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Telegiornaliste anno XVII N. 10 (660) del 17 marzo 2021
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TGISTE Simona
Vanni, il mio posto giusto di Giuseppe Bosso
Incontriamo Simona Vanni, che da qualche settimana fa parte del team di
Il posto giusto, programma condotto da Giampiero
Marrazzo su Rai 3.
Le sue prime impressioni dopo le prime puntate di Il posto Giusto.
«È una sfida interessante, non mi ero mai occupa di lavoro prima d’ora e
più proseguo questa esperienza e più mi rendo conto di quanto sia
prezioso per la Rai avere un programma che tratti questo tema in modo
semplice, concreto e utile».
Raccontare il mondo del lavoro al tempo del covid: con quale spirito?
«Lo spirito è proprio quello di spronare chi in questa fase così
delicata si è fatto abbattere. Siamo consapevoli che sia tutto più
complicato ma proviamo a fornire degli strumenti utili ai cittadini per
muoversi con più consapevolezza nel mondo del lavoro in una fase così
delicata. È importante far capire che la ricerca del lavoro non deve
fermarsi e che spesso i momenti di crisi sono anche i momenti in cui ci
possono essere nuove opportunità».
Rispetto alla sua precedente esperienza a Tv Talk si sente più
coinvolta?
«Ormai per quanto riguarda Tv Talk sono passati tanti anni, ma
posso dire che in tutte le esperienze che ho fatto mi sono lasciata
coinvolgere perché è l’unico modo per poter lavorare con passione e
sentimento senza sfociare in un lavoro impiegatizio. Perché la Tv non
dovrebbe mai essere un lavoro troppo metodico e sistematico».
Tra i personaggi che ha avuto modo di seguire o intervistare durante
la sua esperienza con
Massimo Bernardini ne indicherebbe almeno due che l’hanno colpita
particolarmente?
«Sicuramente Fabrizio Frizzi e Maria De Filippi. In entrambi i casi sono
rimasta colpita dalla genuinità del personaggio. Frizzi un
professionista di livello con un entusiasmo fanciullesco e contagioso.
De Filippi una donna forte, geniale e di successo che ha fatto della sua
“anti-televisività” una dote irripetibile».
Nel 2020 molto interesse ha suscitato la sua filastrocca sul festival
di Sanremo: si è ripetuta anche per questa edizione?
«La ringrazio per aver citato le mie filastrocche. Ci tengo molto, sono
delle piccole “opere di artigianato creativo”. Mi piace raccontare usi e
costumi della società servendomi della mia “rima infantile” per fare dei
bozzetti ironici e demenziali dei vizi che poi abbiamo un po’ tutti.
Sicuramente ce ne sarà una su Sanremo 2021, devo dire che stanno dando
grandi spunti».
Dalla provincia napoletana alla capitale inseguendo il sogno di
affermarsi nel giornalismo: si sente ancora convinta di questa strada
arrivata a questo punto?
«Sono convinta di questa strada da quando da bambina mi sedevo per terra
all’indiana, mentre le mie amiche giocavano a Barbie, a guardare il
Costanzo show e restavo incanta. Mi ripetevo “un giorno dentro a
questa scatola voglio lavorarci pure io”. E ho fatto di tutto per
riuscirci. Con tanti, tantissimi sacrifici. Chi viene da una realtà
piccola fa il doppio della fatica, ma allo stesso tempo spesso ha una
spinta motivazionale più forte perché quel contesto ti sta veramente
stretto. Sono ancora molto convinta di continuare questa strada perché
non mi vedrei in nessun altro modo».
Qual è il suo “posto giusto”?
«Il mio posto giusto è quello dove ho scelto di essere lottando con
tutta me stessa. Il mio posto giusto dunque non è dove vorrei essere ma
dove sono adesso. È la fase della vita in cui mi trovo ora. Con le mie
passioni, la mia famiglia, i miei affetti e l’immancabile compagnia
delle mie inquietudini».
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Ricciardi, Guanciale sarà un padre
di Silvestra Sorbera
Archiviata con successo la prima stagione de
Il Commissario Ricciardi, tratto dai romanzi
dello scrittore Maurizio De Giovanni, ecco che si
pensa già alla seconda stagione: i libri che hanno
per protagonista Luigi Alfredo Ricciardi permettono di
dare una prosecuzione televisiva alla storia ma,
intanto, ecco che l'attore avezzanese Lino Guanciale
è già pronto per un nuovo set: sono infatti iniziate
le riprese di Noi, serie tratta
dall'americana This is us.
Insieme a Guanciale ci sarà Aurora Ruffino: i due
hanno lavorato insieme nella seconda stagione di Non
dirlo al mio capo, in questa nuova serie invece sono
genitori di tre figli.
Nel cast troveremo anche Dario Aita, Claudia
Marsicano, Livio Kone, Angela Ciaburri,
Leonardo Lidi, Flavio Furno, Timothy Martin,
Francesca Agostini, Liliana Fiorelli,
Giordana Faggiano e Massimo Wertmüller. La
regia è di Luca Ribuoli.
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DONNE Franca
D'Amato, i cambiamenti del doppiaggio
di Giuseppe Bosso
Da tempo abbiamo il piacere di intervistare i protagonisti
del doppiaggio italiano e questa settimana siamo onorati di
incontrare una delle più carismatiche voci di questa
eccellenza italiana,
Franca D'Amato.
Dove possiamo ‘ascoltarla’ in questo periodo?
«Di recente sulla piattaforma Sky è andata in onda una serie
britannica molto bella, FatherMotherSon, con Richard
Gere, in cui doppio Helen McCroy, un’attrice di grande
classe e bravura, che ha creato un personaggio intenso,
drammatico. Molti miei colleghi mi hanno detto che ho saputo
restituire al meglio le sfumature e la forza della sua
recitazione. E detto da dei colleghi è stato davvero un bel
complimento».
Ha prestato voce a tante importanti attrici come Juliette
Binoche, Julianne Moore ed Isabelle Huppert solo per citarne
alcune, oltre che al carismatico personaggio di Bree Van De
Kamp di Desperate Housewives: in quale figura si è
riconosciuta e quale invece ha sentito più distante da lei?
«Il bello del doppiaggio è proprio quello di poter essere
personaggi che possono essere quanto di più distante ci sia
dal nostro modo di essere, dalle cattive alle pazze:
Juliette Binoche è un’attrice che ho iniziato a doppiare
proprio nel momento della sua ascesa, con Il Danno,
Il paziente inglese, Chocolat con cui ho vinto
anche un Nastro d’Argento. Quindi sono legata a lei anche
per questo. Bree di Casalinghe disperate mi ha
accompagnato per 8 anni della mia vita. Ed essendo un
personaggio spregiudicato e vendicativo mi ha fatto venire
fuori tutta quella cattiveria che possiamo permetterci di
far emergere solo davanti a un leggio. E poi i personaggi
sono tanti e le sfide sono state così tante e appassionanti
che è difficile fare una classifica».
È tra le più assidue partecipi negli ultimi anni alle
trasmissioni di
Alessio Cigliano che stanno riscontrando molto successo
sia tra i fans che tra i suoi colleghi: cosa ne pensa?
«Premetto che sono dell’idea che non sia male che un
doppiatore resti nell’ombra, perché il suo è un servizio che
rende all’opera e all’attore della presa diretta. Ma proprio
per un certo mistero che si cela dietro il nostro mondo, che
affascina e incuriosisce il pubblico, la trasmissione di
Alessio ha suscitato molto interesse e lui ha saputo creare
uno spazio che è piaciuto agli appassionati».
Come ha vissuto l’ultimo anno all’insegna del lockdown e
delle nuove disposizioni che hanno inciso sul vostro
settore?
«Come per tutti è stata un duro colpo che ha creato
sofferenze. Sicuramente parlando di doppiaggio c’è stata una
notevole flessione, ma non paragonabile al disastro vero e
proprio che ha subito gran parte del resto del mondo dello
spettacolo, fermo ormai da un anno. Giusto parlare delle
difficoltà dei ristoratori, ma pensate alle persone che
lavorano nel teatro davanti e dietro le quinte, sia nella
prosa, che nella musica: attori, musicisti, cantanti e poi i
costumisti, i montatori di palchi, i datori luci, i fonici,
le sarte, tutti i tecnici e le maestranze, un mondo immenso
che è fermo da un anno. Un anno! Per loro non ci sono state
riaperture ed è per questo che confido che gradualmente,
grazie anche ai vaccini e a qualche riflessione in più da
parte del governo, anche il settore spettacolo riesca a
ripartire».
L’impossibilità di poter lavorare insieme può danneggiare
le nuove leve del doppiaggio?
«Moltissimo, ma non c’è solo quest’aspetto. I ritmi serrati
di oggi, in cui sostanzialmente la tecnologia ha prevalso,
ci hanno obbligato a sacrificare molto spesso la qualità
finale del lavoro. Una volta si riusciva anche a recitare in
sei in sala, e questo aiutava tanto anche dal punto di vista
dell’interpretazione. Ora conta di più la pulizia del suono
che richiede le colonne separate. Ma che così fa mettere in
secondo piano le esigenze recitative. Recitare vuol dire
rapportarsi con l’altro: è creare relazioni fra i
personaggi. Farlo in isolamento è molto difficile. E anche
triste dal punto di vista umano: è così che si sono creati
tanti rapporti di amicizia. Speriamo che dopo il covid, che
ancor più ci costringe all’isolamento, si torni a pensare
che l’uomo e la sua umanità devono tornare ad essere il
centro del mondo. La tecnologia deve essere al servizio
dell’essere umano». |
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