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Telegiornaliste anno XXI N. 18 (797) del 28 maggio 2025
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Simona
Decina, dentro la notizia
di Giuseppe Bosso
Incontriamo Simona Decina,
inviata di
Porta a porta.
Inevitabile partire dalla grande commozione che ha suscitato la scomparsa
di Papa Francesco. Le sue sensazioni non solo da giornalista.
«Sapevamo che quel giorno era molto vicino, era solo questione di attendere.
Ho provato con enorme tristezza la sensazione che forse non sarebbe stato
eletto un altro Papa cosi fuori dagli schemi come lui. Non in questo momento
storico almeno».
C'è un suo ricordo o momento particolare, non necessariamente legato al
suo lavoro da giornalista, che la legherà per sempre al pontefice “venuto
dalla fine del mondo”?
«Sì! Il suo viaggio a Lampedusa — il primo al di fuori della diocesi di Roma
— resta uno dei momenti che maggiormente ha incarnato la missione spirituale
di Papa Francesco e che mi ha toccato personalmente. Sono stata tante volte
e tanto tempo a Lampedusa per lavoro, per raccontare le speranze e la
disperazione dei migranti. Quelli che ce la fanno e quelli che resteranno
per sempre nelle acque del mediterraneo. Ma il Papa a Lampedusa, per
omaggiare questi uomini trattati spesso con disprezzo, mi resterà per sempre
impresso: “la globalizzazione dell’indifferenza - disse Francesco — ci ha
tolto la capacità di piangere”. Parole stupende».
Eventi epocali come la scomparsa di un pontefice e l'elezione del nuovo
hanno da sempre impegnato Porta a porta in prima linea. Come
fronteggiare in maniera adeguata questi momenti storici per fornire
un'informazione degna del servizio pubblico?
«È stato faticoso lavorare per un evento cosi epocale. Tutti i giorni al
Vaticano, servizi, collegamenti… ma avevo netta la consapevolezza che il
mondo voleva sapere. Amava quel papa ed era assetato di notizie. Quindi
precisione, organizzazione e forza e delicatezza nel raccontare il Papa più
vicino agli ultimi».
Stiamo vivendo un momento particolarmente delicato per varie ragioni
legate anche alla difficile situazione internazionale: quale pensa debba
essere il compito dell'informazione in questi frangenti?
«Raccontare ininterrottamente quelle che succede. Far vedere cosa significa
la guerra. L’invasione va denunciata in ogni modo. Documentare anche
esponendosi al rischio di assuefare l‘utente. Ma il silenzio gioverebbe agli
aggressori. Mi piacerebbe entrare a Gaza e mostrare le immagini di un
assurdo genocidio».
Cosa rappresenta per lei far parte di una trasmissione storica di Rai uno
come Porta a porta?
«Lavoro qui da 20 anni. È casa mia! Sono orgogliosa di me stessa e grata
delle opportunità che Bruno Vespa mi ha offerto. Mi sento anche io un
pezzetto di storia della tv!».
Quali sono state le interviste e i momenti raccontati che più sono stati
significativi per il suo percorso?
«Ce ne sono stati tantissimi. Sicuramente la tragedia della Costa Concordia
e il dolore insanabile che ho letto negli occhi dei familiari di chi non era
sopravvissuto. E poi l’alluvione in Emilia Romagna: la forza di quelle
persone che senza un lamento si sono rimboccate le maniche mi ha insegnato
tantissimo. Il ricordo della loro dignità mi sostiene quando penso di essere
stanca».
Questo ruolo da inviata le sta stretto, aspira a una sua trasmissione o
andare in giro a raccontare l'Italia la gratifica maggiormente?
«No, nessuna conduzione! Mi piace stare dentro le notizie, guardare negli
occhi i protagonisti degli avvenimenti!».
Lavorare per il servizio pubblico secondo lei è ancora la massima
aspirazione in quest'epoca di grandi network non solo legati alla
televisione?
«No. Il mondo dei giovani è molto cambiato. Noi siamo di un’altra epoca e
quindi a me sembra il massimo lavorare in tv dove mostri ciò che accade, ma
il modo di far fruire oggi le notizie è talmente diversificato che diventa
impossibile parlare solo di tv».
Se dovesse intervistare Simona Decina cosa le chiederebbe?
«Simona, hai iniziato questo mestiere perché secondo te anche un servizio
può contribuire a salvare il mondo. Dopo tanti anni lo pensi ancora?».
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Meteo
tv 2024-2025, promossi e bocciati
di Giuseppe Bosso
Giunti al termine della stagione televisiva con le
principali trasmissioni che sono già o sono prossime a
congedarsi in attesa di ritornare a settembre, rispolveriamo
un classico della nostra testata, il “meteopagellone”.
Sereno per Veronica Gentili, ormai decisamente
volto di punta dei palinsesti Mediaset. Ne ha
fatta di strada la ragazza che sul finire degli anni
'90 e l'inizio del nuovo millennio aspirava a diventare
attrice, alternandosi tra piccole parti in fiction e
film. Dai piccoli passi nel mondo del giornalismo
alla conduzione prima di programmi di informazione
su Rete 4 alle Iene e, oggi, all'Isola
dei famosi, sempre sul pezzo.
Tempo stabile per la 'belva' Francesca
Fagnani, non meno graffiante della sopra citata
Gentili. Un'altra edizione della fortunata
trasmissione di Raidue che ha chiuso con grandi indici di
ascolto e interviste che hanno suscitato reazioni
e interesse.
Variabile per Carlo Conti, che torna a
Sanremo da conduttore e direttore artistico
con buoni riscontri ma che registra anche lo
scivolone di Ne vedremo delle belle.
Nuvoloso per la fiction della tv generalista
che ormai ha ampiamente ceduto il passo alle produzioni di
piattaforme come Netflix e Amazon
mentre sulle reti Mediaset prosegue inarrestabile il
predominio delle produzioni turche. Si salva qualche
evergreen come l'ennesimo Don Matteo e le
nuove avventure di Imma Tataranni, con qualche novità
come Belcanto, ma i tempi d'oro di inizio
millennio sono ormai un ricordo.
Pioggerellina per Barbara D'Urso, da due
anni ormai scomparsa dai radar salvo qualche
ospitata qua e là. Sarebbe stato impensabile all'epoca,
nemmeno tanto lontana, in cui la Barbarella nazionale
imperversava su tutti i palinsesti.
Burrasca sull'informazione. O meglio, su
chi non ha saputo fare informazione in questi mesi
difficili, tra tensioni internazionali, crisi
economica, emergenze ambientali e altre
incognite.
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Maria
Rosaria Palmigiano, relazioni tossiche
di Giuseppe Bosso
Intervistiamo nuovamente la dottoressa
Maria Rosaria Palmigiano. Criminologa, psicologa,
psicoterapeuta, esperta in psichiatria forense applicata ai sex
offenders con la quale affrontiamo una tematica quantomai
all'ordine del giorno, visti i casi di cronaca, spesso purtroppo
dal tragico epilogo, che frequentemente sono oggetto delle
scalette dei tg e dei media.
Dal suo punto di vista di professionista come definirebbe
“relazione tossica” e quali sono i campanelli d'allarme?
«La relazione tossica è una relazione in cui non vi è simmetria:
si viaggi su due binari diversi, dove una partner di sesso
femminile, il più delle volte è soggetta a prevaricazione su più
livelli.
Per quella che è la mia esperienza le relazioni tossiche,
pericolose, che possono evolvere in atti di violenza, sfociando
purtroppo nei casi più estremi in morti e tragedie, sono una
problematica che va affrontata anzitutto con una adeguata
prevenzione, e da questo punto di vista posso dire con
soddisfazione che molti passi in avanti sono stati compiuti.
Quando purtroppo vengo chiamata a intervenire nelle vesti di
consulente tecnico, sia per l'Autorità giudiziaria sia per gli
avvocati, i fatti sono ormai avvenuti. Gli eventi di
sensibilizzazione e di prevenzione devono essere rivolti ad
ampio raggio anche ai giovanissimi, visto che purtroppo i dati
ci riportano come sono sempre più gli adolescenti alle loro
prime esperienze sentimentali ad essere coinvolti in queste
vicende, effetto anzitutto di una sorta di “appesantimento”, per
così dire, frutto di una esposizione tramite il web sempre più
massiccia, che in qualche modo blocca la loro sana interazione
con il mondo esterno e non gli fa vivere esperienze come il
corteggiamento, la nascita di una relazione come la mia
generazione ha vissuto. I campanelli d'allarme insiti in una
relazione tossica sono quelli che si manifestano sul versante
personologico fin dal principio, quando i primi screzi
consentono di intercettare quelle criticità che ci rivelano come
quella persona tende a esercitare su di noi un controllo
ossessivo e serrato, come per esempio chiedere di continuo chi
frequentiamo; un altro aspetto è quello della possessività, che
deriva dal fatto che purtroppo molti uomini hanno una concezione
di proprietà relativa alle proprie compagne; i rapporti a due
devono essere caratterizzati da delicatezza e reciprocità,
l'altro deve essere un valore aggiunto e non qualcosa che toglie
libertà. Senza poi dimenticare quell'altra, insopportabile,
forma di controllo rappresentata dalla verifica dei social, cosa
che purtroppo nei rapporti tra adolescenti di cui le parlavo
prima sta registrando un preoccupante incremento; cosa c'è di
più intimo e personale dell'uso dei nostri profili, del nostro
numero di telefono? Anche la gelosia, ossessiva, è un'altra spia
rivelatrice di tossicità. Proprio come il non consenso ad avere
rapporti sessuali, fattispecie che spesso mi trovo ad affrontare
quando vengo nominata Consulente tecnico dalle Procure».
Cioè, cosa succede in questi casi?
«Essendo specializzata in criminologia e avendo un master in
psichiatria forense applicata agli abusatori sessuali, quando
vengono coinvolte donne adulte con fragilità o minori sono
chiamata ad ascoltare quanto subito da queste persone e a
stilare consulenze tecniche. Purtroppo come le dicevo, queste
criticità sono così diffuse da non poter essere collocate in un
determinato territorio rispetto ad altri. Ho riscontrato come
purtroppo negli anni siano molto aumentati gli episodi
integranti maltrattamenti in famiglia, violenze a più livelli,
in cui vengono esposti anche i minori».
Cosa accade nelle relazioni tra adulti? Perché una donna
rimane incastrata per lungo tempo in un rapporto tossico?
«Scattano delle vere e proprie trappole emotive, che
imprigionano molte donne in queste relazioni: anzitutto per il
timore di dover ammettere un fallimento, nell'aver puntato su
una relazione rivelatasi sbagliata o per strategie manipolatorie
da parte dell'abusante che portano una donna a sentirsi in
colpa. Senza dimenticare la paura di dover affrontare le
conseguenze economiche da una eventuale rottura, o l'odioso
ricatto che viene attuato quando ci sono figli. Tanti aspetti,
insomma, che emergono quando è ormai troppo tardi in casi come
quello, recentissimo, della povera Daniela Coman, che ha provato
a venir fuori dalla sua relazione tossica ma è incappata in
queste trappole emotive. Chiedere un aiuto specialistico è
fondamentale».
Senza ovviamente venir meno ai doveri di riservatezza legati
alla sua professione, quando si è trovata a dover affrontare
suoi pazienti alle prese con questa situazione, con che tipo di
approccio si è posta nei loro confronti per uscire fuori dal
tunnel?
«Senz'altro approccio empatico in primis, cercando di mettermi
nei panni di queste persone che si sono rivolte a me molto
spesso al termine di una lunga riflessione. Dopodiché faccio una
valutazione del rischio per loro, analizzando quanto riportano,
verifico la condizione clinica, il grado di motivazione per
elaborare un primo quadro complessivo della situazione, per poi
iniziare il vero e proprio percorso che nei casi più estremi può
comportare anche un accompagnamento per sporgere una denuncia. È
un passo delicato che molte delle persone che si sono rivolte a
me hanno compiuto spesso con la spada di Damocle rappresentata
dalle conseguenze di quella decisione».
Ha avuto riscontri positivi con le sue terapie? Cioè persone
che davvero ne sono venute fuori?
«Sì, ovviamente non tutti i miei interventi hanno avuto
successo. Molti si sono fermati all'inizio o a metà strada,
avendo realizzato di non aver sviluppato quella motivazione
essenziale. Mi è anche capitata una 'terza categoria', per così
dire, costituita da persone che dopo aver iniziato questo tipo
di percorso lo hanno interrotto, per poi tornare sui loro passi,
forse perché nel primo approccio non erano ancora pronte».
L'attenzione dei mezzi di comunicazione sulla problematica è
un supporto o rischia di diventare in qualche modo un boomerang?
«La violenza c'è sempre stata, prima magari non se ne parlava
come oggi, perché avevamo meno canali a nostra disposizione. E
proprio per questo aspetto non parlerei di boomerang, anzi,
maggiori possibilità di utilizzare questi canali rappresentano
una possibilità di parlarne di più, di denunciare, e quindi lo
ritengo un bene senz'altro, anche tramite campagne di
sensibilizzazione che raccolgono sempre più persone. La strada
da fare, però, è ancora lunga».
In che modo si è attivata per intervenire su questa piaga?
Può parlarci di qualche iniziativa in progress o eventi di cui
si occuperà prossimamente?
«Da anni ormai svolgo attività pubbliche di sensibilizzazione
attraverso convegni, serate, programmi in web-tv e attività
informative a scuola. Dal 2022 siedo anche al Tavolo
Interistituzionale del Comune di Colorno, in provincia di Parma,
con il quale abbiamo in cantiere una serie di eventi che si
svolgeranno il prossimo autunno. Gli eventi sono molto
frequenti, per fortuna».
Cosa direbbe alla vittima e al carnefice di una relazione
tossica, se per un attimo può svestire i panni della terapeuta e
in qualche modo calarsi in quelli di una persona fidata?
«Che la vita è bella e nessuno può limitare la sua libertà, il
suo diritto di divertirsi, di stare con i suoi cari. Uscire da
una relazione tossica si può, senza dover aspettare di toccare
il fondo, che è una cosa molto pericolosa per le conseguenze e
implicazioni che ne possono derivare».
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