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Archivio Telegiornaliste anno XXI N. 19 (798) del 11 giugno 2025

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TGISTE
Giada Giorgi, efficacia e chiarezza
di Giuseppe Bosso

Incontriamo Giada Giorgi, giornalista con alle spalle svariate esperienze, vincitrice nel 2022 del Premio giornalistico Alessandra Bisceglia per la comunicazione sociale con il reportage In Tutti i Sensi.

Benvenuta su Telegiornaliste, Giada. Come nasce il tuo amore per il giornalismo e cosa ti ha fatto diventare una protagonista della comunicazione?
«Grazie a voi per l’accoglienza. Sulla professione che ho sempre voluto fare non ricordo di un momento rivelatore, piuttosto una consapevolezza che mi ha accompagnato fin da bambina. La televisione poi è stata il tramite, le edizioni del telegiornale avevano su di me quasi un effetto ipnotico; l’autorevolezza del linguaggio, il fascino di quelle figure sedute al tavolo pronte a trasferire un flusso di notizie che mi sembrava infinito, la compostezza dell’informazione… poche altre cose avrebbero sortito quell’effetto su di me anche in futuro».

Quali sono stati i modelli o le figure che hanno maggiormente segnato il tuo percorso?
«Per il giornalismo televisivo penso a Cesara Buonamici, modello che ha ispirato tutta la mia esperienza alla conduzione del telegiornale. Il lavoro a Tgcom 24 prevede un flusso continuo di notizie come accade negli all news, ed è quindi differente da un’edizione chiusa. Ma il metodo alla base è lo stesso: efficacia e chiarezza del racconto, dimestichezza con il mezzo e una giusta dose di empatia. Enzo Biagi poi, altra grande fonte di ispirazione per me, credo che il suo Fatto sia tuttora uno degli esempi di riferimento per chi voglia fare giornalismo, e in particolare televisivo. Non posso non citare Piero Angela, giornalista che ha insegnato la magia della divulgazione, rendere semplici le cose complesse pur non sacrificando mai esattezza e contenuto».

Fai parte del team della storica trasmissione Tv Talk, in onda su Rai 3 condotta da Mia Ceran: la televisione come mezzo di comunicazione ha ancora il suo potere o è realmente stato soppiantato dalle moderne piattaforme?
«Sarebbe miope non rendersi conto di quanto le piattaforme e l’evoluzione digitale non stiano coinvolgendo il modo di informarsi e attingere al mondo della maggior parte della popolazione. Tv Talk, da sapiente osservatore qual è, lo ha capito ed è spesso in grado di rendere conto, soprattutto nella parte che riguarda l’attualità, del fortissimo intreccio per esempio tra racconto social e racconto televisivo, fino alle nuove produzioni sulle piattaforme streaming di successo. Ma sarebbe altrettanto ingiusto considerare la tv, come spesso sento dire, un mezzo di comunicazione defunto. Solo poco tempo fa abbiamo ancora sperimentato il potere del racconto televisivo nell’occasione della morte di un Pontefice e nella rielezione di uno nuovo, che lavoro narrativo straordinario è stato fatto. E ancora per occasioni più devote all’intrattenimento, penso a Sanremo. Una forza aggregativa che spesso è anche identità nazionale, motivo di dibattito a volte, di unione in altre. E tutto questo in un dialogo sempre più forte con il mondo digitale, sono due mondi che possono alimentarsi a vicenda senza depotenziarsi o addirittura distruggersi».

Parliamo anche di Prisma, podcast di approfondimento che hai da poco lanciato: com'è nato, come lo hai sviluppato e quali sono finora i riscontri che hai avuto?
«Prisma, il perché delle cose è un progetto realizzato con Focus, giornale per cui attualmente lavoro e di cui sono molto orgogliosa di rappresentare la parte digital e multimediale. Una delle mie passioni è quella del giornalismo scientifico, con un focus specifico su medicina e salute mentale. Potrai capire che onore è stato entrare a far parte di un gruppo storico e un’eccellenza nel campo come quella di Focus. Prisma è nato dalla voglia di condividere con i lettori una bussola sul mondo, di rispondere alle domande che tutti giorni ci facciamo, spesso non riuscendo a decifrare cosa ci sta accadendo. L’informazione, e ancora di più quella scientifica, ha bisogno di punti di riferimento, che chiariscano quando serve, e diano nuovi spunti per capire meglio la realtà. Il nome non è a caso, l’idea del Prisma che spacca in tanti pezzi un unico fascio di luce creando un arcobaleno di colori e sfumature è la nostra visione di racconto e divulgazione scientifica. Il riscontro è molto positivo, si tratta di un progetto giovane ma fin da subito gli ascoltatori hanno capito il patto che stavamo facendo con loro: esploriamo insieme le cose che non riusciamo a capire, indaghiamole e proviamo in pochi minuti ad arricchire la nostra visione del mondo. Ci stanno arrivando molte richieste di “perché” all’indirizzo prisma@focus.it, e invito tutti quelli che ci leggono a scriverci».

Ti sei occupata, tra le altre cose, di disturbi del comportamento alimentare e del dramma delle inefficienze del sistema sanitario negli istituti di pena: come si sei approcciata alle persone che vivono queste esperienze in prima persona?
«Con lealtà. Credo sia l’unico modo per entrare davvero in connessione con le persone che hai davanti e con la loro sofferenza. Il patto che deve esserci tra te e loro sta nella lealtà con cui accoglierai le loro storie: racconterò la tua sofferenza senza trasformarti in un fenomeno da baraccone; informeremo gli altri di quello che sta succedendo in questa parte di mondo affinché si sappia e si agisca e non affinché si provi pena o rabbia fine a se stesse. Questo è stato centrale nell’approccio per esempio con gli adolescenti alle prese con disturbi alimentari devastanti, un racconto ambizioso che nel reportage Anime Affamate insieme a OPEN abbiamo voluto abbracciare nell'urgenza di quanto stava accadendo durante il periodo pandemico. Deve esserti chiaro che quando riesci ad entrare nella loro cameretta stai calpestando un pavimento delicatissimo, a cui devi rispetto. Quando capiscono che di te possono fidarsi e che la tua empatia è sincera, hai la possibilità di accedere nel profondo e realizzare un racconto autentico».

Molto successo ha riscontrato il podcast che hai realizzato in collaborazione con la Lega del Filo d'oro: in quest'epoca di immagine sfrenata può esistere ancora un giornalismo sociale?
«La collaborazione con Lega del Filo d’Oro va avanti ormai da molto tempo e trova le sue origini nei miei anni di lavoro a OPEN, altro luogo di formazione fondamentale per il mio percorso, dove l'amore per la divulgazione scientifica e sociale si è rivelato e fortificato. Non c’è mai stato un momento in cui abbiamo pensato che raccontare la realtà delle persone sordocieche non avesse una profonda utilità. Dal podcast In Tutti i Sensi ai video reportage realizzati con il giornale, ci siamo resi conto di quanto ancora sia necessario essere educati al rispetto. Dal linguaggio che usiamo quotidianamente, ai gesti che facciamo nei confronti di persone con disabilità… non ce ne rendiamo conto ma anche in buona fede possiamo essere fonte di discriminazione. Fino a quando ci sarà un “noi” è un “loro” il giornalismo sociale avrà non solo senso ma anche urgenza di esistere».

Se potessi intervistare Giada Giorgi cosa le chiederesti?
«Un argomento a piacere».
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TUTTO TV
A Torino si gira Cuori 3
di Silvestra Sorbera

Al via a Torino le riprese della terza stagione di Cuori, il medical drama di casa Rai che nelle prime due stagioni ha conquistato i telespettatori.

Per questa terza stagione dovremo dire addio a un volto storico della fiction, Daniele Pecci che interpretava il dottor Cesare Corvara; la new entry di questa terza stagione è invece Fausto Maria Sciarappa che sarà un nuovo primario del nosocomio piemontese.

Ritroveremo invece Pilar Fogliati e Matteo Martari che ancora una volta con i loro camici regaleranno emozioni al pubblico.

Tra le corsie troveremo anche Giulio Scarpati nei panni di un paziente: la sua storia è liberamente ispirata a quella del sensitivo Gustavo Adolf Rol; sempre tra i pazienti troveremo anche una giovane stella nascente della canzone italiana che, dovrebbe idealmente essere Patty Pravo.
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DONNE
Nhora Caggegi, mai smettere di imparare
di Tiziana Cazziero

Intervistiamo la scrittrice Nhora Caggegi.

Ciao Nhora e grazie per il tuo tempo. Direi di iniziare presentandoti ai nostri lettori?
«Ciao a tutti. Sono Nhora, una mamma prima di tutto e una studentessa alla veneranda età di 42 anni. Sono per il motto Non si smette mai di imparare, così studio, studio sempre. Da qualche anno ho intrapreso il percorso come operatore all'inclusione, per cui mi occupo di bambini "speciali" e di come comunicare con loro. Laureata in scienze della comunicazione appunto, sfrutto ciò che ho imparato per questo fine. Ho preso vari attestati, tra cui LIS e LIS avanzato, pur di sentirmi pronta ad affrontare questo lavoro. Spero di finire prima o poi la formazione e di iniziare a lavorare con questi bambini, speciali... in tutti i sensi».

Ho letto il tuo romanzo Svanita, una storia di forte impatto emotivo, un thriller che narra la scomparsa di una bambina. Vuoi parlarcene? Come arriva l’input per raccontare una storia di questo genere?
«La storia è un po' lunga. Cerco di riassumerla, anche se è complicato. Quando ho partorito la felicità è aumentata parallelamente alla paura e al dubbio di non essere una buona madre. Riuscirò a proteggerla? Riuscirò a esserci sempre per lei?, mi chiedevo. Spesso in tv parlavano dei vari casi di cronaca più noti e allora piangevo e soffrivo per quelle mamme etichettate e giudicate dai media, nonostante già dovessero combattere il loro dolore dovevano anche rispondere alle provocazioni. Era fastidioso persino per me, povere donne! L'empatia era aumentata in me, la percepivo e non mi lasciava in pace. Così ho iniziato a pensarci. Avrei potuto scrivere di loro, dell'esempio perfetto di vere madri, grandi donne, coraggiose seppur sofferenti, avrei potuto farlo, ma se non fossi riuscita a descrivere bene il loro dolore? Se avessi mancato loro di rispetto, raccontando una storia imprecisa? Così tentennavo e non la iniziavo mai. Una notte mi rigiravo tra le lenzuola, sembrava insonnia, invece era la famosissima "ispirazione". Solo in quel momento ho preso il coraggio necessario per cominciare a scrivere Svanita».

Svanita non è il tuo primo romanzo di esordio, come e quando è avvenuto il tuo ingresso nel mondo editoriale?
«Credo secoli fa! Ero una ragazzina! Da che ricordo scrivo, non faccio altro. Mio zio è stato il primo a notare la mia vocazione per la scrittura e lui, storico e scrittore - preside di un liceo della zona - mi incoraggiava. Lui è proprio l'uomo che mi ha "cresciuta" in questo campo. Mi ha insegnato la differenza tra pezzo giornalistico e romanzo e mi ha inserita in questi due mondi. Se Angela Eleonora Caggegi è diventata Nhora Caggegi lo devo a lui. Il primo libro è stato pubblicato nel 2001».

Hai spaziato in altri generi letterari oltre al thriller? E quali non ancora esplorati ti sentiresti di affrontare come scrittrice?
«Il mio percorso non è stato lineare. Ho iniziato scrivendo romanzi drammatici, a volte veri, per poi spaziare nelle storie d'amore. Ma credo molto in quello che definisco "genere gemello", ovvero quello in cui ti senti libera e felice. Mi sono avvicinata al thriller negli ultimi cinque anni e credo di aver trovato il mio "vero amore". Non credo di lasciarlo, non adesso... e probabilmente nemmeno in futuro. C'è una frase che dedico sempre al thriller. Quello che amo di questo genere non è la parte oscura della storia, ma la luce che alla fine ammonisce il buio, il bene che sconfigge il male, la rivalsa di ciò che è giusto».

Hai sempre voluto essere una scrittrice? Qual era il tuo sogno di bambina?
«Questa è una strana domanda per me. Preparati a una strana risposta. Da bambina dicevo che sarei diventata suora! Già! So che stai ridendo, lo farei anche io. "Suora o meglio sposata molto presto", affermavo. In realtà non mi sono fatta suora, né mi sono sposata presto. Ma da bambini non si hanno mai le idee molto chiare!».

Oggi il selfpublishing offre una grande opportunità agli autori, quali sono gli aspetti positivi e negativi secondo te. Ti sentiresti di consigliarlo a chi si vuole approcciare al mondo della scrittura?
«Assolutamente sì! Ho pubblicato fino a qualche tempo fa solo con case editrici. Con Le origini del tormento ho conosciuto l'editore che poi è diventato anche un buon amico e la nostra collaborazione è stata davvero piacevole. Svanita è stata una prova. Con quest'opera ho voluto provare il selfpublishing solo perché spinta da varie amiche. Devo ammettere che non mi sono trovata male. Ovviamente ciò che la casa editrice ha fatto per me (editing e correzione di bozze) per Svanita ho dovuto cercare aiuto, ma rifarei entrambe le esperienze con piacere».

Quali sono gli altri tuoi romanzi, ti va di accennarci in breve qualcosa sui tuoi libri precedenti?
«Sola tra sogno e realtà del 2001 è un diario, i miei pensieri da ragazzina, i primi amori e i primi problemi. Poi è nata la passione dei romanzi e ho creato una raccolta di racconti con Coacervo di passioni. Una mia amica mi ha poi chiesto di scrivere di lei e della sua trasformazione psico-fisica verso il sesso opposto e così è nato Il silenzio del salice piangente con più edizioni. Ho partecipato alla raccolta degli Omero Writers, fino ad arrivare a le Origini del tormento - i delitti di Fear Lake. Prima di Svanita ho scritto altri cinque thriller che ho pubblicato su una piattaforma di scrittura, ma che adesso sto riprendendo in mano per pubblicare in self».

Come concili la vita di tutti i giorni con la scrittura?
«Concilio? Vita? Cosa è? Scrivo di notte e di giorno "vivo" il mio essere madre, moglie e studentessa. Pensa tu che ho anche il coraggio di chiedermi come mai perdo capelli e ho gli acciacchi di una ottantenne! Scherzo. Ma un po' di verità c'è. Dedico la notte alla scrittura, ma riesco a gestire un po' tutto, ancora».

Se dovessi convincere qualcuno a leggere il tuo romanzo Svanita, cosa diresti?
«Non sono brava ad auto-pubblicizzarmi. Direi di leggere le recensioni degli altri per farsi un'idea».

Dove possono trovare Svanita e gli altri tuoi romanzi i lettori?
«Online, in vari store si trovano i libri precedenti, anche in libreria, richiedendoli. Svanita su Amazon».

Abbiamo quasi finito, ma è rimasto ancora uno spazio, se vuoi aggiungere qualcosa che non è stato detto, questo è il momento.
«Abbiamo già detto tutto, credo. Voglio solo ringraziare te, per la stima e il tuo tempo, stima che è reciproca e molto sentita. Grazie, Tiziana».
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