Telegiornaliste anno XVII N.
8 (658) del 3 marzo 2021
Candida
Livatino, dietro gli scarabocchi
di
Giuseppe Bosso
Abbiamo il piacere di
incontrare nuovamente la scrittrice, giornalista
e grafologa
Candida Livatino, per parlare della sua ultima
fatica letteraria, da poco in libreria per Mursia edizioni.
Dagli scarabocchi alla firma, un titolo che
potrebbe metaforicamente rappresentare anche il percorso di
crescita di ognuno di noi?
«Esattamente. Iniziamo a scarabocchiare da bambini,
esprimendo quello che è il nostro mondo interiore, le nostre
curiosità e le nostre paure. Da alcuni segni si può capire
se il bambino sarà un adulto grintoso, una volta raggiunta
la maggiore età. La firma è il nostro biglietto da visita:
quando firmiamo poniamo il nostro marchio, spesso con una
grafia diversa da quella che usiamo nel testo. La scrittura
può cambiare a seconda dello stato d’animo del momento, ma i
segni cardine, rimangono e sono quelli che identificano la
personalità dello scrivente».
Hai analizzato nel libro la scrittura di personaggi di
ieri e di oggi, da Rossini a Trump: ci racconti come hai
sviluppato i vari profili?
«Il grafologo attraverso la scrittura riesce a cogliere
aspetti nascosti del carattere di una persona, non sempre
uguali a quelli che appaiono a prima vista. Trump ha una
firma angolosa, direi spigolosa, indice di un carattere
aggressivo se viene contestato e contrastato, come può
succedere ad un bambino al quale viene tolto il suo
giocattolo, quello che è emerso sostanzialmente nelle
vicende successive alla sua sconfitta alle elezioni, che
hanno portato Joe Biden a sostituirlo. È interessante però
vedere come con la mano alla fine, torna indietro: questo è
un segno che fa trasparire le sue debolezze e il bisogno di
autoproteggersi. Oppure prendiamo ad esempio Giacomo
Leopardi, che viene sempre identificato come l’emblema del
pessimismo. Alcuni tratti della sua scrittura fanno invece
emergere un lato ottimistico ed una certa propensione a
relazionarsi con gli altri, a ulteriore conferma che la
scrittura riesce a cogliere aspetti dell’animo umano del
tutto nascosti. Come diceva padre Girolamo Moretti,
la
mano traccia il gesto, ma è l’anima che esprime la forma».
Anche protagonisti della cronaca nera tra i profili che
hai passato in rassegna, come Pietro Pacciani e Donato
Bilancia: davvero la scrittura è in grado di rivelare una
mente criminale?
«Sì, come ho scritto sulla
mia pagina Facebook, grafologia e criminologia
possono dare un supporto alla soluzione di casi intricati,
ovviamente apportando ognuna il proprio specifico
contributo. Alcuni tratti di una particolare scrittura
possono rappresentare il segno di un malessere o di disturbo
di personalità. Pensa ad esempio al caso di Antonio De
Marco, l’infermiere arrestato per il delitto dei due
fidanzati di Lecce dello scorso autunno. È un ragazzo
disturbato: la scrittura fa trasparire i suoi problemi,
l’accumulo di rabbia che è sfociata fino al gesto estremo.
Lo scritto di Pacciani occupa interamente il foglio, dando
un senso di confusione o meglio di ossessione. In molti suoi
scritti ci sono immagini e rappresentazioni a sfondo
sessuale, ad evidenziare che nella sua mente malata c’era un
connubio tra eros e morte. Donato Bilancia scrive in
stampatello, perché non vuole fa capire chi è in realtà, si
maschera e questo genera in lui delle forti tensioni».
Cosa raccomanderesti a chi volesse entrare nel mondo
della grafologia?
Per diventare grafologo bisogna frequentare delle scuole
specializzate per una durata di almeno tre anni, ma poi è
importante anche approfondire alcuni aspetti della
grafologia attraverso dei corsi di specializzazione. È anche
importante essere dotati di una certa sensibilità e di un
buon intuito, che sono di aiuto all’analisi tecnica che
viene condotta».
Ha mai avuto modo di esaminare la scrittura di
telegiornaliste?
«Non per i miei libri. Ho delle amiche che lavorano nelle
redazioni di Mediaset che mi hanno chiesto dei pareri sulla
loro grafia, ma solo in forma privata».
Si può mentire attraverso la scrittura?
«Per quanto si possa cercare di imitare la scrittura di
qualcun altro, alcuni segni, come la velocità e il ritmo,
gli arresti, la pressione che si imprime sul foglio e altri,
fanno capire ad un grafologo che si tratta di un tentativo
di imitazione. La scrittura poi non mente per quanto
riguarda la personalità di chi scrive: le sue paure, le sue
ambizioni, i suoi stati d’animo e molto altro emergono
comunque».
Nel tuo libro c’è un capitolo dedicato agli scarabocchi,
che cosa rivelano?
«Quando siamo al telefono o stiamo ascoltando qualcuno
durante una riunione, quasi senza accorgersene iniziamo a
fare degli scarabocchi. Mentre la nostra mente è focalizzata
su quello che stiamo ascoltando, la mano corre senza
inibizioni né limiti e dà libero sfogo a pulsioni e
fantasie. Sono innumerevoli i tipi di scarabocchi che
vengono fatti e, prendendo in esame i più ricorrenti, nel
mio libro, rivelo che cosa nascondono».