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Telegiornaliste anno XVII N. 12 (662) del 31 marzo 2021
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TGISTE Barbara
Carere, giornalista in continua evoluzione
di Giuseppe Bosso
Abbiamo nuovamente il piacere di incontrare la bella giornalista
napoletana
Barbara Carere, deus ex machina del prestigioso
Premio Malafemmena (dedicato a Totò, unico premio
riconosciuto dalla famiglia De Curtis) ormai immancabile kermesse che
anima non solo il mondo del calcio.
Bentrovata Barbara, è la terza volta che ci incontriamo, nove anni
dopo l’ultima
volta: com’è cambiata la tua vita in questi anni?
«Il marito è sempre lo stesso, grazie a Dio – ride, ndr – mia figlia
Ludovica cresce, c’è sempre il Premio Malafemmena che è giunto
ormai alla diciassettesima edizione; nel frattempo ho creato una società
di eventi e comunicazione, la B& G Art Event Communication srl che segue
tanti artisti come Antonio Rocco, Francesco Da Vinci, per un nuovo
progetto musicale che presenterà a breve; e poi altri artisti come
Alessio Gallo, protagonista di Gomorra e poi de L’amica
geniale, Erasmo Genzini da Che Dio ci aiuti, Michele
Giugliano attore di Gomorra, Antonio Bonanno attore di L’amica
geniale, e altri cantanti come Peppoh, Federico Di Napoli; e da nove
edizioni conduco e produco la trasmissione Nonsolocalcio, che va
in onda su Calcio Napoli 24, Telelibera, Campi Flegrei, TVA e Sport
channel 214 su Sky e presto anche su Tv Luna, oltre ad altre
collaborazioni con Tuttomercato web, Di Piu' e Novella2000, senza mai
dimenticare il teatro, che purtroppo in questo periodo è stato bandito,
collaboro con il teatro Cilea documentando con le mie interviste tutti
gli spettacoli. Sperando che presto possa riaprire i battenti perché mi
manca tanto il teatro, l'aria che si respira prima di uno spettacolo,
credo che il teatro sia la più grande espressione dell'arte e della
cultura».
Come hai fronteggiato le problematiche che la pandemia ha creato
nell’ultimo anno?
«Nessuno poteva immaginare quello che sarebbe successo un anno fa quando
abbiamo iniziato a fare i conti con questa pandemia; ovviamente il mio
primo pensiero e le mie preghiere vanno a coloro che stanno lottando con
questo virus in ospedale, a tutti quelli che hanno perso un genitore o
una persona cara a loro dico: Coraggio! Lavorativamente invece ho
cercato di andare avanti e adattarmi facendo tante interviste
soprattutto agli artisti campani che meritano un plauso per essersi
chiusi negli studi di registrazione e hanno fatto di questo momento di
stallo uno produttivo scrivendo canzoni ed incidendo brani aiutando in
un certo senso con la loro musica e le loro dirette a superare questo
momento, come Francesco Da Vinci che da qualche settimana è uscito il
suo singolo Maria feat Ivan Granatino che ha anticipato il suo prossimo
CD o come Federico Di Napoli anche lui con la sua Hangover, Antonio
Rocco che ha scritto Piccirè e tantissimi altri artisti».
Nonostante le restrizioni sei comunque riuscita a organizzare lo
scorso ottobre l’edizione del Premio Malafemmena.
«Sì, approfittando della ‘tregua’ che il virus ci ha concesso a ridosso
dell’estate, prima della seconda ondata, siamo riusciti ad organizzarlo
anzitutto perché sentivamo il dovere di dare un segno che malgrado tutte
le problematiche che la pandemia ha portato la vita deve andare avanti.
The show must go on come si dice in gergo non bisogna mai abbattersi
alle difficoltà facendosi travolgere e stravolgere dagli eventi e poi la
fede farà il resto! Siamo attivi già per la prossima edizione, ci
saranno artisti di fama nazionale, cantanti, emergenti, calciatori che
non vediamo l'ora di premiare».
Tra i personaggi che hai intervistato ultimamente non si può non
menzionare la moglie del fratello di Diego Maradona, Hugo: come ti sei
avvicinata a loro in un momento così triste, che ha colpito tutto il
mondo, non solo quello del calcio?
«Ho conosciuto Paola anni fa quando mio marito giocava nell’Aversa
Normanna e per questioni lavorative avevo avuto modo di contattare Hugo.
Sono due splendide persone che ammiro per come hanno affrontato questo
dolore, che è sempre terribile per tutti ma a maggior ragione quando
riguarda un fratello con il quale sei cresciuto insieme. Paola è una
donna meravigliosa, credo che accanto a un grande uomo c'è sempre una
grandissima donna, lei saprà dargli una mano a superare questa grave
perdita. Il mio pensiero va ovviamente anche a Diego Junior che aveva
finalmente stabilito un legame con il padre dopo anni di lontananza».
Hai intervistato tante compagne di calciatori, ma ormai parlare di
calcio e donne è anche il crescente successo del calcio femminile, è una
realtà a cui ti sei avvicinata in questi anni?
«Non posso che essere lieta del crescente interesse per il calcio
femminile, che seguo anzitutto da amica del presidente della Carpisa
Yamamay Lello Carlino, che ha ricevuto un riconoscimento all’ultima
edizione del Premio Malafemmena. È la dimostrazione che ormai non è più
un mondo maschilista, non vedo perché le donne non dovrebbero coltivare
questa passione ed essere sostenute come meritano, così come è stato per
noi giornaliste sportive. Non dimentico i miei inizi, ero giovanissima e
da poco laureata ai tempi di Carlo Iuliano capo dell’ufficio stampa del
Calcio Napoli, quando eravamo davvero in poche al Centro Paradiso dove
la squadra si allenava, viste quasi con fastidio e pregiudizio se
indossavi una maglia scollata ora vanno quasi nude allo stadio (ride,
ndr) però al di là di questo ora siamo più giornaliste donne sportive ed
apprezzate per il nostro lavoro e non per altro».
Ti senti realizzata, sia come donna che come giornalista?
«Se dicessi di sì significherebbe dire che sono arrivata e che non avrei
più stimoli, sono una persona che non si accontenta mai, sempre in
continuo movimento ed evoluzione, mi piace inventare e creare nel mio
lavoro. Nella vita privata mi sento realizzata perché ho la fortuna di
fare un lavoro che mi piace, una famiglia che mi supporta e che amo e
tanti amici e collaboratori ai quali voglio bene e facciamo un gioco di
squadra con mio marito e i nostri collaboratori di Non Solo Calcio,
Fabio, Alessia, Rosario e i ragazzi di Operazione Simile, Luca,
Serena, Maria e Alessandro, siamo davvero un bel gruppo. Quello che
conta di più, credo, non è il successo in sé ma è ciò che fai e quello
che realizzi in linea con il tuo modo d'esprimerti e che ti far stare
bene sono una che non ama le costrizioni e difficilmente anzi non mai ha
accettato compromessi, sono uno spirito libero: ballo da sola in
compagnia (ride,ndr)».
Hai una splendida figlia, Ludovica, ormai signorina potrebbe seguire
il tuo percorso o ha altre aspirazioni di vita?
«Lei ha altre aspirazioni, ben più alte (ride,ndr) vorrebbe fare
l’attrice, in questo probabilmente ha preso da mia nonna, sorella di
Aldo Bruno ex proprietario del teatro Trianon e della compagnia Bruno,
nipote del maestro Di Capua, compositore di ’O sole mio. Il suo
sogno è frequentare la Cilea Academy di Nando Mormone produttore di
Made in sud e Mario Esposito direttore del teatro Cilea e quando
sarà maggiorenne sarà libera di frequentarla e inseguire i suoi sogni,
l'importante, come le dico sempre, è che deve evitare di inseguire
illusioni come la fama e il successo ma deve fare ciò che la fa star
bene per essere libera ma prima di tutto deve studiare perché è il primo
passo verso la libertà e l’indipendenza, non studiare tanto quanto la
mamma ma di più fino alle lacrime (ride, ndr)».
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Màkari Raiuno fa ancora centro
di Silvestra Sorbera
Un grande successo per Màkari, la fiction Rai
tratta dai romanzi di Gaetano Savatteri. Il
protagonista del romanzo, Saverio Lamanna è
interpretato da Claudio Gioè.
Lamanna, il protagonista dei gialli di Savatteri così vicini
alla cronaca siciliana, intuisce una verità
inconfessabile (nel senso più proprio del termine)
durante un convegno antimafia. Da Vacanze in
giallo, pubblicato nella collana La memoria
nel 2014, il racconto Il lato fragile di in
versione ebook.
Con Il lato fragile fa il suo esordio un nuovo
personaggio inventato da Gaetano Savatteri, Saverio Lamanna,
giornalista siciliano fuori dal coro e fuori dal
ruolo, in seguito al licenziamento in tronco
dall’incarico di portavoce di un sottosegretario. Dal
Viminale dritto in Sicilia, si stabilisce a Màkari
nella casa di vacanze della famiglia in attesa di un nuovo
lavoro: Peppe Piccionello gli consegna le chiavi di casa
e sempre lui lo aiuta a rimetterla in sesto.
Tra un lavoretto a casa e una notte d’amore con
Suleima, la bella del Nord che nel periodo estivo
lavora nell’albergo ristorante sul mare di Marilù, Saverio
preferirebbe continuare le sue lente giornate nella borgata
e invece un po’ controvoglia accetta l’invito a
partecipare a Palermo ad un convegno antimafia che si svolge
in un convento a Piazza Marina.
«Palermo. Tir incolonnati sulla circonvallazione. L’autobus
congelato nel traffico. Palermo. Forse dovrei andare a
trovare papà. I clacson al semaforo appena diventa
verde. Il venditore di pane e panelle. Palermo. Poi
uno si chiede come si fa a viverci. Il mulunaro a
un euro a fetta bella agghiacciata. Il bus 806
scoperto con le ragazze in pareo che vanno a
Mondello. Palermo. Poi uno si chiede come si fa ad
andarsene via».
C’è tensione al convegno per l’intervento di
Simone Triassi, un paladino dell’antimafia che
rischia di creare scompiglio tra i moderati; e le
cose precipitano quando, all’indomani della prima giornata,
Triassi viene trovato morto nella sua stanza. Tutti
sospettati i partecipanti ma spetta proprio a Lamanna l’intuizione
di una verità inconfessabile. E così un po’ per
caso un po’ per fiuto da segugio di razza
nasce un nuovo detective che ce ne farà vedere delle
belle.
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DONNE Viviana Brambilla, mamma in libreria
di Giuseppe Bosso
Giornalista e scrittrice, Viviana Fornaro Brambilla ci
racconta la sua ultima fatica letteraria, pubblicata da
Cavinato, A bordo di un arcobaleno.
Come nasce il tuo libro e a chi è dedicato?
«A bordo di un arcobaleno, nasce dall’esigenza di
raccontarci in prima persona. Dopo anni a promuovere le
storie altrui, credevo fosse giunto il momento di parlare di
noi, durante un periodo critico in cui tutto sarebbe passato
alla storia. Peraltro, alcune riflessioni contenute nel
libro autobiografico, sono state pubblicate in anteprima,
nel mio blog, attivo dal 2015:
Vite in Matrioska. Da lì, ho preferito
raccogliere le idee, i vissuti, i momenti più rocamboleschi
ma sempre a sfondo riflessivo, a parte, in modo da renderle
esclusive. Una rivelazione anche per la mia famiglia, la
quale sapeva del mio amore per la scrittura, in quanto
giornalista iscritta all’albo e blogger, ma mai avrebbe
pensato stessi scrivendo un libro che riguardasse tante
figure del nucleo familiare. Tuttavia, sono le stesse a cui
ho dedicato diversi capitoli e in ordine troviamo mia madre,
mia sorella e mio padre. La prima, ha avuto un passato
tormentato che non le ha permesso di farmi da genitore, in
quanto impegnata nelle sue cure, la seconda, sorella da
parte di madre, vive in un contesto comunitario, lontano dai
suoi affetti e già riportandovelo potrete immaginare il
disagio. Mentre per la figura paterna, praticamente
inesistente, c’è stato un cosiddetto ritorno: da quando è
diventato disabile, settembre 2017, il nostro rapporto si
coltiva a gesti, nonostante lui non sappia chi sia. Nel
libro, riporto un incontro molto emozionante che vede in
prima persona lui, da neo nonno e Lucrezia, mia figlia e
protagonista. I due si scambiano sguardi d’amore, al di là
di una cancellata, al muro dell’arcobaleno, luogo in cui mio
padre esegue la terapia riabilitativa. Potrete già cogliere
la scia colorata della mia vita, segnata inevitabilmente dal
passato, da cui mi sono risollevata grazie al giornale. Mi
piace dire che la carta, per quanto fosse appunto “di
carta”, mi ha riparata dalle tempeste, in attesa del
principe azzurro, mio marito Fabrizio, ma con quei fogli mi
sono riscattata. Quando mi chiedono “come fai a trovare
sempre l’aspetto positivo delle cose?”, io rispondo dicendo
che ho corso per tanto tempo sotto la pioggia battente,
quindi ora è una passeggiata. D’altro canto, la mia storia
fu ripresa un anno e mezzo fa, in occasione del matrimonio
tra me e Fabrizio: arrivai in carrozza e accompagnata da mia
sorella Benedetta. La carrozza assunse le sembianze della
speranza, come oggi il libro: la Cenerentola di Magenta
stava lasciando per sempre il suo passato, per scambiare
quel “per sempre” con il suo principe. Dalla comunità, alla
casa famiglia, ad una casa che pare una reggia: non credo
siano coincidenze».
Raccontare la pandemia con gli occhi di un bambino, così
racconta. Come hai fatto e quanto ha influito la tua
esperienza di mamma, con una bambina nata proprio in un
momento in cui sembrava essersi abbassata la guardia, a
inizio estate 2020?
«La mia esperienza di mamma mi ha permesso di isolarmi dal
mondo, sotto ogni aspetto. In gravidanza ho vissuto momenti
di sconforto, sola a casa, poiché Fabrizio aveva ancora un
lavoro. Il suo contratto si rinnovava in base alla mole,
quindi io tiravo altrettanti sospiri di sollievo, anche se
delle volte lo preferivo al nostro fianco. Mi sono dovuta
riadattare con quel che avevo: carta e pennarelli, coloro
che mi hanno permesso di realizzare alla nascitura, un
murales disneyano personalizzato. Coloravo, ritraevo volti,
scrivevo per la maggior parte del tempo. Non senza musica.
Lei c’era sempre ed era la cornice adatta alle nostre
giornate. Non mancavo di sorridere ai vecchietti che
incrociavo per strada, sdrammatizzando sulla situazione.
Video chiamavo i parenti desiderosi di condividere con noi
la lievitazione del pancione. Mi rifugiavo nelle patatine in
quei giorni no ma poi, dal giorno in cui partecipai al corso
pre parto online, conobbi altrettante gestanti, oggi
presenti nel libro. Un intreccio di placente che mi consentì
di evadere ancor più e poi Lucrezia scalciava, comunicava
con me ed io mi sentivo la persona più fortunata al mondo».
Storie belle e vere per superare questo momento, è una
delle ragioni di fondo di cui hai parlato. Si può fare
davvero?
«Si può fare, io lo dico sempre: volere è potere o volare è
arrivare, come amo dirlo, nel mio gergo. Sono una donna
estroversa, molto curiosa e caparbia. Questo è scritturato
nel mio dna, dove scorrono anche arancini e cannoli
siciliani. La forza del fare e del tentare, arriva da nonna
Enza: io e lei abbiamo avuto un rapporto speciale. Lei c’era
alla mia prima parola, al mio primo dentino e anche quando
la chiamai “mamma”. Da lei ho ereditato un disturbo su cui
ho imparato a scherzare, delimitato (fortunatamente) al solo
periodo gestazionale: la scialorrea. Oltre alla pandemia da
cui difendermi, avevo con me una tazza salva-sputo (così
definita nel mio libro), in cui svuotavo quella di troppo.
Può sembrare banale o far sorridere ma questo problema si
presentava di frequente (ogni 5 minuti). Ho imparato a
conviverci e anche con mio marito, ci siamo fatti grasse
risate in merito a parecchi episodi che vi lascio
immaginare. All’interno di A bordo di un arcobaleno, do il
mio supporto a tutte le donne in gravidanza affette da
scialorrea: non bisogna vergognarsene. Ci si deve vergognare
di brutti gesti, di un compagno assente o di male
intenzioni. La bava di mammifero gravido è preziosa e vale
oro!».
Per la prefazione e la postfazione ti sei avvalsa di due
personaggi tra loro diversi per storie ed esperienze come
Edoardo Raspelli e
Candida Livatino: come ti sei avvicinata a loro e in che
modo si sono ritrovati nel tuo racconto?
«Conobbi il noto critico gastronomico, nel marzo del 2015
durante una serata di beneficenza a Milano. “Piacere,
molto lieta, i miei nonni la seguono sempre. Melaverde è uno
dei loro programmi preferiti”, gli dissi allungando la
mano (quando ancora si poteva fare). “Piacere mio, tu
saresti?”. Mi presentai, in veste giornalistica,
mostrando fiera il tesserino conquistato il mese prima e lui
apprezzò incominciando a raccontarmi dei suoi esordi al
Corriere. “Per anni mi sono occupato di cronaca nera,
mentre tu cosa segui?”. Gli dissi che ero molto attratta
dalle notizie provenienti dal mondo dello spettacolo e stavo
muovendo i primi passi. Gli citai alcuni nomi noti per
potergli attestare la veridicità della mia dichiarazione, in
fatto di interviste, ma lui si fidò e lo notai dal suo
atteggiamento. Del resto, i miei occhi parlavano chiaro: ci
credevo dal profondo del cuore e poco a poco, portavo a casa
le mie soddisfazioni, sotto lo sguardo compiaciuto della
cara nonna. Un giorno, salì a casa e nell’imbarazzo
collettivo, rivolse non pochi complimenti alla mia seconda
mamma: il suo brasato gli era piaciuto tanto da fare il bis
e lei non poté che rimanerne estasiata. Bene, da quella
sera, con i rispettivi contatti in tasca, provammo a fare
una collaborazione insieme: ne nacquero parecchie. Al Cibus
di Parma, nel Pavese per parlare dei vini dell’Oltrepò, a
Bolzano per la gara con le ricette in famiglia, a Rimini in
occasione del Premio Cinque Stelle, per l’evento Vip Master
a Milano Marittima. Affianco a lui, sembravo minuta, ma
quando si saliva sul palco, riacquisivo la mia sicurezza:
stavo conducendo con un cronista nato, un critico senza peli
sulla lingua, pronto al giudizio senza mezzi termini.
Eppure, ero entrata nelle sue grazie e nel frattempo
coglievo gli aspetti chiave dal buon maestro, il quale mi
stava dando un’ occasione unica per imparare sul campo uno
dei mestieri più belli. Nell’aprile del 2016, mi propose di
prendere parte alla conferenza stampa del terzo libro di
Candida Livatino, in Mondadori Duomo. Mi preparai
sull’argomento e qualcosa sull’autrice, che ammiravo a
Studio Aperto, durante le sue analisi: mi piaceva esplorare
la persona, meno il personaggio e così le sottoposi
un’intervista che ricordiamo bene entrambe. Candida è una
donna piena di energie, che distribuisce sorrisi a chi
incontra, manifestandosi in tutta la sua umanità. Ci fu da
subito empatia: un mese fa ci sentimmo in occasione
dell’uscita della sua quarta fatica letteraria e da
quell’incontro telefonico, mi balzò un’idea per il mio
progetto a cui lavoravo dal precedente lockdown. Edoardo e
Candida, avevano un desiderio comune molto forte, di quelli
in cui ci speri e che al sol pensiero, fanno vibrare il
cuore: diventare nonni. Nel mio libro, ricordo la gioventù a
casa con loro, il rapporto con mia nonna Enza e soprattutto
i suoi incoraggiamenti, come solo le nostre teste bianche
sanno fare. Edoardo, in trasferta (e non), scrutava con
dolcezza quelle famigliole che incontravamo: lì, svestiva il
ruolo di bacchettone e si immaginava in quello più
bonaccione. “Chissà se,…”, mi confidava spesso ed io
lo vedevo sul pezzo. Una speranza in cui crede anche la nota
grafologa, pronta a dedicarsi al nipotino o nipotina; “non
avrebbe importanza, mi renderebbe felice in egual misura”.
Rivolgo anche a voi due “grazie” sinceri (ma già lo
sapete)».
Come ti sei organizzata dal punto di vista della
promozione del libro, non potendo per ovvie ragioni andare
in giro per l'Italia a fare presentazioni?
«Dal punto di vista promozionale, mi sono organizzata
creando una nuova
pagina Instagram dal nome Viviana Fornaro Brambilla.
E’ nata in concomitanza all’uscita del libro: ho pubblicato
il countdown della pubblicazione, fidelizzando il lettore,
da brava donna social, come spesso mi appellano. Oggi mi
definisco più l’influencer delle cose belle. Credo che sia
bisogno di una persona in grado di arrivare alle persone, ai
più deboli. Mi piace il paragone che ho rilasciato in
un’intervista: c’è più gusto a dar voce ad un senza tetto
che ad una tutta tette. Provengo dal mondo dello spettacolo
e al pensiero dico: sia mai! Mi sentivo un perfetto pesce
fuor d’acqua: la finzione non fa per me. La mia missione,
vuoi anche per gli stipendi risicati, è aiutare un uomo a
trovare un lavoro, far riconciliare persone che si sono
amate e volute bene, diffondere il bello delle cose. Lui
c’è, bisogna solo ascoltarlo e viene fuori. Inoltre, grazie
alle conoscenze nel territorio in cui vivo, ho potuto
promuovermi sui giornali locali. Uno solo, mi ha chiesto
soldi (e non pochi) per parlare del nostro arcobaleno.
Dapprima ho rifiutato, senza rimpianti. Una volta girata la
voce ai “piani alti”, sono stata contattata da testate
nazionali. Ecco, questo credo possa essere un’altra
testimonianza importante: mai abbattersi o pensare che
chiusa una porta, non ci sia null’altro: è proprio così che
poi si arriva a vedere l’orizzonte».
Qual è stato finora il riscontro che hai avuto dai
lettori?
«Il riscontro è in parte inaspettato e in parte no. Sapevo
che la mia storia avrebbe interessato molte persone. Nel
libro c’è la verità e quando scegli di mettere a nudo parte
del tuo vissuto, dall’altra parte non puoi che essere
apprezzata. Le persone a noi vicine conoscono le mie
lacrime, i miei sacrifici, ma anche il mio carisma ed il
sorriso che ho sempre indossato. Oggi lo dedico a quelli che
remavano contro, che dicevano che senza genitori, non avrei
potuto far nulla nella vita. Ecco, io sono l’esempio opposto
e da non figlia di, sto perseguendo i miei sogni affinché un
giorno, i miei figli possano dire: quella è mia madre».
Alla fine, la vita, è come un grande arcobaleno: ad
ogni periodo, corrisponde il suo colore, tu dici: quale
ritieni sia il colore di questo momento e quale sarà quello
del dopo pandemia?
«Il colore che affibbio immediatamente è il rosa, più che
altro perché l’associo alla nascita di Lucrezia, colei che
ha tinto di rosa l’evento del nostro 2020. Per noi è e sarà
un anno indimenticabile: la vita che trionfa sul resto, le
fatiche che si tramutano in opportunità come adesso. Cosa
potrei volere di più? Investite su voi stessi e sulle vostre
risorse: se ci credete veramente, potrà nascere qualcosa di
bello». |
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