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Telegiornaliste anno XVII N. 7 (657) del 24 febbraio 2021
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TGISTE Lucia Loffredo, la mia vita da inviata di Giuseppe Bosso
Dieci anni fa la
intervistammo per la prima volta quando si alternava tra la
recitazione e le prime esperienze in conduzione. Poi
Lucia Loffredo ha capito
che la sua strada era quella dell’informazione, che ha coltivato nel
tempo, fino ad oggi, dove è inviata di due programmi di punta come
La vita in diretta e
Titolo V.
Bentrovata Lucia: ci risentiamo dieci anni dopo, quando allora ti
alternavi tra recitazione e conduzione: poi hai deciso di intraprendere
una strada nuova e diversa che oggi ti vede inviata del programma La
vita in diretta: ci racconti cosa ti ha portato a questo
cambiamento?
«Iniziai a lavorare come inviata per La7 anni fa per una curiosità più
che altro; lì ho capito che era quella la mia strada, ho studiato per
diventare professionista ed iscrivermi all’albo e ho iniziato le varie
esperienze che oggi mi hanno portato a La vita in diretta e
Titolo V, dove ci occupiamo di politica riguardo il confronto
Stato-Regioni, e posso dire di aver fatto la scelta giusta, quella che
mi ha dato soddisfazioni».
Andare in giro per l’Italia nell’anno della pandemia non è stato
sicuramente facile: in che modo questo ha condizionato il tuo lavoro e
come hai cercato di adattarti?
«C’è stata sicuramente molta paura nella prima fase, a cui si sono
aggiunti i problemi pratici che viviamo noi inviati, relativi per
esempio alle difficoltà di trovare alberghi dove sistemarci o sui mezzi
di trasporto da usare; spero davvero questa emergenza finisca presto».
Tra le storie che hai avuto modo di raccontare, quali sono quelle che
più ti sono rimaste impresse?
«Sicuramente quelle degli ultimi mesi, alcune toccanti: prima di Natale,
il 23 dicembre, mi sono trovata in una casa di cura dove i pazienti per
la prima volta rivedevamo i loro cari dopo mesi; non nascondo che mi
sono commossa in quel momento. Poi ci sono state anche esperienze di
questi anni, per
Petrolio quando ho raccontato la Brexit per esempio,
ma le emozioni come quella sera restano dentro».
In prospettiva futura ti vedi ancora inviata o ritenteresti
l’esperienza della conduzione da studio?
«Mi piacerebbe tantissimo ritornare in studio, vediamo cosa succederà».
Gioie e dolori di una vita sempre in giro da una parte d’Italia
all’altra.
«Gioia incontrare tanta gente, dolori sacrificare le passioni e le
amicizie».
Hai modo di interagire con gli altri colleghi della trasmissione?
«Certamente, siamo un gruppo molto affiatato, ci aiutiamo fin dalle
piccole cose, come consigliarci su dove alloggiare nelle città dove gli
altri sono già stati, capita di incontrarsi a volte, come mi è successo
anche ultimamente a Milano con alcuni colleghi con cui avevo lavorato ad
Agorà, un’altra bellissima esperienza per me».
Dieci anni fa mi dicesti in chiusura “spero impareremo a usare
meglio il cervello”: a distanza di tempo è un augurio che senti di
rinnovare?
«Ho lavorato molto su me stessa in questi anni, in vari modi, e credo di
aver realizzato che si può fare sempre di più. Mi lascio trascinare
dalle emozioni a volte, come ti ho detto, ma la convivenza con la parte
razionale è fondamentale».
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TUTTO TV Francesca Tardio, i miei cuori neri
di Giuseppe Bosso
Questa settimana intervistiamo la doppiatrice
Francesca Tardio, tra aneddoti del suo percorso e
nuove prospettive.
Ricordi il tuo primo doppiaggio e le sensazioni che hai
provato?
«Nella serie True Bloods, una vampira: erano solo
dieci righe di battuta, ma ricordo l’emozione di quella
prima volta, la soggezione di essere al cospetto di colleghi
più esperti… è qualcosa che magari all’inizio ti blocca, ma
che acquisendo esperienza superi. Sono passata da quelle
dieci righe ai copioni che oggi ho l’abitudine di annotare
cuori neri sulle battute».
Quale attrice o personaggio hai sentito più vicine al tuo
modo di essere?
«Per mia fortuna posso dire di avere sempre trovato
interpreti con cui mi sono trovata davvero in sintonia; se
proprio devo farti dei nomi, menziono sicuramente Carmen
Canivall, interprete della soap Il Segreto che ho
doppiato per tanti anni, e Tati Gabrielle, che nella serie
Le terrificanti avventure di Sabrina ha interpretato
una splendida antagonista. Devo dirlo, mi piace doppiare i
personaggi cosiddetti ‘cattivi’ e trovo che in questo le
attrici di colore come lei abbiano un talento unico, non ne
ho mai trovate di inadatte».
L’avvento di Netflix e di altre piattaforme che stanno
rivoluzionando il mondo delle serie tv e anche, in
considerazione della pandemia, la distribuzione
cinematografica ha cambiato anche il vostro settore?
«Ci sono stati dei pro e dei contro, ma soprattutto direi
che ne stiamo risentendo dal punto di vista qualitativo;
l’aumento delle produzioni comporta minore tempo per curare
il doppiaggio, e questo non avvantaggia anzitutto le nuove
leve, che si vedono spesso ‘buttate nella mischia’ senza
avere alle spalle un percorso formativo fatto di tanti
‘brusii’, per così dire, che hanno accompagnato anche la mia
crescita».
Come hai vissuto i cambiamenti che la vostra professione
ha affrontato per rispettare le prescrizioni imposte
dall’emergenza covid?
«Anzitutto con il dispiacere della perdita di quel contatto
con figure come l’assistente e il fonico, con cui prima
riuscivi a scambiare due parole tra un turno e l’altro. Non
c’è più la possibilità di incontrarsi nemmeno nei salottini,
si lavora in colonne separate anche per piccole parti. Le
nuove prescrizioni hanno portato all’addio dei copioni
cartacei e all’uso di tecnologie che magari per noi un
po’più giovani non creano difficoltà ma che per colleghi un
po’più anziani non sono altrettanto agevoli da usare».
Dove potremmo “ascoltarti” prossimamente?
«Ci sono molte cose in cantiere, ma anche per ragioni di
riservatezza non posso dirvi nulla. Continuate a seguirmi e
saprete (ride, ndr)».
Non tutti sanno che hai avuto modo di doppiare anche una
giovanissima attrice italiana che la nostra testata tempo fa
ha intervistato,
Giulia Sara Salemi, nella serie live action di successo
Miracle Tunes: che tipo di esperienza è stata dal tuo
punto di vista di doppiatrice?
«È stata un’esperienza divertente e insolita, trovarsi a
doppiare una ragazzina che potrebbe benissimo essere mia
figlia, anche se all’inizio non è stato facile, perlomeno
nei primi episodi, calarsi in quella parte. Ho avuto modo di
interloquire con lei su Tik Tok, ed è davvero un vulcano
come nella serie».
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DONNE Patrizia
Baglione, poesia punto di attracco di Tiziana Cazziero
Incontriamo
Patrizia Baglione, scrittrice e poetessa.
Ciao Patrizia. Quando hai sentito dentro di te la voglia
o forse, necessità, di scrivere poesie?
«Necessità è la parola adatta. Era marzo, un giorno tiepido:
avevo il rientro a scuola e nell’ora della pausa pranzo mi
recai giù, verso l’orto botanico. C’era un tavolo in pietra,
ai lati due panchine dello stesso materiale del tavolo. Mi
sedetti su una di esse e poggiai il mio foglio bianco.
Afferrai la penna, che era già senza tappo e tirai fuori
tutto quello che avevo dentro. Era come se fossi seduta
all’ombra di un vulcano attivo, quell’inquietante
Sterminator Vesevo cantato da Leopardi, sentivo nel
corpo e nella mente l’agitazione dei terremoti e il fuoco
delle eruzioni. Quando misi il punto, lo scritto era
terminato. Non un'esitazione o un dubbio, nulla. Era il
primo tentativo di una strada tutta mia. Avevo tredici anni,
ero poco più di una bambina e quelle parole erano già dense
di solitudine e inadeguatezza».
Cosa rappresenta per te la poesia?
«Una fune a cui aggrapparmi, un punto di attracco comodo e
sicuro.
Il passato e le tue esperienze quanto hanno influito sui
versi trascritti e trasformati in poesia?
«Moltissimo. La mia poesia nasce proprio dalle mie
esperienze passate. La prima scritta all’età di tredici
anni, viene fuori a seguito di alcuni episodi di bullismo a
scuola. Sono stata derisa e umiliata dai miei compagni che
prontamente mi isolarono dall’intera classe. Arrivarono
addirittura a far girare una mia foto tra i banchi,
bisbigliando “madre natura con lei è stata crudele”, e poi
giù a ridere. A seguito, ho trovato nella poesia un’ancora
di salvezza: era presente nei miei anni solitari ma anche a
seguito di alcuni atti di violenza subiti, era con me anche
nei momenti di depressione».
Malinconia delle nuvole è il tuo libro pubblicato
nel 2020, ti va di parlarci come nasce?
«Dopo la pubblicazione della mia prima raccolta di poesie,
dove avevo confessato in parole poetiche tutto il mio
vissuto, la mia adolescenza, sentivo la necessità di
intraprendere un nuovo viaggio. Malinconia delle nuvole
non sfugge alle problematiche sociali, ma anzi le individua,
le scova e le disintegra con la sola forza della parola che
tocca, nella regola della coerenza, quasi con un ago
sottile, il punto nevralgico della sensibilità umana. Ma
come le nuvole, così la malinconia diventa passeggera,
nonostante le brutture della vita».
Da alcune tue parole si evidenziano alcune problematiche
che hai affrontato quando eri molto giovane e frequentavi i
banchi di scuola. In questi giorni si è parlato molto di
bullismo, una piaga sociale e difficile da combattere, cosa
senti di dirci a riguardo?
«“Fortunatamente”, oggi se ne parla più del passato. È una
piaga importante e assolutamente da non sottovalutare. Provo
sempre una morsa nel cuore, leggendo o ascoltando fatti di
cronaca aberranti, che quasi proverei stento a crederci. Ma
purtroppo devo farlo. È vero che il bullismo ferisce, vero
che le conseguenze psicologiche sono molteplici, vero che
arriva ad uccidere».
Perché leggere le tue poesie, cosa racchiudono i tuoi
versi?
«Con Malinconia delle nuvole affronto temi
importanti: malattia, sofferenza, solitudine, ma anche forza
e soprattutto speranza. Quella speranza che mai abbandona
gli animi dei ‘personaggi’ che tratto inevitabilmente nelle
mie poesie».
Come hai vissuto l’esperienza di questa pubblicazione?
Cosa ti ha regalato a livello personale e umano?
«Un’emozione grande e un po’ inaspettata. Ho avuto la
fortuna di presentarlo la scorsa estate su Rai Radio Live, e
in poco tempo è stato scelto come libro di testo in alcune
scuole italiane. Umanamente mi ha donato ancor di più. Le
persone mi hanno contattata personalmente per acquistare il
libro, e prontamente hanno sentito necessità di comunicarmi
la loro recensione a lettura conclusa. Una vera carezza per
l’anima».
Ci sono altri progetti a breve? Cosa ci puoi anticipare?
«Un bellissimo progetto: un nuovo libro, ma questa volta si
tratta di un romanzo: flash di vita vissuta, attimi, giorni,
ore, periodi di inquietudini e speranze in un altalenarsi di
tempi e di spazi. Cadenzato in brevi e intensi capitoli,
come un mosaico nel quale si compongono emozioni forti e
momenti a volte disperati, lascia libere nell’aria le
polveri sottili di un vivere che danno forma a qualcosa che
il lettore avrà la netta sensazione di conoscere già;
tormenti interiori e la fatica di tirare i giorni fino a
sera, i cerimoniali di un'infanzia troppo matura fatta di
bambole e anime calme ed estreme. Poi il cambio di rotta, il
perdonare e il perdonarsi, la vita che prende colore e forma
come un volto dentro un tronco o la poesia dentro una
nuvola. Nelle righe del romanzo traspare il vuoto che ognuno
cerca di riempire con le cose di tutti i giorni, raccontato
da chi di quel vuoto è stata vittima. Tratteggio di un’anima
inquieta in balia delle onde del ricordo di un tempo povero
di felicità. I corpi e le anime qui sono parole. E le parole
si trasformano in speranza, e in quella fune di attracco a
cui oggi quella bambina derisa e malinconica si inchina in
segno di commosso ringraziamento». |
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