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Telegiornaliste anno XVIII N. 9 (693) del 9 marzo 2022
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TGISTE Chiara
Gaeta, Don Gennaro nel cuore
di Giuseppe Bosso
Abbiamo il piacere di incontrare nuovamente
Chiara Gaeta, giornalista e musicista, per parlare non solo
dei suoi nuovi progetti lavorativi, ma anche per ricordare una persona
per lei, e non solo per lei, molto cara nella ricorrenza della sua
salita al cielo.
Sono passati tre anni dal nostro
primo incontro, allora eri alle prese con l’organizzazione del
concerto di Capodanno all’Abbazia benedettina di Cava, evento a cui
tieni sempre molto ma che purtroppo ha risentito delle restrizioni
imposte dall’avvento del covid: come ha inciso la pandemia in questi
anni sulla tua vita di musicista e giornalista?
«Il settore artistico è stato penalizzato, abbiamo avuto molto tempo per
chiuderci in studio e fare i conti con spartiti e note, cercando
un’evasione dalla realtà che ci teneva chiusi in casa. Tante iniziative
che avevo in corso sono state purtroppo bloccate, ma i
social, la cosiddetta ‘piazza virtuale tecnologica sono stati
di grande aiuto, con piacere ricordo i piccoli live che ho realizzato
dal balcone di casa, che hanno in parte rotto il silenzio della mia
città, ed era bellissimo vedere come fossi ascoltata anche dal lato
opposto a quello dove vivo. Proprio come segno di ripresa in questa
primavera dell’arte che è alle porte il 13 febbraio ho pubblicato il mio
primo videoclip,
Una lunga storia d’amore, brano che ho scelto per
racchiudere tutte le emozioni che ho vissuto in questi anni: una storia
d’amore può essere quella con una persona amata, con un genitore, un
amico, ma anche con la vita e con l’arte. Chi ascolterà questo brano ci
si potrà riconoscere. Ringrazio chi mi ha aiutato nella realizzazione
Francesco Ferrara e Valentino di Domenico. È un brano simbolo della
musica italiana, un segno di speranza, che racchiude l’amore in sé a
360°, che possa riguardare la nostra vita per una meta che prima o poi
raggiungeremo. Credo che la musica renda davvero felici».
Abituarsi a mascherine, distanziamento e altre cose che abbiamo
dovuto scoprire in questi anni che impatto ha avuto su di te e sulle
persone con cui ti relazioni?
«Dico sempre che grazie alla musica vivo più vite, non una sola: quando
mi ritrovo da giornalista a presentare eventi musicali; quando presento
concerti, eventi; e vivo un’altra vita quando suono, sia per un pubblico
che in privato. Vivo la vita da studentessa con il mio violino; e una
vita da insegnante, la mattina, a scuola, con i miei piccoli allievi,
che mi spiace di non poter abbracciare, di non vivere a contatto con
loro i piccoli progressi che conseguono giorno dopo giorno. Proprio
ultimamente abbiamo messo su a scuola il festival di Sanremo, e un
bambino mi ha fatto sorridere quando mi ha detto “maestra, da grande
voglio dirigere come il maestro Beppe Vessicchio”, proprio perché mi
dimostra come i bambini guardino la televisione desiderando anche di
incarnarsi in una figura semplice ma dall’alto spessore professionale e
artistico come quella del direttore d’orchestra. È sicuramente difficile
rapportarsi alle nuove generazioni con mascherine e distanziamento, ma
la speranza e la voglia di diffondere la musica sono state più forti.
Anche per questo ho inventato con i bambini la ‘danza dell’amuchina’
(ride, ndr) da fare ogni giorno, in modo da sostituire così anche un
abbraccio o un bacio non fisici ma dati da lontano. Speriamo prima o poi
di tornare a una normalità che comunque ci è costata cara perché se
prima tanti gesti non li apprezzavamo e li davamo per scontati, ora
spero che non sarà così».
A poco a poco stiamo tornando alla normalità, speriamo quasi
definitivamente: quali saranno gli eventi e le iniziative a cui stai
lavorando per il prossimo futuro?
«Sicuramente ultimare i tre libri, che ho iniziato a scrivere ma non ho
mai concluso. Ultimare la mia laurea in scienze delle comunicazioni; e
creare un singolo tutto mio e perché no proprio un cd!».
Qualche mese fa hai pubblicato una storia su Instagram che mi ha
molto colpito: un disegno che ti ha regalato un tuo piccolo allievo che,
parole sue, aveva “acchiappato la musica della maestra”: cosa
significano per te questi gesti dei bambini a cui insegni e cosa pensi
di trasmettere loro?
«Parto dal presupposto che i bambini sono come una spugna, assorbono
tutto quello che ascoltano e vedono, e grazie alla musica riescono a
rapportarsi con me in modo del tutto unico ed emozionale. Ultimamente ho
un piccolo allievo che ogni volta che mi vede entrare in classe mi
saluta “buongiorno, musica”, e sono cose che ripagano di tanti
sacrifici, di tanti chilometri in autostrada, notte insonni a studiare.
Questi piccoli gesti, riconoscenze, mi fanno capire che sono sulla
strada giusta e che la musica merita di essere portata avanti».
Ma la musica è un bene non solo per i più piccoli, vero?
«Esattamente la musica è per tutti, ed è proprio questa una
caratteristica peculiare che la contraddistingue. Un linguaggio
universale. Dalla scorsa estate ho ripreso un’iniziativa molto
particolare, quella della musicoterapia nelle case di riposo e in
strutture specializzate nell’accoglienza di bambini e ragazzi speciali.
Sono talmente vari, singolari ed uniche le emozioni che provo in ogni
incontro che è difficile racchiuderle in poche righe. Posso solo dire
umilmente GRAZIE MUSICA perché mi hai condotto anche su questa strada
particolare ed estremamente emozionante, hai intrecciato la mia vita
alla loro!».
In questi anni hai avuto modo di intervistare molti artisti: quali ti
sono rimasti particolarmente impressi?
«Eh già, si vivono giorni che sembrano anni per l’intensità di momenti
emozionanti che viviamo. Grazie al mio lavoro di giornalista,
specialmente nel campo musicale, ho avuto modo di intervistare svariati
artisti, per la mia trasmissione radiofonica e televisiva Le Voci
della Musica. Mi piace ricordare Mario Biondi, Red Canzian, Dody
Battaglia, Nek, Roby Facchinetti, Peppino di Capri e tanti altri… Con
ognuno c’è stato un bellissimo scambio di esperienze, valori e
sensazioni che solo un’anima musicale può intendere e vivere. A tutti
loro dico a bientot!(sorride)».
Chiara è passato un anno dalla salita in cielo di Don Gennaro (Lo
Schiavo, ndr): chi era, e cosa ha rappresentato per te?
«Don Gennaro è stato un sacerdote dal carisma particolare conosciuto non
solo in Campania e in Italia ma in tutto il mondo, come testimoniano
esperienze di fede provenienti da ogni continente. Don Gennaro, penso di
parlare a nome di tutti, era una roccia, un porto sicuro nelle gioie e
nei dolori della vita, che con carisma accoglieva tante persone,
leggendo l’anima di tutti e trovando sempre le parole giuste, sapevamo
di poter contare su di lui, per rinnovare quella fiammella di fede che
talvolta nella vita diventa fioca. L’esperienza personale che mi lega a
lui è stata sicuramente quella in cui mi ha vista alla direzione
dell’animazione liturgica delle celebrazioni del Santuario Avvocatella
di Cava de’ Tirreni e dei concerti organizzati in santuario e presso
l’Abbazia Benedettina della SS. Trinità di Cava de’ Tirreni, dove don
Gennaro esercitava il suo ministero di monaco benedettino. Ricordo con
piacere i concerti di capodanno in Abbazia, punto di ritrovo per fedeli
e non, ogni 29 dicembre, un momento di meditazione sul mistero del
Natale grazie ad un viaggio tra musica liturgica, colonne sonore e
poesie. Voglio esprimere la mia gratitudine alla famiglia Lo Schiavo, in
modo particolare al fratello Antonio e la moglie Vittoria e ai nipoti
tutti, che sono sempre pronti a ricordare don Gennaro».
Come hai portato il suo ricordo in questi dodici mesi, parlando di
iniziative e concerti in suo ricordo?
«Il 31 agosto scorso in occasione dei solenni festeggiamenti della Beata
Vergine Maria dell’Olmo, patrona di Cava de’ Tirreni, si è tenuto il I
Memorial “La Voce di Maria” in onore della Madonna e in ricordo di Padre
Gennaro Lo Schiavo O.S.B. Mi piace sempre ricordare una frase che don
Gennaro ripeteva spesso, soprattutto a noi giovani: “ Nelle battaglie
della vita, non vi scoraggiate, alzate lo sguardo! Guarda la stella,
invoca Maria!”. Il 10 ottobre scorso la famiglia ha voluto fortemente
che questo memorial- concerto venisse organizzato anche nel comune natio
di Don Gennaro, San Marco di Castellabate, in occasione della festa
liturgica della Madonna Di Loreto. Colgo l’occasione per ringraziare
nuovamente la famiglia per l’accoglienza e anche il parroco di San
Marco, don Pasquale Gargione, il sindaco Marco Rizzo e l’amministrazione
tutta. La musica unisce tutti ed è proprio quello che abbiamo potuto
sperimentare, unitamente alla fede, con gli splendidi amici musicisti
che mi hanno accompagnata sin dall’inizio di queste iniziative e che
ancor oggi portano avanti questa bellissima esperienza ricordando Don
Gennaro e mettendo a disposizione del prossimo la propria arte. Ve li
presento e li ringrazio di cuore: Adolfo Del Litto alle tastiere,
Maurizio Ponzo ai plettri, Martino Brucale ai fiati, il soprano
Maddalena D’Auria, Pietro Pisano al basso. Un ringraziamento speciale
merita Christian Brucale, che per Don Gennaro ha scritto un pezzo
bellissimo, mozzafiato e altrettanto emozionale, “Guardann in cielo” in
cui ha saputo cogliere tutte le sfaccettature della vita sacerdotale di
Don Gennaro, potrei dire una bellissima radiografia del suo essere,
scritto da Christian Brucale e musicato da Gianfranco Caliendo, ex
leader del Giardino dei Semplici».
E per questi giorni invece cosa è previsto?
«Il 10 marzo, giorno della ricorrenza della sua salita al cielo,
prenderò parte, insieme ad alcuni musicisti, a una celebrazione che si
terrà in Abbazia, ovviamente nel rispetto delle prescrizioni imposte
dalla normativa anti-covid. Ogni volta che ci sarà modo di ricordarlo,
lo faremo. Ringrazio anche Valentino Di Domenico e Francesco Ferrara,
con cui stiamo ultimando un cortometraggio che racconterà il mistero
sacerdotale di Don Gennaro con delle scene che ritraggono il suo paese
natio e sicuramente l’Abbazia, che è stata la sua casa per tanti anni».
Don Gennaro, uomo di pace e amore, avrebbe sicuramente sofferto in
questi tristi giorni nel vedere cosa sta succedendo in Ucraina: la
musica può essere un freno a questo inspiegabile desiderio di guerra che
anima l’essere umano ancora adesso, nonostante tutto quello che abbiamo
vissuto in questi ultimi anni?
«Certamente la Musica oltrepassa tutto e tutti, anche gli animi più duri
e impenetrabili. Quello che stiamo vivendo è di grande angoscia e
preoccupazione per tutti noi, soprattutto e naturalmente per chi in
queste ore vede crollare davanti i propri occhi non solo i palazzi, le
città intere, ma i sacrifici di una vita, le speranze e i progetti del
futuro. Tra le innumerevoli scene viste, grazie all’incessante lavoro
dei giornalisti, mi è rimasta impressa quella di Igor, un anziano che
abbracciava la sua fisarmonica alle porte della stazione, tra gente che
scappava, chi fiducioso aspettava il primo viaggio disponibile per
scappare via da quell’inferno in terra. Eppure lui, con un triste
sorriso, rimaneva lì a suonare, per coprire i lamenti dei bambini al
terribile scoppio delle bombe. Mi piace ricordare quella famosa
citazione che dice: “là dove senti cantare fermati, gli uomini malvagi
non hanno canzoni”. Spero che prestissimo possa essere scritta la
canzone più bella, quella della libertà e della fine della guerra, anzi
di tutte le guerre. Si, don Gennaro spesso nelle sue omelie ammoniva i
fedeli ad un forte e sentito raccoglimento in preghiera, perché quello
che sarebbe arrivato dopo il covid sarebbe stato molto più distruttivo.
Ahimè lo stiamo vivendo e non ci resta che affidarci alla Regina della
Pace che possa davvero dispensare grazie di pace per il mondo intero». |
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TUTTO TV L’ultima
Monica Vitti, Ma tu mi vuoi bene?
di Giuseppe Bosso
Monica Vitti, scomparsa lo scorso 2 febbraio,
non è stata solo indimenticabile protagonista di
pellicole che hanno fatto la storia del cinema
italiano.
Notevole, infatti, è anche la sua esperienza di attrice
di sceneggiati televisivi, antenati per così dire delle
moderne fiction e serie, in un’epoca dove
progressivamente il piccolo schermo si andava espandendo
anche nella produzione di queste opere.
E proprio in un contesto di sceneggiato televisivo,
trent’anni fa, si registrò la sua ultima
interpretazione, prima del progressivo ritiro dalla vita
pubblica.
Siamo nel 1992, e il pubblico di Raiuno in
prima serata per due puntate può gustarsi Ma tu mi
vuoi bene? per la regia di Marcello Fondato.
Protagonisti sono appunto Monica Vitti e Johnny Dorelli
che si trovano, per caso o per destino, a essere
affidatari di Linlé, bambina asiatica. Una
storia del passato che se vogliamo è ancora molto
attuale, in un’Italia dove le adozioni di bambini
stranieri in cerca di una vita migliore e di una
famiglia amorevole sono quantomai all’ordine del giorno,
con molteplici carenze legislative che finiscono per
ripercuotersi sulle vite di questi piccoli sfortunati e
delle famiglie che tanto vorrebbero accoglierli.
Un’interpretazione agrodolce che rappresentò la degna
conclusione di una straordinaria carriera per
un’attrice che verrà sempre ricordata. |
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DONNE Angela
Iantosca, voce all'indicibile
di Vivian Chiribiri
Angela Iantosca dà voce all'indicibile e ce lo racconta nel
suo ultimo saggio, La scimmia sulla culla.
Angela, partiamo subito con il parlare del punto cruciale
del tuo ultimo libro. Donne che hanno un passato ed un
presente di dipendenza da sostanze stupefacenti e che si
ritrovano a dover portare avanti una gravidanza da
tossicodipendenti. Un tema profondo e di grande
contemporaneità. Cosa ti ha spinto a fare questa ricerca?
«La necessità di parlare di un argomento di cui non si
parla, che si preferisce ignorare. Le necessità di dar voce
all’indicibile, alle storie di queste donne, all’inferno nel
quale sono finite a causa della dipendenza dalle sostanze
stupefacenti per far comprendere quanto male fanno le
sostanze, a cosa si va incontro e come sono capaci di
rendere qualsiasi persona dis-umana, priva di emozioni tanto
da continuare ad usare sostanze anche dopo aver scoperto di
aspettare un figlio».
Avendo fatto ricerche e raccolto dati, ti sei imbattuta
in qualche storia particolare che ti ha segnata in qualche
modo? Vorresti parlarcene?
«Le storie raccolte, dal Nord al Sud, sono tutte storie
sulle quali bisognerebbe riflettere e che inevitabilmente mi
hanno segnata. Colpisce sentire una donna che afferma di
aver fatto di tutto per eliminare il bimbo che stava
crescendo in grembo, aumentando l’uso di sostanze. Colpisce
osservare il loro smarrimento, la necessità di trovare una
spiegazione ora che da quell’inferno sono uscite. Colpisce
cogliere il senso di colpa e l’impossibilità di recuperare
quanto fatto. Ci sono donne che hanno fatto molto male a sé
e al loro piccolo, basti pensare che il 60-80% dei bambini
nati da mamme tossicodipendenti viene al mondo in SAN,
Sindrome da Astinenza Neonatale. Sono tutte donne sofferenti
che portano con se adolescenze complesse, drammi irrisolti,
a volte anche violenze».
Spesso nel mondo contemporaneo ci troviamo ad affrontare
argomenti che vanno a spezzare quelle catene che tengono
legate le donne a un ruolo convenzionale, come per esempio
il ruolo di madre, con il fantomatico jingles "my body my
rules". Davanti a una realtà del genere, che non solo
distrugge il corpo e la mente di una mamma, ma che lede
anche i bambini che nascono quale messaggio vorresti
lanciare a tutte le ragazze e alle donne che ti leggono?
«Non aprite la porta delle dipendenze, chiedete aiuto,
lavorate su voi stesse, sull’autostima, non rimanete in
silenzio, non cercate nella fuga dalla realtà la soluzione
ai problemi. Non siete sole: esistono associazioni pronte a
tendervi una mano, a fare rete, a trovare con voi soluzioni.
E ricordate che, qualsiasi cosa sia successa, se ne può
uscire insieme, più forti. Si può tornare sui propri passi,
assumersi ogni responsabilità e cominciare a ricostruire
passo dopo passo una vita normale, fatta di cose semplici.
Datevi sempre una possibilità, non è mai tutto perduto.
Cercate di amarvi e non buttate via tutto per paura della
solitudine o della sofferenza».
La scimmia sulla culla, uscito a novembre 2021,
non è il tuo primo saggio. Ne hai scritti diversi e in molti
di questi affronti temi caldi, a sfondo sociale. Quando si
pubblicano testi del genere lo si fa non solo per offrire un
reportage, ma spesso per voler cambiare una situazione
logorante o almeno di contribuire a portarla alla luce. Qual
è stato, in senso strettamente sociale, il testo che ti ha
dato più soddisfazione? O quello che il pubblico ha
apprezzato di più, che ha smosso le coscienze forse cieche o
semplicemente inconsapevoli?
«Ogni saggio ha svolto una funzione, che è stata quella di
dar voce a chi voce non ne ha, a chi non ha la forza di
parlare, di far emergere ciò che vive nell’oscurità e che
nel buio rischia di diventare talmente enorme da essere
imbattibile. Ogni testo ha rappresentato un passaggio
importante per me, per le persone che ho raccontato.
Sicuramente le persone raccontate e incontrate per la
stesura dei saggi dedicati al mondo della tossicodipendenza
sono diventate parte della mia vita, sono diventate persone
da incontrare e contattare anche dopo la pubblicazione del
libro, sono diventate anche delle amicizie perché il libro e
il mi lavoro, in qualche modo, sono diventati parte di un
processo, parte di quel processo che vuol far comprendere la
necessità di chiedere aiuto e di fare rete, sono diventati
un pezzo del lavoro di comunicazione che da sempre si fa
nelle associazioni e nelle comunità per far sapere che
esistono, che ci si può salvare, che si può tornare a
vivere, basta volerlo. Le storie legate al mondo della
tossicodipendenza sono storie di forza e resilienza, storie
di persone che hanno capito profondamente il senso della
vita proprio perché più volte hanno rischiato di perderla,
sia perché direttamente coinvolti nella tossicodipendenza
sia in quanto genitori».
Infine, se potessi decidere di affidare La scimmia
sulla culla ad un musicista per renderlo suonato o
cantato, a chi chiederesti di interpretarlo?
«Einaudi che spesso mi ha accompagnato nelle fasi di
scrittura insieme a Beethoven, mio fedele compagno dagli
anni del Liceo».
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