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Telegiornaliste anno XVI N. 30 (647) del 18 novembre 2020
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TGISTE Serena
Scorzoni, ripartire Insieme
di Giuseppe Bosso
Incontriamo Serena Scorzoni,
conduttrice del nuovo format di
Rai
Cultura, Insieme, in onda su
Rai
Storia.
Cosa si aspetta da Insieme, la trasmissione che sta conducendo
su Rai Storia, e come nasce questo progetto?
«Il progetto con Rai Storia nasce da una lunga collaborazione con Rai
Cultura. In questi anni il direttore Silvia Calandrelli mi ha spesso
coinvolto nei progetti dei canali. Ammetto che questa collaborazione mi
riempie d’orgoglio, perché per me la funzione della Rai è innanzitutto
di promozione culturale ed educativa. Il programma Insieme ha gli
stessi obiettivi».
Raccontare la storia di chi ce l’ha fatta nonostante grandi
difficoltà può essere d’aiuto in questo periodo dove bisogna affrontare
un’emergenza come la pandemia?
«Raccontare come l’Italia si è rialzata dopo la Seconda guerra mondiale.
La ripartenza, la tenacia e il coraggio dei nostri nonni e dei nostri
genitori che hanno rimesso in piedi il Paese. E adesso che stiamo
vivendo una fase così drammatica della nostra storia, Insieme può essere
un messaggio di speranza e fiducia che possiamo ricominciare e superare
questo momento di difficoltà».
Cosa ha rappresentato per lei l’approdo prima a Tgr Umbria e poi a
Rainews, dal punto di vista delle sue aspirazioni?
«Ho sempre voluto essere una giornalista. Ho un video di me dodicenne
che gioco a condurre il telegiornale, imitando il mio mito:
Lilli Gruber. A sedici anni, e per dieci anni a Perugia, ho
lavorato in una radio locale facendo intrattenimento, mettendo musica e
dando notizie. È facile immaginare la felicità e l’emozione di approdare
alla Tgr Umbria! Ho imparato a raccontare le storie, a confrontarmi con
la politica, la cronaca, la cultura, lo sport. Per dieci anni ho seguito
anche le partite allo stadio (Forza Grifo!). Però sono una donna che non
si accontenta e cerca nuove sfide, uscendo dalla mia comfort zone.
Perciò nel 2013 ho scelto di venire a Roma per crescere
professionalmente e sono arrivata alla nuova Rainews di
Monica Maggioni che ha voluto investire su alcuni giovani
giornalisti proprio dalle Tgr.».
Come crede cambierà in futuro il giornalismo italiano dopo questo
anno non facile?
«Il giornalismo si è rafforzato. Raccontare cosa succede è diventato
ancora più centrale nella vita delle persone. Quello che è cambiato è
una serie di canoni e paradigmi superati dall’urgenza della situazione.
Pensiamo per esempio ai collegamenti in videocall, le ospitate da casa,
l’imperfezione delle immagini. Paradossalmente hanno reso più umani e
reali la televisione e il nostro mestiere. La tecnologia non può essere
fermata e noi abbiamo il dovere di stare al passo con i tempi. Certo,
però, difendendo sempre le professionalità e il nostro ruolo di cane da
guardia pubblico a tutela della democrazia e del pluralismo delle
opinioni».
È molto seguita dai nostri lettori, come potrà vedere: cosa ha
gradito maggiormente leggere dai loro commenti?
«Per stare davanti a una telecamera, devi essere inevitabilmente
vanitoso. Quindi i commenti positivi ma educati sull’aspetto estetico mi
fanno sorridere. Però quello che davvero mi fa felice sono gli
apprezzamenti professionali, su come ho dato una notizia, su come ho
condotto una serata di gala o su quanto è stata commovente l’ultima
puntata di Insieme. Metto l’anima in tutto quello che faccio e spero che
si percepisca».
Cosa si aspetta dal 2021?
«Innanzitutto, la fine del 2020! Poi spero di continuare a fare bene nel
mio lavoro, soprattutto a Rainews, dove da qualche mese è arrivato il
direttore
Andrea Vianello che ha portato nuovi stimoli e nuove energie.
Sono molto affezionata al canale 48, abbiamo dimostrato proprio in
questo anno difficile, quanto sia necessaria all’opinione pubblica una
rete all-news. Per me è l’unica strada da percorrere per il giornalismo
del futuro».
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L’ultimo
saluto a Gigi Proietti di
Silvestra Sorbera
È mancato un grande mattatore, il più grande
di tutti: stiamo parlando di Gigi Proietti che lo
scorso 2 novembre, nel giorno del suo ottantesimo
compleanno, è morto a Roma.
Faceva parte di quella cerchia di artisti di
formazione teatrale, campo nel quale ha mietuto
notevole successo sin dagli inizi degli anni sessanta:
noto per le sue doti di affabulatore e trasformista,
è considerato uno dei massimi esponenti della storia del
teatro italiano; nel 1963 grazie a Giancarlo
Cobelli esordì nel Can Can degli italiani
per poi interpretare senza sosta numerosi spettacoli
teatrali sino a A me gli occhi, please del
1976, esempio di teatrografia che segnò uno
spartiacque nel modo di intendere il teatro, e al quale
seguiranno numerosissime repliche anche con nuove
versioni nel 1993, nel 1996, e nel 2000, attraversando i
più importanti teatri italiani; lo spettacolo segnò un
record di oltre 500.000 presenze al Teatro
Olimpico di Roma.
Sul grande schermo memorabile resterà la sua
interpretazione nei panni di Bruno Fioretti, alias
Mandrake, in Febbre da cavallo,
anno 1976 per la regia di Steno. Come nel
doppiaggio il primo Rocky Balboa di Sylvester
Stallone e il Genio di Aladdin.
Poi ci sono le fiction, tantissime e di successo, che
lo hanno visto protagonista: su tutte Il maresciallo
Rocca, Una pallottola nel cuore e
L'avvocato Porta.
Tantissimi i colleghi che lo hanno omaggiato, da
Edoardo Leo e Enrico Brignano, per non parlare
del suo allievo Flavio Insinna che lo ha ricordato
commosso e i tanti post sui social.
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DONNE Roberta
Villa, il covid evento epocale
di Giuseppe Bosso
Incontriamo la giornalista, laureata in medica e chirurgia,
collaboratrice con varie testate italiane e internazionali
Roberta Villa.
Cominciamo con una domanda magari un po’ banale: cos’è il
covid 19 per Roberta Villa?
«Sicuramente un evento epocale che cambierà la storia
geopolitica e che credo lascerà un segno nella maggior parte
di noi, anche in chi avrà avuto la fortuna di non
ammalarsi».
Dal suo punto di laureata in medicina come definirebbe
l’incidenza che la pandemia ha avuto sulla società, non solo
italiana?
«Temo che l’impatto più grave sarà un’accentuazione delle
diseguaglianze che già preesistevano, per esempio tra chi
può o non può usufruire di una rete internet adeguata o tra
chi può permettersi di lavorare in smartworking e altre
categorie che stanno subendo e subiranno maggiormente le
conseguenze della pandemia».
Si può attribuire la nuova impennata di contagi
dell’ultimo periodo ad un’estate in cui probabilmente si è
ritenuto, troppo presto, scampato il pericolo?
«Non penso che l’errore sia stato andare in vacanza o
riaprire i ristoranti, anche con l’ausilio di bonus che sono
stati concessi dal governo. È vero però che era prevedibile
che una riapertura senza adeguati controlli avrebbe portato
ad un aumento dei contagi, che andavano subito fermati senza
aspettare che la situazione sfuggisse di mano».
Sarà davvero un vaccino la fine di questa emergenza? E in
che modo farlo accettare a chi ne è solitamente contrario?
«I dati di cui disponiamo attualmente ci dicono che
difficilmente i vaccini in arrivo saranno in grado di far
sparire il virus: potranno ridurre il rischio di malattia,
ma non fermare la sua diffusione. Credo che più che la
vaccinazione quello che potrà rappresentare la svolta sarà
l’introduzione di strumenti rapidi di diagnostica, pratici e
a buon mercato. Si potrebbero così dotare i luoghi di
aggregazione, i cinema o le arene dove si svolgono concerti,
di sistemi di filtro e di sicurezza come si fa negli
aeroporti. Non dico che riprenderemo presto le nostre
abitudini in modo totale, ma sarà un inizio».
Lei fa largo uso di social con finalità divulgative:
quali sono finora i riscontri che ha potuto verificare nelle
sue interazioni con la rete?
«Soprattutto su
instagram ho avuto modo di interagire con
tantissime persone, e avverto fortemente un senso di
responsabilità per il fatto che alle mie parole seguiranno
probabilmente delle scelte e delle reazioni da parte loro. E
a maggior ragione lo avverto dopo aver sentito delle
affermazioni che hanno teso a minimizzare la situazione alla
fine dell’estate, rendendo difficile sia l’introduzione, sia
la comprensione e l’accettazione delle misure necessarie a
controllarla». |
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