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Archivio Telegiornaliste anno XVIII N. 1 (685) del 12 gennaio 2022
 
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TGISTE Chiara Piotto, grazie amici lettori! di Giuseppe Bosso

Per iniziare il nuovo anno, abbiamo il piacere di incontrare la vincitrice del premio “Telegiornalista dell’anno” 2021, Chiara Piotto, volto di Sky.

Ciao Chiara, auguri di buone feste e bentrovata. Anzitutto complimenti: quando hai saputo di essere stata incoronata ‘telegiornalista dell’anno’? La tua prima reazione e un messaggio per i nostri lettori.
«Grazie per i complimenti, ho ricevuto la notizia via Instagram la sera stessa della chiusura delle votazioni e sono rimasta molto stupita. Chi lavora in tv conosce Telegiornaliste, e le colleghe già vincitrici o in competizione sono tutte ottime professioniste».

Tre anni fa ci sentimmo la prima volta e mi dicesti, allora, che uno dei tuoi sogni era (oltre allo sbarco dell’uomo su Marte, che qualche passo in avanti forse ha fatto) era quello di vivere in un Paese 100% alimentato a energie rinnovabili: rispetto ad allora, anche alla luce di quello che abbiamo vissuto in questi due anni di convivenza forzata con il covid, riscontri qualche passo in avanti?
«L'importanza di una quotidianità più sostenibile - per privati, aziende e governi - e l'urgenza di misure internazionali che limitino cause ed effetti della crisi climatica sono, anche solo rispetto a pochi anni fa, visibilmente più sentite. È anche perché ne percepiamo sempre più dolorosamente le conseguenze, purtroppo. Comunque il dibattito pubblico, portato avanti dai media, è vivo e critico. Sono tutti passi in avanti».

E parlando del covid, inevitabilmente, devo chiedertelo: quanto ha cambiato la tua vita, professionale e privata, il doverti abituare a mascherina, tamponi e tutto il resto che ha comportato?
«Il Covid ha influito sulla mia vita professionale perché ha concentrato l'attenzione giornalistica sul tema, inevitabilmente. Mi sono abituata velocemente a rispettare le regole, e rimanere aggiornata sulle novità non è mai stato un problema dato che fa parte del mio lavoro. Per chi si occupa di altro immagino sia stato a volte difficile, visto che è una situazione in continua e rapida evoluzione».

L’anno che inizia porterà un nuovo Presidente della Repubblica, tema che ha animato il dibattito politico negli ultimi tempi: a prescindere da chi ci sarà dopo Mattarella, qual è il tuo auspicio da cittadina e da giornalista?
«Sul fronte della corsa al Colle, mi auguro che il prossimo Presidente della Repubblica sappia rappresentarci con capacità e rispettabilità come ha saputo fare Mattarella. Deve essere una figura che porti unità e comune rispetto».

Il 2021 ha registrato, purtroppo, anche una preoccupante crescita di episodi di violenza sulle donne spesso culminati in tragedia, soprattutto in ambito familiare: non pensi che la società italiana si stia quasi assuefacendo a questi lutti, superata la fase di sdegno del momento?
«Quella dei femminicidi è una ferita aperta. I numeri suonano asettici, le dinamiche della giustizia sembrano spesso oscure e insufficienti. Come giornalisti dobbiamo trovare forme di racconto efficaci che aiutino a cambiare la cultura che è dietro a questi crimini. Non ci rendiamo conto, spesso, che anche le peggiori violenze si possono prevenire».

Per concludere, tornando al tuo successo, come vivrai questo anno da nostra ‘reginetta’?
«Il 2022 sarà un anno di cambiamento e di investimento nella mia professionalità. Diverse sorprese sono in arrivo e ne sono entusiasta. Sono convinta che mettersi in gioco sia fondamentale: solo così si continua a crescere, creandosi nuove opportunità e sfide. È più difficile, ma anche più soddisfacente. Stay tuned!».
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TUTTO TV Tali e quali: viva la gente comune! di Antonia Del Sambro

l very normal people, concetto venuto alla ribalta alla fine degli anni Novanta dopo il lungo periodo del ventennio precedente che era stato ad appannaggio esclusivo di star e celebrità, sembrava avere perso un pochino di smalto nel secondo decennio del nuovo secolo dove influencer, paparazzi e glorie di reality hanno provato in tutti i modi a riconquistarsi le luci della ribalta e presiedere in ogni dove.

Ma la cosa è durata poco: la gente normale, la gente comune, un po’ supportata dai social, un po’ ridiventata “massa critica” ha cominciato a farsi sentire, notare, ammirare, tanto che ormai il pensiero unico si è dovuto piegare al pensiero della collettività. Una collettività in cui proprio gli illustri sconosciuti sempre più spesso finiscono per dire o fare la cosa più giusta. Ad accorgersi per primi del fenomeno in corso sono stati gli specialisti del web, poi ancora i sociologi e infine gli stessi media, la stessa televisione che ha “scoperto” quanto la gente comune possa fare share e interessare anche più dei soliti volti noti.

E nella televisione italiana uno dei più attenti alle tendenze e alle preferenze del momento è da sempre Carlo Conti che forte della sua esperienza maturata in radio locali, spettacoli dal vivo e tanta televisione generalista ha compreso che portare su RaiUno in prima serata sosia o imitatori di cantanti famosi probabilmente sarebbe ancora più interessante e coinvolgente per il pubblico da casa che vedere personaggi noti fare la stessa cosa.

Non è un addio a Tale e Quale, format riuscitissimo e ancora molto amato, ma piuttosto una evoluzione dello stesso, un adattamento, un esperimento che ha il sapore della scommessa. Tali e Quali che parte da sabato 8 gennaio in prima serata sulla rete ammiraglia della Rai è lo stesso spettacolo ma con imitatori e sosia presi dalla gente comune tramite una selezione e una iscrizione al programma che è partita negli scorsi mesi del 2021.

Gli aspiranti imitatori e cantanti tramite un video girato e realizzato da loro stessi hanno mostrato chi sanno imitare e cosa sanno fare; tra tutte le candidature arrivate sulla piattaforma della Rai sono stati scelti 42 concorrenti.

A giudicarli in quattro serate che vedono sempre un vincitore singolo a ogni spettacolo ci sono i giurati che gli spettatori del programma storico hanno imparato a conoscere e amare: Loretta Goggi, Giorgio Panariello, Cristiano Malgioglio. Insomma, torna lo show del sabato sera della Rai, torna l’intrattenimento familiare, ma torna soprattutto la gente comune a fare una televisione bella, leggera, educata.
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DONNE Margherita Gobbi, costruire i personaggi di Vivian Chiribiri

Oggi presentiamo il romanzo d'esordio di Margherita Gobbi, La spirale delle vite perdute. Preside, mamma e scrittrice, Margherita si racconta ai lettori di Telegiornaliste.
La spirale delle vite perdute è l'ultimo romanzo di Margherita Gobbi. Vede come protagonisti Florence e Sebastian, rispettivamente una psicologa e un poliziotto, i quali si trovano a dover fare i conti con il cadavere di una donna ritrovato del tutto smembrato. Inspiegabile chi possa essere il fautore di tanta brutalità, in un piccolo paese della Valle d'Aosta. Certamente una maschera che lo presenta al mondo per chi non è realmente. Ancora più d'effetto è la scrittura di Margherita. Ipnotica, elegante, che rilascia un senso di ordine e di meticolosità. Scrive le parole giuste al posto e al momento giusto. Le pesa, le sceglie e le piazza in maniera efficace, contribuendo a rendere ancora più apprezzato il romanzo. La spirale delle vite perdute è un bel romanzo che ci aiuta a capire che dentro di noi c'è sempre un grido inascoltato, che questo ci rende carnefici se non aiutati, che ci rende vittime delle nostre stesse ferite. Un romanzo che accende una luce, che in qualche modo sprona l'uomo a tornare "essere umano".

Oltre ad essere scrittrice, Margherita lavora nel ramo delle scienze educative, in particolar modo con bambini e ragazzi. Come riesci ad incastrare la scrittura con il tuo lavoro scolare?
«Io sono una dirigente scolastica da dieci anni e questo mi permette di stare a contatto e di conoscere un’umanità variegata di persone, non solo bambini e ragazzi. È un lavoro molto impegnativo e di grande responsabilità, per cui non è semplice conciliare il mio lavoro con la scrittura. Per ora, ci sono riuscita grazie alla nascita della mia terzogenita, avvenuta a marzo 2020. Ho lavorato fino all’ultimo giorno prima del parto, nel mio ruolo di preside e questo mi ha permesso di godere di 5 mesi di astensione obbligatoria, nei quali mi sono dedicata alla stesura definitiva del mio romanzo d’esordio, La spirale delle vite perdute. Ora, che sono tornata al lavoro a tempo pieno, cerco di ritagliarmi dei momenti nel fine settimana o alla sera per poter scrivere e annotare pensieri».

Non svelando troppo del romanzo ai lettori, cosa farebbe Margherita al posto di Florence?
«Non è facile dire cosa farebbe Margherita al posto di Florence, in quanto le ho già fatto fare gran parte di ciò che avrei fatto io. Devo dire che nella costruzione dei personaggi mi sono molto divertita e appassionata. Uno degli aspetti più belli della scrittura è quello di poter entrare ed uscire dai tantissimi personaggi come meglio credi. Ho fatto in modo di averli sempre al mio fianco, per tutta la stesura del libro, di parlare e condividere pensieri con loro, affinché diventassero man mano sempre più tridimensionali. Ripensando alla psicologa, Florence Cretaz, se fossi stata al suo posto forse mi sarei isolata meno di quanto abbia fatto lei e di fronte al paziente che, nel racconto, la mette in crisi, avrei chiesto subito consigli ad altre psicoterapeute, ad altre colleghe. Per me il confronto, anche dal punto di vista lavorativo, con le altre persone è un aspetto fondamentale».

Da dove nasce la storia che racconti?
«La storia che racconto nasce da un ricordo di un fatto di cronaca avvenuto tantissimi anni fa, in cui mi sono imbattuta per caso nel rileggere alcune notizie. Da lì è partita l’idea e la ricerca di elementi che potessero sviluppare una trama gialla e densa di colpi di scena. Il racconto nasce anche dalle tradizioni contadine, radicate nelle genti della mia terra. Il romanzo è un giallo psicologico che cerca di indagare in profondità l’animo umano e le circostanze che possono creare il male. A volte non sono episodi inquietanti in sé, ma lo diventano nel contesto in cui sono inseriti. Un animale che viene ucciso o che viene ritrovato morto, non sempre provoca inquietudine, ma se la sua uccisione avviene in una maniera precisa, se chi osserva quella uccisione è costretto a guardarla senza avere gli strumenti per saperla affrontare, allora si crea l’orrore, il raccapriccio. Allo stesso tempo i pensieri che esprimono alcuni personaggi del romanzo, potrebbero non essere associati subito alla malattia mentale o ad un vissuto infantile terribile. E da lì, dall’infanzia negata o da altre esperienze traumatiche, che molto spesso scaturisce il male e questa malvagità travolge la vita di molti in una spirale senza fine. Ecco il motivo del titolo La spirale delle vite perdute».

A cosa stai lavorando ora? Stai già scrivendo altro?
«Sì, certo che sto scrivendo altro, non riesco a smettere di scrivere. Ho già diverse idee che sto sviluppando. In questo momento, sto, scrivendo e lavorando ad un inedito legato al mondo della scuola, sempre con una trama gialla. Contemporaneamente, mi sto dedicando alla promozione di questo romanzo. Questo esordio è entusiasmante e mi sta dando tante soddisfazioni, compreso il fatto che dopo neanche due mesi dall’uscita è già in ristampa. Vorrei portarlo in tutta le maggiori città d’ Italia e sono certa che grazie al mio Editore, Mario Ianieri ciò sarà possibile. Per il futuro vedremo. Certamente definirò i progetti assieme all’editore e prossimamente vi potremo svelare di più».

Mi piace pensare che quando un autore scrive un romanzo e ne descrive i protagonisti, ci sia sempre un po' di lui nei soggetti che incontriamo. Ovviamente sei la creatrice di tutti i tuoi personaggi, ma ne hai uno preferito o uno in cui troviamo un po' di Margherita?
«È inevitabile che quando scrivi, anche se pensi ai lettori, sia presente qualcosa di te nei personaggi, il tuo vissuto, le tue idee e le convinzioni. In tutti e due i protagonisti principali c’è qualcosa di me, ma anche nei personaggi secondari. Sebastian Grange, l’ispettore capo d’Aosta, ama il suo lavoro e la sua terra ed è un romantico e un sentimentale. Tutti elementi che lo accomunano a me. In questo libro una parte preponderante dei personaggi sono donne. L’universo femminile e le sue sfumature lo conosco e lo indago ogni giorno. In particolare per Florance Cretaz, una delle migliori psicologhe della Valle, mi sono ispirata ad una persona che conosco realmente e alle tante donne che ho conosciuto in questi anni. Nel libro Florence Cretaz soffre, si abbatte, cade ma non si arrende. E decide, nonostante le grandissime difficoltà che ha dovuto e dovrà affrontare, di andare avanti per sé stessa e per le altre donne in pericolo. In lei sono presenti caratteristiche comuni a tante donne: la capacità di non abbattersi di fronte ai problemi e la determinazione nell’affrontare e superare anche prove e disgrazie immani. Questo, però, fa da contraltare ad un altro aspetto, spesso nascosto, di molte donne. L’enorme bisogno di dare e ricevere affetto. Quindi, se devo essere onesta, forse è in Florance Cretaz che ritroviamo parecchia Margherita. In realtà alcuni dettagli li nota solo chi mi conosce. Il “covino” è profondamente legato alla mia infanzia quando i miei genitori mi lasciavano ancora qualche minuto sotto le lenzuola, prima di alzarmi veloce e prepararmi per la scuola. L’estate del 2003 per me resterà indelebile nella memoria perché è nato il mio primogenito. È stata un’estate torrida in cui i termometri di moltissime località, anche delle Alpi, hanno segnato quasi ininterrottamente da giugno a settembre i 40 gradi. E purtroppo la vita ti fa vivere emozioni indimenticabili come la nascita di un figlio, ma anche dolori quali la malattia e i lutti. Anche di questo racconto nel romanzo. Così come faccio entrare la mia parte godereccia: mangiar bene, bere buon vino, stare in buona compagnia. C’è un episodio che descrivo che è veramente accaduto. Durante un ultimo dell’anno trascorso ad Aosta assieme ad amici valdostani, vi era un ragazzo di origine piemontese. Dopo la mezzanotte e dopo diverse bottiglie stappate, lui ha iniziato a cantare a memoria tutte le canzoni dell’arco alpino dal Friuli, passando dal Trentino Alto Adige per arrivare a Piemonte e valle d’Aosta. E così si sono fatte le sei di mattina».

Immagina di poter trasformare il tuo romanzo in un pezzo musicale, a chi chiederesti di interpretarlo?
«Non è facile questa domanda. Mi viene da pensare ad un film che ho adorato, di diversi anni fa, Le onde del destino. Le musiche erano di Joachim Holbeck, adatte per l’ambientazione nordica del film. Certo, se dovessi restare tra i mostri sacri e fosse ancora possibile, non avrei dubbi: chiederei ad Ennio Morricone. Restando con i piedi per terra, forse lo chiederei a Vito Lo Re: le colonne sonore che ha composto per La ragazza della nebbia mi sono piaciute molto».
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