Pubblicisti, nel 1989, lo
stesso anno in cui, da praticante giornalista, è arrivata prima al concorso
di ammissione in RAI. Nel marzo del 1990 è passata a RAI Sat; nel dicembre
dello stesso anno è stata trasferita alla redazione Esteri del Tg3.
Nell’ottobre del 1992 ha superato l’esame da giornalista professionista. E’
stata inviata in Somalia sette volte, dal dicembre 1992 al marzo 1994. Aveva già
lavorato come inviata del Tg3 in Marocco, a Zagabria, Belgrado e Parigi.
Il 20 marzo 1994 è stata uccisa in un agguato a Mogadiscio, insieme al suo
operatore televisivo Miran Hrovatin.
Barbara Carazzuolo è una giornalista di “Famiglia Cristiana” che
da anni, insieme ad Alberto Chiara e Luciano Scalettari (con i quali è autrice
del libro “Ilaria Alpi, un omicidio al crocevia dei traffici”, ed.
Baldini & Castoldi) si interessa del “caso Alpi”; ha fatto parte della
Commissione Parlamentare d’inchiesta relativa per la sua profonda conoscenza e
analisi dello scenario e dei personaggi apparsi sul palcoscenico di questa
triste vicenda. Vogliamo riportare qui un suo intervento in merito:
«Non ho mai conosciuto Ilaria Alpi (…). Ma dopo questi anni passati a cercare di
capire, da collega, il perché della sua morte e di quella di Miran, una cosa
posso dire di sapere con certezza. Ilaria era una gran brava giornalista,
dotata di curiosità e rispetto, passione e compassione, amore per la verità e
ribrezzo per l’arroganza, la prepotenza, l’ingiustizia. E queste sono le
qualità di un buon giornalista, quelle che fanno la differenza tra chi fa questo
mestiere con amore ed onestà, credendo che possa servire a rendere il mondo un
posto migliore, e chi lo fa con calcolo pensando che possa servire a rendere
migliore la sua personale posizione in questo mondo. (…) Razionalmente mi
ripugna l’idea che vincano i cattivi, non mi piace pensare che alcuni colpi di
mitra o di pistola possano mettere a tacere non solo le vittime ma anche i loro
compagni di lavoro, e odio l’idea che il potere, ma sarebbe meglio dire “i
poteri”, siano più forti della giustizia e della verità. Raccogliere il
testimone, certe volte, è un dovere.»
MONITOR
Ilaria Alpi, il più
crudele dei giorni
di Tiziana Ambrosi
Il 20 Marzo è ricorso l’undicesimo anniversario dell’uccisione a Mogadiscio
dell’inviata del tg3 Ilaria Alpi e del telecineoperatore che la
accompagnava nel suo lavoro, Miran Hrovatin.
Rai3, per l’occasione, ha trasmesso il film di Ferdinando Vicentini Orgnani
“Ilaria Alpi, il più crudele dei giorni”, in cui Giovanna Mezzogiorno
interpreta il ruolo di Ilaria.
Dal punto di vista cinematografico, la pellicola pecca delle solite affezioni
tipiche del cinema italiano: alcuni passaggi risultano poco chiari, in qualche
punto la recitazione è al di sopra delle righe, i mezzi non sono dei più
sofisticati, ma d’altra parte non siamo a Hollywood.
Complessivamente, a prescindere dall’argomento trattato, lo si definirebbe un
film discreto.
La sua marcia in più tuttavia sta proprio nella vicenda che tratta: la
storia di Ilaria e Miran ha infatti scosso l’Italia per la brutalità con cui
sono stati uccisi.
Dubbi, stranezze, scomparse di materiale si sono avuti da subito (come documenta
anche il film), facendo sì che la vicenda apparisse poco chiara.
Dopo undici anni ancora non è stata accertata la verità, anche se ipotesi (per
altro piuttosto concrete) su modalità e moventi dell’omicidio sono trapelate.
Il film ripercorre innanzitutto l’incontro tra Miran e Ilaria, entrambi
professionisti conoscitori di luoghi e di modi di comportamento in situazioni
delicate (certo è che fare l’inviato di guerra non è da tutti) durante la guerra
nella ex Jugoslavia. La storia si dipana poi nella realtà della redazione romana
della Rai, tuttavia con il pallino di Ilaria per ciò che stava accadendo in
Somalia.
Il regista adotta sicuramente una linea coraggiosa, facendo nomi e
dichiarando esplicitamente quel che per lui è il movente (sarà la magistratura,
forse, ad avallare o smentire): la scoperta di un traffico di rifuti tossici
proveniente dai Paesi occidentali e seppelliti sotto le terre somale.
E indubbiamente fa riflettere che sulle coste della Somalia, dopo l’arrivo
dell’onda anomala proveniente dall’Oceano Indiano (causata dal terremoto del 26
dicembre scorso in Asia), la sabbia portata via dal mare abbia scoperto dei
depositi di bidoni con scorie tossiche, notizia passata in secondo piano,
vista l’emergenza e l’angoscia di quei giorni.
Un film da vedere, per ricordare due professionisti che hanno fatto fino in
fondo il loro lavoro, con passione, alla ricerca di quella verità che tutti noi
dobbiamo pretendere.
In conclusione una curiosità: nel film compare anche un ricordo per Maria
Grazia Cutuli. E' la giornalista con accento siciliano che intervista i
genitori di Ilaria nella loro casa. Maria Grazia Cutuli, legata ad Ilaria
dalla stessa passione per la verità e dallo stesso destino in una terra,
l’Afghanistan, sconvolta dalla guerra.
CAMPIONATO
Luisella da 10
di Rocco Ventre
Nel girone 2 Luisella
Costamagna
vince anche lo scontro diretto con la
Todini ed è l'unica concorrente del campionato ad essersi
aggiudicata 10 vittorie su 10 gare.
Vanali che aggancia in classifica proprio la
Todini al terzo posto.
Vittoria facile per la
Capulli che
conserva il secondo posto , mentre
Di Gati e
Guerra rimangono
nella scia della zona playoff.
Nel girone 1
Tiziana Panella, ancora imbattuta,
approfitta della vittoria della
Moreno
sulla
Mattei (prima sconfitta stagionale) e si porta solitaria in
testa alla classifica. Vince anche
Ilaria D'Amico
che insieme alle 3 prima citate forma un formidabile quartetto in fuga
verso i play-off. Sconfitta pesante per la campionessa in carica
de Nardis sempre più
invischiata nella lotta per non retrocedere.
CRONACA IN ROSA Il caso Ilaria Alpi: una ricostruzione del
contesto, il punto sulle indagini
di Silvia Grassetti
Dopo 11 anni di depistaggi e insabbiamenti, c’è finalmente la
possibilità che sia fatta luce sull’omicidio di Ilaria Alpi: tornano
infatti in queste ore da Nairobi i componenti della Commissione
parlamentare d’inchiesta che negli ultimi giorni hanno ascoltato alcuni
testimoni oculari del duplice omicidio della giornalista italiana e del
suo operatore tv Miran Hrovatin.
Un altro importante obiettivo della trasferta della Commissione è
ottenere la consegna dell’auto su cui si trovavano la Alpi e Hrovatin al
momento dell’uccisione, dalla cui perizia potrebbero scaturire riscontri
definitivi sulla dinamica del duplice omicidio – non appena avremo
ulteriori notizie vi aggiorneremo su queste pagine.
Carlo Taormina, Presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sul
caso Ilaria Alpi, ha annunciato il mese scorso che sono oggi noti i nomi
del mandante e dei 6 componenti del commando che il 20 marzo 1994 a
Mogadiscio uccise Ilaria e Miran.
Ma 11 anni di indagini, processi e inchieste non sono finora bastati a
far luce sulla vicenda. In attesa dell’esito della trasferta africana
della Commissione, cerchiamo di darvi una breve ricostruzione dei fatti
e del contesto in cui sono avvenuti.
Nel 1994 in Somalia era ancora in corso l’operazione ONU Restore Hope,
sponsorizzata dagli USA, che doveva pacificare le fazioni locali in
guerra tra loro; anche l’Italia era presente con il contingente militare
denominato Ibis.
Ilaria era a Mogadiscio dal 12 marzo di quell’anno (era la settima
trasferta) per realizzare servizi telegiornalistici sul ritiro dalla
città del contingente italiano.
Nei giorni immediatamente precedenti all’agguato in cui morì, la Alpi
era stata a Bosaso, un piccolo centro portuale del nord del
Paese, dove aveva intervistato il sultano locale, Abdullahi Mussa
Bogar.
Purtroppo non sappiamo se l’intervista fosse incentrata sul presunto
traffico di armi fra l’Italia e la Somalia: gli appunti della
giornalista o non sono mai stati trovati, o sono in mano alla
Commissione d’inchiesta, coperti da segreto.
Sappiamo però che a Bosaso Ilaria venne a conoscenza del sequestro della
nave Farah Omar, donata dalla Cooperazione Italiana al Paese africano,
ufficialmente adibita al trasporto di pesce; e intervistò alcuni membri
dell’equipaggio che affermarono che spesso quel tipo di navi trasportava
armi o effettuava traffici illeciti con l’Italia.Il 20 marzo 1994,
alle 14.43, l’agenzia ANSA informava che “la giornalista del Tg3
Ilaria Alpi e il suo operatore (…) sono stati uccisi oggi pomeriggio a
Mogadiscio nord in circostanze non ancora chiarite. Lo ha reso noto
Giancarlo Marocchino, un autotrasportatore italiano che vive a
Mogadiscio da dieci anni”.
Ilaria e Miran si trovavano a bordo di una Toyota Land Cruiser quando
da una Land Rover verde, parcheggiata in strada, venne aperto il fuoco
contro di loro. L’autista e la guardia del corpo non riportarono
conseguenze, mentre la Alpi e il suo operatore morirono sul posto.
Accorsero subito il citato Marocchino e giornalisti e operatori
televisivi: la troupe della tv americana ABC e quella
dell’emittente svizzera – italiana RTSI. L’operatore della ABC
sarà rinvenuto cadavere dopo qualche mese in un hotel di Kabul; quello
della RTSI, Vittorio Lenzi, è morto a causa di un incidente stradale, di
cui non è mai stata chiarita la dinamica, avvenuto sul lungolago di
Lugano.
Il sospetto, non ancora confermato, è che Ilaria Alpi fosse in possesso di
informazioni scomode e prove filmate su un traffico illecito di armi,
scorie radioattive e/o rifiuti tossici dai Paesi dell’ex Patto di
Varsavia verso la Somalia, effettuato con le navi donate dalla
Cooperazione italiana alla Shifco – società appartenente allo Stato
somalo che gestiva una flotta di pescherecci. Ed è singolare come non
siano mai stati trovati gli appunti della giornalista di Rai 3, né la
macchina fotografica, né tutto il girato delle troupes televisive sul
luogo del duplice omicidio.
A detta di Carlo Taormina, “le cose indicate come causali sono tutte
vere: incredibili traffici di armi e rifiuti di ogni genere, la
Cooperazione. Tutto ciò è un dato che consideriamo acquisito. Il
problema è se ciascuna delle situazioni possa tradursi in elemento di
prova”. E il Presidente della Commissione d’inchiesta aggiunge:
“Si può ragionevolmente ritenere che il Sismi, la struttura più
direttamente implicata nelle indagini sulla morte di Ilaria Alpi e Miran
Hrovatin, abbia mostrato gravissime lacune dal punto di vista
dell’acquisizione dei dati per l’inchiesta”.
Per tentare di chiarire questo aspetto, facciamo un passo indietro nel
tempo: è il 1993, Ilaria si trovava a Mogadiscio, e, tra i pochi
italiani presenti in Somalia in quel periodo, c’erano Vincenzo Li
Causi, maresciallo del Sismi, e Giancarlo Marocchino.
Quest’ultimo conosceva sia l’una che l’altro.
Vincenzo Li Causi è stato ucciso il 12 novembre 1993 in circostanze
misteriose. E il 13 giugno 1995 verrà trovato ucciso anche Marco
Mandolini, paracadutista della Folgore, stretto collaboratore e
amico di Li Causi. Lo troveranno cadavere sulla spiaggia di Livorno,
ucciso da 40 coltellate e con la testa fracassata.
Un documento riservato del Sismi proverebbe la collaborazione tra
Li Causi e Mandolini nel trasporto di materiale bellico dal porto di La
Spezia al porto di Trapani, all’aeroporto militare trapanese, alla
Somalia. Traffici “sospetti” che erano stati filmati clandestinamente
dal giornalista Mauro Rostagno, ucciso anch’egli il 26 settembre
1988 in circostanze a loro volta mai chiarite. E ancora: Rostagno era il
fondatore della comunità Saman (associazione no-profit che opera
dal 1981 per il recupero di tossicodipendenti), la quale avrebbe
realizzato alcuni progetti in Somalia, negli anni successivi alla morte
di Rostagno, ma le cui imbarcazioni, secondo alcune segnalazioni,
sarebbero state usate per trasportare armi.
E non è tutto. Nell’ottobre del 1993 Franco Oliva, un contabile
inviato dal Ministero degli Affari Esteri per gestire i fondi e i beni
dei progetti straordinari, fu vittima di un attentato che solo
per una casualità (la presenza di una equipe medica rumena sul luogo)
non si tramutò in omicidio; venne quasi subito disposto il trasporto
aereo in Italia contro il parere dei medici, secondo i quali il
trasferimento del ferito ne avrebbe causato la morte; e lo stesso
trasporto fu effettuato in totale assenza di sicurezza, a bordo di un
aereo non pressurizzato, non climatizzato, staccando addirittura i
drenaggi dal corpo del ferito.
Si è praticamente trattato di un miracolo, se Oliva si è salvato. Ma non
è servito a molto: le sue denunce per tentato omicidio sono state
archiviate. Ed è lo stesso Oliva a fare il nome del presunto mandante
dell’agguato che poteva costargli la vita: Giancarlo Marocchino. Oliva
lo ha detto alla Commissione parlamentare di inchiesta
nell’esame testimoniale dello scorso 6 ottobre
2004.
L’ex contabile del Ministero ha anche fornito una testimonianza sulle
ultime ore di vita di Vincenzo Li Causi: il rientro in Italia di
quest’ultimo sarebbe stato posticipato di una settimana rispetto al
previsto, fatto che al maresciallo del Sismi causò uno stato di
agitazione molto forte, «era semplicemente terrorizzato», riferisce
Franco Oliva. E in effetti, fu quella la settimana in cui Li Causi venne
ucciso. Oliva ne fu informato, convalescente, mentre si trovava
ricoverato per le gravi ferite riportate nell’attentato ai suoi danni.
Franco Oliva ha detto alla Commissione d’inchiesta molte altre cose,
dipingendo lo scenario del classico “magna-magna” di tradizione italica
da Prima Repubblica: diversi enti, società, associazioni, privati,
intenti a ritagliare la propria fetta di torta dal traffico, lecito o
illecito, di beni e mezzi con la Somalia. A partire dai servizi che
Giancarlo Marocchino offriva dietro pagamento, utilizzando, sempre a
detta di Oliva, risorse che appartengono allo Stato Italiano.
Di Marocchino sappiamo che viveva in Somalia da una decina d’anni,
all’epoca dell’omicidio di Ilaria Alpi, che forniva servizi di trasporto
in tutto il Paese, che sua moglie fa parte della famiglia di Ali Mahdi,
era cioè una parente stretta del primo Presidente somalo del dopo Siad
ad interim, membro del governo di transizione, indicato dalla Digos di
Udine come uno dei sei mandanti dell’omicidio Alpi – Hrovatin.
Insieme, tra gli altri, a: Abdullahi Mussa Bogar, il sultano che
Ilaria aveva intervistato poche ore prima di morire, e Omar Said
Mugne, l’armatore della flotta Shifco.
La verità sull’omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, quindi,
non va forse cercata decontestualizzando l’accaduto dallo scenario in
cui si inserisce, ma considerandolo parte integrante di una serie di
omicidi e attentati efferati. Ilaria e Miran sono forse “soltanto”
due delle persone che hanno dovuto morire perché non venisse a galla la
verità sulla Cooperazione italiana in Somalia, nata magari con
l’obiettivo dello sviluppo economico e sociale del Paese africano, e
divenuta poi, con tutta probabilità, la macchina di alcuni per far soldi
sulla pelle e degli italiani, e del popolo somalo.
FORMAT Telegiornaliste/i
+ Telegiornaliste/i - di Filippo Bisleri
Laura Cannavò
che si sta imponendo come una
delle sicure realtà del Tg5 oggi targato Carlo Rossella. Sempre estremamente
professionale, la Cannavò dimostra grande abilità e dimestichezza nel
gestire un’edizione decisamente particolare come quella del mattino del Tg5.
Un’edizione che è la prima finestra sul mondo per molti telespettatori. Per la
brillante e brava Laura Cannavò il posto più alto nel nostro podio con un
bellissimo “8” decisamente meritato.
Buone performance professionali sta mettendo in luce anche Silvia Vaccarezza
al Tg2. Meriterebbe spazi decisamente maggiori questa brava tgista che, con
grande sobrietà e molta professionalità, guida la finestra di metà mattinata
dell’informazione della seconda rete Rai. Senza eccessi, la Vaccarezza aiuta il
pubblico dei telespettatori ad introdursi nelle notizie evitando enfasi o
un’informazione eccessivamente gridata. Brava. Un bel “7” e secondo
gradino del nostro podio.
A chiudere il podio settimanale troviamo Karen Rubin, giornalista che sta
sempre più mettendo in luce le sue indubbie qualità professionali all’interno
della “redazione” che fa capo a Maurizio Costanzo per “Tutte le mattine”. Da
segnalare le sue inchieste per “Buona domenica”. Sta pian piano scrollandosi di
dosso l’etichetta di “moglie di Mimun”. Complimenti e un bel “6”.
Da bocciare le ultime performance di Aldo Biscardi. Il leader indiscusso
delle trasmissioni sportive di denuncia dei soprusi non ha preso atto che oltre
vent’anni di informazione (o controinformazione?) sportiva gridata ha
portato l’Italia alla vergogna dell’Euroderby sospeso. Poco importa se le colpe
siano nerazzurre o rossonere… Biscardi, padre della battaglia della moviola in
campo, è concausa anche di questa triste pagina dello sport nazionale. Per lui
un “4” su cui meditare.
Fabio Caressa, di Sky, è riuscito nell’incredibile operazione di
sostenere, nonostante ripetuti replay, che a Verona, contro il Chievo, la
Juventus il gol non l’aveva subito. Da un giornalista chiediamo obiettività e
informazione pur sapendo che l’imparzialità assoluta è quasi un’utopia. Ma
sostenere, unico in tutto il programma, la tesi del non gol solo perché l’11
juventino porta sulle maglie la sponsorizzazione di Sky ci ha delusi. Per
lui un “5”...sperando nel riscatto.
Marco Civoli continua ad essere l’icona del telegiornalista ancora alla
ricerca di una sua collocazione fissa. Bravo è certamente bravo, ma continua a
non trovare nessuno che creda in lui
(ha guidato la Domenica sportiva solo a seguito dell’incidente
pubblicitario di Marco Mazzocchi) forse perché da subito ha mostrato le sue
simpatie di tifo… Cosa che invece, colleghi più navigati come Carlo Nesti, hanno
aspettato a palesare. Confidiamo nella pronta ripresa di Civoli al quale
confermiamo la nostra stima. Un “5 e mezzo” di incoraggiamento…
FORMAT Realities
di Paolo Borgognone
E’ diventato difficile orientarsi nella jungla del reality show. Una volta –
solo cinque anni fa circa – c’era solo il “Grande Fratello”. Un format
internazionale adattato ai gusti e alle tradizioni del pubblico televisivo
italiano.
Le critiche cominciarono prima ancora che il programma andasse in onda, su
Canale 5. Ma l’obiettivo del successo popolare fu raggiunto.
Ahimè, verrebbe da aggiungere. Perché quel consenso di pubblico innescò una
sorta di reazione a catena, un meccanismo perverso di emulazione che ha portato,
in pratica, a una proliferazione incontrollata di questo genere di
trasmissione.
Agli sconosciuti in cerca di uno spicchio di notorietà si sono aggiunti
personaggi che noti lo sono stati, e che si rimettono in gioco nel tentativo di
riappropriarsi della popolarità perduta. Case, isole e fattorie si
alternano e si rincorrono sulle reti Rai e Mediaset quasi senza interruzione.
Con il bel risultato, del resto ampiamente prevedibile, che l’iniziale successo
si è andato progressivamente frammentando, fino a trasformarsi in un flop.
Alla curiosità delle prime edizioni si è ormai sostituita la noia, e invano gli
autori cercano di esorcizzarla inserendo presunti “colpi di scena” che tali non
sono affatto.
La squalifica di Jo Squillo nella seconda edizione della Fattoria per
“ripetute violazioni del regolamento” non ha sorpreso nessuno, visto che era
stata accuratamente preparata da cinque giorni di litigi abilmente
preconfezionati. E la notizia che il “Ritorno al presente”
dell’incolpevole Carlo Conti ha dovuto chiudere con un mese di anticipo,
per cronica carenza di ascolti, è stata salutata con indifferenza, o magari con
un sospiro di sollievo.
Altri tempi quando molti italiani, pur senza confessarlo, sbirciavano le mosse
di Taricone!
TELEGIORNALISTI
Gaudenzi e la “fumata grigia”
di Filippo Bisleri
Filippo Gaudenzi
è, in questi giorni, la guida dei servizi
del Tg1 per le vicende relative al conclave e dintorni. Dopo essere
stato per anni il giornalista che più e meglio ha seguito Giovanni Paolo
II è stato chiamato, praticamente, a guidare il passaggio dal
pontificato di “Karol il grande” a quello del successore.
Un compito che non lo ha messo al riparo da alcune pecche piuttosto
evidenti e decisamente censurabili per un esperto, come lui, di mondo
vaticano. Sulle fumate del comignolo della Sistina, in questo
certo non aiutato da Fabio Zavattaro, ha parlato di un giallo
alla prima fumata e di un colore grigio alla seconda.
Certo, si potrà obiettare che Gaudenzi era, come tutti, vittima
dell’ansia di conoscere il nome del nuovo Pontefice chiamato a prendere
il posto del compianto Papa Giovanni Paolo II.
Gaudenzi, però, non è stato il solo ad incorrere in gaffe sul conclave.
Gli ha fatto buona compagnia il collega del Tg1
Franco Di Mare
che, bello bello, martedì 19 ha chiesto ad una teologa se “i
cardinali scelgono con l’aiuto dello Spirito Santo o è lo Spirito Santo
che interviene”. Una domanda del tipo: “è nato prima l’uovo o la
gallina”.
Certo i tgisti Rai, però, dopo un iniziale predominanza delle colleghe,
stanno riprendendosi la scena. Gaudenzi si è posto alla guida dello
speciale del Tg1 che ha traghettato la rete ammiraglia Rai verso la
giornata che ha aperto, lunedì 18, il primo conclave del terzo
millennio. E ha saputo confezionare, il bravo Gaudenzi, uno speciale di
tutto rispetto, ricco di notizie ma non morboso e costellato da
curiosità che potrebbero lasciare il tempo che trovano. Uno speciale
davvero ben organizzato, condotto con sobrietà da Gaudenzi. E questo
avrà certo fatto piacere al direttore di Rai1, e da sempre suo grande
amico, Fabrizio Del Noce.
TELEGIORNALISTI
La grande serata di Floris
di Tiziana Ambrosi
Il programma Ballarò, settimanale di approfondimento di Rai 3,
trae non a caso il proprio nome dal famoso mercato di Palermo, a simbolo di
luogo di incontro, confronto e discussione. Il conduttore,
Giovanni Floris,
è al timone del programma ormai da più stagioni consecutive, che gli sono valsi
l'attuale sicurezza, la scioltezza, e anche quella positiva - se manovrata con
astuzia - dose di sfrontatezza che il buon giornalista deve possedere.
Anche gli ascolti hanno premiato questa crescita professionale attestando
mediamente lo share attorno al 12%, vale a dire poco più di 3 milioni di
telespettatori.
Un buon risultato se si guardano i dati Auditel di altre trasmissioni di
approfondimento (attuali) di prima serata: Otto e mezzo di Ferrara
racimola mediamente tra i 700 e gli 800 mila spettatori (indubbiamente
penalizzato dal mancato “volo” del cosiddetto terzo polo), Punto e a Capo,
con il duo Masotti-Vergara,
tocca uno share del 6% (praticamente la metà dei telespettatori).
Un picco assolutamente impensato è stato raggiunto durante la puntata andata in
onda martedì 5 Aprile 2005, il giorno seguente la chiusura dei seggi per
le elezioni regionali. Gli ospiti politici in studio previsti da scaletta erano
quattro, due della maggioranza di Governo, i Ministri Alemanno e La Loggia, e
due dell’opposizione, On. Fassino e On. D’Alema. Poco prima dell’inizio della
trasmissione, ai cancelli di Via Teulada, Floris intravede il Presidente del
Consiglio Berlusconi. Uno scambio di battute: “Buonasera Presidente, va
da Vespa?” e la secca risposta “No, vengo da Lei”.
Una doccia fredda, ma allo stesso tempo una grande occasione che Floris non può
farsi scappare: da almeno nove anni il Presidente Berlusconi non si
affaccia ai confronti diretti con l’ opposizione.
Pochi minuti per sciogliere lo stupore e per mettere insieme le idee. La
partecipazione di Berlusconi è del tutto inaspettata, nessuno sapeva e solamente
gli aficionados di Ballarò o i cultori dello zapping hanno potuto vedere il
dibattito sin dalle prime schermaglie.
Non vogliamo qui analizzare i contenuti del dibattito politico, indubbiamente
interessanti e che hanno toccato i più disparati temi della vita del Paese,
bensì ci vogliamo concentrare sull’approccio alla conduzione di Floris,
nei riguardi di una trasmissione già in partenza incandescente.
Una boccata d’aria fresca, senza troppo esagerare. Floris si è mosso sciolto
e sicuro di sé, ponendo domande ma pretendendo risposte, mai con
maleducazione (non è certo nel suo stile) ma con la sagacia intellettuale
e la bonarietà di chi vuole capire, di chi non si accontenta della risposta di
occorrenza, ma vuole andare in fondo alle cose.
E così dopo molti anni abbiamo visto un Presidente del Consiglio interrotto per
lasciare la parola ad altri, domande se non scomode quanto meno franche e
dirette, insomma quello che dovrebbe essere effettivamente un dibattito
politico, domande precise verso qualsiasi interlocutore e risposte da parte di
coloro ai quali affidiamo il potere.
Floris è ancora giovane, certamente si sta ancora facendo le ossa: di sicuro non
è un azzardo prevedere che nella sua carriera si guadagnerà altre importanti
soddisfazioni.
EDITORIALE
Com'è difficile raccontare la realtà. Anche nel calcio.
di
Tiziano
Gualtieri
Teppisti, moviola in campo, arbitraggio scandaloso.
Ammettiamolo, sono tantissime le volte che, di lunedì, capita di leggere
frasi di questo tipo sui vari giornali sportivi. Giudizi, spesso
scritti e detti a caldo, e che un pizzico di tranquillità in più
smusserebbe sicuramente.
Fare il giornalista sportivo e soprattutto parlare di calcio,
non è sempre così facile e bello come si pensa. Soprattutto
in quest’ultimo periodo dove, in Italia, si è spinti a caricare di
responsabilità chiunque - all'interno di uno stadio - prenda una
decisione o faccia un gesto.
Il diritto di cronaca imporrebbe di raccontare tutto, di non
nascondere nulla, di spiegare quello che è avvenuto, eppure - sempre più
spesso - chi cerca di fare al meglio il proprio lavoro, rischia di
essere additato come chi amplifica, che esagera, che fa
da cassa di risonanza.
Quante volte, soprattutto in caso di eventi violenti, si è
colpevolizzato il giornalista che ne ha raccontato i passi in tv o
ne ha scritto sui giornali? Come se, per assurdo, fossero proprio gli
operatori della comunicazione i catalizzatori e, in un certo senso, la
causa della violenza.
Fomentatori della malattia da moviola, che tutto trova, tutto scova e
tutto modifica. «Basterebbe non parlarne e molti fatti non
accadrebbero».
Poco importa chi abbia fatto cosa: molti giustificano dicendo: «Beh,
certo però che anche voi giornalisti a continuare a dare importanza a
queste cose...a forza di scriverci sopra, ovvio che - alla fine -
qualcosa debba succedere».
E allora via a dar contro a Pinco o a Pallino, il cui unico "peccato" è
stato avere il coraggio di parlare del fallaccio, degli scontri, dei
feriti o - addirittura - abbia "osato" presentare la partita come una di
quelle a rischio a causa delle tifoserie particolarmente calde.
È pur sempre vero che c'è anche chi si prende a cuore un argomento, ci
marcia sopra e non si lascia sfuggire l'occasione per affermare: «Noi
sono vent'anni che lo diciamo, ma nessuno ci dava ascolto», ma - spesso
- si rischia di demonizzare un'intera categoria.
A quel punto viene da pensare che, per una domenica, sarebbe davvero il
caso di non scrivere nemmeno una parola, far finta che nulla sia
avvenuto e che tutto sia regolare. Tapparsi gli occhi (e le
orecchie) e vivere una tranquilla giornata in famiglia, visto che -
sempre e comunque - è il giornalista a creare un caso che altrimenti non
ci sarebbe.
Così ti metti in panciolle, ciabatta a penzoloni sul piede, stravaccato
sul divano. Ed è proprio in quel momento d’assoluto relax che, facendo
zapping, ti capita di vedere Bisteccone a Domenica In.
Ed è sempre lì che decidi come, probabilmente, sia molto meglio
essere criticati il lunedì mattina per quello che si è scritto,
piuttosto che per quello che si è mostrato la domenica pomeriggio.
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