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Telegiornaliste anno XIX N. 31 (747) del 6 dicembre 2023
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Francesca Ghezzani, i Fatti e le Storie
di Giuseppe Bosso
Laurea in Scienze Linguistiche e Tecniche dell’Informazione e della
Comunicazione, un’esperienza a Porta a Porta su Raiuno, poi
Canale Italia, la radio e dal 2021 una nuova avventura chiamata
Constructive Network, il primo network italiano di
professionisti dell’informazione dedicato alla comunicazione costruttiva
e al giornalismo delle soluzioni. Chiudiamo il 2023 augurando buone
feste e un felicissimo anno nuovo ai nostri lettori incontrando
Francesca Ghezzani,
che con molto entusiasmo e partecipazione si racconta ai nostri
microfoni.
Benvenuta, Francesca. Anzitutto, partendo dal titolo di una delle tue
trasmissioni su Well Tv, cosa sono per te i
Fatti e le Storie da raccontare?
«Un benvenuto a voi. Entrambi sono per me l’essenza del giornalismo e
dell’intera umanità. Un invito all’ascolto, al sapere che abbiamo in
gran parte perso, e al confronto, auspicabilmente costruttivo. Nella
parola “Fatti” rientra tutto quello che ci accade in senso ampio, nella
parola “Storie” – volutamente con la lettera maiuscola – troviamo il
vissuto di ognuno».
Dalle prime collaborazioni sull’emittente RTB all’esperienza con
Bruno Vespa a Porta a Porta fino ai giorni nostri: nel tuo
percorso hai dovuto affrontare diversi cambiamenti, con quale spirito?
«Sì, pensa che ai tempi di RTB Network lavoravo in redazione con Nadia
Toffa, eravamo giovanissime. Porto con me il suo sorriso, le pacche
sulle spalle, il diminutivo con cui chiamava scherzosamente il nostro
editore suscitando in tutti un’allegra risata, in lui per primo. Ai
tempi ero ancora all’università, poi l’esperienza a Porta a Porta
è arrivata in vista della mia tesi di laurea. Successivamente, come
freelance, ho collaborato con molte emittenti televisive e anche
radiofoniche e lo spirito è stato sempre quello di fare tutto con la
massima serietà e umiltà. Non ho mai sopportato le prime donne e i
palloni gonfiati e ho avvertito fin da subito una forte responsabilità
nei confronti dei telespettatori e telespettatrici, come se il grande
“privilegio” di poter fare da tramite tra chi era con me in studio e chi
a casa mi avesse investito di un ruolo da adempiere necessariamente con
onestà ed empatia. È tuttora così».
Prima della pandemia e del lockdown su Canale Italia hai condotto
Viaggi Mon Amour, alla scoperta del territorio: hai avvertito anche
tu un “prima” e un “dopo” quel difficile periodo?
«Innegabilmente sì. Vivo, peraltro, in una delle zone più colpite
d’Italia durante il primo lockdown e la terza ondata, quindi ho dei
ricordi che tutt’oggi non faticano a farmi rabbrividire. Ai miei occhi,
ciò che abbiamo patito ha reso più cattive le persone infelici e
irrisolte e ha fatto diventare ancora più gentili e solidali quelle già
da prima aperte e attente al prossimo».
Parliamo anche di Constructive Network, di cui sei membro da ormai
tre anni: com’è nato, come si è sviluppato e a chi è rivolto?
«Si tratta di un approccio all'informazione simile al giornalismo
d'inchiesta che sceglie e predilige l'approfondimento alla velocità di
narrazione. Ovvero, detto con altre parole, punta a raccontare le
soluzioni invece di focalizzare l’attenzione solo sui problemi. La
nascita di questa corrente dell’informazione risale all’inizio di questo
secolo, quando la stampa afroamericana degli USA ha iniziato a
raccontare le storie di chi riusciva a risolvere i problemi delle
comunità afroamericane. Negli stessi anni, la Fundación Gabo a
Cartagena, in Colombia (all’epoca chiamata Fundación para el Nuevo
Periodismo Interaméricano), stava già esplorando il giornalismo delle
soluzioni e aiutando i giornalisti a praticarlo. La svolta è arrivata
nel 2010 quando Tina Rosenberg e David Bornstein hanno inaugurato la
rubrica “Fixes” sul New York Times. L’appuntamento settimanale dei due
giornalisti esaminava le risposte innovative o di successo ai problemi
sociali mettendo in luce cosa separasse il successo dal fallimento. Da
questa esperienza e dall’idea di voler avviare un’organizzazione per
identificare, legittimare e diffondere l’idea, è nato il Solutions
Journalism Network: era il 2013 quando a David e Tina si è unita la
giornalista Courtney Martin per dar vita a questo progetto. Ancora oggi
il network americano, che ha sede a New York City, è attivo con
l’obiettivo di trasformare il giornalismo in tutto il mondo, alimentando
un approccio all’informazione che sia di aiuto e sostegno alla società
fornendo informazioni complete, equilibrate e utili. Il team è oggi
formato da 45 professionisti che operano da diversi Paesi del mondo. In
Italia, il Solutions Journalism Network collabora con il Constructive
Network fondato nel 2019 dai giornalisti Assunta Corbo, Vito Verrastro,
Andrea Paternostro, Isa Grassano, Marco Merola, Mariangela Campo, Angela
Di Maggio e proprio il 26 ottobre scorso si sono celebrati i suoi primi
10 anni di attività. Mi chiedi a chi sia rivolto: a tutti noi
professionisti dell’informazione e ai suoi fruitori o, per meglio dire,
alla società intera».
Per il tuo lavoro lo scorso anno sei stata premiata a Storie di
Donne, Eccellenze in Rosa Cosa ha rappresentato per te?.
«Un gran bel momento, perché il premio mi è stato assegnato in occasione
dell’8a edizione della kermesse per la Categoria Donna & Informazione TV
dalla giornalista della Stampa Estera Lisa Bernardini, che stimo
moltissimo, e perché insieme a me hanno ritirato gli altri
riconoscimenti delle donne che ogni giorno incarnano alla perfezione i
valori cardine sui cui si fondava l’evento: mestiere, creatività,
talento».
In questa epoca di grandi incertezze, in cui tra conflitti, crisi
economica e cambiamenti climatici, rispetto a qualche anno fa è cambiata
la tua prospettiva di domani o sei più ancorata al vivere al meglio il
presente?
«Se mi baso sui corsi e ricorsi storici è prevedibile che ciclicamente
si incappi in momenti come questo, non è la prima né sarà l’ultima
volta, se però penso al progresso scientifico, alla ricerca, a un
maggiore accesso allo studio almeno in alcune parti del mondo, lo
sconforto è dietro l’angolo, perché mi rendo conto che, nonostante i
passi avanti, dalla Storia non abbiamo imparato niente, abbiamo la
memoria corta e l’uomo, per natura, non riesce a riscattarsi dalla
violenza, dalla brama di potere e supremazia. Fin da giovanissima ho
consapevolezza della caducità della vita, della nostra vulnerabilità, ma
ora - avendo anche una figlia di sette anni - il futuro mi spaventa di
più sia per i macro-eventi sia per la percezione di essere circondata da
tante monadi arroccate su se stesse e attente solo ai propri bisogni».
Il tuo sogno nel cassetto.
«Nella sfera privata godermi al meglio gli affetti più cari in famiglia
e nelle amicizie, sul fronte lavorativo continuare a raccontare Fatti
e Storie che possano essere di utilità e, perché no, riprendere un
programma sui viaggi. Oltre alla tv, è in cantiere un progetto
editoriale a metà tra il saggio e la narrativa d’inchiesta su temi
sociali. Mi occorrerebbero giornate di quarantotto ore come a tantissimi
di noi, ma ogni cosa arriverà al momento giusto».
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Eleonora Facchini, la gioia di Home Sweet Rome
di Giuseppe Bosso
Concludiamo il 2023 con una splendida artista che molto
successo ha avuto negli ultimi tempi non solo in campo
musicale. Tra le protagoniste di una serie andata in onda su
Rai Gulp, che ha idealmente unito Italia e Stati
Uniti (nata dalla stessa mano che anni fa aveva ideato la
serie che aveva lanciato nel firmamento la stella di Miley
Cyrus) incontriamo con gioia e onore Eleonora Facchini.
Benvenuta Eleonora, anzitutto parliamo di
Home Sweet Rome, la serie di coproduzione
Italia-Usa da poco in onda su Rai Gulp: come nasce la sua
partecipazione a questo progetto e quali riscontri ha avuto
dal pubblico?
«Grazie mille Giuseppe, è un vero piacere. Nasce tutto da
un’audizione per un ruolo che inizialmente credevo essere
molto distante da me: il ruolo della “matrigna”. In realtà
ho subito capito che Francesca era un personaggio buono, una
pop star italiana dolce, empatica e spiritosa. Mi sono
impegnata più che potevo per ottenere la parte, ci ho messo
cuore e tanto studio. Dopo diverse prove e un po’ di attesa
è arrivata la notizia dell’esito positivo. Avrei
interpretato Francesca Fortuna in Home Sweet Rome,
una serie tv ideata dal creatore di Hannah Montana,
Michael Poryes. Ero commossa e incredula. È stato uno dei
momenti più belli della mia vita. Per quanto riguarda il
riscontro del pubblico, so che gli ascolti stanno andando
molto bene. Home Sweet Rome piace tanto perché è
davvero divertente, le canzoni sono strepitose e
l’ambientazione celebra la nostra bellissima Roma ,una delle
città più amate dal mondo intero».
Possiamo dire che è una storia del nostro tempo, una
famiglia allargata nata dall’incontro di due persone di
nazionalità diversa raccontate con l’occhio di una figlia
adolescente che si trova catapultata all’improvviso in una
nuova realtà da scoprire?
«Assolutamente sì, è una storia moderna. Questa secondo me è
la carta vincente di Home Sweet Rome: è una serie che
racchiude in sé l’intramontabile comicità e lo stile di
Hannah Montana ma tratta argomenti molto attuali in cui
i più giovani si ritrovano subito. La maggior parte di loro
si identifica subito nella giovane Lucy (interpretata dalla
magistrale Kensington Tallman) che in modo impacciato cerca
ogni giorno di affrontare i problemi causati dal ritrovarsi
in una nuova città, con una nuova famiglia, una nuova
scuola… insomma come dice la sigla di Home Sweet Rome
“una nuova vita”. Credo sia rincuorante, in un mondo in cui
la debolezza viene ancora vista come un difetto, vedere che
non è per nulla facile essere teenager ma anche che c’è
sempre una soluzione a tutto e che con il tempo, l’amore,
gli amici e un pizzico di positività prima o poi tutto si
risolve».
Ha alle spalle una lunga e brillantissima esperienza di
attrice di musical di successo come Mama mia, West Side,
Billy Elliot: cosa ha rappresentato per il suo percorso
doversi cimentare in questa nuova esperienza, diretta a un
pubblico soprattutto di giovanissimi come quello di Rai
Gulp?
«Devo dire che io ho sempre amato il teatro alla follia.
Quando ero più piccola e inconsapevole, pensavo che stare
davanti ad uno schermo non mi avrebbe mai fatto provare le
stesse emozioni dell’esibizione dal vivo. Beh, mi sbagliavo!
Home Sweet Rome è stata la mia seconda esperienza nel
mondo del cinema e devo dire che fare questo lavoro mi
riempie sempre il cuore, sia che io mi trovi su un palco che
su un set cinematografico. Ho sempre avuto modo di lavorare
con i bambini, io li adoro. In passato ho preso parte a
tantissimi minishow dedicati ai più giovani e alle famiglie.
Queste sono le esperienze che preferisco e per le quali mi
sento più portata forse. I bambini sono meravigliosi e avere
la possibilità di recitare per un pubblico come quello di
Rai Gulp è per me un grandissimo onore».
Nel suo percorso quali sono state le esperienze che
ritiene siano state più formative, anche magari quelle di
primo impatto negative ma che col senno di poi le hanno dato
nuovi stimoli?
«L’esperienza lavorativa per me più formativa in assoluto è
stata proprio quella di Home Sweet Rome (che però di
negativo non ha assolutamente nulla). È stata una delle
sfide più difficili per me soprattutto perché purtroppo
parlo poco la lingua inglese. Ho dovuto memorizzare molte
cose e studiare tantissimo, ogni giorno. Dedicavo tutto il
tempo libero a mia disposizione allo studio, mi sono
impegnata molto perché sapevo di avere una bellissima
opportunità ma anche la responsabilità di meritarla. Sono
stata aiutata tantissimo dalla mia dialect coach, Tia
Architto, che mi ha seguita e supportata tutto il tempo.
Inoltre lavorare con colleghi e registi così preparati e
professionali e recitare un testo così ben scritto ha reso
questa esperienza davvero istruttiva per me, sento di aver
imparato molto».
Jazz, lirica, pop: si è cimentata in vari generi nella
sua formazione: con quale spirito ha affrontato l’inizio di
queste esperienze così diverse tra loro?
«Ho sempre cantato in stile Disney, il mio sogno più grande
era quello di interpretare le principesse delle favole nei
musical. Ho sempre avuto una voce più portata per lo stile
Legit (quello dei musical più classici per intenderci).
Cantare in West Side Story, Mamma Mia ma anche
in Fame e Billy Elliot mi faceva sentire a mio
agio. Poi è arrivato il momento di interpretare Scaramouche
in We Will rock you con la cantante Anastacia.
L’emozione era davvero forte e lo stile molto diverso da
quello a cui ero abituata. Così, come sempre, ho studiato e
fatto tantissime lezioni di canto. Credo non si finisca mai
di imparare, lo studio e la dedizione portano sempre dei
risultati. Ovviamente ci sono generi che sento più miei e
che sono più nelle mie corde ma le sfide mi piacciono, ti
danno sempre la possibilità di migliorarti e imparare cose
nuove. Avere l’opportunità di interpretare personaggi e
stili di canto così diversi tra loro è molto stimolante e
divertente».
Viviamo nell’epoca dell’immagine, dove impegno e
sacrificio sembrano quasi secondari rispetto all’apparire,
anche tramite i social: lei, per quella che è stata finora
la sua esperienza professionale, cosa sentirebbe di
consigliare a un ragazzo/ragazza che volesse intraprendere
un percorso artistico?
«Come ho detto poco fa, per me lo studio e la preparazione
sono fondamentali e fanno la differenza. La meritocrazia
esiste e avere una solida formazione alle spalle è
essenziale. Non è un lavoro in cui ci si può improvvisare. È
di certo un lavoro meraviglioso e molto divertente in cui ci
vogliono passione e talento ma anche tanto impegno e
sacrificio».
Si ringrazia per la collaborazione Gianluca Soli di
Soli e Associati.
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Sarah
Maestri, Stringimi a te
di Giuseppe Bosso
La grande popolarità con il film di Fausto Brizzi Notte prima
degli esami,
Sarah
Maestri nel 2009 ha raccontato la sua vita fino a quel
momento in un libro, La bambina dei fiori di carta, che
ha avuto un successo non meno pari a quello della pellicola
amata dai giovanissimi. Poi, un incontro che improvvisamente ha
cambiato la sua vita e quella di una allora piccola bambina
bielorussa, Alesia, raccontata nel secondo romanzo dell’attrice
originaria di Luino, edito da
Garzanti.
Sarah sei al tuo secondo libro, dopo La bambina dei fiori
di carta, Stringimi a te, in cui hai ripercorso la
tua storia da mamma single con cui hai dovuto confrontarti, o
meglio scontrarti, anzitutto con una burocrazia e un sistema
giudiziario che certo non ha avvantaggiato anzitutto una bambina
che aveva trovato il calore di una persona che era disposta ad
accoglierla. La tua esperienza pensi sia stata un esempio per le
tante, troppe persone che si trovano alle prese a loro volta con
un’adozione?
«Lo spero, è anche per questo che ho scritto il libro, anzitutto
come promozione dell’adozione come riconoscimento del diritto di
un bambino a una famiglia, per dare un messaggio di speranza ai
bambini che vivono questa condizione e anche alle famiglie che
vivono in una situazione di stallo, proprio come è successo a
noi, del progetto cosiddetto di risanamento. Bambini fermi da
anni prima a causa del covid e ora per la guerra, ma anche come
appello per le istituzioni di non ignorare la sofferenza di
queste famiglie e di questi bambini. E anche utile a chi
sceglierà di intraprendere questo percorso, perché possa essere
consapevole di quello a cui va incontro. E soprattutto un inno
all’amore, l’unica cosa che conta di più nella vita, e il mio
libro ne è denso, perché la mia è stata una scelta d’amore».
E intanto Alesia ormai maggiorenne: come stai vivendo questo
passaggio dall’essere madre di una bambina a madre di una ormai
ragazza quasi donna?
«Sì, tra poco compirà vent’anni. Sta vivendo una fase complessa,
per lei l’adolescenza ha coinciso con il covid che ci ha portato
a quelle restrizioni che tutti ricordiamo, in quel momento si è
trovata catapultata in una realtà che l’ha costretta a farsi
adulta, un passaggio che abbiamo vissuto insieme; essere
genitore significa anche questo, accompagnarla per mano. Ma
leggendo il libro capirete anche che Alesia è arrivata già
grande da me, e quindi il mio impegno è stato progressivamente
anche quello di insegnarle ad affrancarsi da me».
Ci lasciamo alle spalle un’estate in cui, purtroppo, abbiamo
dovuto fare i conti, tra le tante cose, anche con i terribili
racconti di violenze su donne che ormai sono un’emergenza quasi
all’ordine del giorno: il fatto che Alessia stia iniziando ad
avere le sue prime esperienze di rapporti personali è qualcosa
che ti preoccupa o pensi di averle saputo trasmettere i giusti
consigli?
«Mi preoccupa anzitutto da donna questa escalation di episodi di
violenza. Per quanto riguarda Alesia credo di averle trasmesso
l’esperienza di donna che ha cercato di essere indipendente ed
emancipata, culturalmente attiva; ma tutto questo non preserva
completamente dai rischi, e nel mio primo libro ne ho parlato,
rappresentati da incontri con persone sbagliate, che possono
arrivare anche ad atti estremi; la violenza è una promessa
d’amore tradita, è sintomo di possessione dominante, qualcosa
che non ha nulla a che fare con l’amore vero che è anzitutto
liberta e rispetto nei confronti dell’altro».
Dedicarti ad Alessia ti ha portato ad accantonare la tua
carriera di attrice: al di là di quello che ha rappresentato per
te diventare madre, ripensando al tuo percorso artistico, c’è
qualcosa che rimpiangi, magari parti o possibilità che ti si
erano prospettate e che non hai accettato o non si sono
concretizzate?
«Ho scelto di non recitare più da quando ho adottato Alesia, la
mia ultima parte è stata per il film Succede di Francesca
Mazzoleni uscito nel 2018. Diciamo che è stato come andare in
“pensione anticipata” visto che ho iniziato a recitare fin da
bambina e quindi parliamo ormai di quasi quarant’anni (ride,
ndr)… scherzi a parte recitare è qualcosa che si può fare anche
nel tempo, al momento sono in "aspettativa" ma un giorno potrei
anche essere una nonna o una prozia; essere mamma sul set mi è
capitato di sfuggita. Ma oggi sono soddisfatta di aver fatto la
scelta di dedicarmi a tempo pieno a progetti nel campo sociale,
per l’associazione che presiedo,
3
Elle, e per
Fondazione Cariplo, occuparmi degli altri è qualcosa che
mi gratifica e mi riempie la vita».
Nei tuoi libri, simbolicamente, hai ricostruito il tuo
percorso di vita: La bambina dei fiori di carta è la
storia della tua infanzia segnata dalla malattia e dei tuoi
primi passi da attrice, fino al grande successo con il film
Notte prima degli esami; mentre Stringimi a te è la
svolta della tua vita attraverso l’incontro con Alesia, a cui,
come sottotitoli, non hai donato la vita, ma che la vita ti ha
donato: possiamo dire che l’incontro con Alesia abbia cambiato
quei progetti di vita che avevi allora, nel 2009?
«Come ho scritto in Stringimi a te e come probabilmente
traspariva dalla lettura del mio primo libro, io tutto mi vedevo
tranne che mamma. Il destino ha deciso di mischiare le carte
quando ho incontrato Alesia, presentandomi una vita
completamente diversa da quella che immaginavo, quella che ne
La bambina dei fiori di carta avevo evidenziato nelle
conclusioni, con il mio ringraziamento a te che sei amore e che
ancora non ho incontrato, un fil rouge rappresentato da una
giovane donna alla ricerca di un senso da dare alla propria
esistenza. Senso che poi ho trovato e amore che ho incontrato in
una forma differente ma che non è stato meno travolgente, perché
un figlio è per sempre, e infatti Stringimi a te inizia proprio
con questa frase contrapposta alla conclusione del primo libro:
a te che sei amore e che finalmente ho incontrato. Non avevo mai
immaginato nemmeno quale fosse il sapore dell’amore, che avevo
immaginato come un frappè alla fragola. Oggi so che ha un sapore
indefinito. A volte è così sgradevole da farti venire il
voltastomaco per il dolore, mentre altre è così buono che ne
senti un forte bisogno».
Ancora oggi molti ti ricordano come Alice, il personaggio di
Notte prima degli esami di Fausto Brizzi, che ti ha dato
molta popolarità: non pensi tuttavia che il successo con quel
ruolo sia stato anche un limite, nel senso che per il pubblico e
forse anche per registi e produttori non è stato facile
immaginarti in un diverso ruolo di quello dell’amica del cuore
del protagonista?
«Non direi. Negli anni successivi mi sono cimentata anche in
altre cose; alla Mostra di Venezia nel 2011 sono andata da
protagonista del film di Giorgio Pressburger Dietro il buio,
tratto dall’opera di Claudio Magris, una rappresentazione
moderna del mito di Orfeo ed Euridice; sono andata avanti, non
credo che quel successo di Notte prima degli esami abbia
condizionato il mio percorso da attrice. E comunque sono
dell’idea che tutto quello che ci offre la vita vada raccolto e
sarò sempre grata a Notte prima degli esami».
Dopo le pellicole di Brizzi ti abbiamo vista partecipare a
diverse fiction e film, ti abbiamo ascoltata in conduzione
radiofonica, e tramite il film Il pretore hai cercato di
dare un contributo alla tua città natale portando sullo schermo
l’opera di Piero Chiara: per il lavoro che c’è stato dietro e
gli sforzi che tu e chi ti ha affiancato avete impiegato, ti
saresti aspettata un maggior riscontro dopo l’uscita delle sale,
anche in termini di successive eventuali produzioni che
avrebbero potuto essere sviluppate sullo sfondo del Lago
Maggiore?
«Sappiamo bene qual è la situazione delle sale italiane,
deserte, nel senso che oggi purtroppo si va poco al cinema,
anche se ultimamente ho potuto riscontrare con piacere dei
pienoni che sono di buon auspicio. Sono stata più che
soddisfatta del riscontro che ha avuto Il Pretore, ancora
oggi visibile gratuitamente su
Rai Play. Alla fine ho raggiunto quello che era il
mio proposito, omaggiare Piero Chiara con tutta la
partecipazione della sua città, e questo ha portato anche la
Mondadori a ristampare il romanzo Il pretore di Cuvio. E
comunque le produzioni a Varese non si sono certo limitate al
nostro lavoro, visto che quell’anno c’è stato il successo di un
altro film come Il capitale umano, film che ho adorato di Virzì,
e negli ultimi anni un altro momento importante ha rappresentato
la lavorazione di Suspiria nel 2018 di Luca Guadagnino...
tornassi indietro non avrei esitazioni a rifare quello che ho
fatto».
In questi anni ti sei dedicata moltissimo all’impegno nel
sociale, anche come commissario di Fondazione Cariplo: adesso a
quali progetti ti stai dedicando in questo settore?
«Con 3 Elle, associazione di cui sono fondatrice e presidente,
in questo momento siamo impegnati in un progetto finanziato dal
Ministero della Pubblica Istruzione e dal Ministero della
Cultura chiamato cinema per l’inclusione e la resilienza,
che sfocerà nella realizzazione di un nuovo cortometraggio
interamente realizzato dai ragazzi dei licei, che segue un altro
progetto che ci ha impegnati per oltre un anno e che ha visto la
realizzazione di un lungometraggio in cui i ragazzi di quattro
licei ed istituti tecnici hanno rappresentato I Promessi
Sposi di Alessandro Manzoni. Fondazione Cariplo, che ha da
poco raggiunto i 30 anni di vita, ha da poco deliberato nuovi
150 milioni per progettualità nel 2024 a contrasto delle
disuguaglianze. Sono impegnata su più fronti su vari temi, dal
contrasto alla violenza di genere alla valorizzazione
dell’educazione formativa, un aspetto a cui tengo molto. Come
sosteneva il filosofo napoletano Gaetano Filangieri, una
persona educata, una persona capace e formata avrà anche gli
strumenti per contrastare la povertà».
Alesia ha rappresentato, parafrasando il celebre film di
Gwyneth Paltrow, la sliding door che come un meteorite ha
modificato la tua vita: ha cambiato anche la tua prospettiva di
futuro? Nel senso che sei consapevole oggi di come tante cose,
in un senso o nell’altro, potrebbero cambiare i tuoi progetti e
i tuoi desideri?
«Più che Alesia questo cambiamento di prospettiva me lo ha dato
la vita, la perdita di tante persone care negli ultimi anni; il
dolore che mi ha dato l’attualità di vedere tutte queste guerre.
Per questo oggi cerco di mettere in pratica quello che c’è
scritto nel Vangelo, vivere qui adesso, cercare di godere il
momento presente (cosa che viene ostacolata dalle eccessive
preoccupazioni per il futuro) anche rallentando perché quel
momento poi non tornerà più. Ma finché c’è voglio viverlo».
Ne La bambina dei fiori di carta ti eri definita “la
signorina meraviglia, tutti la vogliono nessuno se la piglia”: e
oggi come definiresti Sarah Maestri?
«Ancora identica a quel momento. Forse un po’ meno meraviglia
rispetto allora (ride, ndr) con un carico familiare un po’ più
complesso, sicuramente più responsabile come inevitabile che sia
quando arriva una figlia».
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