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Archivio Telegiornaliste anno XIX N. 31 (747) del 6 dicembre 2023
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TGISTE
Francesca Ghezzani, i Fatti e le Storie
di Giuseppe Bosso

Laurea in Scienze Linguistiche e Tecniche dell’Informazione e della Comunicazione, un’esperienza a Porta a Porta su Raiuno, poi Canale Italia, la radio e dal 2021 una nuova avventura chiamata Constructive Network, il primo network italiano di professionisti dell’informazione dedicato alla comunicazione costruttiva e al giornalismo delle soluzioni. Chiudiamo il 2023 augurando buone feste e un felicissimo anno nuovo ai nostri lettori incontrando Francesca Ghezzani, che con molto entusiasmo e partecipazione si racconta ai nostri microfoni.

Benvenuta, Francesca. Anzitutto, partendo dal titolo di una delle tue trasmissioni su Well Tv, cosa sono per te i Fatti e le Storie da raccontare?
«Un benvenuto a voi. Entrambi sono per me l’essenza del giornalismo e dell’intera umanità. Un invito all’ascolto, al sapere che abbiamo in gran parte perso, e al confronto, auspicabilmente costruttivo. Nella parola “Fatti” rientra tutto quello che ci accade in senso ampio, nella parola “Storie” – volutamente con la lettera maiuscola – troviamo il vissuto di ognuno».

Dalle prime collaborazioni sull’emittente RTB all’esperienza con Bruno Vespa a Porta a Porta fino ai giorni nostri: nel tuo percorso hai dovuto affrontare diversi cambiamenti, con quale spirito?
«Sì, pensa che ai tempi di RTB Network lavoravo in redazione con Nadia Toffa, eravamo giovanissime. Porto con me il suo sorriso, le pacche sulle spalle, il diminutivo con cui chiamava scherzosamente il nostro editore suscitando in tutti un’allegra risata, in lui per primo. Ai tempi ero ancora all’università, poi l’esperienza a Porta a Porta è arrivata in vista della mia tesi di laurea. Successivamente, come freelance, ho collaborato con molte emittenti televisive e anche radiofoniche e lo spirito è stato sempre quello di fare tutto con la massima serietà e umiltà. Non ho mai sopportato le prime donne e i palloni gonfiati e ho avvertito fin da subito una forte responsabilità nei confronti dei telespettatori e telespettatrici, come se il grande “privilegio” di poter fare da tramite tra chi era con me in studio e chi a casa mi avesse investito di un ruolo da adempiere necessariamente con onestà ed empatia. È tuttora così».

Prima della pandemia e del lockdown su Canale Italia hai condotto Viaggi Mon Amour, alla scoperta del territorio: hai avvertito anche tu un “prima” e un “dopo” quel difficile periodo?
«Innegabilmente sì. Vivo, peraltro, in una delle zone più colpite d’Italia durante il primo lockdown e la terza ondata, quindi ho dei ricordi che tutt’oggi non faticano a farmi rabbrividire. Ai miei occhi, ciò che abbiamo patito ha reso più cattive le persone infelici e irrisolte e ha fatto diventare ancora più gentili e solidali quelle già da prima aperte e attente al prossimo».

Parliamo anche di Constructive Network, di cui sei membro da ormai tre anni: com’è nato, come si è sviluppato e a chi è rivolto?
«Si tratta di un approccio all'informazione simile al giornalismo d'inchiesta che sceglie e predilige l'approfondimento alla velocità di narrazione. Ovvero, detto con altre parole, punta a raccontare le soluzioni invece di focalizzare l’attenzione solo sui problemi. La nascita di questa corrente dell’informazione risale all’inizio di questo secolo, quando la stampa afroamericana degli USA ha iniziato a raccontare le storie di chi riusciva a risolvere i problemi delle comunità afroamericane. Negli stessi anni, la Fundación Gabo a Cartagena, in Colombia (all’epoca chiamata Fundación para el Nuevo Periodismo Interaméricano), stava già esplorando il giornalismo delle soluzioni e aiutando i giornalisti a praticarlo. La svolta è arrivata nel 2010 quando Tina Rosenberg e David Bornstein hanno inaugurato la rubrica “Fixes” sul New York Times. L’appuntamento settimanale dei due giornalisti esaminava le risposte innovative o di successo ai problemi sociali mettendo in luce cosa separasse il successo dal fallimento. Da questa esperienza e dall’idea di voler avviare un’organizzazione per identificare, legittimare e diffondere l’idea, è nato il Solutions Journalism Network: era il 2013 quando a David e Tina si è unita la giornalista Courtney Martin per dar vita a questo progetto. Ancora oggi il network americano, che ha sede a New York City, è attivo con l’obiettivo di trasformare il giornalismo in tutto il mondo, alimentando un approccio all’informazione che sia di aiuto e sostegno alla società fornendo informazioni complete, equilibrate e utili. Il team è oggi formato da 45 professionisti che operano da diversi Paesi del mondo. In Italia, il Solutions Journalism Network collabora con il Constructive Network fondato nel 2019 dai giornalisti Assunta Corbo, Vito Verrastro, Andrea Paternostro, Isa Grassano, Marco Merola, Mariangela Campo, Angela Di Maggio e proprio il 26 ottobre scorso si sono celebrati i suoi primi 10 anni di attività. Mi chiedi a chi sia rivolto: a tutti noi professionisti dell’informazione e ai suoi fruitori o, per meglio dire, alla società intera».

Per il tuo lavoro lo scorso anno sei stata premiata a Storie di Donne, Eccellenze in Rosa Cosa ha rappresentato per te?.
«Un gran bel momento, perché il premio mi è stato assegnato in occasione dell’8a edizione della kermesse per la Categoria Donna & Informazione TV dalla giornalista della Stampa Estera Lisa Bernardini, che stimo moltissimo, e perché insieme a me hanno ritirato gli altri riconoscimenti delle donne che ogni giorno incarnano alla perfezione i valori cardine sui cui si fondava l’evento: mestiere, creatività, talento».

In questa epoca di grandi incertezze, in cui tra conflitti, crisi economica e cambiamenti climatici, rispetto a qualche anno fa è cambiata la tua prospettiva di domani o sei più ancorata al vivere al meglio il presente?
«Se mi baso sui corsi e ricorsi storici è prevedibile che ciclicamente si incappi in momenti come questo, non è la prima né sarà l’ultima volta, se però penso al progresso scientifico, alla ricerca, a un maggiore accesso allo studio almeno in alcune parti del mondo, lo sconforto è dietro l’angolo, perché mi rendo conto che, nonostante i passi avanti, dalla Storia non abbiamo imparato niente, abbiamo la memoria corta e l’uomo, per natura, non riesce a riscattarsi dalla violenza, dalla brama di potere e supremazia. Fin da giovanissima ho consapevolezza della caducità della vita, della nostra vulnerabilità, ma ora - avendo anche una figlia di sette anni - il futuro mi spaventa di più sia per i macro-eventi sia per la percezione di essere circondata da tante monadi arroccate su se stesse e attente solo ai propri bisogni».

Il tuo sogno nel cassetto.
«Nella sfera privata godermi al meglio gli affetti più cari in famiglia e nelle amicizie, sul fronte lavorativo continuare a raccontare Fatti e Storie che possano essere di utilità e, perché no, riprendere un programma sui viaggi. Oltre alla tv, è in cantiere un progetto editoriale a metà tra il saggio e la narrativa d’inchiesta su temi sociali. Mi occorrerebbero giornate di quarantotto ore come a tantissimi di noi, ma ogni cosa arriverà al momento giusto».
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TUTTO TV
Eleonora Facchini, la gioia di Home Sweet Rome
di Giuseppe Bosso

Concludiamo il 2023 con una splendida artista che molto successo ha avuto negli ultimi tempi non solo in campo musicale. Tra le protagoniste di una serie andata in onda su Rai Gulp, che ha idealmente unito Italia e Stati Uniti (nata dalla stessa mano che anni fa aveva ideato la serie che aveva lanciato nel firmamento la stella di Miley Cyrus) incontriamo con gioia e onore Eleonora Facchini.

Benvenuta Eleonora, anzitutto parliamo di Home Sweet Rome, la serie di coproduzione Italia-Usa da poco in onda su Rai Gulp: come nasce la sua partecipazione a questo progetto e quali riscontri ha avuto dal pubblico?
«Grazie mille Giuseppe, è un vero piacere. Nasce tutto da un’audizione per un ruolo che inizialmente credevo essere molto distante da me: il ruolo della “matrigna”. In realtà ho subito capito che Francesca era un personaggio buono, una pop star italiana dolce, empatica e spiritosa. Mi sono impegnata più che potevo per ottenere la parte, ci ho messo cuore e tanto studio. Dopo diverse prove e un po’ di attesa è arrivata la notizia dell’esito positivo. Avrei interpretato Francesca Fortuna in Home Sweet Rome, una serie tv ideata dal creatore di Hannah Montana, Michael Poryes. Ero commossa e incredula. È stato uno dei momenti più belli della mia vita. Per quanto riguarda il riscontro del pubblico, so che gli ascolti stanno andando molto bene. Home Sweet Rome piace tanto perché è davvero divertente, le canzoni sono strepitose e l’ambientazione celebra la nostra bellissima Roma ,una delle città più amate dal mondo intero».

Possiamo dire che è una storia del nostro tempo, una famiglia allargata nata dall’incontro di due persone di nazionalità diversa raccontate con l’occhio di una figlia adolescente che si trova catapultata all’improvviso in una nuova realtà da scoprire?
«Assolutamente sì, è una storia moderna. Questa secondo me è la carta vincente di Home Sweet Rome: è una serie che racchiude in sé l’intramontabile comicità e lo stile di Hannah Montana ma tratta argomenti molto attuali in cui i più giovani si ritrovano subito. La maggior parte di loro si identifica subito nella giovane Lucy (interpretata dalla magistrale Kensington Tallman) che in modo impacciato cerca ogni giorno di affrontare i problemi causati dal ritrovarsi in una nuova città, con una nuova famiglia, una nuova scuola… insomma come dice la sigla di Home Sweet Rome “una nuova vita”. Credo sia rincuorante, in un mondo in cui la debolezza viene ancora vista come un difetto, vedere che non è per nulla facile essere teenager ma anche che c’è sempre una soluzione a tutto e che con il tempo, l’amore, gli amici e un pizzico di positività prima o poi tutto si risolve».

Ha alle spalle una lunga e brillantissima esperienza di attrice di musical di successo come Mama mia, West Side, Billy Elliot: cosa ha rappresentato per il suo percorso doversi cimentare in questa nuova esperienza, diretta a un pubblico soprattutto di giovanissimi come quello di Rai Gulp?
«Devo dire che io ho sempre amato il teatro alla follia. Quando ero più piccola e inconsapevole, pensavo che stare davanti ad uno schermo non mi avrebbe mai fatto provare le stesse emozioni dell’esibizione dal vivo. Beh, mi sbagliavo! Home Sweet Rome è stata la mia seconda esperienza nel mondo del cinema e devo dire che fare questo lavoro mi riempie sempre il cuore, sia che io mi trovi su un palco che su un set cinematografico. Ho sempre avuto modo di lavorare con i bambini, io li adoro. In passato ho preso parte a tantissimi minishow dedicati ai più giovani e alle famiglie. Queste sono le esperienze che preferisco e per le quali mi sento più portata forse. I bambini sono meravigliosi e avere la possibilità di recitare per un pubblico come quello di Rai Gulp è per me un grandissimo onore».

Nel suo percorso quali sono state le esperienze che ritiene siano state più formative, anche magari quelle di primo impatto negative ma che col senno di poi le hanno dato nuovi stimoli?
«L’esperienza lavorativa per me più formativa in assoluto è stata proprio quella di Home Sweet Rome (che però di negativo non ha assolutamente nulla). È stata una delle sfide più difficili per me soprattutto perché purtroppo parlo poco la lingua inglese. Ho dovuto memorizzare molte cose e studiare tantissimo, ogni giorno. Dedicavo tutto il tempo libero a mia disposizione allo studio, mi sono impegnata molto perché sapevo di avere una bellissima opportunità ma anche la responsabilità di meritarla. Sono stata aiutata tantissimo dalla mia dialect coach, Tia Architto, che mi ha seguita e supportata tutto il tempo. Inoltre lavorare con colleghi e registi così preparati e professionali e recitare un testo così ben scritto ha reso questa esperienza davvero istruttiva per me, sento di aver imparato molto».

Jazz, lirica, pop: si è cimentata in vari generi nella sua formazione: con quale spirito ha affrontato l’inizio di queste esperienze così diverse tra loro?
«Ho sempre cantato in stile Disney, il mio sogno più grande era quello di interpretare le principesse delle favole nei musical. Ho sempre avuto una voce più portata per lo stile Legit (quello dei musical più classici per intenderci). Cantare in West Side Story, Mamma Mia ma anche in Fame e Billy Elliot mi faceva sentire a mio agio. Poi è arrivato il momento di interpretare Scaramouche in We Will rock you con la cantante Anastacia. L’emozione era davvero forte e lo stile molto diverso da quello a cui ero abituata. Così, come sempre, ho studiato e fatto tantissime lezioni di canto. Credo non si finisca mai di imparare, lo studio e la dedizione portano sempre dei risultati. Ovviamente ci sono generi che sento più miei e che sono più nelle mie corde ma le sfide mi piacciono, ti danno sempre la possibilità di migliorarti e imparare cose nuove. Avere l’opportunità di interpretare personaggi e stili di canto così diversi tra loro è molto stimolante e divertente».

Viviamo nell’epoca dell’immagine, dove impegno e sacrificio sembrano quasi secondari rispetto all’apparire, anche tramite i social: lei, per quella che è stata finora la sua esperienza professionale, cosa sentirebbe di consigliare a un ragazzo/ragazza che volesse intraprendere un percorso artistico?
«Come ho detto poco fa, per me lo studio e la preparazione sono fondamentali e fanno la differenza. La meritocrazia esiste e avere una solida formazione alle spalle è essenziale. Non è un lavoro in cui ci si può improvvisare. È di certo un lavoro meraviglioso e molto divertente in cui ci vogliono passione e talento ma anche tanto impegno e sacrificio».

Si ringrazia per la collaborazione Gianluca Soli di Soli e Associati.
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DONNE
Sarah Maestri, Stringimi a te
di Giuseppe Bosso

La grande popolarità con il film di Fausto Brizzi Notte prima degli esami, Sarah Maestri nel 2009 ha raccontato la sua vita fino a quel momento in un libro, La bambina dei fiori di carta, che ha avuto un successo non meno pari a quello della pellicola amata dai giovanissimi. Poi, un incontro che improvvisamente ha cambiato la sua vita e quella di una allora piccola bambina bielorussa, Alesia, raccontata nel secondo romanzo dell’attrice originaria di Luino, edito da Garzanti.

Sarah sei al tuo secondo libro, dopo La bambina dei fiori di carta, Stringimi a te, in cui hai ripercorso la tua storia da mamma single con cui hai dovuto confrontarti, o meglio scontrarti, anzitutto con una burocrazia e un sistema giudiziario che certo non ha avvantaggiato anzitutto una bambina che aveva trovato il calore di una persona che era disposta ad accoglierla. La tua esperienza pensi sia stata un esempio per le tante, troppe persone che si trovano alle prese a loro volta con un’adozione?
«Lo spero, è anche per questo che ho scritto il libro, anzitutto come promozione dell’adozione come riconoscimento del diritto di un bambino a una famiglia, per dare un messaggio di speranza ai bambini che vivono questa condizione e anche alle famiglie che vivono in una situazione di stallo, proprio come è successo a noi, del progetto cosiddetto di risanamento. Bambini fermi da anni prima a causa del covid e ora per la guerra, ma anche come appello per le istituzioni di non ignorare la sofferenza di queste famiglie e di questi bambini. E anche utile a chi sceglierà di intraprendere questo percorso, perché possa essere consapevole di quello a cui va incontro. E soprattutto un inno all’amore, l’unica cosa che conta di più nella vita, e il mio libro ne è denso, perché la mia è stata una scelta d’amore».

E intanto Alesia ormai maggiorenne: come stai vivendo questo passaggio dall’essere madre di una bambina a madre di una ormai ragazza quasi donna?
«Sì, tra poco compirà vent’anni. Sta vivendo una fase complessa, per lei l’adolescenza ha coinciso con il covid che ci ha portato a quelle restrizioni che tutti ricordiamo, in quel momento si è trovata catapultata in una realtà che l’ha costretta a farsi adulta, un passaggio che abbiamo vissuto insieme; essere genitore significa anche questo, accompagnarla per mano. Ma leggendo il libro capirete anche che Alesia è arrivata già grande da me, e quindi il mio impegno è stato progressivamente anche quello di insegnarle ad affrancarsi da me».

Ci lasciamo alle spalle un’estate in cui, purtroppo, abbiamo dovuto fare i conti, tra le tante cose, anche con i terribili racconti di violenze su donne che ormai sono un’emergenza quasi all’ordine del giorno: il fatto che Alessia stia iniziando ad avere le sue prime esperienze di rapporti personali è qualcosa che ti preoccupa o pensi di averle saputo trasmettere i giusti consigli?
«Mi preoccupa anzitutto da donna questa escalation di episodi di violenza. Per quanto riguarda Alesia credo di averle trasmesso l’esperienza di donna che ha cercato di essere indipendente ed emancipata, culturalmente attiva; ma tutto questo non preserva completamente dai rischi, e nel mio primo libro ne ho parlato, rappresentati da incontri con persone sbagliate, che possono arrivare anche ad atti estremi; la violenza è una promessa d’amore tradita, è sintomo di possessione dominante, qualcosa che non ha nulla a che fare con l’amore vero che è anzitutto liberta e rispetto nei confronti dell’altro».

Dedicarti ad Alessia ti ha portato ad accantonare la tua carriera di attrice: al di là di quello che ha rappresentato per te diventare madre, ripensando al tuo percorso artistico, c’è qualcosa che rimpiangi, magari parti o possibilità che ti si erano prospettate e che non hai accettato o non si sono concretizzate?
«Ho scelto di non recitare più da quando ho adottato Alesia, la mia ultima parte è stata per il film Succede di Francesca Mazzoleni uscito nel 2018. Diciamo che è stato come andare in “pensione anticipata” visto che ho iniziato a recitare fin da bambina e quindi parliamo ormai di quasi quarant’anni (ride, ndr)… scherzi a parte recitare è qualcosa che si può fare anche nel tempo, al momento sono in "aspettativa" ma un giorno potrei anche essere una nonna o una prozia; essere mamma sul set mi è capitato di sfuggita. Ma oggi sono soddisfatta di aver fatto la scelta di dedicarmi a tempo pieno a progetti nel campo sociale, per l’associazione che presiedo, 3 Elle, e per Fondazione Cariplo, occuparmi degli altri è qualcosa che mi gratifica e mi riempie la vita».

Nei tuoi libri, simbolicamente, hai ricostruito il tuo percorso di vita: La bambina dei fiori di carta è la storia della tua infanzia segnata dalla malattia e dei tuoi primi passi da attrice, fino al grande successo con il film Notte prima degli esami; mentre Stringimi a te è la svolta della tua vita attraverso l’incontro con Alesia, a cui, come sottotitoli, non hai donato la vita, ma che la vita ti ha donato: possiamo dire che l’incontro con Alesia abbia cambiato quei progetti di vita che avevi allora, nel 2009?
«Come ho scritto in Stringimi a te e come probabilmente traspariva dalla lettura del mio primo libro, io tutto mi vedevo tranne che mamma. Il destino ha deciso di mischiare le carte quando ho incontrato Alesia, presentandomi una vita completamente diversa da quella che immaginavo, quella che ne La bambina dei fiori di carta avevo evidenziato nelle conclusioni, con il mio ringraziamento a te che sei amore e che ancora non ho incontrato, un fil rouge rappresentato da una giovane donna alla ricerca di un senso da dare alla propria esistenza. Senso che poi ho trovato e amore che ho incontrato in una forma differente ma che non è stato meno travolgente, perché un figlio è per sempre, e infatti Stringimi a te inizia proprio con questa frase contrapposta alla conclusione del primo libro: a te che sei amore e che finalmente ho incontrato. Non avevo mai immaginato nemmeno quale fosse il sapore dell’amore, che avevo immaginato come un frappè alla fragola. Oggi so che ha un sapore indefinito. A volte è così sgradevole da farti venire il voltastomaco per il dolore, mentre altre è così buono che ne senti un forte bisogno».

Ancora oggi molti ti ricordano come Alice, il personaggio di Notte prima degli esami di Fausto Brizzi, che ti ha dato molta popolarità: non pensi tuttavia che il successo con quel ruolo sia stato anche un limite, nel senso che per il pubblico e forse anche per registi e produttori non è stato facile immaginarti in un diverso ruolo di quello dell’amica del cuore del protagonista?
«Non direi. Negli anni successivi mi sono cimentata anche in altre cose; alla Mostra di Venezia nel 2011 sono andata da protagonista del film di Giorgio Pressburger Dietro il buio, tratto dall’opera di Claudio Magris, una rappresentazione moderna del mito di Orfeo ed Euridice; sono andata avanti, non credo che quel successo di Notte prima degli esami abbia condizionato il mio percorso da attrice. E comunque sono dell’idea che tutto quello che ci offre la vita vada raccolto e sarò sempre grata a Notte prima degli esami».

Dopo le pellicole di Brizzi ti abbiamo vista partecipare a diverse fiction e film, ti abbiamo ascoltata in conduzione radiofonica, e tramite il film Il pretore hai cercato di dare un contributo alla tua città natale portando sullo schermo l’opera di Piero Chiara: per il lavoro che c’è stato dietro e gli sforzi che tu e chi ti ha affiancato avete impiegato, ti saresti aspettata un maggior riscontro dopo l’uscita delle sale, anche in termini di successive eventuali produzioni che avrebbero potuto essere sviluppate sullo sfondo del Lago Maggiore?
«Sappiamo bene qual è la situazione delle sale italiane, deserte, nel senso che oggi purtroppo si va poco al cinema, anche se ultimamente ho potuto riscontrare con piacere dei pienoni che sono di buon auspicio. Sono stata più che soddisfatta del riscontro che ha avuto Il Pretore, ancora oggi visibile gratuitamente su Rai Play. Alla fine ho raggiunto quello che era il mio proposito, omaggiare Piero Chiara con tutta la partecipazione della sua città, e questo ha portato anche la Mondadori a ristampare il romanzo Il pretore di Cuvio. E comunque le produzioni a Varese non si sono certo limitate al nostro lavoro, visto che quell’anno c’è stato il successo di un altro film come Il capitale umano, film che ho adorato di Virzì, e negli ultimi anni un altro momento importante ha rappresentato la lavorazione di Suspiria nel 2018 di Luca Guadagnino... tornassi indietro non avrei esitazioni a rifare quello che ho fatto».

In questi anni ti sei dedicata moltissimo all’impegno nel sociale, anche come commissario di Fondazione Cariplo: adesso a quali progetti ti stai dedicando in questo settore?
«Con 3 Elle, associazione di cui sono fondatrice e presidente, in questo momento siamo impegnati in un progetto finanziato dal Ministero della Pubblica Istruzione e dal Ministero della Cultura chiamato cinema per l’inclusione e la resilienza, che sfocerà nella realizzazione di un nuovo cortometraggio interamente realizzato dai ragazzi dei licei, che segue un altro progetto che ci ha impegnati per oltre un anno e che ha visto la realizzazione di un lungometraggio in cui i ragazzi di quattro licei ed istituti tecnici hanno rappresentato I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni. Fondazione Cariplo, che ha da poco raggiunto i 30 anni di vita, ha da poco deliberato nuovi 150 milioni per progettualità nel 2024 a contrasto delle disuguaglianze. Sono impegnata su più fronti su vari temi, dal contrasto alla violenza di genere alla valorizzazione dell’educazione formativa, un aspetto a cui tengo molto. Come sosteneva il filosofo napoletano Gaetano Filangieri, una persona educata, una persona capace e formata avrà anche gli strumenti per contrastare la povertà».

Alesia ha rappresentato, parafrasando il celebre film di Gwyneth Paltrow, la sliding door che come un meteorite ha modificato la tua vita: ha cambiato anche la tua prospettiva di futuro? Nel senso che sei consapevole oggi di come tante cose, in un senso o nell’altro, potrebbero cambiare i tuoi progetti e i tuoi desideri?
«Più che Alesia questo cambiamento di prospettiva me lo ha dato la vita, la perdita di tante persone care negli ultimi anni; il dolore che mi ha dato l’attualità di vedere tutte queste guerre. Per questo oggi cerco di mettere in pratica quello che c’è scritto nel Vangelo, vivere qui adesso, cercare di godere il momento presente (cosa che viene ostacolata dalle eccessive preoccupazioni per il futuro) anche rallentando perché quel momento poi non tornerà più. Ma finché c’è voglio viverlo».

Ne La bambina dei fiori di carta ti eri definita “la signorina meraviglia, tutti la vogliono nessuno se la piglia”: e oggi come definiresti Sarah Maestri?
«Ancora identica a quel momento. Forse un po’ meno meraviglia rispetto allora (ride, ndr) con un carico familiare un po’ più complesso, sicuramente più responsabile come inevitabile che sia quando arriva una figlia».
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